di Romano Maria Levante
Alla Galleria Nazionale di Arte Modena e Contemporanea di Roma, dal nuovo logo sintetico “La Galleria Nazionale”, dal 23 gennaio al 4 marzo 2018 nel Salone Centrale la mostra “Scorribanda” con cui si celebrano i 60 anni di attività della Galleria Sargentini di Fabio Sargentini, che dalla metà degli anni ’60 ha alimentato le avanguardie pittoriche e introdotto le installazioni, creando inoltre delle sinergie innovative con la danza, la musica e il teatro. Sono esposte circa 40 opere di artisti che nei 60 anni hanno dato lustro artistico alla galleria e a loro volta hanno potuto imporsi all’attenzione della critica per la prestigiosa vetrina che veniva offerta loro.
Scorribanda e non sarabanda
Una “scorribanda” che non diventa “sarabanda” alla Galleria Nazionale, a Fabio Sargentini i capelli bianchi non hanno fatto perdere la voglia di sorprendere, ma l’hanno in qualche modo addomesticata.
E’ vero che, come lui stesso dice, “c’è in ‘Scorribanda un che di piratesco, di corsaro, che mi piace”. Ma non mira a sconcertare bensì a coinvolgere, non porta a spiazzare bensì a condividere, lui stesso dice che le opere esposte “avvolgono in un abbraccio”, quasi una calamita irresistibile per l’osservatore: “Anche chi guarda percepisce questo abbraccio e non vi si sottrae, anzi le pupille sedotte si dilatano ad accogliere la visione d’insieme della lunga sequenza parietale. Un colpo d’occhio a 360 gradi che sa di accerchiamento”.
Non si potrebbe descrivere meglio l’effetto delle quattro pareti espositive del vasto Salone Centrale della Galleria Nazionale, dopo la Sala delle colonne nella quale si svolge la presentazione. Un accerchiamento tutt’altro che ostile, nel quale lo spirito inquieto di Sargentini trova una forma inedita di manifestarsi, c’è ancora “l’antico valor”, non più trasgressivo ma sempre innovativo.
I quadri, infatti, sono allineati vicinissimi l’uno all’altro, di qui la sua definizione di “sequenza parietale”, senza soluzione di continuità e senza che gli accostamenti siano dettati da omogeneità stilistica o contenutistica, ma conseguenti alla narrazione di una storia artistica movimentata nella quale la creatività si manifesta in forme espressive diverse ma sempre pittoriche, tranne due installazioni scultoree.
Proprio per questo non ci troviamo in una “sarabanda”, come è stato, ad esempio per le 16^ Quadriennale di Roma nella quale si veniva percossi da sollecitazioni continuamente mutevoli che abbracciavano una vastissima gamma di mezzi espressivi, i più diversi e a volte insoliti, anzi inusitati. Ma si trattava di un presente proiettato già nel futuro.
Nella mostra “Scorribanda”, invece, anche le opere più recenti, del 2014 e 2012, sono rigorosamente pittoriche e con le altre esposte formano quello che Sargentini definisce “un racconto senza pause”. E’ un racconto di una parte della propria storia di gallerista, ma per un effetto straordinario prende e coinvolge l’osservatore quasi avesse partecipato alla stagione irripetibile della galleria. C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico in questo racconto, perché riporta alle quadrerie nobiliari, con le pareti altrettanto foderate di dipinti che raccontavano la storia di collezionista appassionato del titolare.
“L’Attico” nelle sue varie “incarnazioni” e Fabio Sargentini
La storia di Fabio Sargentini è legata alla galleria “L’Attico” , una storia iniziata 60 anni fa che supera il “racconto” della sua “quadreria” perché non si limita alle mostre sperimentali da lui organizzate con pittori anche sconosciuti e lanciati con preveggenza, ma va ben oltre, e lo diremo.
L’inizio sembra quanto mai scontato, Fabio, da figlio d’arte, per così dire, affianca il padre Bruno che il 25 novembre 1957 inaugura la galleria “L’Attico” con sede in piazza di Spagna, intestata alla moglie Maria Pedroncini, con una mostra collettiva, mentre due anni dopo presenta Vasco Bendini, Jean Fautrier e Lucio Fontana. Negli anni sessanta si aggiungono, Leoncillo, Giuseppe Capogrossi, Roberto Matta, René Magritte, Victor Brauner e altri, nel 1967 le mostre di Pino Pascali e Jannis Kounellis anticiparono l’Arte Povera degli anni successiv; la galleria anticiperà anche il ritorno alla pittura, la Land Art e le installazioni.
Muore Pino Pascali in un incidente d’auto, una grave perdita per Sargentini tanto legato a lui, la sua galleria che attraversa molte difficoltà. Bruno lascia Piazza di Spagna e nel dicembre 1966 apre la galleria “L’Attico Senior” in via del Babuino 114, poi divenuta “L’Atico esse arte”, non mancherà il sucecsso. Mentre Fabio resta nella galleria di Piazza di Spagna per due anni e poi si trasferisce in via Beccaria, ma non è solo uno spostamento di sede, perchè si tratta di un garage nel quale può esprimersiil suo spirito inquieto, insofferente del fatto che la galleria senior “andava ripetendo sempre le stesse mostre”.
Il padre Bruno aveva affermato a sua volta: “Negli ultimi dieci anni ho svolto una attività più saltuaria, i miei impegni professionali sono stati assillanti. Ho fondato un’altra galleria, la Esse Arte, mentre l’Attico ha veleggiato felicemente verso i lidi dell’avanguardia”. L’idea del garage a Fabio venne in un viaggio a New York nel 1969 quando vide che le gallerie erano nei piani alti dei grattacieli, inadatte ad accogliere i nuovi fermenti dell’avanguardia americana, per cui decise di fare l’opposto ed ebbe ragione attirandoli a Roma.
Evidentemente l'”avanguardia” dell’Attico a Piazza di Spagna non basta a Fabio, sebbene il trasferimento del padre Bruno in via del Babuino lo lasci libero di fare mostre sperimentali, come quelle di Mattiacci e Pascali, Pistoletto e Kounellis, e come la mostra “Ginnastica mentale”, nella quale crea un clima dinamico e non di mera visione statica con una specie di palestra.
Le nuova sede nel garage di Via Beccaria, oltre a mostre di giovani artisti d’avanguardia, quali Mattiacci e Metz , De Dominicis e Le Witt , si apre a livello internazionale e interdisciplinare, inoltre ospita manifestazioni spettacolari quanto inusitate come quella dei “12 cavalli vivi” di Kounellis, che Fabio Sargentini definì “la mostra in una galleria privata più celebre del ‘900”; inoltre la Renault con cui Mario Merz era arrivato da Torino, il “rullo compressore” di Eliseo Mattiacci, il carro armato e tanto altro ncora di inusitato. In questo periodo ha conosciuto la performer italoamericana Simone Forti e fa la spola tra Roma e New York percollegare le avanguardie dei due mondi. Nel 1969, presenta esponenti del minimalismo americano, Terry Rileye La Monte Young, nel 1970 Philip Glass, Charlemagne Palestine, Steve Reich, Joan La Barbera e ancora La Monte Young, con l’anteprima di The Well Tuned Piano”.
In seguito, da internazionale diventa interdisciplinare con i video di Gerry Schum e Marisa Merz e soprattutto gli spettacoli e Festival di performer e di danza con gli artisti Trisha Brown e Simone Forti; vi troviamo anche Mario Merz ed Eliseo Mattiacci, Jean Tinguely, il performer italoamericano Vito Acconci, Sol LeWitt e Robert Smithson per la prima volta in Italia, nel 1972 Joseph Beuys. Fino a quella definita “la performance delle performance”, nel giugno 1976 trasforma la galleria in un “lago incantato” inondandola con 50 mila litri d’acqua. Si era ispirato alla riempimento di terra della galleria di Heiner Friedrich a Monaco, al “Mare” di Pascali e al “mare in una stanza” del celebre quadro di de Chirico sul “ritorno di Ulisse” e di Ebdomero.
Non si trattava di rivivere i fasti acquatici di Piazza Navona, ma ci si andava vicino. Da quattro anni aveva preso, comunque, uno spazio ben diverso in via del Paradiso, vicino a Campo de’ Fiori, dove dalle nude pareti del garage è passato ai soffitti con affreschi, i pavimenti di marmo, le porte dorate. Un ardito sincretismo, tra due approcci opposti coesistenti mentre, dal lato artistico, il sincretismo si manifesta nell’affiancare all’arte figurativa l’attività teatrale come nel garage, lancia in Italia il teatro concettuale.
Fu ispirato, nel 1972, dalle citazioni in un’opera di Giulio Paolini, e pensò che “dopo la tabula rasa rappresentata dalla galleria-garage stava venendo il tempo della rilettura della storia dell’arte, degli stili e degli -ismi:”, anche in questo “ritorno” fu anticipatore. La inaugura con una mostra personale di Jannis Kounellis nell’aprile 1972, seguito subito dopo da Gilbert & George, quindi da Katharina Sieverding e Vito Acconci, alle prime personali. Un anno dopo presenta Sol LeWitt e, nel mese di novembre del 1973 espone la porta dello studio di Marcel Duchamp, che aveva acquistato a caro prezzo, tanto che poi ebbe a lamntare:
L’attività della galleria in via del Paradiso è incalzante: nel 1975 ecco Alighiero Boetti, Sandro Chia, Eliseo Mattiacci e Emilio Prini per sei giorni con apertura ininterrotta 24 ore su 24; tra il 1974 e il 1978 Luigi Ontani, Marisa Merz, Nam June Paik, Hidetoshi Nagasawa, Nunzio e Piero Pizzi Cannella, e poi Hans Bellmer e Giuseppe Capitano, Marco Colazzo e Paolo del Giudice, Fabrice de Nola e Alberto Di Fabio, Stefano Di Stasio e Mark Francis, Paola Gandolfi e Mojmir Jezek, Matteo Montani e Luca Padroni, Paolo Picozza e Sergio Ragalzi, Marco Tirelli e Ben Vautier, Giancarlo Limoni e Claudio Palmieri.
Nell’arte figurativa agli artisti della sua scuderia, per così dire, Pascali e Nagasawa, Leoncillo e Uncini, si aggiungono i nuovi da lui scoperti, come Limoni e Luzzi, Nunzio e Palmieri, Pizzi Cannella e Tirelli, siamo nel 1983. Per il teatro, che alterna all’attività della galleria, l’impegno va avanti fino ai giorni nostri, con “Toga e spada”, del 2017, che segue “Ti regalo un anello”, del 2016, dopo una serie di opere sperimentali di cui con lui è autrice Elsa Agalbato.
Nel 2010 l’attività artistica e culturale della galleria è stata ricordata nel MACRO con una mostra limitata, però, al periodo tra il 1966 e il 1978, mentre era trascorso da tre anni il cinquantennale. Questa mostra celebra i 60 anni della galleria, anzi delle gallerie presenti nei vari epriodi, prima con Bruno, poi con Fabio, e in particolare: L’Attico di Bruno Sargentini, Piazza di Spagna 20, 1957-1968, dal 1966 solo Fabio – Galleria L’Attico Senior, Via del Babuino 114, 1966-[1973] – Galleria L’Attico – esse arte, Via del Babuino 114, [1973]-1984; di Fabio Sargentini: – Galleria L’Attico, Piazza di Spagna 20, 1966-1968 – Garage di via Beccaria, 1968-giugno 1976 – Galleria L’Attico, via del Paradiso, aprile 1972.
Non è tutto, alla Galleria Nazionale è stato donato il “fondo” che ne documenta la meritoria attività. strutturato in tre blocchi: il primo composto da 45 faldoni, il secondo da 32 ed il terzo da 6. Il primo blocco di 45 faldoni riguarda L’Attico del primo periodo in piazza di Spagna e la Galleria Senior di via del Babuino 114; il secondo blocco di 32 faldoni contiene materiale bibliografico, i cataloghi delle mostre a L’Attico – esse arte tra il 1978 e il 1984, e i cataloghi di altre gallerie, oltre a fascicoli sui singoli artisti, corrispondenza e altri documenti; il terzo blocco raccoglie materiale fotografico degli anni ’80.
La Galleria Nazionale ha organizzato tale materiale in 3 sezioni: la I sezione, “L’Attico”, riguarda i periodi di piazza di Spagna e di via del Babuino, la II Sezione, “L’Attico – esse arte”, la III i cataloghi, con questi contenuti specifici: I Sezione: Galleria L’Attico – Serie 1. Artisti — ss. 1. Artisti italiani — ss. 2. Artisti stranieri — ss. 3. Contratti con i pittori – Serie 2. Gallerie e musei — ss. 1. Gallerie e musei italiani — ss. 2. Gallerie e musei e rapporti con l’estero – Serie 3. Enti e associazioni – Serie 4. Critici e annunci mostre – Serie 5. Rapporti con professionisti e privati — ss. 1. Fotografi — ss. 2. Librerie — ss. 3. Corniciai e ditte – Serie 6. Attività amministrativa-gestionale — ss. 1. Abbonamenti e pubblicità — ss. 2. Spedizioni e trasporti — ss. 3. Tipografie — ss. 4. Amministrazione — ss. 5. Elenchi II Sezione: Galleria L’Attico – esse arte – Serie 1. Pittori – Serie 2. Gallerie e musei – Serie 3. Enti e associazioni – Serie 4. Critici e professionisti – Serie 5. Materiale preparatorio per mostre e cataloghi – Serie 6. Cataloghi e rassegna stampa III Sezione Cataloghi e pubblicazioni. ssegna stampa III Sezione: Cataloghi e pubblicazioni.
La parola a Fabio Sargentini
Interprete “autentico” di una storia così ricca e inusitata, che continau tuttora, è lo stesso Fabio Sargentini, si è “aperto” nell’intervista a Franco Fanelli sul “Giornale dell’Arte” del gennaio 2011 in occasione della mostra al Macro che abbiamo ricordato, intitolata significativamente “Edipo a Roma”.
Si è subito difeso da alcune maliziose interpretazioni del suo rapporto con i giovani che ha promosso e lanciato: “Non ho mai plagiato i miei artisti, ma ho espresso l’artista che avrei voluto essere attraverso gli spazi che ho inventato…Tutti gli artisti con cui ho lavorato hanno espresso il loro mondo quando erano con me e questa è una costante. Questo mio essere artista di nascosto e frustrato si è espresso con i giovani che sceglievo; quando finisce un rapporto, nasce nell’artista che ha lavorato con me un complesso di abbandono, proprio perché c’è stata questa mia proiezione sul suo lavoro”.
C’è in tutto questo, una proiezione nei giovani artisti del rapporto padre- figlio e figlio-padre che aveva sperimentato con il proiprio padre: “Praticando la psicanalisi ho capito che il desiderio frustrato di essere lodato da mio padre fa in modo che nel mio rapporto con gli artisti giovani io sia il padre, mio padre, ma anche il loro me stesso, padre e figlio insieme e questo fa scattare una molla pazzesca che ha funzionato per Pascali, De Dominicis, Ontani perché è qualcosa di infernale, è straordinario”.
Ed ecco come si manifesta un tale approccio molto particolare: “Ho dato loro delle cose e non potevo permettermi di essere più forte di loro perché sarebbe saltata tutta la costruzione, avevo bisogno di trovare qualcuno a cui aggiungere le mie forze inespresse e io mi sono espresso un po’ attraverso di loro e un po’ attraverso la poetica degli spazi, che ho via via cambiato nella misura in cui capivo che stava cambiando l’arte. Avevo una specie di sfera di cristallo per quanto riguarda gli spazi”.
Nel 2019, nell’intervista di Lorenzo Madaro nel ricevere il Premio Pascali, uscita su Arttribune, precisa: “Io ho sempre fatto delle operazioni inclusive, anche se chiaramente ho sempre valorizzato me stesso e il mio lavoro. Ma ho sempre aperto agli altri. E poi se non ci fossero stati loro, gli artisti, che facevo? Era lo spazio a suggerire i contenuti agli artisti, lo spazio diventava protagonista”.
Così si dedica soprattutto ai giovani quasi coetanei, immedesimandosi in loro ma senza prevaricarli, quando organizzò la prima mostra di Pascali asppena tornato dal servizio militare nel 1966 – quasi dieci anni dopo l’apertura della galleria da parte del padre, mostra che causò la rottura con luiche non ne capiva il valore, a Bruno collezionista piaceva la “Scuola romana” , lui si era spinto fino all’informale – aveva 27 anni, essendo del 1939, mentre Pascali del 1935 solo 4 anni più di lui, e Kounellis del 1936 maggiore di 3 anni. Non fu facile, per Fabio, competere alll’inizio con la “Tartaruga” di Plinio de Martiis e la “Salita” di Tomaso Liverani ; De Martiis al quale portò via Pascali e Kounellis, addirittura chiuse la propria galleria.
Oltre che dagli artisti d’avanguardia e vicini per età, è attratto dalla concezione dello spazio espsoitivo che condiziona anche le opere da esporre, cita il MAXXI con la sua architettura avveniristica e la sua vastità che di per sè attira installazioni imponenti, mentre i quadri anche se di grandi dimensioni vi si disperdono.
Invece non lo ha attirato il mercato, non ha promosso le opere per la vendita, ma il suo disinteresse è stato ripagato: ” Io non partecipo alle fiere, è chiaro che pago un prezzo, però questa poetica dello spazio e anche dell’orgoglio, della fierezza di fare cultura nella mia città io ce l’ho e non me la posso rimangiare… i quadri si devono vendere da soli e infatti nel tempo si sono venduti, però questa lentezza è stata la mia fortuna perché mi sono rimaste molte opere, attraverso le quali mi sono sostenuto”.
E anche dopo che il suo interesse si è spostato sul teatro d’avanguardia e sulla scrittura, mentre nell’arte imperversava la Transavanguardia ha aiutato “altri ottimi artisti privi di appoggio, come Pizzi Cannella, Nunzio, Tirelli, Ragalzi e altri ancora… Continua ancora a piacermi l’idea di andare negli studi e tirare fuori i giovan”. Sul passato ricorda come dopo la mosre “Fuoco Immagine Acqua Terra”, con Pascali e Ceroli, Kounellis e Schifano, scelse Pascali e Kounellis, all’epoca ancora sconosciuti; quella mostra lanciò l’Arte povera, tanto che dopo pochi mesi seguì una mostra alla Bertesca di Genova organizzata da Celant con gli artisti da lui già presentati, oltre a Prini, Zorio, Anselmo e altri.
La sua adesione agli artisti promossi non è incondizionata, possono deluderlo quando prendono strade che non condivide, come De Dominicis con il “post concettuale” e Kounellis quando lo ha visto “replicare al Madre l’azione con i 12 cavalli vivi, perché quello è un ‘quadro’ intoccabile, aveva senso perché c’era quello spazio rivoluzionario e lui in quel momento lo incarnava. Ma, beninteso, la loro grandezza rimane intatta.“
Alla domanda finale, se qualche artista gli ha detto no, ha risposto: “No, mai. Piuttosto è capitato spesso il contrario”. E cita un caso emblematico: “Dissi no a Pasolini, che attraverso Laura Betti mi propose l’allestimento di uno spettacolo. Non volevo avere a che fare con qualcosa che mi pareva già spremuto. Sentivo di essere più avanti”. E trattandosi di Pasolini, è tutto dire per inquadrare l’inquieto spirito tarsgressivo di Fabio Sargentini.
“Scorribanda” non trasgressiva ma “come un’installazione”
Per la sua storia artistica variegata e movimentata, in questa mostra celebrativa, la “Scorribanda” ci è parsa alquanto addomesticata rispetto alle performance trasgressive che si potrebbero immaginare. Anche se per il “finissage” è stato annunciato un evento di tipo musicale, all’insegna del sincretismo tra generi che ha caratterizzato la fase più “movimentista” dell’attività della galleria
A parte tutto questo, possiamo convenire che “Scorribanda va considerata un’installazione”, per l’effetto d’insieme che rende le quaranta opere un tutt’uno nell’abbracciare l’osservatore; ma nel contempo mantengono la loro individualità proprio perché la “sequenza parietale” crea l’effetto ottico del coinvolgimento globale senza ridurre l’interesse specifico verso ciascuna.
Lo stesso Sargentini lo fa notare: “Altrettanto emozionante è l’osservazione da vicino, la messa a fuoco nelle sue sfaccettature di una storia artistica che dura ininterrotta da sessant’anni”. Perché guardando le singole opere si ripercorrono i tanti momenti di questa storia, come altrettante tessere che nel loro insieme compongono il mosaico della galleria, c riportano a una fervida temperie artistica.
Ne ha parlato Sargentini nella presentazione, non ha detto “formidabili quegli anni” – come Mario Capanna ha intitolato un suo libro sul ’68, l’anno della contestazione oggetto di una celebrazione alla Galleria Nazionale con la mostra nello stesso Salone Centrale chiusa una settimana prima dell’apertura di quella attuale e un “giornale” rievocativo” – ma ne ha sottolineato il fervore artistico, le avanguardie sentivano che altrove, e soprattutto in America, si correva, e non volevano restare indietro.
Dopo il 1965, con Pascali e Kounellis, si passa dalla contiguità con la Pop Art al suo superamento, nel 1967 con le mostre “Acqua terra” prima e “Arte povera” poi furono poste le basi di una nuova corrente artistica. Seguì la tragica fine di Pascali e l’idea rivoluzionaria del Garage di cui abbiamo detto all’inizio, uno spazio oltremodo innovativo con il sincretismo delle arti.
Negli anni ’80, lo ha ricordato espressamente, torna centrale la pittura, che resta tale anche in seguito, oltre al teatro e alle performance. L’attività della galleria ha avuto l’evoluzione dallo “spazio negozio” allo “spazio garage” allo “spazio appartamento”, viene rievocata con la “sequenza parietale” delle opere selezionate che diventa essa stessa una vera e propria installazione.
E ha concluso: “Speriamo che Roma risorga e torni ai fasti di allora, è stata molto importante sulla scena artistica soprattutto negli anni ’60 e ‘70”.
Le opere espressive di questa storia sono esposte in una sequenza parietale nelle 4 pareti del salone, come un’antica “quadreria” però con opere moderne. Una sorta di contrappasso per lui che, nell’intervista prima citata, aveva rievocato così le scelte ardite e anticipatrici del passato: “L’Attico avrebbe mutato lo spazio delle gallerie perché quelle tradizionali non potevano esporre cavalli, tronchi, corpi umani, performance e tutto il resto, erano delle quadrerie. Poi quest’onda lunga è arrivata ai musei.”
Nella celebrazione del proprio percorso è significativa la scelta della quadreria, ancora una volta controcorrente: a Palazzo Corsini è stata conservata l’antica quadreria settecentesca nella medesima collocazione storica, per Sargentini il ritorno all’antico è ancora una volta rivoluzionario.
Anche perchè, a differenza delle quadrerie – in particolare quella appena ricordata – non c’è accumulo di quadri nella parete su più livelli ifino al soffitto, ma una successione linare quasi a scandire lo scorrere del tempo con le opere degli artisti in un “girotondo” che circonda e abbraccia il visitatore: una “quadreria” leggera, un ritorno all’antico ma con un “quid” innovativo, e non poteva essere altrimenti.
A questo punto non serve descrivere le opere esposte nella moderna “quadreria” della Gnam – l’ultimo apparente paradosso di Sargentini – autori sono i maggiori artisti ospitati e spesso lanciati dalla sua galleria “L’Attico” nelle diverse incarnazioni che abbiamo citato.
Basta ricordarne alcuni, in primis i “pionieri”, Pino Pascali con “Primo piano labbra” e Jannis Kounellis con “Casa” , Michelangelo Pistoletto con ““Specchio di famiglia” e Paolo del Giudice con “Ritratto di Borges”, Luca Patella con “Mondo rurale” e Luigi Ontani con “Concertino”, Rodolfo Andò con “Orfeo” e Paola Gandolfi con “Santa Paola”; e poi Hidetoshi Nagasawa e Claudio Palmieri, Paolo Fabiani e Claudio De Paolis, Matteo Montani e Luca Padroni, Giancarlo Limoni ed Enrico Luzzi, ed altri 33 nella “fuga” artistica sulle pareti. In un box all’ingresso il ricordo di Bruno Sargentini con “Fiori secchi” di Mario Mafai, che risalgono al 1938, mentre tutte le altre opere sono dal 1965 in poi, e seguono le varie fasi della vita della galleria. Una carrellata visiva di cui abbiamo cercato di dare un’idea con le immagini delle pareti inframmezzate ad alcune spettacolari “performance” creative. Ma protagonisti non sono gli artisti, bensì il geniale e appassionato gallerista e collezionista che ne ha promosso e stimolato la creatività, molti lanciandoli verso il successo.
Info
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Viale delle Belle Arti, 131, Roma, tel. 06.322981, www.gallerianazionale.it Orario, da martedì a domenica ore 8,30-19,30, lunedì chiuso, ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura. Ingresso, intero euro 10,00, ridotto euro 5,00. Per gli artisti citati nel testo cfr . i nostri articoli: in questo sito, su Anselmo 26 maggio 2020 , Pizzi Cannella 1° agosto 2020 de Chirico 2019, sett. 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15, 18, 20, 22, 25, 27, 29, novembre 22, 24, 26; www.arteculturaoggi.com, su Ontani in “Eco e Narciso” 25, 30 settembre 2018, Pasolini 27 ottobre 2015, 15, 27 maggio 2014, 16 novembre 2012, Patella 18 aprile 2015, Minimalismo in “Guggenheim” 23, 27 novembre, 11 dicembre 2012; culturainabruzzo.it, su de Chirico 8, 10, 11 luglio 2010, Paolini 10 luglio 2010; infine nel sito fotografia.guidaconsumatore.com su Pasolini 22 maggio 2011, Schifano 15 maggio 2011, (gli ultimi due siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
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