di Romano Maria Levante
Si conclude il nostro commento sulla mostra in corso nella città di Palermo, Fondazione Sant’Elia, Loggiato di San Bartolomeo, aperta dal 7 giugno al 7 luglio 2020, “”Mapping” di Julien Friedler, 35 dipinti su un “corpus” di 140 opere. Altre 25 dipinti saranno esposti dal 25 luglio al 27 settembre a Villa Lagarina, Palazzo Libera, Trento, nella mostra prodotta da CD Studio d’Arte, Padova, che ha collaborato a questa organizzata da MLC Comunicazione, coordinamento di Maria Letizia Cassata. A cura di Gianluca Marziani e Dominique Stella – curatrice pure della mostra di Villa Lagarina con Carlo Silvestrin – che hanno curato anche il Catalogo trilingue, italiano-francese-inglese, edito da La Route de la Soie Éditions, Paris.
Al termine della rassegna delle opere in mostra – integrata dalla citazione di molte realizzate nello stesso intensissimo 2019, e riportate nel Catalogo, 25 saranno esposte a Villa Lagarina – abbiamo formulato il seguente interrogativo: come viene espresso artisticamente tutto questo? E in “tutto questo” ci sono i tanti motivi presenti in quella che si può definire “seduta psicanalitica lunga un anno” con ritorni ossessivi anche se non nella forma totemica precedente. Un viaggio di “liberazione” nella “catarsi” interiore esplorando paesaggi e mondi iperurani, fino alla “Levitation” e “L’elevation” dopo “Tremblement”, con i suoi tremiti, e le “Vibrations”, mentre ci presenta “La Mansarde” come “Le rifuge”, in cui lo immaginiamo nella figura di “L’hermite” accompagnato dalla figura rassicurante e consolatrice di “La belle Héloise” .
La curatrice Dominique Stella risponde così all’interrogativo sull’espressione artistica: “Lo spazio pittorico si organizza a partire da chiazze di colore giustapposte componenti una trama vaporosa che crea un’illusione di atmosfera pur privilegiando tenacemente la superficie piana della tela”. La tempesta cromatica sembra contenuta, “il colore nasce talvolta dal fondo bianco della tela che, in talune occasioni, secondo una concezione minimalista dell’opera, resta dominante”. Ma proprio per questo “richiama la magnificenza del colore” ed evoca l’apertura catartica all’infinito liberatorio.
Non si tratta, tuttavia, di un passaggio indolore, per così dire, e la curatrice lo fa capire citando i contrasti tra spazio e assenza di spazio, il pieno e il vuoto, nostalgia e realizzazione, timore o speranza: “Tali e tanti dubbi filosofici emergono dalla rivelazione delle opere che l’artista pone come un enigma”. Anche perché l’enigma è in lui, “Mapping” non ci sembra nascere da un “progetto” preordinato, né esprimere un processo la cui trama venga lasciata volutamente nel mistero; ci sembra un percorso psicanalitico nel quale sono compresenti gli opposti, come nelle opere scultoree di Anselmo, da noi citato in precedenza come mera associazione di idee, per certi aspetti significativa data l’importanza dell’antinomia.
Del resto entrambi, oltre che darvi corpo nelle loro espressioni artistiche, lo hanno scritto: Friedler nel suo “La Verità nel Labirinto” definisce l’opera addirittura “una congiunzione degli opposti, una scrittura paradossale, un’iscrizione dei flussi che attraversa lo spirito”. E sulla spinta interiore parla del “runore” e “furore” che ci circondano con un interrogativo che ora ci sembra rivelatore: “Sarebbe possibile per l’arte divenire un giorno un rifugio dal rumore e dal furore che abitano dentro di noi?” Quelli che ci circondano penetrano in noi, fino ad imprimersi nel nostro inconscio. La Stella cita la risposta contenuta in una nota: “Un’estetica minima e senza pregiudizio, un punto di vista contemplativo, contrario di ogni tipo di militanza”. Ma la vera riposta Friedler l’ha data con l’”exploit” dei 140 dipinti nel 2019, allorché si è isolato nel “rifugio” dell’arte, riveltosi non solo protettivo ma anche liberatorio.
L’occhio di Polifemeno e di Giano bifronte, nel “rifugio” dell’arte
La Stella cita anche “l’esistenza di una vera e propria potenza estetica all’opera nell’universo”, tema sviluppato dall’altro curatore della mostra Gianluca Marziani: “la Terra è Dio, l’Universo è Dio, ogni Stella è Dio” significa “spostare l’Uomo fuori dal centro, riportandolo sulla linea degli altri viventi, significa ripensare al Pianeta come ad un Dio che accoglie la vita nella sua molteplicità non solo umana”.
Il curatore definisce “la pittura come oracolo propiziatorio, frammento di stelle, pulviscolo cosmico”. E ne fa il campo ” dell'”apparenza del caos espressivo, di una tempesta che s’irradia sulla superficie e frammenta gli impasti, schizzando gocce lasciando colare e raggrumare, spruzzando raggrumando con la frequenza randomica della pioggia al suolo”: descrizione di un “action painting” alla Pollock che in queste parole sembra materico, non psicologico. Ma aggiunge: “In realtà, dietro le apparenze di un espressionismo selvaggio, si nasconde la centralità di un Giano che osserva il mondo da ogni angolazione, una visione centrifuga che passa dal bifronte al multifronte per aprirsi alla totalità delle voci, alle alchimie di un’umanità omerica”.
Tale nterpretazione non dovrebbe riferirsi a un “Giano” cosciente, dato che un disegno preordinato non può preesistere nel percorso psicanalitico evocato: il “nostro Giano” si abbandona alle visioni che lo assalgono nel “rifugio” consolatorio dell’arte. Del resto, Marziani parla di “un dipingere catartico e muscolare” evocando sia il carattere liberatorio, sia la compresenza degli opposti, da noi già sottolineata, con le parole “impatto e levità, forza e carezza ventosa, spinta centrifuga e e sospensione astrale”.
E anche se vede un “centro magnetico” – e l’“occhio ciclopico dell’artista, un occhio che guida una visione unica e pacificatrice” – precisa che “il centro non si mostra con didascalica presenza, spesso si nasconde dietro il caos cromatico, dietro la materia informale, dietro le astrazioni radianti”. Tornano gli opposti compresenti in questa interpretazione, in cui alla “guida” e alla “visione unica” si contrappone il il caos, quindi l’informale con le astrazioni incontrollabili che non provengono da un “dominus” determinato, ma dall’abbandono inconsapevole od onirico per giungere all’emersione dall’inconscio.
Una compresenza di opposti anche nella “moltitudine liquida dei colori”, per esprimere “la drammaturgia e la catarsi, l‘esilio e il cambiamento, la follia e la poesia”; e “l’ambivalenza tra stimolo superficiale e valore custodito, come fosse una chimera inquieta ma curativa, uno spazio di benessere entro il caos irrequieto del colore…. archetipi del pensiero filosofico in ua sintesi materica”.
In questa visione che coesiste con la concezione del “centro magnetico”, l’’immagine dell’albero che secondo Marziani caratterizza ogni mostra dell’artista attribuendo a ciascuna una specificità, ci sembra esprimerne la coerenza interna e la differenziazione rispetto alle altre espressioni; ma riteniamo avvenga “ex post” rispetto al processo creativo le cui fasi trovano manifestazione pubblica nelle esposizioni in cui si è “messo in ordine” ciò che nello “spiritual painting” non lo era, come avviene nell’attuale “mappatura”.
Come abbiamo osservato per la “guida” e la “visione unica”, pensiamo che con “albero” non vada inteso un disegno preordinato, l’”unità aristotelica” da noi evocata all’inizio riguarda il confinamento temporale, non certo i soggetti e i contenuti, quanto mai variabili e indefinibili come lo sono i moti dell’animo. La “continuità narrativa tra le singole pitture” la riferiamo al percorso di tipo psicanalitico, nel quale si svolge l’“ideale montaggio che ricrea un embrione schizoide e metafisico”: non sarebbe “schizoide” se fosse consapevole e preordinato. Questa nostra interpretazione ci sembra confermata dalla definizione data da Marziani di “viaggio satellitare e stereofonico, privo di orizzonti definiti, privo di una polarità nordica, privo di identità geografica” che va “in tutte le direzioni”, come nell’abbandono psicanalitico all’inconscio.
Se questo è il “set” virtuale, senza contenuti né confini – l’opposto di quello costruito e poi fotografato dall’americano Lachapelle nel quale troviamo anche il “landscape” evocato per altri versi da Marziani – i risultati pur nella loro genesi individuale, anzi personale, assumono una valenza più vasta, nella visione dell’artista che, come si è detto, è impegnato in questa trasposizione. Ricorda il curatore che “tutti siamo partecipi del rumore di fondo dove ognuno di noi appartiene al suono della vita dentro l’orchestra degli esseri reali”. Per esprimerlo, l’artista “mescola figurazioni e astrazioni come accade nella vita, unendo le varie tematiche in un meta genere oracolare e partecipativo”.
Ed è naturale che tornino immagini ispirate ai suoi viaggi con forme al di fuori da ogni stereotipo africanista, unite a figurazioni irreali dei propri sogni anche ad occhi aperti, “un sapere complessivo che viene trasfigurato nel meccanismo catartico del gesto, nella frequenza rapida di un dipingere rituale”. Al quale aggettivo vorremmo dare il significato dello “spiritual painting” non materico, cioè di rito magico, piuttosto che di gesto e atto abituale, consueto e normale.
“Mapping – conclude Marziani – è una vertigine elettromagnetica, un campo di forze contrastanti e liberatorie”; perciò, aggiungiamo, non può che riflettere un processo interiore senza nulla di precostituito, “una sorta di viaggio tra microcosmo e macromondo, nel ritmo caotico delle cellule e nei rumori infiniti delle stelle”. Va ben oltre i limiti della finitezza umana, ma dall’umanità trae linfa e alimento: “Un viaggio dalla terra al cielo, passando per il ciclo della vita, per la potenza dei cuori, per la spinta emotiva, per il parossismo della passione”. Lo abbiamo visto dalle intitolazioni di molte sue opere.
Viene espresso in un “metaforismo spirituale che contiene segni, codici, graffiti, disegni elementari e altre conferme di un alfabeto d’accoglienza globale. Si intuisce un’ampiezza che sfida il tempo ideale e lo spazio percepito, una prospettiva a 360 gradi con l’energia dell’occhio metafisico, come se il nostro Giano abbracciasse la bellezza di ogni possibile conoscenza, dalla caverna ai microchip, dal mattone al silicio, dal fossile al feticcio”. Una sintesi suggestiva, quella di Marziani, che fa pensare all’infinito e all’eterno.
Lo sguardo di “E.T.”, umanità cosmica nella forza pittorica
Questo è “Mapping”, e all’occhio di Polifemo e di Giano bifronte vorremmo aggiungere quello di E.T. – creato da Carlo Rambaldi, il mago degli “effetti speciali” – per come abbiamo percepito la visione dell’artista: intensamente umana che intenerisce quanto lo sguardo dell’extraterrestre, pervasa ddll’umanità cosmica richiamata dai due curatori della mostra palermitana.
Le due mostre – a Palermo e a Villa Lagarina, con le 60 opere esposte complessivamente – presentano solo una parte del “corpus” di 140 opere realizzate da Friedler nell’”unità aristotelica” temporale di cui si è detto. E’ un unico “albero”, un gigantesco “baobab”, per la sua estensione diviso in gruppi differenziati che, però, non devono far perdere la visione d’insieme: la tensione liberatoria, con l’anima alla ricerca di tutto ciò che possa far filtrare raggi luminosi e disperdere le ombre sottostanti, come gli “alberi” di Manuel Felisi, protesi verso il cielo alla conquista della luce che piove e si fa strada evocando “il presente del passato” in un intenso “caos quieto” esistenziale.
Per questo motivo abbiamo citato in precedenza anche tante opere non esposte in mostra che ci sembrano tutte strettamente complementari; alcune di esse rivelatrici, in particolare “Le refuge” e “La Mansarde” , fino a “La Belle Héloise” che vediamo ideale compagna e guida del suo viaggio dantesco, novella Beatrice. E ci siamo immedesimati virtualmente nel suo eccezionale “exploit” operato nel raccoglimento della “mansarda”, il “rifugio” artistico che ne qualifica e accresce il significato, moltiplicandone il valore.
“Abbiamo chiesto come si spiega questo ”exploit” a Dominique Stella, che conosce così bene l’artista. Ci ha risposto: “Credo proprio che Friedler sia stato folgorato dall’idea di annegarsi nell’idea stessa di pittura”. E’ una sintesi di opposti anche la sua che rende icasticamente la “folgorazione” di un attimo e l’”annegarsi” di un anno nell’”idea stessa di pittura” connaturata con il proprio essere di artista: nell’identificazione e immedesimazione di natura psicanalitica che lo rende protagonista e nello stesso tempo testimone della propria catarsi.
La mostra di Palermo ci ha fatto riscoprire Julien Frieler nella sua umanità oltre che nella forza pittorica, in un processo che ci ha intimmente coinvolto, e anche emozionato. Come avverrà per tutti coloro che vorranno seguirlo nel percorso che lo ha portato alla “liberazione”, spirituale e insieme artistica.
“Info
F ondazione Sant’Elia, Loggiato di San Bartolomeo, Corso Vittorio Emanuele 25, Palermo. Da martedì a domenica, ore 10-13 e 16 -20, lunedì chiuso. Ingresso eccezionalmente gratuito, a piccoli gruppi con guanti e mascherine. Tel. 091.6123832, www.fondazionesantelia.it. Cataloghi: Julien Friedler, “Mapping”, a cura di Gianluca Marziani e Dominique Stella, La Route de la Soie Éditions, Paris 2020, pp 204; Julien Friedler, “Behind the World”, La Route de la Soie Editions, Paris 2018, pp. 64; dai due Cataloghi trilingue, italiano-francese-inglese, sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo sulla mostra è uscito in questo sito ieri 13 maggio 2020, l’articolo sulla mostra precedente in www.arteculturaoggi.com “Friedler, il colore degli abissi, al Vittoriano” 17 novembre 2018. Per gli altri artisti, cfr. i nostri articoli: in questo sito, su Anselmo 23 maggio 2020, Carlo Rambaldi 22 maggio 2020, Lachapelle 24 giugno 2019; in www.arteculturaoggi.com, su Manuel Felisi 5 novembre 2018, 25 aprile 2016, 11 maggio 2015, Lachapelle 12 luglio 2015, Pollock in “Stati Uniti e Cuba, con Haiti, al Vittoriano per l’Expo” 3 luglio 2015, “Guggenheim. Dall’espressionismo astratto alla Pop Art” 29 novembre 2012; in cultura.inabruzzo.it, su “Dante” 2 articoli 9 luglio 2011 (gli articoli di quest’ultimo sito, non più raggiungibile, saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state fornite cortesemente dalla curatrice che ringraziamo, con i titolari dei diritti, compreso il fotografo Vincent Everarts. Sono tutte opere di Julien Friedler del 2019 e – a parte l’apertura, 2 “Mapping” e “Senza Titolo” – sono riportate nell’ordine in cui sono citate nel primo articolo. In apertura, “Le rifuge”; seguono, “Mapping” e “Les plongeur” ; poi, “”Méduse” e “Harpye”; quindi, “Tremblement” e “Paysage”; inoltre, “Improvisation florale (miroir)” # 1 e 2 ; ancora, “Atmosphère” e “Transparence”; continua “”Senza Titolo” e “Mapping 4 “; prosegue, “Lévitation” e ” Sage contemplative dell’extravagance humain” ; poi, ”Invocation nocturne” e ”Ouverture mystique” ; quindi, “Ballons multicolores” ; infine,“L’hermite” e “La belle Hèloise” ; in chiusura, “La Mansarde”.