17^ Quadriennale d’Arte, 1. “Fuori”, le ideologie e i contenuti, al Palazzo delle Esposizioni

di Romano Maria Levante 

Al Palazzo delle Esposizioni, con la mostra “FUORI”, la  Fondazione Quadriennale di Roma  presenta la 17^ edizione della Quadriennale d’Arte  con le opere di 43 artisti selezionati da due curatori, il direttore artistico della Fondazione Sarah Cosulich  e Stefano Collicelli Cagol. La mostra è realizzata con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo, in collaborazione con l’Azienda Palaexpo per la sede espositiva. L’esposizione, inizialmente prevista dal 20 ottobre 2020 al febbraio 2021, a seguito della chiusura prolungata per l’inasprirsi della  pandemia  è stata  prorogata fino alla primavera 2021, dopo la riapertura dal 4  febbraio per i giorni feriali; ingresso gratuito  per il contributo del “main partner” Gucci.  Catalogo Treccani,  bilingue.

Il Palazzo delle Esposizioni, sede storica della mostra  

L’anomalia di una mostra chiusa poco tempo dopo l’inaugurazione per la pandemia Coronavirus consente di trarre dalla minaccia un’opportunità, pur se relativa, secondo l’imperativo manageriale che trasferiamo all’ambito artistico: rovesciare la modalità ordinaria che consiste nell’iniziare con  la visita alla mostra – magari documentandosi prima con  qualche  notizia di massima sugli artisti espositori  – per poi procedere all’eventuale approfondimento successivo sul Catalogo. Vale per il visitatore come per il cronista  che la racconta, anche nel nostro caso dopo le anticipazioni che abbiamo fornito nel luglio 2020 sugli artisti e sull’impostazione allorché è stata presentata la 17^ Quadriennale d’Arte “Fuori”.   

Un primo accenno all’interpretazione dell’arte contemporanea

In questa inversione di approccio passiamo subito all’approfondimento dei contenuti tramite il voluminoso Catalogo, cogliendo l’occasione per iniziare con la questione che si apre sull’arte contemporanea al visitatore e al cronista: annosa questione che nasce dalla lunga assuefazione al concetto che l’arte è l’espressione della bellezza, la quale, tra l’altro, salverà il mondo….   e non è stato facile superare un’idea così fascinosa rendendo l’arte espressione dei tormenti dell’artista e  del mondo esterno.

Romeo Castellucci-Socìetas

Ma per l’arte contemporanea tale evoluzione non basta, data  l’assenza di qualsiasi  limite, anche estremo, alla stravaganza, per cui vengono ritenute artisticamente valide espressioni che secondo la percezione comune  non sono altro che assurdità inenarrabili. Ed è qui che va portata la riflessione del cronista vicino al visitatore, senza la presunzione di certi critici nella loro torre d’avorio chiusa all’evidenza.  E l’evidenza è la sensibilità della gente comune che va semmai educata, non ignorata.

Il nuovo presidente  della Quadriennale di Roma – succeduto nell’ultimo anno a Franco Bernabè, che negli anni precedenti ha preparato la mostra – Umberto Croppi, anticipa l’impatto che si ha dinanzi alle opere esposte esordendo così: “L’arte non è rappresentazione del mondo… nel migliore dei casi l’arte ne è un’interpretazione, è un medium, è uno strumento rivelatore di essenze latenti. E’ una metafora. E quando l’arte è viva…  nel momento in cui si manifesta,  dispiega per intero questa sua capacità rivelatrice”.  Ma se deve rivelare, non può non avere il requisito della  comprensibilità e della accessibilità, anche se con i dilemmi da oracolo di Delfo.

  Sylvano Bussotti

Per questo forse Croppi afferma: “Sembra banale in questa sede sfatare il luogo comune  per cui l’arte contemporanea sia difficile da capire”, e lo spiega così: “Ogni produzione creativa è contemporanea al proprio tempo ed è semmai questo uno strumento per la sua comprensione”.  Addirittura,  non soltanto contenuto e significato delle opere sarebbero trasparenti, o comunque “non difficili da capire”, ma anzi aiuterebbero a comprendere la  realtà esterna ancora più criptica e incomprensibile della trasposizione artistica.

Accettiamo questo apparente capovolgimento della “vulgata” corrente secondo la quale la realtà si spiega con la sua evidenza, mentre l’arte contemporanea si sottrae alla comprensione sovvertendo ogni criterio interpretativo e valutativo.  E cerchiamo di  capirne  noi stessi, per comunicarlo ai lettori, il background culturale e artistico, affidandoci ai curatori della mostra; e riprendendo – alla fine della nostra narrazione degli artisti e delle loro opere esposte nella 17^ Quadriennale d’Arte –  il tema per noi basilare della comprensibilità, che le parole di Croppi non possono di certo esaurire.  

Anna Franceschini

Sarah Cosulich, dal “gioco della matassa” interdisciplinarietà e apertura

Facciamo  riferimento innanzitutto alle considerazioni introduttive dei curatori, cominciando da  Sarah Cosulich, direttore artistico della Quadriennale, scelta dal presidente che ha preceduto Croppi, Franco Bernabè, dopo una selezione in base al suo programma collimante con lo spirito della Quadriennale: la promozione dei giovani talenti con formazione qualificata e il loro sostegno anche all’estero.

Di qui sono nati i due programmi “Q-Rated” e “Q-International”, e  la lunga e attenta  ricognizione nel territorio che ha portato alla scoperta di energie artistiche valide e spesso ignorate, alcune delle quali sono tra i 43 espositori, insieme a “pionieri” degli ultimi sessant’anni  rivisitati perché in loro sono stati trovati  fermenti anticipatori del futuro che allora non erano percepibili.

Raffaela Naldi Rossano in primo piano, Diego Gualandris alle pareti

La Cosulich  collega le proprie argomentazioni al “gioco della matassa”, ricordando l’allestimento  dell’architetto Piero Sartogo della mostra  curata da Achille Bonitoliva nel  1970 sulla “Vitalità del negativo”: “I lunghi elastici a forma di X posizionati sopra la testa degli spettatori tagliavano  e abbassavano la sala che, con la volta oscurata, diventava incombente”. Ora questo le ispira “un ambiente fluido e aperto,  come parte di un paesaggio virtuale e futuristico in potenziale espansione”.

Si ha la sensazione che toccando i fili si generino conformazioni nuove  e diverse: “La Quadriennale d’arte 2020 non vuole rappresentare più solo una tensione, ma un’esplosione dei fili che possa dissolvere in modo metaforico il binarismo tra dentro e fuori e, in un rinnovato senso di connessione tra discipline, aprire al senso di trasversalità e di contaminazione”.  

Chiara Camoni in primo piano, Raffaela Naldi Rossano sul pavimento, Diego Gualandris alle pareti

In questa visione, “il gioco dello spago è simbolo di una Quadriennale che vuole aprirsi a nuove letture dell’arte italiana, procedendo non tanto per movimenti, ma partendo da immaginari interdipendenti costruiti da fili che  possono tendersi e  allentarsi senza mai delimitare uno spazio”. L’allentarsi dei fili senza delimitare lo spazio, insieme ai nuovi talenti, ha  fatto pescare fino a  mezzo secolo indietro, “inglobando nella contemporaneità, con uno spirito antigerarchico e multidisciplinare, anche approcci artistici d’avanguardia”: i pionieri cui abbiamo accennato.

Quindi un primo punto fermo, alquanto sorprendente:  nell’esaltazione della contemporaneità proiettata nel futuro ci si aggrappa alle opere d’arte lontane nel tempo e dimenticate, viste come  anticipatrici e preveggenti: “Significa partire da un passato da  riscoprire e ricontestualizzare e vivere il presente attraverso una possibilità di futuro difficile ma necessaria da considerare”.

Tomboys Don’t Cry

Un secondo punto fermo è che non ci si muove in un tempo  “linearmente progressivo”, ma attraverso “immagini interconnesse come quelle del gioco della matassa”, che investono diverse modalità espressive, e cancellano “i confini tra spazio interno ed esterno a favore di uno spazio fluido, narrativo, immaginativo e  aperto a nuove configurazioni”. 

Interdisciplinarità e apertura, dunque: la Cosulich inquadra le opere presentate dai singoli artisti in questa visione complessiva, ne parleremo ancora quando le passeremo in rassegna una per una.  

Lorenza Longhi

Stefano Collicelli Cagol, l’ideologia dalla “ riparazione”  e la critica sui “pionieri” 

Il co-curatore Stefano Collicelli Cagol  cerca una inaspettata quanto  improbabile  “riparazione”  delle origini del Palazzo delle Esposizioni, realizzato dal fascismo per la propria celebrazione con quattro Quadriennali, nel 1931, 1935, 1939  e 1943, inframmezzate da una  grande manifestazione sulla Rivoluzione fascista. Al riguardo cita “la Storia” di Elsa Morante per “giustificare“ che viene accettata  tale sede con un simile peccato originale, e come “riparazione” pubblica il documento del 1938 per l’esclusione degli ebrei dopo le leggi razziali dalla mostra del 1939, tra loro Corrado Cagli.

Comprendiamo la foga del curatore “newcomer”, ma ci sembrerebbe ingeneroso per le tante Quadriennali dal dopoguerra ad oggi volere e dover fare una “riparazione” soltanto adesso.  Non vorremmo che si ripetesse la “damnatio memoriae” degli artisti, e non solo, di quel periodo, come  Mario  Sironi presente nella prima Quadriennale e, in campo letterario, Gabriele D’Annunzio. Tanto più che il fascismo non volle creare “un’arte di Stato”,  quindi “di regime”, come documentato da Fabio Benzi nel  presentare la  mostra  da lui curata di recente alla Galleria Russo, “Margherita Sarfatti,  e l’arte italiana tra le due guerre”.  Comunque,  non si può tornare indietro rispetto ai  doverosi  “sdoganamenti”  susseguitisi negli scorsi decenni  rispetto al lungo ostracismo seguito alla foga iconoclasta che distrusse nell’immediato la scultura di Adolfo Wildt con il busto di Mussolini.

Lorenza Longhi in primo piano, Irma Blank in secondo piano

Ma forse la “riparazione” si deve al fatto che il Palazzo delle Esposizioni assume un ruolo centrale nella mostra. Sia nel senso visionario di Pasolini, che viene citato, di sede del potere quanto mai lontana dal popolo che resta “Fuori” – di qui il titolo della 17^ edizione – sia per i rapporti  tra arte e potere che vi furono consumati. Oltre al Palazzo, gli altri “vertici del perimetro all’interno e all’esterno del quale ci siamo posizionati”sono Roma, le precedenti Quadriennali, l’Arte italiana.

Delle  Quadriennali del passato vengono criticati “passaggi fugaci o omissioni sorprendenti tra la generazione che, in questa mostra, chiamiamo pionieri”. Anche questo ci sembra ingeneroso dirlo ex post e sulla base di una impostazione ideologica che appare subito dalle immagini in apertura del Catalogo per riassumere l’ultimo decennio. Si pensi che c’è anche il leader del partito della Lega,  Matteo Salvini, fra le 30 immagini di apertura, e il curatore definisce la decade cui le immagini si riferiscono “di sovranismo rampante  tornato a esaltare in modo sguaiato e obsoleto  concetti come patria  e famiglia, su cui si regge la cultura patriarcale italiana”, poi parla  del “ritorno  di richieste di censimenti per le minoranze e di un vocabolario da ‘ventennio’ che si pensavano estinti”. 

Micol Assael in primo piano, Irma Blank  nella parete

Con questo pensiero dominante  vi sarebbe stato il rischio di un’impostazione ideologica, della scelta di artisti collimanti, in una sorta di inedita  “arte di Stato” che neppure il fascismo aveva promosso lasciando libertà agli artisti, a differenza del “Realismo socialista” imposto nei regimi dell’Est, come si è visto nelle mostre allo stesso Palazzo delle Esposizioni con la presidenza di Emmanuele F. M. Emanuele. Ma per fortuna “il gioco della matassa”, su cui la curatrice direttore artistico Cosulich  ha imperniato la propria presentazione, sembra rassicurare sotto questo aspetto.

I capisaldi della mostra secondo i due curatori

Vediamo allora come i due curatori insieme presentano la mostra, dopo aver riassunto le loro singole posizioni, ne riferiamo  precisando quanto accennato in precedenza al riguardo.

Micol Assael al centro, Irma Blank alle pareti

Il collegamento tra “pionieri” del passato e talenti di oggi è il più evidente, sono i percorsi “transgenerazionali”, con le “posizioni d’avanguardia” di allora affiancate agli “immaginari delle giovani generazioni”; inoltre i percorsi “transdisciplinari” con altre discipline – musica e teatro, moda, danza e cinema –  “in continuo dialogo con le arti visive”.

Si spera non sia troppo ideologico neppure “l’arricchimento dato alle espressioni artistiche da visioni queer, femministe, femminili e decoloniali della società e della sua organizzazione politica”, perché vi sono tante altre espressioni che hanno cittadinanza nella società, quindi  devono  essere presentate se hanno sbocco nell’arte. E speriamo non sia contraddittorio riferirsi alle “visioni indipendenti, a modelli artistici alternativi alle narrazioni dominanti”  limitandosi a citare la “radicalità del discorso femminista e omosessuale, transessuale non binario, che ha consentito un inedito approccio all’arte e alla sua tradizione”.

Petrit Halilaj e Alvaro Urbano # 1

A parte questo aspetto, si afferma che la scelta dei 43 artisti non ha seguito tendenze e correnti, ma individualità  e “soggettività” senza alcun “disegno identitario”, che hanno “condiviso uno spazio e un tempo poliedrico e niente affatto irreggimentato”:  non limitato, cioè, neppure alle “visioni” indicate come fossero le uniche meritevoli. Mentre il dubbio viene allorché si legge che la selezione degli artisti è stata effettuata in base alla loro “capacità di sconfinare  in ambiti non strettamente legati alle arti visive ed esprimere immaginari inquadrabili in una lettura più femminile, femminista  e queer”.

Il  rispetto dovuto alla libertà creativa degli artisti – che sembra fosse assicurato anche dall’aborrito regime fascista – non vorremmo fosse condizionato dalla scelta basata sulla coerenza ideologica, tanto  più  nelle opere create  per la Quadriennale d’Arte: ne minerebbe valore e significato.

Petrit Halilaj e Alvaro Urbano # 2

Ci auguriamo che non sia così, le parole della presentazione possono aver tradito le intenzioni oppure  essere state male interpretate da noi, nel qual caso chiediamo venia. Però diverso è avere in mente dei contenuti,  e selezionare i giovani artisti che si sono posti spontaneamente in tale lunghezza d’onda, come nella Quadriennale del 2016 con i suoi 10 percorsi curatoriali, dal selezionarli per la loro adesione a una visione ideologica, magari ex post con opere realizzate quasi su commissione.

Tornando ai contenuti della mostra, vengono riassunti in tre  parole,  il Palazzo,  il Desiderio, l’Incommensurabile. Naturalmente siamo incuriositi oltre che interessati ad approfondirne i risvolti.

Il Palazzo con il riferimento a Pasolini che denunciava  l’arroccamento della politica in un bunker chiuso alla società – il “Fuori” evocato dal titolo della mostra – è “la prima linea di ricerca”. Viene  presentato come metafora “in un momento storico che ha visto movimenti e partiti nati in opposizione al sistema del Palazzo entrare e impegnarsi nel governo del paese”; ma senza osservare subito, come avviene  dopo, che tali movimenti  di fatto sono diventati  connaturati al Palazzo come i partiti  preesistenti,  si afferma che “questa metafora diventa volano per legare alla vita politica momenti differenti della storia italiana e della Quadriennale. Potere e arte sono stati sempre uniti”.

Petrit Halilaj e Alvaro Urbano # 3

Questo è un male, ma lo è pure legare l’arte all’ideologia, non da parte dei singoli artisti, ma da chi li può condizionare in base alla posizione ideologica. “Il tema del Palazzo si declina anche nelle sfarzose feste in maschera nelle quali si sovvertiva  l’ordine  sociale e di cui ci sono rimaste ampie testimonianze”.

Si resta ancora di più senza parole per la conclusione: “La cosmesi delle feste è la medesima che aiuta di volta in volta a cambiare le narrazioni di una società, riposizionandola all’interno di una storia più complessa”. Tanto più che non si tratta di considerazioni generiche: “In questi diversi livelli di significati si è sviluppata la prima linea di ricerca della mostra”. Ci sembra una linea tutta ideologica, e siamo incuriositi di verificare come sarà declinata nell’arte.

Amedeo Polazzo   

Andiamo avanti, sperando di entrare “in più spirabil aere”, e forse ci siamo. La “seconda linea di ricerca”  vede al centro  “il Desiderio come espressione delle proprie pulsioni erotiche o ossessioni personali”. Viene visto come  “tematica queer, internazionale, di rivendicazione del proprio ruolo di artista indipendentemente dal genere”; e ci mancherebbe altro che l’arte dipendesse dal genere,  sono prove del contrario grandi artiste quali Arthemisia Gentileschi e Frida Kahlo, o  come Tamara de Lempicka, se si può citare un’artista del “ventennio”.

Ma qui ci si riferisce a una rilettura degli ultimi 60 anni di arte italiana con la lente erotica per concentrarsi sugli anni ’70 nel “forte movimento di autocoscienza tra gruppi femministi e circoli omosessuali e transessuali”, in chiave  trans-generazionale. Anche su questa linea di frontiera aspettiamo al varco gli artisti.

Alessandro Pessoli

Sembrerebbe ancora più criptica “la terza linea di ricerca”: “Il tema dell’Incommensurabile, di qualcosa che va oltre la capacità di misurare, di razionalizzare attraverso le parole  e il discorso”.  Questo ci riporta alla creatività dell’artista che deve sfuggire a collocazioni artificiose di qualsiasi tipo: “L’ossessione, la necessità di esprimersi come artisti al di là dei riconoscimenti sociali, culturali o economici”.  In altre parole: “L’indicibile che si fa forma o prende forme e mette in scacco la misurazione come elemento attraverso cui fare esperienza della realtà”. 

Ebbene, finalmente siamo d’accordo, vi vediamo  una bella definizione dell’arte contemporanea. Anche perché  si precisa subito dopo: “Per molti giovani artisti la principale sfida oggi è superare la rappresentazione del reale  in favore di nuovi immaginari  e forme in grado di complicare e arricchire la percezione della realtà e la relazione con essa”. Senza ingabbiarli in costruzioni ideologiche  preordinate, come quelle che abbiamo prima criticato, anche se l’ideologia fa parte della loro vita come ne fa parte ovviamente la realtà.

Maurizio Vetrugno # 1

Ed è chiaro che si tratta di “storie personali che si intrecciano a esigenze comunitarie” e le loro sensazioni, se tradotte nell’autentica espressione artistica, “si vogliono far provare e far vivere ai visitatori”. Ma se non è il caso di condizionare gli artisti lo stesso vale  per i visitatori, e allora perché  invitare “il pubblico a prendere posizione, cambiare postura e arricchire il proprio bagaglio di immagini?   Avverrà per la magia dell’arte, se  sarà autentica e  in tal caso – ci riferiamo ancora  al pensiero del presidente Croppi – non solo non è difficile da capire ma aiuta a capire il proprio tempo, purché non caricata di troppi pesi ideologici.

Ci fanno sperare che sia così, dopo i toni  ideologici che abbiamo criticato, le parole con cui Collicelli Cagol definisce l’esposizione: “Una mostra eccentrica, inaspettata e, ci auguriamo, bella”. E spiega quest’ultimo aspetto: “Bella perché la bellezza – in tutte le sue forme, anche quelle più respingenti – è stata da subito per noi il principale orizzonte, un filtro attraverso cui leggere l’arte prodotta dagli artisti italiani  – anche fuori d’Italia – per rinvigorire l’interesse del pubblico nei confronti dell’arte contemporanea”:  e  ce n’è tanto bisogno, aggiungiamo noi, perché spesso è criptica e “respingente”.

Maurizio Vetrugno # 2

Ma la bellezza è un passepartout, anche se nelle forme “più respingenti” può non essere percepita. L’ansia  di contemplarla nelle opere esposte accresce l’interesse per la visita alla mostra, dopo la presentazione del Catalogo di cui abbiamo citato e citeremo i passaggi  più eloquenti e rivelatori..

Vediamo ora come tutto  si ritrovi nella esibizione degli artisti di cui – nel nostro servizio sulle anticipazioni date a suo tempo – fornimmo già qualche sommaria indicazione, sottolineando che 4 di loro erano già presenti nella 16^ edizione del 2016. Li descriveremo tutti, uno per uno, con le opere presentate,  e in questa  ricognizione ci faremo accompagnare dai commenti dei due curatori, che hanno inserito  le citazioni degli artisti nella loro presentazione della mostra, e dalle esaurienti schede illustrative. 

  Lisetta Carmi

Senza una guida simile – che andrebbe tenuta presente da tutti i visitatori – sarebbe forse impossibile e non solo arduo dare qualsivoglia interpretazione a gran parte delle opere esposte e all’intento degli autori: tanto indecifrabili nei contenuti e spesso nella forma che qualche volta  riuscirebbe difficile al comune osservatore persino ricondurre le opere all’arte. Sono esempi di arte contemporanea che non può essere compresa e interpretata  senza una spiegazione dell’intento recondito dell’artista che altrimenti resta, e lo vedremo, imperscrutabile ai più.   

L’allestimento di Bava,  connaturato all’impostazione ideologica 

Ci  prepariamo a entrare nel cuore della mostra parlando dei  43 artisti e delle loro opere, non prima di dire qualcosa sull’allestimento seguendo la spiegazione dell’architetto Alessandro Bava il quale  lo ha realizzato partendo dall’idea che sembra essere alla base dell’esposizione.

Monica Bonvicini

Inizia indicando “la difficoltà esistente nel chiarire quale sia il contributo apportato da un architetto a una mostra”, e questo consente di accennare a uno dei temi più generali, mentre l’altro tema riguarda le difficoltà, per usare un eufemismo, di comprensione e interpretazione dell’arte contemporanea che si pongono con particolare evidenza in questa mostra: l’intervento dell’architetto per un certo stravolgimento ambientale, la comprensibilità per espressioni estreme al limite tra l’arte  e la provocazione.

Soprattutto per  l’arte contemporanea, osserva Bava, si è avuto in passato  “un processo di ‘disinvito’ dell’architetto dalle mostre”, e  ne cita alcune che “mettono in discussione il concetto di forma espositiva quale spazializzazione di conoscenza e idee”.

Cuoghi Corsello

 Ma poi c’è stata un’evoluzione, l’intervento degli architetti viene visto “in un contesto di continuo cambiamento con la visione del mondo degli artisti  e delle pratiche creative tour court,   le quali possono offrire narrazioni e quadri interpretativi attraverso cui guardare. al mondo contemporaneo”. In questa prospettiva ecco la formula adottata: “Il compito di un progettista di allestimenti non si esaurisce nell’offerta di un’’intensità’ da vivere a spese della cognizione e delle emozioni innescate dalle opere d’arte; piuttosto, fornisce un’infrastruttura calibrata su di esse”.

Quindi l’architetto deve resistere alla tentazione di “sviluppare un proprio ‘brand’ riconoscibile in un mercato competitivo”  per realizzare invece “una proposta progettuale senza porsi in antagonismo con le pratiche degli artisti, ovvero senza metterle in ombra, ma piuttosto coesistendo con esse”.

Nanda Vigo

E allora Bava è partito dalla constatazione che “la Quadriennale d’Arte 2020  cerca per la prima volta di superare il proprio modello istituzionale, basato su una mappatura delle forme artistiche attualmente presenti in Italia, con l’intenzione di offrire  una nuova lettura delle ricerche e dei paradigmi artistici  del presente e del passato” ignorati dalle istituzioni, cioè quelli che “sfidano i rigidi confini disciplinari e che travalicano medium e canoni”, in particolare le forme che, “per ragioni di genere e di identità sessuale, si collocano saldamente al di fuori del canone patriarcale”.

E quale risposta dà l’architetto all’esigenza di rovesciare i canoni  dato che “spazio e architettura sono diventati un medium fondamentale sia per gli artisti che per i curatori”?   Ci aspettiamo che sia un capovolgimento anche della forma  espositiva perché il medium architettonico sia coerente con il suo contenuto artistico.

Davide Stucchi

Infatti, entrando nello specifico, spiega che “l’aggiunta di pareti in cartongesso provvisorie determina una nuova spazialità e al tempo stesso nasconde e incornicia il Palazzo”. L’“effetto prospettico forzato” dell’“infilata” di stanze artificiali amplifica il “classicismo simmetrico”, mentre una nuova “stanza” all’interno della rotonda centrale interrompe il flusso consueto di “accesso monumentale”  ai sette  consueti ambienti espositivi storici.

Anche l’architetto, come il curatore, la butta in politica per così dire, e non poteva fare altrimenti per essere coerente con l’impostazione: “L’ethos del progetto può essere definito  come ‘razionalista’, costituendo un tentativo deliberato…  di sradicare dal razionalismo la sua semantica autoritaria, ben espressa nel contesto romano, avvicinandolo a una spazialità democratica, inclusiva e ‘gentile’”.

Tomaso De Luca # 1

Si deve dire che l’architetto mette tra parentesi “considerata la specifica missione della mostra” dove abbiamo posto i puntini di sospensione; ma questa che appare  una  “damnatio memoriae” fuori tempo perfino dell’edificio, ci sembra superi quella comminata per decenni agli artisti e letterati del ventennio;  e per fortuna non si è scatenata nell’immediato, altrimenti il Palazzo delle Esposizioni avrebbe fatto la fine della Bastiglia parigina.

Prossimamente  faremo la nostra visita virtuale  seguendo il percorso delineato dai curatori con l’inserire i  singoli artisti nella presentazione introduttiva, e citando testualmente  le loro interpretazioni e quelle indicate nelle esaurienti schede illustrative. Intanto abbiamo cominciato ad ammirare nelle immagini delle sale l’alto valore spettacolare della mostra, mentre i contenuti risulteranno dalla presentazione dei singoli artisti e delle opere esposte, fino a concludere con alcune riflessioni sull’impatto dell’arte contemporanea presso il grande pubblico, e il tema conseguente della sua comprensibilità.

Tomaso De Luca # 2

Info

Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale 194, Roma. Da lunedì a venerdì ore 11-20, sabato e domenica chiuso, ingresso gratuito per il contributo del “main partner” Gucci, si entra fino a un’ora dalla chiusura con prenotazione e misure di contenimento e protezione per la pandemia. www.palazzoesposizioni.it tel. 06.39967500, www.quadriennalediroma.org  tel. 06.97743311.  Catalogo “FUORI Fuori Fuori Fuori Fuori”,   Treccani, pp.680, formato 16,5 x 24, bilingue; dal Catalogo sono tratte le numerose citazioni del testo.  Del nostro servizio sulla mostra in 5 articoli, i prossimi 4 usciranno in questo sito da domani 2 all’8 marzo 2021.   Cfr. i nostri articoli: in questo sito, sulla mostra. per la presentazione dell’attuale 17^ Edizione  20 luglio, 13 marzo 2020;  per la 16^ Edizione del 2016, il 21, 22, 23, 24, 25 luglio 2020, già pubblicati in www.arteculturaoggi.com  il 16 giugno, 24 e 27 ottobre, 1° e 29 novembre 2016; per gli artisti e movimenti citati, Sarfatti, 11 dicembre 2020, Arthemisia Gentileschi 16 giugno 2020, Corrado Cagli, 5, 7, 9 dicembre 2019; in www.arteculturaoggi.com, Sironi 2 novembre 2015, 1, 14, 29 dicembre 2014, Pasolini 27 ottobre 2015, 27 maggio, 15 giugno 2014,  11, 16 novembre 2012, Frida Kahlo 24 marzo, 12 aprile 2014,  D’Annunzio 12, 14, 16, 18, 20, 22 marzo 2013, Arte  e potere 29 marzo, 2 aprile 2013,  Arthemisia Gentileschi 7 febbraio 2013, Deineka (Realismi socialisti) 26 novembre, 1° e 16 dicembre 2012; in cultura.inabruzzo.it,  Realismi socialisti 3 articoli il 31 dicembre 2011, De Lempicka  3 articoli il 30 giugno 2011,  D’Annunzio 2 maggio 2011, 22 giugno 2010, 10 aprile 2009, Sironi 26 gennaio 2009; in fotografia.guidaconsumatore.com De Lempicka  5 luglio 2011, Pasolini 22 maggio 2011 (gli ultimi due siti non sono più raggiungibili, gli articoli, sempre disponibili, saranno trasferiti su un altro sito).

Cinzia Ruggeri

 Photo

Tutte le immagini dell’allestimento con le opere e le installazioni nelle sale sono state fornite dall’Ufficio stampa della mostra, ringraziamo Maria Bonmassar per la cortesia manifestata anche fornendo il Catalogo; nelle didascalie è indicato solo il nome degli artisti che espongono in tali sale, le immagini sono inserite nell’ordine in cui sono state fornite. Altrettante immagini delle sale illustrano il 5° articolo, mentre il 2°, 3° e 4° articolo sono illustrati con 2 opere per ognuno dei 43 espositori, nelle didascalie sono indicati anche titolo e anno di realizzazione, nel testo vengono commentati. Le immagini sono state tutte inserite “courtesy Fondazione Quadriennale di Roma, photo DSL Studio”, a loro va il nostro ringraziamento. In apertura, il Palazzo delle Esposizioni, sede storica della mostra; seguono, Romeo Castellucci-Socìetas,Sylvano Bussotti; poi, Anna Franceschini, e Raffaela Naldi Rossano in primo piano, Diego Gualandris alle pareti, e Chiara Camoni in primo piano, Raffaela Naldi Rossano sul pavimento, Diego Gualandris alle pareti; quindi,  Tomboys don’t cry, e Lorenza Longhi; inoltre, Lorenza Longhi in primo piano, Irma Blank in secondo piano, e Micol Assael in primo piano, Irma Blank  nella parete; ancora, Micol Assael al centro, Irma Blank alle pareti, e Petrit Halilaj e Alvaro Urbano; continua, altre 3 immagini delle installazioni di Petrit Halilaj e Alvaro Urbano; poi, Amedeo Polazzo e Alessandro Pessoli; quindi, 2 immagini delle installazioni di Maurizio Vetrugno Lisetta Carmi; inoltre, Monica Bonvicini e Cuoghi Corsello; ancora, NandaVigo e Davide Stucchi; continua, 2 immagini delle installazioni di Tomaso De Luca, e Cinzia Ruggeri; in chiusura, la “foto-opportunity” alla presentazione della mostra il 12 febbraio 2020 al Tempio di Adriano a Roma. Da sin., il direttore artistico-curatore Sarah Cosulich e il presidente Umberto Croppi, poi Luca Bergamo per il Comune di Roma e Lorenzo Tagliavento per la Camera di Commercio, Lorenza Bonaccorsi e Nicola Borrelli per il MiBACT, ultimo a dx Albino Ruberti per la Regione Lazio.   

La “foto-opportunity” alla presentazione della mostra il 12 febbraio 2020. al Tempio di Adriano a Roma, Da sin., il direttore artistico-curatore Sarah Cosulich e il presidente Umberto Croppi, poi Luca Bergamo per il Comune di Roma e Lorenzo Tagliavento per la Camera di Commercio, Lorenza Bonaccorsi e Nicola Borrelli per il MiBACT, ultimo a dx Albino Ruberti per la Regione Lazio

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