di Romano Maria Levante
Entriamo ancora di più nel vivo della narrazione di “Raffaello 1520-1483”, la mostra alle Scuderie del Quirinale, riaperta il 2 giugno fino al 30 agosto 2020, che espone i dipinti del Maestro, studi preparatori e disegni sull’arte antica, l’architettura, la scultura. Realizzata da Ales S.p.A., con le Gallerie degli Uffizi, la Galleria Borghese, i Musei Vaticani, il Parco Archeologico del Colosseo, curata da Marzia Faletti e Matteo Lafranconi, con Francesco P. Di Teodoro e Vincenzo Farinella, e la presidente del Comitato scientifico Sylvia Ferino-Padgen. Notevole impegno organizzativo con 53 prestatori, i Musei vaticani, i principali musei italiani ed esteri, in Europa e negli USA. Catalogo monumentale di Skira, le Scuderie del Quirinale e le Gallerie degli Uffizi a cura dei curatori della mostra, con saggi, immagini e ampie schede llustrative.
Entrare nel vivo della narrazione significa dare precisi riferimenti temporali e artistici a quanto ci ha colpito del mondo di Raffaello, con la sua formazione e le prime manifestazioni pittoriche nelle quali le “citazioni” di altri artisti erano sempre nel segno di una straordinaria attenzione al ‘400 e all’arte antica. Si tratta di un eclettismo che non aveva mai riferimenti univoci ma dai singoli prendeva elementi particolari poi rielaborati in una contaminazione artistica personalissima frutto del suo grande talento.
Dopo il periodo iniziale a Urbino e quello fiorentino di cui abbiamo detto nel nostro precedente articolo, l’esplosione nel periodo romano alla corte dei Papi, prima Giulio II, con inizio nel 1508, poi Leone X con inizio nel 1513. Una nuova “escalation”, con papa Leone X Raffaello era impegnato in una vasta serie di iniziative per i auoi stretti rapporti con l’intera corte papale oltre che per le ricerche antiquarie e gli studi di architettura, mentre con papa Giulio II era legato soltanto al pontefice. Per questo motivo, sin dal ‘700 si è ritenuto che le opere realizzate con Leone X sono meno sicure nella piena attribuzione al Maestro rispetto alla sua bottega rispetto a quelle realizzate per Giulio II certamente tutte di propria mano.
Raphael Mengs nel 1843-44 scrisse che se ne rendeva conto chiunque “confrontasse le opere eseguite da Raffaello sotto Giulio II con quelle dell’epoca di Leone X”. E la presidente del Comitato scientifico Sylvia Ferino-Pagden scrive che “per questo motivo la Stanza della Segnatura e quella di Eliodoro insieme alla pale d’altare eseguite durante il Papato di Giulio II, come la Madonna Sistina e la Madonna di Foligno, erano e sono tuttora considerate il culmine dell’arte di Raffaello e del Rinascimento in generale, nel loro equilibrio tra l’elevato contenuto spirituale e la perfetta armonia del vocabolario visivo”.
Un culmine nei grandi affreschi per Giulio II, e nelle prime Madonne
Il primo pontefice, che vediamo raffigurato nel “Ritratto di papa Giulio II” 1512, era al centro dei più grandi eventi artistici: la basilica di San Pietro affidata al Bramante e i dipinti della Cappella Sistina a Michelangelo, e poi gli affreschi delle Stanze a Raffaello. Così ne parla Achim Gnam: “Il papa lo pose dinanzi a sfide sempre più ardite, che portarono l’artista a superare se stesso. Per Michelangelo, il cui carattere ostinato era troppo simile al proprio, Giulio nutrì sempre grande rispetto e profonda ammirazione. Ma quando pensava a Raffaello, uomo molto più affabile, che aveva creato per lui capolavori di squisita armonia e bellezza, il suo cuore si riempiva di gratitudine, di gioia, di amore”.
Immergiamoci, dunque, in questo periodo d’oro dell’arte di Raffaello, iniziando a considerare le opere appena citate facendo presente che gli affreschi non possono essere esposti in mostra per motivi evidenti, mentre i disegni e le altre realizzazione riguardano altri soggetti della sua arte.
Cominciamo dall’affresco commissionatogli nell’autunno 1508 da papa Giulio II per la “Stanza della Segnatura”– allora sua biblioteca privata, sarà chiamata così in seguito – in un periodo in cui il pontefice era impegnato in complesse operazioni politiche e militari per sventare le minacce degli eserciti francese, spagnolo e tedesco, e per recuperare i territori sottratti alla Chiesa dalla Repubblica di Venezia. Nonostante questi pressanti impegni, il suo “fine senso del bello”, osserva lo studioso, non gli faceva trascurare ambiziosi progetti artistici, come le decorazioni affidate a Lorenzo Lotto e Perugino, Luca Signorelli e il Bramantino. Ebbene, Giulio II fu così colpito dall’affresco realizzato – pagato il 13 gennaio 1509 – da affidagli altri 3 affreschi per tale stanza addirittura facendo eliminare le opere dipinte dagli altri artisti. Raffaello mantenne la volta su fondo oro aggiungendo quattro tondi con figure allegoriche femminili e dei quadrati agli angoli che richiamavano le “facoltà” universitarie e medievali cui erano dedicati gli affreschi sulle quattro pareti: teologia e filosofia, giurisprudenza e poesia, in linea con l’utilizzazione della stanza.
Nel primo affresco, “Disputa del Sacramento”, venerato da teologi ed eruditi, membri di ordini religiosi ed ecclesiastici, ci sono anche Tommaso d’Aquino e san Bonaventura, Dante e papa Sisto IV con i padri della Chiesa, al centro Cristo, Maria e i santi con la santissima Trinità fino a Dio. L’allegoria richiama visivamente il legame del mondo terreno con il mondo divino: nei disegni preparatori, uno dei quali esposto, la sfera terrena e quella ultraterrena sono separate nettamente, mentre nell’affresco sono compenetrate, si sente l’influsso leonardesco.
Con il secondo affresco, “La Scuola di Atene”, sono rappresentate allegoricamente attraverso figure eminenti nei rispettivi campi, le sette arti liberali e le discipline scientifiche, quelle logico- linguistiche, la grammatica, la retorica, la dialettica; si vedono Archimede e Zoroastro, Socrate, Platone e Aristotele, nel “tempio della filosofia” anche due divinità, Apollo per la musica, Minerva per la saggezza. Inseriti in un imponente complesso architettonico, questi eminenti personaggi simbolici occupano spazi distinti, segno della libertà di esprimere le proprie idee.
Troviamo Apollo anche nel terzo affresco, il ”Parnaso”, non isolato come nel precedente, ma circondato dalle Muse di cui è guida e dai maggiori poeti dell’antichità e dell’epoca di cui è protettore, tra i quali Omero e Virgilio, Dante, Petrarca e Boccaccio, fino a Saffo, disposti a ghirlanda sopra una finestra che dà sul Monte Vaticano chiamato “mons Apollinis” perché vi si adorava Apollo. Il Parnaso era l’equivalente del paradiso terrestre: umano e divino sono compenetrati perchè sono le Muse ultraterrene, in pose aggraziate, ad ispirare i poeti.
Il quarto affresco è la “Parete della Giustizia”, anche qui umano e divino collegati attraverso il diritto civile e il diritto ecclesiastico con Triboniano che consegna a Giustiniano le “Pandette”, e san Raimondo di Penafort che consegna le “decretali” a papa Gregorio IX, dal volto di Giulio II. Nella lunetta in alto vi sono le allegorie della Fortezza, Prudenza e Temperanza, per formare le quattro virtù cardinali insieme alla Giustizia cui è dedicata la parete. I corpi rivelano l’influsso dei dipinti di Michelangelo nella volta della Cappella Sistina, visti da Raffaello prima che fossero disvelati il 14 agosto 1511; con la scoperta degli “eroi dello spirito” prese il posto di Leonardo come riferimento ideale.
In quei giorni, nel luglio 2011, Raffaello ebbe l’incarico di affrescare le pareti della sala delle udienze del papa, la “Stanza di Eliodoro”, in mostra sono esposti dei disegni preparatori. Non più temi allegorici ma scene storiche su eventi del pontificato di Giulio II che minacciavano la vita della Chiesa, con le pressioni esterne e le incertezze interne cui il papa reagiva vittoriosamente grazie alla protezione divina. Quindi maggiore drammaticità, rispetto al distacco dei temi filosofico-letterari nella “Stanza della Segnatura”, ottenuta anche con chiaroscuri più intensi e colori più forti.
Nella prima parete affrescata c’è la “Cacciata di Eliodoro dal tempio” 1511, con il ministro Eliodoro gettato a terra dai guerrieri celesti, il Sommo sacerdote e il papa sulla portantina, i cui portatori hanno il volto di Raffaello e dell’incisore Raimondi che faceva stampe dai suoi disegni. Sul retro del foglio con il disegno preparatorio, un altro disegno con lo studio per l’affresco della “Messa di Bolsena” sul dogma della “transustanziazione”, con Giulio II inginocchiato e partecipe all’evento del sacerdote che dubitava e si ricredette al sangue sgorgato dall’ostia. Il successivo affresco nella parete sud con “La visione del settimo sigillo” 1512 raffigura Giulio II inginocchiato e Giovanni Evangelista che scrive, rispettivamente sulla sinistra e sulla destra di una composizione dominata dalle imponenti figure poste al centro che si librano in alto nell’aria.
Nella parete opposta la “Liberazione di san Pietro” 1512, che Achim Gnam definisce “un unicum nella storia dell’arte” con la luce divina dell’Angelo che spezza le catene in una composizione in cui la drammatica sequenza è raffigurata in tre parti distinte strettamente compenetrate. Il Papa il 22 giugno 1512 era andato a ringraziare il santo per l’avvenuta liberazione dai francesi ottenuta con l’aiuto divino.
L’”Incontro tra Leone Magno e Attila” è l’ultimo affresco della stanza, la cacciata dei francesi viene celebrata ricordando il ritiro degli Unni per il coraggio con cui il Papa affronta il loro capo Attila, lo si vede con la tiara pontificia su un cavallo bianco in testa ai religiosi dinanzi ai fanti e ai cavalieri nemici scalpitanti; mentre in un disegno preparatorio esposto è sulla sedia gestatoria davanti a un corteo tranquillo a fronte dell’esercito barbaro impetuoso e in un disegno successivo, della bottega, è sullo sfondo con il suo gruppo mentre i barbari sono in primo piano in un confusione espressa plasticamente con Attila che indietreggia accecato dalla luce divina dinnazi a due “miles christani” armati di spada. “Gareggia con le scene di battaglia di Leonardo e Michelangelo”, commenta Achim Gnam.
Oltre a queste importantissime committenze papali, che lo assorbivano molto, ne aveva altre esterne alla corte pontificia, soprattutto da Agostino Chigi, che peraltro aveva stretti rapporti con Giulio II di cui era stato finanziatore ed era disposto ad attendere che fosse libero dagli impegni papali perchè potesse lavorare per lui. Le “Sibille e gli angeli” nella Cappella Chigi in Santa Maria della Pace richiamano nella loro danza le Muse del “Parnaso”; non realizzò la pala d’altare ma la cupola fu decorata dal mosaicista veneziano Luigi De Pace su suoi disegni, abbiamo inoltre disegni per una “Assunzione” e un “San Sebastiano”. Si impegnò per Agostino Chigi oltre che nella cappella anche nella villa sul lungotevere, Villa Farnesina, con il “Trionfo di Galatea” 1512, la cui figura si ispira alla “Leda” di Leonardo: “La dialettica tra la ninfa che aspira all’amore divino e i suoi seguaci che preferiscono abbandonarsi ai piaceri terreni esprime un’idea centrale della filosofia platonica”, osserva Achim Gnam citando Thoenes.
Una vasta serie di disegni preparatori, tra il 1509 e il 1513, esposti in mostra, fa entrare nel fervore artistico con al culmine la realizzazione degli affreschi. Sono, per la “Disputa del Sacramento”, il “Gruppo inferiore” e lo “Studio di nudo”, “La Madonna della disputa del Sacramento” e “Studi con un sonetto”, uno dei cinque suoi sonetti autografi conservati; per il “Parnaso” due “Teste di Musa” e “Apollo che suona la viola”, “Studi di figure” e “Studi di panneggio”. Poi per figure allegoriche ed evocative come la “Teologia” e per la spettacolare composizione già citata “La visione del settimo sigillo”, “Lucrezia”, “Studio per una Sibilla”, e “Alessandro Magno fa deporre i libri di Omero nello scrigno di Dario”, cui fa eco artistica “La dottrina delle due spade”; figure e armati, “Uomo barbuto con veste drappeggiata e giovane nudo che porta dei libri” (recto) e “Studi di figure” (verso),“Studio per un soldato con ascia” e “Studio per due soldati accovacciati”, e immagini religiose, “Studio per Gesù Bambino” e “Studio per la ‘Discesa di Gesù al Limbo’”, “Morte e incoronazione di Maria” e “Incoronazione della Vergine” ,“Due studi di mezze figure virili e due angeli volanti”. Fino allo “Studio per una Madonna”, e per la “Madonna col Bambino, sant’Elisabetta e un’altra santa” , per la “Madonna d’Alba” e la “Madonna del Pesce”.
Dai disegni ai dipinti, preparano all’epopea religiosa i ritratti, l’effigie di un “Cardinale” 1510, il “Ritratto di Tommaso Inghirami detto ‘Fedra’” 1510-12 – umanista prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana – e il “Ritratto di Giulio II” 1511-12, donato dal papa alla basilica di Santa Maria del Popolo, esposto dopo la sua morte, nei giorni festivi di fronte alla “Madonna di Loreto”. Così finalmente facciamo la conoscenza delle celeberrime Madonne di Raffaello di questo periodo, per vari committenti: sono del 1510 la “Madonna d’Alba”, del 1511 la “Madonna dell’Impannata”, la “Madonna Aldobrandini”, e la “Madonna del Diadema blu”, del 1511-12 la “Madonna di Loreto”, del 1512 la “Madonna del Pesce” e la “Madonna di Foligno”, del 1512-13 la “Madonna Sistina”.
Le figure hanno atteggiamenti molto diversi, accomunati dal giudizio che Achim Gnam dedica all’ultima, la “Madonna Sistina”: “Con il loro carattere monumentale, le figure hanno una presenza subitanea; si insinuano nella vita reale dell’osservatore, che però percepisce la scena come una visione… la visione dell’immagine tocca nel profondo l’animo di chi guarda, diventando un’esperienza personale di fede”.
Con Leone X, un altro culmine insuperato dell’artista sublime
Le Madonne citate, alcune esposte in mostra, sembrerebbero il massimo dell’arte anche di un grandissimo maestro come Raffaello. Sono state dipinte tra i 27 e i 30 anni, quindi nella prima fase di una parabola artistica che si concluse solo sette anni dopo, nel 1520, con la sua prematura scomparsa. Ma in quei sette anni la sua attività divenne ancora più intensa, con il nuovo papa Leone X succeduto a Giulio II.
Su questo periodo la presidente del Comitato scientifico Sylvia Ferino-Pagden, osserva che le opere che ne fanno parte, pur riguardando la fase finale della sua parabola artistica, dato che si svolgono tra i 30 e i 37 anni di età, non possono essere accostate alle ultime opere di Tiziano, Michelangelo, Monet, vissuti molto a lungo, ai quali noi aggiungiamo Guttuso. Nemmeno la “Trasfigurazione”, che la morte gli impedì di terminare, reca i segni premonitori di una fine del tutto inattesa. La mostra “Late Raphael/El ultimo Rafael”, con “Raphael, Le dernières années” ha contribuito a far considerare “opera tarda” quella realizzata in questo periodo, mentre la Ferino-Pagden meritoriamente la definisce “’opera dell’epoca di Leone X’ o ‘opera leonina’ tout court , restituendo così un po’ di energia giovanile a questo artista, drasticamente sottratto alla vita a soli 37 anni”.
E aggiunge che la “Stanza della Segnatura” e “La stanza di Eliodoro” , come le Madonne eseguite durante il papato di Giulio II, “erano e sono tuttora considerate il culmine dell’arte di Raffaello e del Rinascimento in generale, nel loro equilibrio tra l’elevato contenuto spirituale e la perfetta armonia del vocabolario visivo”. Ma poi precisa: “Realisticamente parlando, tuttavia, sono le opere eseguite negli anni del pontificato di Leone X, caratterizzate da una ‘perfetta fusione delle forme classiche con i contenuti cristiani’, che non solo determineranno la fama postuma dell’Urbinate, ma plasmeranno il linguaggio formale del resto del Cinquecento e dei secoli successivi in tutta Europa”.
Per le “forme classiche” si ispirava ai monumenti e alle statue, alle sculture e ai rilievi, alle monete e ai documenti scritti, oltre che ai dipinti dell’antichità, che aveva sotto gli occhi a Roma, “per il loro valore, funzione, forma e messaggio … per sperimentare nuove strategie narrative e forme compositive”, in aggiunta ai modelli di Michelangelo e all’arte di Leonardo conosciuta già a Firenze: “La somma di tutte queste esperienze lo porta ad approfondire ulteriormente la sua indagine dell’animo umano in un crescendo ispirato al chiaroscuro leonardiano, culminato in dipinti emozionanti come la “Trasfigurazione”.
Va ricordato che, a differenza del periodo con Giulio II, in cui era rimasto abbastanza isolato nel suo rapporto esclusivo con il pontefice, e con Agostino Chigi, con Leone X si trovò a stretto contatto con la corte papale ben diversamente orientata. Il nuovo papa era figlio di Lorenzo il Magnifico, cioè figlio d’arte, per così dire, nella consuetudine con artisti e con le collezioni di arte e di opere antiche del padre che aveva fatto di Firenze il maggiore centro culturale promuovendo le diverse discipline artistiche e musicali, filosofiche e letterarie. L’intento del nuovo pontefice era di seguirne l’illustre esempio trasformando la corte papale in un cenacolo culturale – un “think thank” come lo chiama in termini moderni la Ferino-Pagden – del quale facevano parte umanisti e poeti come Pietro Bembo e Tommaso Inghirani detto ‘Fedra’, al quale dedicò il ritratto prima citato, Baldassarre Castiglioni che abbiamo già incontrato, poeti e collezionisti, architetti come i Sangallo, e tanti pittori.
“Questa fucina di ingegni – commenta la studiosa – trovò in Raffaello il catalizzatore ideale. La sua curiosità creativa, unita a una geniale rapidità di giudizio e al desiderio di mettere a frutto tutte le nuove possibilità che si aprivano in questo ‘biotopo’ intellettuale, liberò nella sua mente un’immensa energia inventiva che si irradiava in ogni direzione finendo di coinvolgere tutta la corte”. Ne derivò una pioggia di committenze anche in architettura e scultura, ma soprattutto in pittura; in parte incompiute per la morte prematura, “ a dimostrazione del piacere di sperimentare con il quale accoglieva ogni nuovo incarico o si metteva all’opera su progetti da lui stesso ideati e proposti”.
I risultati non potevano che essere straordinari, la mostra ne presenta un campionario, spigoleremo fior da fiore per darne un’idea sia pure forzatamente sommaria e del tutto inadeguata. La bellezza delle sue opere è tale “ch’intender non lo può chi non la prova”, cioè chi non la vede direttamente nella straordinaria galleria espositiva offerta all’ammirazione dei visitatori: l’associazione di idee del verso petrarchesco ci viene ispirata dalla associazione che di Raffaello viene fatta con Petrarca.
Apriamo la nostra rassegna delle perle artistiche di questa fase culminante esposte in mostra con una serie di disegni che citiamo in ordine cronologico. Del 1514, in pietra nera “Modello per l’estasi di santa Cecilia”, di cui vedremo il dipinto, in carboncino “Mosè inginocchiato davanti al roveto ardente”, in pietra rossa “Allegoria della Fede”; 1514-15, in pietra rossa “Studio per la predica di san Paolo agli Ateniesi”; 1515, in penna e inchiostro “Pesca miracolosa”; 1516, in pietra rossa “Venere e Amore”; 1516-17, in pietra nera, pietra rossa, pennello, inchiostro “Dio Padre con i simboli degli evangelisti”; 1517, in pietra rossa “Studio per Mercurio e Psiche nel ‘Concilio degli dei’” e “Studio per Psiche che presenta a Venere il vaso di Proserpina”, “Studio per Venere e Amore davanti a Giove” e “Studio per Bacco che mesce il vino”.
Seguono, 1516-18, in pietra nera “Studio per la ‘Cacciata dal Paradiso terrestre’”, “Studio per ‘Abramo e i tre angeli’” e “Studio per ‘Giacobbe e le figlie di Labano al pozzo”, in penna e inchiostro “Studio per la ‘Divisione della Terra promessa’”, in pietra rossa “Studio per la ‘Sacra Famiglia’ detta ‘Petite Sainte Famille’”; 1517-18, in pietra rossa“Studio per san Giovanni Battista” e “Il sogno di Giacobbe”, tre “Studi per la ‘Sacra Famiglia di Francesco I”, un “Bambino con le braccia protese”, una “Giovane donna seduta con le braccia tese verso un fanciullo” , una “Madonna seduta in atto di prendere tra le braccia, studio separato del busto della Madonna”, tutti 1518; in pietra nera “Tarquinio e Lucrezia”; 1519-20, in pietra nera “Studio di nudo che scaglia una pietra”, e “Studio di figure per l’allegoria della Carità” per la “Sala di Costantino”, per la quale anche, in penna e inchiostro “Papa con libro dentro una nicchia e altre figure”, in carboncino”Studio per la Vergine della ‘Deesis con i santi Paolo e Caterina d’Alessandria’”, con il Busto di giovane donna velata; 1520, con Giulio Romano, “Lapidazione di santo Stefano”, in cui collega sfera divina e umana.
E’ una carrellata di composizioni e figure singole, con particolare attenzione ai corpi soggetti a varie influenze nella successione degli anni, spesso in contaminazione con diverse derivazioni dato che si ispirava a singoli dettagli di diversi artisti o reperti sublimandoli nella sua personale sintesi artistica. Seguiva il criterio – già inculcatogli dal padre artista e letterato – di ispirarsi a più modelli invece che a uno solo anche se eminente, espresso per l’attività letteraria nella lettera di Angelo Poliziano all’amico Cortese in cui respinge l’appunto di non essere abbastanza ciceroniano rivendicando la propria libertà espressiva; lo si trova anche nella lettera prima attribuita a Raffaello, in seguito a Baldassar Castiglione, ora a Dolce, in cui si parla della ricerca dovunque di ciò che si può trovare di più bello e adeguato per la singola narrazione.
Così la Ferino-Pagden commenta questa fase conclusiva: “La pittura di Raffaello diventa più versatile, più varia, ancora più intensamente volta alla visualizzazione più appropriata del soggetto. La sua visione del creato si fa più universale e i suoi paesaggi includono ora un maggior numero di esemplari della flora e della fauna, scene notturne , rovine, bagliori lontani, come pure a dettagli di genere di matrice neerlandese. Le azioni si fanno più eloquenti, più drammatiche. La gestualità e la mimica vengono sempre più finemente diversificate”.
Ed eccone gli effetti: “Questo approfondimento in tutti i campi della pittura ha condotto alla formulazione del grande stile classico che ha dato a Raffaello un’autorevolezza unica”. Una formula vincente, dunque: “Il suo successo risiede nel fatto che i gesti, le posture e le espressioni dei personaggi sono mutuati dai modelli antichi, di cui l’artista esplora l’intera gamma di imitazioni ed emulazioni possibili, dalla citazione puntuale alla totale assimilazione”. Ma il tutto inglobato nella visione personalissima del genio.
I disegni sopra citati danno un’idea del lavoro preparatorio con il quale imitazioni, emulazioni e citazioni venivano preparate accuratamente a livello grafico con vari strumenti e materiali. Poi si passa ai dipinti a olio, oltre agli affreschi, in cui tutto assume forma compiuta a livelli eccelsi.
Dopo il già ricordato “Ritratto di Giulio II”, ieratico nel suo seggio con le dita inanellate, sei-sette anni dopo ecco il “Ritratto di papa Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi” 1518, significativamente non da solo ma con parte della corte papale con cui Raffaello aveva uno stretto rapporto, le dita senza anelli, ma con una lente, una campanella e un messale miniato, in posa dinamica. Come all’epoca di Giulio II avevamo il “Ritratto di Tommaso Inghirami detto ‘Fedra’”, citato in precedenza, ora il “Ritratto del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena” 1516-17. Altre figure maschili, “Ritratto di ragazzo” 1513-16 e il tondo “Ritratto di Valerio Belli” 1517.
I dipinti in tema religioso mostrano una notevole varietà compositiva. Nella “Madonna del Divino Amore” 1516 i due volti femminili ravvicinati, quello purissimo della Vergine e l’altro di Elisabetta con i segni del tempo, sono rivolti ai due bambini, Gesù e il piccolo Giovanni Battista, in un suggestivo contrappunto, e così nella “Madonna del cardinal Bibbiena” 1516-18, nella “Madonna della Gatta” e nella “Sacra Famiglia (La Perla)” entrambe 1518-20. Chissà se questo accostamento suggerì a Caravaggio i due volti femminili, giovane e vecchio, parimente contrapposti nel suo “Giuditta e Oloferne”?
Nella “Visitazione” 1516-17, lo stesso pudore del capo reclinato, questa volta con gli occhi abbassati, in un contesto ambientale ricco e movimentato da figure lontane e in volo. Poi nella “Madonna della Rosa” e nella “Madonna della Quercia”, entrambe 1518-20, lo stesso sguardo rivolto ai due bambini che giocano, ma vicino al suo viso non più il volto femminile attempato ma un volto maschile che emerge dal buio nel primo, con uno sfondo aperto all’orizzonte nel secondo.
Oltre alle Madonne predilette, troviamo altri soggetti nella temperie artistica terminale, anche se – ripetiamo – non qualificabile come “tarda” avendo dai 33 ai 37 anni: l’“Estasi di santa Cecilia (santa Cecilia con i santi Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e Maria Maddalena)” 1518, è una composizione quanto mai complessa, con le cinque figure in piedi al centro, sormontate da una nuvola di angeli, mentre davanti a loro a terra vi sono diversi strumenti musicali; eccezionale che gli sguardi vadano tutti in direzioni diverse, in alto e in basso, davanti, a destra e a sinistra.
Come è complessa la composizione precedente, l’“Andata al Calvario (Spasimo di Sicilia)” 1514-16”. Al contrario, “San Giovanni Battista” 1518, dedicato al santo patrono di Firenze ed eponimo del papa, è una figura forte, pur nell’adolescenza, lo sguardo fisso in avanti, il braccio destro alzato davanti a una roccia scura con uno piccolo squarcio di orizzonte. L’inserimento del paesaggio rimanda a Leonardo, il cui san Giovanni Battista sorrideva mentre qui è serio e ammonitore, la posa richiama il “Laocoonte”, e il busto in torsione quello del “Toro Gaddi” o di Giona, dalla statua per la Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo. La Ferino-Pagden, nel fare tali rinvii, commenta: “Questa antitesi tra il senso cristiano della missione e il canone di bellezza classico, resa in una strana atmosfera crepuscolare, fungerà da modello per le numerose versioni del modello realizzate da Caravaggio”.
Emerge dall’oscurità nella sua luminosità abbagliante una delle opere terminali, nella quale è come se “La Velata” 1512-13 oltre al velo avesse fatto cadere le vesti: ha la mano sul seno come nel “Ritratto di giovane donna” 1518-20 (con Giulio Romano) nella quale è coperto dalle vesti, mentre nel “Ritratto di donna nei panni di Venere” il seno che la mano protegge pudicamente è scoperto. Si tratta della celeberrima “Fornarina” 1519-20, lo sguado è fermo e sicuro, come nelle altre due opere appena citate, un atteggiamento ben diverso dalle Madonne che esprimono abbandono e contemplazione. Con questo sguardo che resta impresso nel visitatore si chiude la nostra galleria rievocativa del sommo artista. Lo vediamo nella maturità nel particolare dell’ “Autoritratto con un amico” del 1518-19, in cui si ritrae com’era pochi mesi prima della morte, raffrontandolo idealmente all’ “Autoritratto” a 23-25 anni messo in apertura.
Siamo al culmine dell’arte del grande Raffaello, che “di anni trentasette finì la vita, giunto a sì alto segno, che a più sublime non poteva poggiare”, come scriveva nel 1550 Lomazzo citato dalla Ferino-Pogden che significativamente commenta: “Mi sia consentita una domanda per così dire ’controfattuale’ nell’anno in cui celebriamo i cinquecento anni dalla morte del grande Urbinate; se Raffaello fosse vissuto altri cinquant’anni, come per esempio Michelangelo, e avesse perseverato – eticamente ed esteticamente – nel suo spirito ottimistico ed entusiasta e nella sua fede nella bellezza del creato, superando anche il Sacco e i conflitti religiosi, come ci potremmo immaginare la sua vera ‘opera tarda’?”.
Eike D. Schmidt, che dirige le Gallerie degli Uffizi, ha dato una risposta su ciò che lo avrebbe aiutato dinanzi “all’urgere dei tempi”: “La forza della memoria, la consapevolezza dell’eredità del passato e la responsabilità nei confronti di esso, insieme a un’indomita tensione progettuale verso il futuro”. Ma resta, in tutta la sua portata, l’interrogativo posto dalla Ferino-Pogden sull’evoluzione artistica che avrebbe potuto avere l’ancora giovane Raffaello in un’ulteriore maturazione sostenuta dal suo spirito aperto alla bellezza.
Facciamo nostra tale domanda assillante a coronamento dell’emozionante immersione nella sua arte così coinvolgente. C’è il detto “ai posteri l’ardua sentenza”, ma ci sentiamo impari dinanzi a una tale sfida. Quindi è destinato a restare senza risposta l’interrogativo di cosa avrebbe dato nell’oltre mezzo secolo che aveva davanti ai suoi 37 anni, l’età in cui fu sottratto prematuramente alla vita e all’arte. Ma ciò che ci ha lasciato nel suo breve itinerario terreno non è una meteora, risplenderà per sempre di una luce imperitura.
Info
Scuderie del Quirinale, via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì, ore 10,00-20,00 venerdì e sabato ore 10,00-22,30 ingresso consentito fino a un’ora dalla chiusura. Per far fronte al gran numero di prenotazioni ampliando la ricettività nel rispetto del condizionamento delle presenze, dal 19 agosto ore 8-23, con prolungamento speciale della chiusura dal 24 al 27 agosto all’una di notte, e nel week end finale del 28-30 agosto apertura ininterrotta h 24 dalle ore 8 di mattina. Prenotazione on line, termoscanner e igienizzazioni mani, distanze, presenze contingentate. Ingresso e audioguida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per under 26, insegnanti, gruppi, forze dell’ordine, invalidi parziali, euro 2 per under 18, guide, tessera ICOM, dipendenti MiBAC, gratuito per under 6, invalidi totali. Tel. 06.81100256. www.scuderie.it. Catalogo: “Raffaello 1520-1483”, a cura di Marzia Faietti e Matteo Lafranconi con Francesco P. Di Teodoro, Vincenzo Farinella, la presidente del Comitato scientifico Sylvia Ferino-Pagden, Skira, Scuderie del Qirinale, Gallerie degli Uffizi, marzo 2020, pp. 550, formato 24 x 28: dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I precedenti due articoli sulla mostra sono usciti in questo sito il 28 e 29 agosto 2020. Per le citazioni del testo cfr. i nostri articoli: in questo sito, su Leonardo, 6 giugno 2019; in www.arteculturaoggi.com, su Ovidio 1, 6, 11 gennaio 2019, Guttuso 14, 26, 30 luglio 2018, 16 ottobre 2017, 22 settembre, 2, 4 ottobre 2016, 25, 30 gennaio 2013, Impressionisti 9 gennaio 2018, 12,18, 27 gennaio, 5 febbraio 2016, Caravaggio 25 maggio, 6 giugno 2016, Caravaggio, Carracci e seguaci, 5, 7, 9 febbraio 2013, Tiziano 10, 15 maggio 2013; in cultura.inabruzzo.it, Leonardo e Michelangelo 6 febbraio 2012, Leonardo 23 febbraio 2011, 11 gennaio 2010, 6 luglio, 30 settembre 2009, Lotto 2, 12 giugno 2011, Dante, 2 articoli 9 luglio 2011, Monet 27, 29 giugno 2010, Caravaggio 26 luglio, 8, 11 giugno, 23 febbraio 2010, Caravaggio e Bacon 21, 22, 23 gennaio 2010; in fotografia.guidaconsumatore.it Caravaggio 13 aprile 2011(i due ultimi siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, sono intanto disponibili).
Foto
Le immagini, tutte di opere di Raffaello, la gran parte prese dal Catalogo, sono inserite nell’ordine di citazione nel testo, mentre per “La scuola di Atene” e “Il Parnaso”, “La cacciata di Eliodoro dal tempio” e “Il trionfo di Galatea” commentate in questo articolo, le immagini sono riportate nel primo articolo dove sono citate come presentazione. Si ringraziano Federica Salzano di Comin&Partners, che cortesemente ha fornito 20 immagini e il Catalogo, con i titolari dei diritti e l’Editore, per l’opportunità offerta. In apertura, “Ritratto del papa Giulio II” ante 1512; seguono, “Studio di nudo per ‘la “Disputa del Ssacranento'” , e “La Madonna della ‘Disputa del Sscranento'” 1509; poi, “Studio per la “Disputa del Ssacranento’ e un sonetto” e “Testa di Musa” 1509-11; quindi, altra ““Testa di Musa” 1509-11 e “Alessandro Magno fa deporre i libri di Omero nello scrigno di Dario” 1513-14; inoltre, “Studio per un soldato con ascia” , e “Studio per due soldati accovacciati” 1512-13; ancora, “Ritratto di Tommaso Inghirani detto ‘Fedra’” 1510-12, e “Madonna d’Alba” 1510, disegno preparatorio e opera; continua, “Madonna dell’Impannata” 1511, e “Mosè inginocchiato davanti al roveto ardente” 1514; prosegue, “Studio per la predica di san Paolo agli Ateniesi” 1514-15, e “Pesca miracolosa” 1515; seguono, “Studio per Mercurio e Psiche nel ‘Concilio degli dei’” e “Studio per Venere e Amore davanti a Giove”“ 1517; poi, “Il sogno di Giacobbe” 1517-18, e “Madonna seduta in atto di prendere tra le braccia, studio separato del busto della Madonna” 1518; quindi, “Studio di figure per l’allegoria della Carità” e “Papa con libro dentro una nicchia e altre figure” 1519-20; inoltre, “Ritratto di papa Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi” 1518, e “Ritratto del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena” 1516-17; ancora, “Ritratto di ragazzo” 1513-16, e “Madonna del Divino Amore” 1516; continua, “Visitazione” 1516-17, e “Madonna della Rosa” 1518-20; prosegue, “Estasi di santa Cecilia (santa Cecilia con i santi Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e Maria Maddalena)” 1518, disegno preparatorio e opera, e “San Giovanni Battista” 1518; infine, “La Velata” 1512-13, e la “Fornarina” 1519-20; in chiusura, “Autoritratto con amico” 1518-19, l”Autoritratto.