di Romano Maria Levante
Ripubblichiamo la recensione uscita con poche immagini in www.arteculturaoggi.com il 18 aprile 2018.
La mostra presenta a Palazzo Barberini,, dal 20 ottobre 2017 all’11 febbraio 2018, per la prima volta a Roma, le opere altamente evocative dell’artista milanese vissuto per un quarto di secolo come pittore di corte nelle sedi imperiali absburgiche di Vienna e Praga. Oltre alle 20 celebri opere di Arcimboldo, sono esposte circa 80 opere collegate perché espressione del mondo in cui l’artista ha potuto manifestare una creatività così insolita. Organizzata dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica e da MondoMostre Skira, a cura di Sylvia Ferino-Pagden che ha diretto la Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum di Vienna ed è una delle maggiori studiose di Arcimboldo. Ha curato anche il catalogo Skira Editore.
Un grande inizio, quello con Arcimboldo, del programma espositivo negli spazi dedicati alle mostre temporanee delle Gallerie Nazionali di Arte Antica. Mentre le collezioni permanenti nell’interminabile teoria di sale del palazzo offrono un’immersione totale nell’arte al visitatore estasiato da una così vasta esposizione di opere di valore incalcolabile, che culmina nel capolavoro caravaggesco “Giuditta e Oloferne” e nella “Fornarina” di Raffaello. Ma la nuova direttrice Flaminia Gennari Sartori, disdegna la visione “iconica” basata sulle grandi attrazioni, per la visione “aniconica” che valorizza l’intera collezione. Si tratta comunque di un’opportunità aggiuntiva, un’opzione che accresce l’interesse per la visita alla mostra.
Il valore della mostra
Perché abbiamo definito la mostra di Arcmiboldo un “grande inizio”? Per l’eccezionalità dell’evento, dato che è molto difficile avere a disposizione le sue opere sparse tra musei che se ne privano con difficoltà, data la loro forza attrattiva. Si è colta l’occasione della mostra “Arcimboldo nature of Art” al National Museum of Western Art di Tokyo, che ha favorito la disponibilità degli 11 prestatori, europei e americani – solo 3 in Italia a Firenze, Milano, Genova – che hanno fornito le 20 principali opere esposte dell’artista, cui se ne sono aggiunte altre 80 per inquadrarle nel contesto storico, culturale e artistico in cui sono state create.
Così è stato possibile presentare Arcimboldo e il suo tempo per la prima volta a Roma come inizio di un percorso con questo obiettivo, secondo le parole della direttrice Gennari Sartori: “Invitare il nostro pubblico a guardare diversamente, a giocare seriamente, a scoprire l’arte del passato con gli occhi di oggi”. Vedremo come si snoderà questo percorso nelle mostre successive, intanto ecco come introduce questa mostra: “In uno dei suoi saggi Roland Barthes nel 1978 definì Arcimboldo ‘rhétoriqueur et magicien” mettendo in luce come il maestro milanese con i suoi ritratti compositi ingaggiasse con lo spettatore un gioco, una sequenza di indovinelli visivi e mentali che ci tengono all’era mutando sottilmente e profondamente il nostro modo di guardare le opere d’arte”.
Ci accingiamo a “guardare diversamente, giocare seriamente”, dunque. Immergendoci nel mondo di Arcimboldo, ricostruito con le 80 opere di contorno al nucleo delle 20 dell’artista, un mondo affascinante che si estende da Milano alle corti imperiali dell’Europa centrale della seconda metà del ‘500, e consente, sono sempre parole della Gennari Sartori, di “immergersi in una cultura che metteva al centro la curiosità, la combinazione di osservazione minuziosa e scientifica con il gioco, la meraviglia e l’ironia”.
Il percorso artistico e personale di Arcimboldo
Arcimboldo aveva la “forma mentis” adatta a valorizzare gli stimoli che riceveva da quella cultura così aperta e coinvolgente. Oltre che pittore era anche poeta e filosofo, si formò nella bottega del padre Biagio, pittore di orientamento leonardesco; a 23 anni, nel 1549, fece dei disegni per le vetrate del Duomo di Milano, risultano pagamenti a tale titolo fino al 1557. Poi, dal 1558 al 1560, cartone per un arazzo del Duomo di Como e affresco per il Duomo di Monza. Dal 1562 cambia tutto, si trasferisce alla corte dell’imperatore Massmiliano d’Asburgo , dove viene definito “pittore di sua maestà reale”.
Come sia passato dagli austeri ritratti della famiglia imperiale alle “Quattro stagioni” in forma quasi “grottesca” sarebbe incomprensibile se non si tenesse conto che era impegnato anche nell’organizzazione di feste e tornei imperiali, fornendo disegni per costumi e ornamenti, e in questo contesto era normale lo sbizzarrirsi della fantasia, secondo il clima dell’epoca. Torna definitivamente a Milano nel 1587, dopo ben 25 anni, ma l’imperatore non lo dimentica: nel 1592, l’anno prima della morte, Rodolfo II gli conferisce un’ambita onorificenza nominandolo Conte Palatino.
La fantasia, dunque, come base dell’ispirazione artistica, che troviamo teorizzata nel “Dialogo di Comanini il Figino overo il fine della pittura” definita come imitazione nelle due forme di “imitazione icastica”, con la riproduzione di un oggetto reale, e “imitazione fantastica” con la rappresentazione di un oggetto immaginario, come nelle “grottesche”, le pitture delle grotte romane. Secondo Comanini la fantasia entra anche nella rappresentazione della realtà, cosa che di recente è stata riconosciuta ad Arcimboldo riconoscendo che le sue “teste fantastiche” sono basate su accurati studi scientifici del mondo animale e vegetale, realtà alla quale applica un metodo fantastico nella composizione immaginifica dei soggetti.
Il suo metodo compositivo ha radici antiche, in Persia, nell’India, in Giappone, addirittura si risale al Vecchio Testamento e alla poesia antica. In cosa consiste tale metodo “fantastico” che però combina elementi della “realtà” in modo insolito, apparentemente paradossale? Risiede nel comporre le teste con elementi attinenti al significato attribuito al soggetto, se un individuo con elementi della sua attività, se una stagione con elementi caratteristici della natura. Così abbiamo teste fatte di fogli e libri per il “Giurista” e il “Bibliotecario”, di fiori e frutti, pesci e uccelli a seconda della “Stagione” o dei “4 elementi” naturali.
Per questa sua vistosa “irrazionalità”, è stato considerato dai dadaisti e surrealisti un loro precursore, e Oskar Kokoschka lo ha definito “il patriarca del surrealismo” affermando che i suoi ritratti di teste “sono composti da un’accozzaglia di cose riunite per una coincidenza priva di senso”. Abbiamo detto che questo è solo apparente, mentre vi è un preciso significato nella composizione di elementi nel soggetto raffigurato.
Qual è il risultato? La curatrice Sylvia Ferino- Pagden lo vede così: “Ognuno di questi oggetti, accuratamente scelti, si intreccia e si sovrappone, gareggiando con gli altri per ottenere un ruolo preciso all’interno del dipinto e accentuarne l’impatto complessivo”. E per il visitatore? “La raffigurazione mimetica della natura crea un effetto oltremodo divertente, che affascina lo spettatore suscitando in lui un piacere intellettuale. Con la sua buona dose di spirito e ironia, il gioco arcimboldiano non poteva che costituire fonte di ispirazione per la creazione di altri generi, come ad esempio la caricatura”.
Non resta che visitare la mostra per verificare direttamente il fascino surreale dell’artista immergendoci nel mondo in cui si è potuta sviluppare una visione così inusitata, innovativa e indubbiamente spiazzante l’ortodossia artistica.
L’ambiente milanese e le opere di Arcimboldo prima della corte absburgica
Nelle prime due sale ci si prepara all’incontro con Arcimboldo, il “clou” della mostra, inserendo il visitatore nell’ambiente milanese, con una delle figure più seguite, Giovanni Paolo Lomazzo, di cui viene presentato l’“Autoritratto” come abate”, 1560-70, oltre al libro d’epoca, che abbiamo citato, di Gregorio Comanini, “Il Figino overo del fine della pittura“, 1591. Ma c’è soprattutto l’ “Autoritratto cartaceo” di Giuseppe Arcimboldo, a matita, inchiostro e acquerello, del 1587, a 61 anni, come un dignitario, austero, con un alto collare dell’abito.
Siamo a metà del ‘500, con il forte influsso leonardesco, sono esposti dipinti di artisti legati a Leonardo, di Cesare de Sesto, “Madonna dell’Albero”, 1515-20, di Martino Piazza da Lodi, “Madonna con Bambino, san Giovannino e santa Elisabetta”, 1510-20. E poi caricature a penna, “Due teste” attribuite a Francesco Melzi che portò a Milano i codici e i disegni di Leonardo, divenuti subito oggetto di studio, e “Quattro teste” di un Seguace di Leonardo.
Ma non è tutto, l’inquadramento milanese è completato da una serie di Monete , tra il 1552 e il 1575, di Leone Leoni e Annibale Fontana, Antonio Abondio e Francesco di Sangallo, che celebrano artisti impegnati nella produzione di oggetti artistici di lusso con materiali preziosi – Girolamo Cardano, Paolo Giovio e Giovanni Paolo Lomazzzo – di cui sono esposti degli esemplari, alcune Coppe in cristallo e oro, fino all’elmo in acciaio di un’armatura, “Borgognotta”. Questi oggetti di lusso prodotti nel milanese erano conosciuti e apprezzati dai collezionisti europei, e in particolare dalla corte imperiale degli Absburgo, cui sono dedicate anche altre Monete, su Carlo V e Massimiliano II, esposte insieme a quelle sugli artisti. Si può capire come potè avvenire che Arcimboldo fosse chiamato alla corte absburgica dove restò 25 anni.
Prima di seguirlo a Vienna, come factotum delle feste imperiali, e pittore di corte, vediamo esposte alcune opere di Arcimboldo, 2 pannelli di vetrata per il Duomo di Milano, “Santa Caterina viene mandata in carcere” e “Santa Caterina viene decapitata”, 1556, quando aveva trent’anni, e l’arazzo realizzato dal celebre tessitore Giovanni Kircher per il Duomo di Como, su cartone di Arcimboldo, “Dormitio Virginis”, del 1561-62, l’anno del trasferimento alla corte imperiale.
L’inquadramento preparatorio finalmente ci presenta opere di Arcimboldo in carattere con la sua assoluta peculiarità che lo ha qualificato in modo così prestigioso nel mondo. Sono celebri teste composte che risalgono al 1555-60, diversi anni prima di trasferirsi a ‘Vienna, “L’ Estate” e “L’inverno”, con la combinazione di una serie di elementi in carattere con tali stagioni.
Dopo questo “assaggio” , torniamo alla cronaca, lo abbiamo lascito con il cartone per il Duomo di Como, prima della partenza per Vienna. Ora lo troviamo a Vienna, non più le opere religiose e le prime teste composte, bensì vediamo tre severi ritratti, a lui attribuiti, “L’arciduchessa Anna, figlia dell’imperatore Massimiliano II”, “Una figlia di Ferdinando I (arciduchessa Elena o Barbara)” e un “Ritratto di arciduchessa (Margherita?)”.
Sono tutti del 1563, l’anno dopo il suo arrivo alla corte imperiale, quando viene nominato “pittore di Sua maestà reale” alle dirette dipendenze dell’arciduca Massimiliano che succederà molto presto al padre sul trono imperiale, nel 1664. Muore dopo 12 anni di impero e gli succede il figlio di 24 anni Rodolfo II, che essendo un collezionista stima Arcimboldo, lo tiene nella corte a Vienna, e lo porta con sé a Praga allorchè vi trasferisce la corte nel 1583: lo vediamo in un ritratto di Martino Rota 1576-80.
Per renderne l’ambiente mediante oggetti artistici, sono esposte 4 Coppe di Ottavio Miseroni, realizzate tra il 1610 e il 1530, tra esse “Coppa in forma di conchiglia” 1610-22 , e una “Bacinella in quarzo” della prima metà del ‘600. Anche lui è un artiusta milanese presente a Vienna, Arcimboldo ci entra in contatto.
Il “sancta sanctorum” della mostra, le “Quattro stagioni e i Quattro elementi
Ma ora entriamo in una sorta di “sancta sanctorum”, il cuore della mostra, una rotonda al centro dell’area espositiva con le più celebrate “teste composte” di Arcimboldo, sono 8, il ciclo delle Quattro stagioni, 1555-1572, “La Primavera” e “L’Estate”, “L’Autunno” e “L’Inverno”, e il ciclo dei Quattro elementi, intorno al 1566, “L’Acqua” e “L’Aria”, “”La Terra” e “Il Fuoco” . Ci piace ittrodurle con le “Allegorie delle Quattro Stagioni: Promavera-Estate, Autunno-Inverno”, acqueforti in inchiostro rosso riprese dalle sue opere nel 1700, un secolo dopo la sua morte del 1596, perchè ne rendono in modo schematico le linee compositive.
E’ una bella sorpresa che invita a “giocare seriamente”, secondo l’intento della direttrice, con le opere singolari che circondano il visitatore e sembra che lo guardino. E il “gioco” consiste nell’identificare le componenti di queste teste: sia nelle Quattro stagioni che nei Quattro elementi evocano gli aspetti caratteristici del periodo, dai fiori e frutti di stagione agli animali in carattere con la stagione o l’elemento considerato. Il tutto con una maestria compositiva che amalgama componenti così eterogenee non solo creando un effetto del tutto particolare.
A noi sono sembrati esseri silvani, elfi che emergono dai più riposti recessi naturali, creature che, come avviene nelle fiabe, hanno un che di misterioso e di inquietante. La Ferino-Pagden definisce così l’impatto sul visitatore : ” Le teste composte di Arcimboldo racchiudono una molteplicità di punti di vista: guardando la testa da lontano – che sia raffigurata di profilo, di fronte o di tre quarti – l’osservatore ne coglie la forma complessiva, spesso mostruosa, ma solo dopo essersi avvicinato inizia a notare la resa accurata dei singoli oggetti che la compongono”.
E non è soltanto una constatazione estetica: “Ognuno di essi – fiori, frutti, pesci, animali vari, ferri per caminetto, segnalibri, fasci di fiori, cannoni e molto altro ancora – contribuisce al significato della rappresentazione, sia che si tratti della caricatura di un individuo o di un mestiere. Di una stagione, di un elemento naturale, di un’allegoria, di una testa reversibile o di una natura morta”.
Nel “sancta sanctorum” della mostra abbiamo fatto la conoscenza con le Quattro stagioni e i Quattro elementi, più avanti troveremo la “caricatura di un individuo o di un mestiere”, e anche di “una testa reversibile o di una natura morta”. Prima di queste ultime trovate particolarmente intriganti, vogliamo citare opere di Arcimboldo più che sessantenne, molto successive alle “teste composite” ora descritte, rientranti però nella più assoluta normalità; riguardano disegni per le feste di corte, come “Donna in costume con merletto”, “Costume per armigero” e “Costume per la figura allegorica della Musica”, “Slitta con satiri” e “Tre uomini su una slitta“, tutte del 1585, trent’anni dopo “Le Quattro stagioni”, vent’anni dopo i “Quattro elementi”. Ma non è che la vena irridente e surreale si fosse esaurita, e lo vedremo.
Due intermezzi, studi naturalistici e “stanza delle meraviglie”
Prima, però, la mostra presenta due intermezzi, importanti per meglio comprendere il contesto storico, culturale e di costume nel quale è stato possibile che la creatività di Arcimboldo prendesse una direttrice così inusitata. Il primo riguarda gli studi naturalistici in voga nel periodo alimentati dallo sviluppo dei commerci con l’Estremo Oriente, che portavano i prodotti esotici sconosciuti e tali da susscitare curiosità e interesse, soprattutto verso ciò che era diverso e stravagante.
Vediamo questa tendenza nei 4 volumi di “Ornitologia” illustrati da Ulisse Aldrovandi tra il 1599 e il 1603, e in più “De Piscibus…” illustrato dallo stesso nel 1613; anche Arcimboldo illustrò libri naturalistici promossi dallo studioso bolognese. Oltre ai libri di Aldrovandi, quelli sugli “Animali” di Leonhart Fuchs, Conrad Genser, e Andrea Mattioli, tra il 1551 e il 1568, e quelli sui “Pesci” di Pierre Belon e Ippolito Salviani. del 1553-54. Del’ 600, spettacolari “Tavole di animali” anonime. Il dipinto di Hans Hoffmann, “La lepre” 1565 è un’espressione pittorica di questo interesse per gli animali negli studi naturalistici.
Non solo illustrazioni, i collezionisti si orientavano verso oggetti che si inserivano in questa tendenza, venivano creati ispirandosi a reperti scientifici con cui erano raffrontati, nasce così la Wunderkammer”, “Stanza delle meraviglie”, Vediamo esposti alcuni di questi oggetti, “La lepre” e “Due lucertole”, il “Serpente” e la “Rana”, fino al “Granciporro”; e anche lampade a olio di forma particolare, come la “Testa di satiro” o il “Volto che fa una smorfia”.
Ma c’è dell’altro, in questa “stanza delle meraviglie” entrano elementi naturali che diventano vere icone per la lavorazione con materiali preziosi: vediamo esposti la “Noce di cocco” e un “Corallo bianco” con montature in argento, così il “Corno di rinoceronte” bianco in un calice e una coppetta, le “Zanne di tricheco”, il “Rostro di pesce sega” e la “Mandibola di squalo”, come dei totem, sono tutti del ‘600, appartengono alla collezione Koelliker.
L’interesse si acuiva dinanzi a fenomeni patologici insoliti, come in “Enrico Gonzales, figlio del peloso Pedro Gonzales”, e “Ritratto di Antonietta Gonzales” di Lavinia Fontana, tra il 1580 e il 1595, famiglia colpita da una malattia che creava una crescita abnorme di peli, all’epoca gli “irsuti” venivano mostrati nelle corti come attrazione per l’aspetto stravagante, spesso repellente.
Le nature morte con le teste reversibili
Usciamo dall’immersione nel clima di allora tornando al mondo fantastico e insieme realistico di Arcimboldo, presentato nelle ultime 3 sale della mostra, in un allestimento che abbiamo trovato magistrale. Ed è come se tornassimo nella rotonda con le Quattro stagioni e i Quattro elementi, ma cronologicamente si è andati molto avanti, l’artista è rientrato dopo 25 anni a Milano, dove lo accolgono Giovanni Ambrogio Figino e Vincenzo Campi.
Sono gli anni della formazione di Caravaggio, le opere di Arcimboldo sono molto apprezzate per la sensibilità che emerge nella rappresentazione della realtà, piuttosto che per la bizzarria, e questo va inquadrato nella tendenza verso i significati allegorici e i simbolismi anche in senso morale, che troviamo nel Figino e altri; tra il ‘500 e il ‘600 le rigogliose “Nature morte” , quanto mai “vive”, di Fede Galizia.
La prima sorpresa è un altro “Inverno” di Arcimboldo, 1572, sempre la testa arborea, con lievi significative differenze riptto al 1563, mentre un “Ritratto femminile composto di frutta (Alla donna di buon gusto” è di un seguace del tardo ‘500, composizione meno ricca di elementi, anche se la tecnica compositiva è la stessa. Analogamente, la “Testa composta di uomo” e la “Testa composta di donna” di Bartolomo/Bartolo Bossi.
La sala con “Il bel composto” presenta anche opere in maiolica, “Piatto con testa composta di falli”, 1536, attribuito a Francesco Urbani, e in bronzo, “Medaglia con testa composta raffigurante un satiro (recto)“, e “… con testa composta di falli (verso)“, del XVI sec., riferimenti sessuali secondo la moda di rendere greve l’allusione satirica e il riferimento caricaturale; 2 xilografie, di Hans Meyer e Wenceslaus Hollr con “Paesaggio antropomorfo” , tra il 1560 e il 1660, e 2 acqueforti in inchiostro rosso, “Allegorie delle Quattro Stagioni (da Arcimboldo)”, con due teste ciascuna, ” Primavera-Estate” e “Autunno-Inverno” .
Siamo alla “natura morta” di cui Arcimboldo ci dà una versione acrobatica nelle due teste reversibili, “”Il Cuoco/ Piatto di arrosto”, e “L’Ortolano (Priapo)/ Ciotola di verdure”, 1590-93: ha più di 65 anni, il suo spirito creativo resta molto attivo, l’inventiva non è attenuata; muore nel 1596. Non sappiamo se conosceva la “Figura da capovolgere” di Giovanni Andrea Maglioli, esposta in due versioni, maschile e femminile, capovolta mostra un’immagine animalesca; ma il mimetismo rovesciato di Arcimboldo va ben oltre, e l’allestimento della mostra consente al visitatore di cogliere l’effetto sorprendente delle due teste reversibili.
Conclusione del viaggio famtastico, le “pitture ridicole”
Le “pitture ridicole” sono l’ultima sorpresa, prendono avvio addirittura dalle “teste caricate” di Leonardo, con i lineamenti deformati, delle quali le “teste composte” sono l’evoluzione estrema. Vediamo tre opere emblematiche a questo fine, in chiave di reazione sarcastica al severo manierismo accademico: “Homo ridiculo” di Anonimo lombardo, intorno al 1550, con uno straripante riso ironico, l’“Autoritratto come abate dell’Accademia della Val di Blenio”, forse 1568, di Giovanni Paolo Lomazzo, citato all’inizio, ricorda come il pittore divenuto trattatista con la cecità fondò una associazione di artisti finti “facchini” di quella remota vallata all’insegna della semplicità contro le sofisticazioni, e “I mangiaricotta” 1585, “I pescivendoli” 1588-91, di Vincenzo Ciampi , con l’esaltazione delle figure popolaresche contro quelle paludate.
Arcimboldo, dopo le “Quattro stagioni” e i “Quattro elementi” , dove il simbolismo prevale trattandosi di figure che richiamano fenomeni naturali realizza “Il Bibliotecario” e “Il Giurista”, il secondo datato 1566, 4 anni dopo il trasferimento alla corte imperiale, dove l’aspetto caricaturale è evidente, quindi rientrano a buon diritto nelle “pitture ridicole”. Non sono solo teste, ma figure a mezzo busto, il primo ha i capelli formati da pagine aperte di un libro e il corpo da volumi accatastati, il secondo ha il volto formato dai capponi di Renzo, quindi il termine “giurista” sta ironicamente per “Azzeccagarbugli “.
E’ un bel commiato, colmo di ironia, da un artista che, pur nella sua eccentricità oltre ogni dire, ha avuto un’elevata valutazione non solo ai suoi tempi – e il quarto di secolo trascorso alla corte imperiale ne è un segno evidente – ma anche dopo. “Si pensi che dopo una mostra a Parigi nel 2007 – ricorda la curatrice Ferino-Pagden – le Stagioni nel Louvre sarebbero diventati i dipinti più famosi dopo la Gioconda”.
E, tornando alla mostra di Palazzo Barberini, non è certo un caso che troviamo al termine la “Testa composta, con elementi utilizzati nell’atelier Capucci”, è una gustosa realizzazione di Roberto Capucci, nella contemporaneità più stringente, del 2017, per la mostra. Meglio di così non si poteva concludere il viaggio nel mondo fantasioso di Arcibmboldo, in un realismo naturalistico esasperato fiuno al paradosso.
Info
Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13. Da martedì a domenica, ore 9,00-19,00, lunedì chiuso. Ingresso, audio guida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per le categorie aventi diritto, gratuito under 18, invalidi, soci ICOM, guide turistiche, dipendenti MiBACT; con il biglietto di ingresso al Museo, intero euro 12, ridotto euro 6, l’ingresso alla mostra è ridotto a euro 10.. Tel 06.4824184, prenotazioni 06 81100257. www.barberinicorsini.org, www.arcimboldoroma.it; E mail: Gan-aar@beniculturali.it. Catalogo “Arcimboldo”, a cura di Sylvia Ferino-Pagden, Skira Editore 2017, pp. 176, formato 28 x 24.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Barberini alla presentazione della mostra, si ringrazia l’organizzazione, le Gallerie Nazionali di Arte Antica, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Sono inserite in ordine di citazione nel testo. In apertura, Giovanni Arciboldo, “Autoritratto cartaceo” 1587, seguono due “Pannelli di vetrata”, “Santa Caterina, condotta al carcere e decapitata“; poi, Giovanni Paolo Lomazzo, “Autoritratto come abate dell’Acacdemia della Val di Blenio” 1568, e Arcimboldo, cartone per arazzo “Dormitio Virginis” , con Giovanni Karcher; quindi, Arcinboldo, “Ritratto a mezzo busto di una figlia di Ferdinado I (arciduchessa Elena o Barbara” 1563, e Martino Rota, “L’imperatore Rodolfo II”” s.d.e ; inoltre, Ottavio Miseroni, “Coppa in forma di conchiglia” 1610-22, e da Arcimboldo, “Allegoria delle Quattro Stagioni: Primavera-Estate, Autunno-Inverno” 1700; si entra nel cuore delle “Quattro stagioni”, “La Primavera” 1555-60 e suo “Prrticolare”, “L’Estate” 1572 e suo “Particolare”, “L’Autunno” 1572 e suo “Particolare” , “L’Inverno” 1563 e suo “Particolare”; poi nel cuore dei “Quattro elementi”, “L’Aria” post 1566 e suo “Particolare”, “L’acqua” 1566 e suo “Particolare”, “”Il Fuoco” post 1566 e suo “Particolare” , “La Terra” 1566 e suo “Particolare” ; quindi, Libro d’epoca con disegni di animali e il dipinto di Hans Hoffmann, “La lepre” 1585; inoltre, Anonimo, “Enrico Gonzales, figlio del peloso Pedro Gonzales” post 1580, e Ottavio Miseroni, “Coppa in forma di conchiglia” 1610-22; ancora, Bartolomeo/Bartolo Bossi, “Testa composta di uomo” e suo “Partiolare” , “Testa composta di donna”; continua, Seguace di Arcimboldo, “Ritratto femminile composto di frutta (Alla donna di buon gusto” tardo 16° sec., e Arcimboldo, “L’Inverno” 15ì72; prosegue, Arcimboldo, “Il Cuoco / Piatto di arrosto”, e “L’Ortolano / Ciotola di verdure” 1590-93; poi, Vincenzo Ciampi, ““I mangiaricotta” 1585 e ““I pescivendoli” 1588-91; quindi, Arcimboldo, “Il Bibliotecario” e “Il Giurista” 1566; infine, Vetrina con disegni di animali e Fede Galizia, “Natura morta” fine 16° sec., inizi 17° sec.; in chiusura, Roberto Capucci, “Testa composta, con elementi utilizzati nell’atelier Capucci” 2017.