Nella presentazione della 17^ Quadriennale di Roma, in programma tra il 29 ottobre e il 17 gennaio 2020, per entrare sin da ora nello spirito e nel clima della mostra, ripubblichiamo in sequenza dal 21 al 25 luglio 2020 il servizio in 5 articoli sulla 16^ Quadriennale, svoltasi dal 13 ottobre all’8 gennaio 2017, uscito in www.arteculturaoggi.com il 16 giugno, 24 e 27 ottobre, 1° e 29 novembre 2016.
di Romano Maria Levante
Visitiamo la mostra “Altri tempi altri miti”, con la quale la 16^ Quadriennale di Roma torna dopo 8 anni al Palazzo Esposizioni, dal 13 ottobre 2016 all’8 gennaio 2017, con 150 opere di 99 artisti italiani contemporanei, selezionati da 11 curatori e raggruppate in 10 sezioni intitolate a temi specifici dei quali i curatori, che li hanno ideati, forniscono motivazioni in qualche caso molto elaborate e cerebrali, ma per lo più esplicative e ricche di riferimenti culturali. L’organizzazione della mostra, e il Catalogo, sono della Fondazione della Quadriennale presieduta da Franco Bernabè e dell’Azienda Speciale Palaexpo che gestisce il Palazzo Esposizioni con il commissario Innocenzo Cipolletta, hanno concorso insieme alla copertura finanziaria, con il Ministero dei Beni e delke Attività Culturali e del Turismo, e curato il Catalogo della mostra. . “Main partner” l’ENI, presente in mostra con una installazione permanente, “partner” la BMW con la “BMW Art Car” di Sandro Chia.
“Ehi, voi”, una spiegazione cerebrale, una realizzazione comprensibile
Abbiamo già illustrato l’impostazione della mostra, sottolineando l’intrigante contrasto, un vero ossimoro, tra la scelta tematica delle sue sezioni e l’inafferrabilità spesso indecifrabile delle opere di arte contemporanea, la cui creatività senza limiti rispecchia un mondo che è già nel futuro, con tanti ansiosi interrogativi.
Ora iniziamo l’excursus tra le opere delle 10 sezioni della mostra da quella che sembrerebbe, in base all’enunciazione del tema, la più vicina alla comprensione, iniziando dal titolo, “Ehi, voi!”, con cui il curatore Michele D’Aurizio evidenzia i richiami confidenziali anche tra artisti, curatori e visitatori, in particolare nella cerchia intorno ai 22 artisti espositori. Sono stati annunciati i loro ritratti e autoritratti in qualsiasi modo e con qualunque supporto realizzati, come espressione della continuità tra la vita e l’opera dell’artista, quasi una autoanalisi in forma artistica.
Anche se si è ben lontani dalla ricostruzione degli atelier come fu per la mostra “Interni d’artista” alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, le opere esposte sembrano riflettere il loro mondo: si va da immagini fotografiche e stampe a sagome, da macchie con forti colori a oscuri bianco-nero, da evocazioni scultoree classicheggianti a scritte evocative, quindi non si viene spiazzati, per così dire, dalle opere, tutt’altro. Spiazza la motivazione con cui il curatore annuncia le opere nel Catalogo, con uno scritto così cerebrale da sembrare un’opera contemporanea a sé stante, in aggiunta a quelle dei 22 artisti.
I suoi “appunti per una comunità artistica sotto tiro” proclamano, in antitesi al “gruppo in fusione” sostenuto da Sartre per reagire all’inerzia e alla passività, la costituzione di un “gruppo in evaporazione, ovvero privo di identità, inafferrabile. ininquadrabile, instrumentalizzabile, e di conseguenza incorruttibile, inespugnabile”, come estrema forma di difesa; e per far questo illustra con ampiezza una serie di identificazioni necessarie: “noi, poseur” e “noi, clubber”, “noi, power-bottom” e “noi, emo”, finché “anche noi possiamo trasformarci in poltergeist, entità immateriali di ‘disturbo'”. Una contemporaneità, con un ricco contorno di citazioni colte, che porta l’elementare immagine del ritratto nella dimensione imperscrutabile di un futuro inquietante e avveniristico.
Ben più comprensibili le opere esposte, il che è tutto dire. Dallo scatto fotografico immortalato in “Lulaclub” di Alessandro Agudio, che mostra in un ambiente squallido e in posizione precaria una fotografa il cui viso coperto dai capelli è tutt’uno con la fotocamera, alle vere fotografie di Corrado Levi, “Vestiti di arrivati”, e Italo Zuffi, “Flavio staccato”, Ninetto Davoli e Marcello Maloberti, fino alla stampa di Francesco Nazardo, “Chiara” che ci presenta l’adolescenza e ai due dipinti intitolati “Autoritratto”, di Beatrice Marchi, un viso forte reso con tratto deciso in un viola diffuso, e di Carol Rama, molto diverso, un’immagine quasi infantile e dolente resa con dense pennellate. Non mancano elaborazioni classiciste come i due corpi distesi di Davide Stucchi, “Heat Dispersion (Mattia and Davide)” che sembrano reperti lapidei pompeiani, mentre sono in “sapone e acciaio”, e l’imponente testa in stampa ma di impronta scultorea di Patrick Tuttofuoco, “Portraites (Christian)”, fino al portaritratti fossile di Andrea Romano, “Mizuki (Claque & Shill)”.
In bianco e nero l’accostamento nitido di Francesco Vezzoli, “Self Portrait as Marlene Dietrich”, un’immagine fotografica della diva in completo nero a lato di un manichino nudo, e le figure in esterni in dissolvenza di Michele Manfellotto, “Persistence”; mentre sono in un forte cromatismo le immagini intense di DER Sabrina nelle quali si intravedono dei piedi avvolti dai colori, “Backdoor # 3”, Diego Marcon, “Head Falling 01” un grande occhio nel primo piano di metà di un viso rosso intenso, e Massimo Grimaldi, “Portraits. Shown on Two Apple iPad Air 2s”, un viso abbozzato che nella seconda immagine è ancora più indistinto. Momentum con “Intensity” presenta su fondo blu una sorta di anatomia di pulsazioni interiori tra il bianco e il rosso. All’opposto il disegno a linea sottile di Francesco Cagnin, “Inspiration. Chaque gorgée, une révelation” e le sagome di profilo di volti di Dario Guccio, “Porta Bianca”, fino alla geometria di un ingresso verso un interno desolato di Alberto Garutti,“Stanza di soggiorno”.
Il richiamo di “Ehi, voi” si esprime anche nella parola scritta, ed ecco tra le altre le schede di Costanza Candeloro, “Alice’s Adventures Underground”, che è stato il tema della mostra di Natale 2015 della galleria RvB Arts, il quadro di Giulia Piscitelli, “S.A.M.”, e la bacheca di Gasconade, “Le petit jeu (4-H1)“, con in vista il libro dal titolo eloquente “The Endless City” .
“Preferirei di no”, normale esposizione di opere senza tema
Di tutt’altro segno”I would prefer not to/Preferirei di no”, i curatori Simone Ciglia e Luigia Lonardellinella presentazione iniziale avevano fatto cerebrali riferimenti al “nodo di negazione, resistenza, alienazione” del racconto di Melville da cui hanno preso il titolo, come metafora dello stato dell’arte nel nostro paese, quasi che la scelta delle opere avesse seguito tale linea guida. Nell’ampia illustrazione del Catalogo, invece, si legge il loro racconto della immaginaria visita dell’oscuro impiegato F. a una mostra d’arte in cui si incontrano in successione le opere scelte per la Quadriennale, che diventa una spiegazione della propria sezione con gli occhi del visitatore.
Su ogni opera presentano un breve commento con tratti da normali critici d’arte: così per il quadro su rame di Nicola Samorì – uno dei pochi dipinti esposti, opera veramente pregevole che mantiene viva la pittura in una mostra di tutt’altro contenuto – intitolato “Lieto fine di un martire“, figura reclinata all’indietro, di linea classica con la parte superiore del corpo che diventa eterea, quasi sublimata nella trasfigurazione; poi l’abbozzo di scalinata con una pianta di Invernomuto, “Zon, paesaggio”, il leone appollaiato dello stesso autore, “Motherland”, e il pannello con il cavaliere munito di lancia su fondo verde di Matteo Fato, “Senza titolo con Quattro esercizi Equestri”. Segue il salto nell’intraducibile, la barra verticale che culmina nella testa di serpente, con il cucchiaio e il petalo di Mario Airè, “Paolina”, le due opere dalla superficie bianca, l’alabastro con due fogli piegati ai bordi ma in realtà marmorei di Massimo Bartolini, “Left Page, Right Page”, e “L’insurmontabile”di Gianfranco Barucchello, il noto artista vicino a Duchamp, non giovane ma con un’opera del 2015, motivi appena percettibili su un fondo grigio chiaro.
Concludiamo la rapida rassegna della sezione con il filmato “Nope” di Claude Fontaine, dove tra evocazioni geografiche e geometriche si dipana un thriller indecifrabile, animato da persone che vogliono muovere la casa e il sole.
Non si ripetono le argomentazioni cerebrali secondo cui “gli artisti in mostra rivendicano il diritto ad allontanarsi dal perdurante affastellamento dei fatti e delle cose senza per questo smarrire la consapevolezza del proprio vissuto, personale e collettivo”. Anche se proprio qui si trova la spiegazione del titolo della sezione: “Preferiscono di no, un no che non è più contestatario, resistente, ma una didascalica negazione della possibilità di scegliere”. Nel Catalogo nulla di tutto questo, il racconto della visita a una mostra d’arte contemporanea.Una resipiscenza?“Lo stato delle cose”, 7 mostre personali separate in momenti diversi
Una terza sezione ci propone una visione ancora diversa, questa volta in assoluta coerenza tra la presentazione iniziale e l’illustrazione del Catalogo. In “Lo stato delle cose” la curatrice Marta Papini non solo non enuncia alcun tema prestabilito, ma non indica neppure le opere selezionate e il motivo della sua scelta. Questo anche perché non vi è la mostra collettiva come nelle altre sezioni, ma si annunciano 7 singole mostre personali in successione, una per ogni artista con il riconoscimento dell’impossibilità di ricondurle a un motivo comune, scelta che riteniamo sincera rispetto a spericolate acrobazie supportate dalla dialettica più che dalla logica.
Si richiama il concetto dell’opera d’arte “come una possibilità d’incontro, come un invito a partecipare rivolto dagli artisti a ciascuno i noi”, di cui all’ “Autoritratto” di Carla Lonzi, per spiegare tale scelta in controtendenza rispetto alle altre. Nessun tema per le 7 mostre personali, e nel catalogo i 7 artisti si presentano in interviste singole in cui vengono poste le stesse 11 domande. Descrivono nelle risposte il loro modo di concepire l’arte e di praticarla, l’importanza che ha nella propria vita, i risultati ottenuti, le difficoltà e i pentimenti, la comunicazione con il pubblico.Uno dei 7 artisti è Margherita Moscardini, già vincitrice di “6artista”, nel suo “Wall” si vede un cane su un bagnasciuga mosso dalla risacca; di Christian Chironi, “My House is a Le Corbusier” un solitario breakfast in un interno, due immagini di solitudine; abbiamo poi le elaborazioni digitali con ombre lunghe su un antro roccioso di Alberto Tadiello,“Melisma”, che accostiamo a “A Fragmented World”, video-installazione di Elena Mazzi e Sara Tirrelli altrettanto ombrosa. Un’altra video-installazione mostra delle fiamme che squarciano il buio, si tratta di “In girum imus nocte” di Giorgio Andreotta Calò, mentre di Yuri Ancarani, “Baron Samedi”, una veduta d’installazione con lapidi, croci e la sagoma di uno stambecco. Chiudiamo con i corpi di Adelita Husni Bey, artista che ritroveremo più avanti, in “After the Finish Line”, una figura piegata nella scatto allo start, poi delle sagome appena delineate tra macchie color arancio e scritture di ansietà, stress, paura.
Le 3 sezioni appena illustrate le abbiamo poste all’inizio del nostro personale itinerario tra le 10 sale della mostra, essendoci apparse diverse dalle altre 7 sezioni soprattutto nella presentazione dei curatori, in una sorta di gara di creatività con gli autori fino a rendere cerebrali e capziosi nessi a volte evidenti o, al contrario, facendo venir meno, di fatto, i nessi preannunciati, fino alla negazione di qualunque nesso al punto di rinunciare alla mostra collettiva.“La democrazia in America” con Tocqueville, da qui i nessi sono visibili
Dalle prime sezioni con enunciazioni dei curatori che ci sono apparse disgiunte dalle espressioni artistiche degli autori passiamo ora alle altre sezioni che offrono nuove sorprese. Non nascono dalle enunciazioni, che questa volta sono attinenti e comprensibili, ma dai contenuti. La mostra continua a colpire i sensi con le rutilanti ollecitazioni non solo visive, ma anche auditive, e sfida la mente a cogliere i nessi e i significati di un’arte contemporanea così criptica e cerebrale. Sono caratteri propri della creatività, che non ammette limiti e forse neppure spiegazioni soprattutto in campo artistico.
I nessi delle opere con il tema della sezione vengono rivendicati, e in tre sezioni sono riferiti in modo diretto ed esplicito a grandi intellettuali che hanno segnato la storia precorrendo motivi e situazioni con enunciazioni tuttora sorprendentemente valide per interpretare i fenomeni sociali. Non si può che rimanere stupiti nel vedere la creatività cercare un legame con visioni lucide del passato, radicate in una realtà apparentemente molto diversa ma che vediamo riproporsi in una disarmante continuità facendo a pugni con il cambiamento sconvolgente della nostra epoca, perché persistono pecche ataviche. Sono quelle delle ingiustizie sociali e dello sfruttamento, e la ribellione che suscitano impedisce una visione razionale, di qui il ricorso ai grandi pensatori di ieri.“La democrazia in America” si ispira agli scritti di Alexis de Tocqueville nati da due viaggi, il primo nella Sicilia del 1827, dopo settimane trascorse a Roma e a Napoli, l’altro nell’America del 1831, iniziando da New York. Due situazioni diverse, e per molti versi opposte, in Sicilia la miseria e l’ oppressione di un sistema feudale, in America un'”uguaglianza di condizioni” diffusa ma con tante contraddizioni, come quella tra crescita dei diritti civili e schiavismo, tra ricchezza individuale e parità politica, tra libertà e uguaglianza, Sono questi e altri gli elementi su cui ci si interroga anche nella realtà attuale, e sui quali artisti italiani si sono cimentati riflettendo sull’incerto sviluppo democratico del nostro paese.
E allora ecco una rivisitazione delle idee di Tocqueville in chiave artistica illustrata con la precisione dello storico dal curatore Luigi Fassi senza elucubrazioni cerebrali ma in modo piano e determinato, cui è sottesa una forte passione civile. Sui passaggi chiave del pensiero di Tocqueville viene presentata l’interpretazione degli artisti raggruppati nella sezione.
L’influenza irresistibile della stampa se si muove nella stessa direzione, spesso fuorviante, è resa da Niccolò Degiorgis che ha analizzato “la comunità errante” dei mussulmani con una ricerca su oltre 1000 articoli usciti dal 2001 ad oggi in un giornale di Treviso, martellanti nella loro ostilità e inadeguati a rappresentare la vera realtà documentata anche con una ricostruzione fotografica delle condizioni precarie di questa comunità. Oltre al filmato sugli articoli, abbiamo visto la foto con le schiene curve all’aperto in assenza di moschea in “Festa di Eid Eil-Ftr, Associazione culturale islamica di Treviso, Villorba”. Ma poi la partecipazione, e su questa Adelita Husni-Bej, che abbiamo già trovato nella sezione precedente, presenta “Agency . Giochi di potere”, un video su un intenso workshop di simulazione sociale con un gruppo di studenti liceali a impersonare cinque categorie professionali di rilievo nell’analisi critica delle relazioni di potere che, dominando la società, compromettono l’uguaglianza alla base della democrazia.
Si torna nell’ottica americana con le inserzioni pubblicitarie e gli articoli di “Fortune”, “Italian Farmer Hand” , che Alessandro Balteo Yazbeck presenta insieme ad alcune intense immagini visive del contadino calabrese misero ma con tanta dignità come altri tre milioni simili a lui, “una sfida al capitalismo occidentale”. L’esigenza di far progredire tutto il popolo, con la cultura e la lotta all’emarginazione, è visualizzata da Gianluca e Massimiliano De Serio in un racconto visivo, “Rovine”, sull’abbattimento della mega baraccopoli torinese “Platz”, con un’installazione sonora. Ma ci sono anche immagini ridenti, in Renato Leotta la concezione di Tocqueville sulla mobilità delle persone che avvicina e rende somiglianti popoli e nazioni, si manifesta nella serie di filmati “Belvedere”, paesaggi e scene rurali che mostrano delle “Egadi” una dimensione mediterranea.
Abbagliati e storditi passiamo alla sezione successiva, con un titolo che riporta a Pier Paolo Pasolini, il quale a quarant’anni dalla scomparsa ha trovato le celebrazioni mancate nella vita, in cui i suoi stimoli culturali e vitali, presi per provocazioni, hanno incontrato tante ottuse chiusure e lui ha dovuto subire sulla sua pelle le rezioni più aspre e scomposte anche delle istituzioni, si pensi alla persecuzione giudiziaria, fino al tragico epilogo. Possiamo anticipare che la sezione si basa su un riferimento a un suo progetto cinematografico, l'”Orestiade Africana”, i cui appunti furono definiti dall’autore “un film su un film da farsi”, ispirato all'”Orestiade di Eschilo” ma calato nella realtà di paesi come l’Uganda e la Tanzania da lui visitati nel 1968 e 1969 ricavandone una “spinta pedagogica rivoluzionaria” che dà alle immagini un tono ben diverso dalla tradizionale narrazione coloniale, ponendosi come denuncia delle responsabilità europee nel tentativo di rovesciare lo sterotipato mito borghese del “buon selvaggio”: “Prima ne abbiamo negato l’esistenza…. In seguito, dal momento in cui non è stato possibile sostenere la rimozione, abbiamo adottato altre due misure: da una parte l’integrazione reciproca tra una cultura d’eccellenza (la nostra) e la cultura (ammessa) del ‘buon selvaggio’; dall’altra parte il riconoscimento oggettivo di quest’ultima cultura come un ‘insieme’ esaustivo una volta per sempre della totalità, in strutture immodificabili”
Parleremo prossimamente dell'”Orestiade italiana” e delle altre 5 sezioni della mostra.
Info
Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale 194, Roma. Tutti i giorni, tranne il lunedì chiuso, apertura ore 10, chiusura ore 20 prolungata alle 22,30 il venerdì e sabato. Ingresso intero euro 10, ridotto euro 8, riduzioni per studenti e scuole, biglietteria aperta fino a un’ora prima della chiusura della mostra. http://www.quadriennale16.it..Catalogo “Q’ 16^ Altri tempi altri miti – Sedicesima Quadriennale d’arte”, La Quadriennale di Roma e Azienda Speciale Palaexpo, ottobre 2016, pp. 278, formato 23,5 x 30,5; dal Catalogo è tratta la gran parte delle notizie e citazioni del testo. Il primo articolo sulla mostra è uscito in questo sito il 24 ottobre, i due ultimi usciranno il 1° e 29 novembre 2016; l’articolo di presentazione è uscito il 23 giugno 2016. Su temi connessi cfr. i nostri articoli: in questo sito: sulla vincitrice del premio “6artista”, le mostre sugli “Interni d’artista” e su “Alice nel paese delle meraviglie”, citate, rispettivamente 3 gennaio 2013, 12 maggio 2014, e 25 dicembre 2015; per le mostre su Pasolini, 16 novembre 2012, 27 maggio, 15 giugno 2014, 29 ottobre 2015; in “fotografia.guidadel consumatore.it”, per Pasolini 4 maggio 2011, tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno ricollocati.
Foto
Le immagini
sono state riprese da Romano Maria Levante nella mostra al Palazzo
Esposizioni o tratte dal Catalogo, si ringraziano la Fondazione della
Quadriennale e l’Azienda Speciale Palaexpo per l’opportunità offerta.
Sono 3 per ogni sezione, nell’ordine in cui le sezioni sono commentate
nel testo. In apertura, Giulia Piscitelli, “S.A.M.”, 2013; seguono, Francesco Nazardo, “Chiara (Crissier)”, 2013, e Patrick Tuttofuoco, “Porrtraits (Christian)”, 2016; poi, Nicola Samorì, “Lieto fine di un martire”, 2015, Invernomuto, “Zon, Paesaggio”, 2014, e Matteo Fato, “Senza titolo con Quattro esercizi equestri”, 2013-2016; quindi, Giorgio Andreotta Calò, “In girum imus nocte”, 1015, Alberto Tadiello, “Melisma”, 2014, e Cristian Chironi, “My House is Le Corbusier (Esprit Noveau)”, 2015; inoltre, Nicolò Degiorgis, “Festa di Eid Eil-.Fitr, Associazione islamica di Treviso, Villorba (TV)”, 2013, Massimilano De Serio, “Rovine”, 2016, e Renato Leotta, “Egadi (Il mondo di ieri)“, 2016; in chiusura, uno dei tanti filmati in mostra.
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