di Romano Maria Levante
La mostra alle Scuderie del Quirinale ha presentato, dall’11 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020, le vestigia dei siti archeologici “Pompei e e Santorini. L’eternità in un giorno”: il giorno in cui furono seppellite nel 79 d.C: e nel 1613 a. C. dalle ceneri delle eruzioni vulcaniche che hanno preservato per l’eternità centri urbani, preziosi testimoni di antiche civiltà, con i reperti che ne rivelano la vita quotidiana e i relativi usi e costumi, distanziati di 1700 anni. Sono esposti 300 oggetti tra affreschi e rilievi, vasi e suppellettili, monili e calchi, e sono ricostruiti gli ambienti nell’arco di tempo che risale all’Età del bronzo.
Curatori Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologico di Pompei, e Demetrios Athanasoulis, direttore dell’Eforia delle Antichità delle Cicladi, con Luigi Gallo e Luana Toniolo, in collaborazione istituzionale. I temi della mostra sono stati approfonditi in Laboratori ed incontri alle Scuderie e in appuntamenti al Teatro Argentina con archeologi, geologi ed altri esperti. Catalogo edito dalle Scuderie del Quirinale con l’Erma di bretscneider a cura dei curatori della mostra.
E’ un “dialogo” tra i reperti di Pompei di quasi 2000 anni fa e quelli di Santorini di oltre 3500 anni fa mai esposti all’estero; inoltre vi sono quadri di artisti moderni e contemporanei ispirati a tali eventi. Non è solo una pur ricca esposizione di reperti la mostra delle Scuderie, ma anche occasione di approfondimento del tema delle catastrofi naturali che sconvolgono, e in questi casi distruggono, la vita quotidiana. La visione parallela della vita nell’isola di Santorini e a Pompei – fissata sotto la coltre di cenere e preservata per millenni – è un viaggio nel tempo, con Pompei al centro di oltre 3500 anni trscorsi dall’evento più antico fino ad oggi.
Ci si chiede come si preparano e si manifestano tali eventi, cosa avviene in quei momenti altamente drammatici, come ne sono sconvolte le popolazioni inermi. Oltre all’interesse storico e culturale c’è un interesse pratico, per la spada di Damocle di una nuova eruzione del vulcano che ha sepolto di cenere Pompei, il Vesuvio, una minaccia sulle migliaia di abitazioni che verrebbero investite da una possibile anche se imprevedibile eruzione.
Molte le eruzioni del Vesuvio, dopo quella del 79 a. C.; nel 472 limitata alle ceneri, nel 1036 con l’aggiunta di lava fuoruscita anche dai fianchi, poi altre quattro e una nel 1500; quindi quiete per 130 anni nei quali sul monte tornò la vegetazione, poi eruzioni nel 1631 e nel 1861, nel 1906 e nel 1944, sotto gli occhi degli alleati, esorcizzata dai napoletani con la statua di San Gennaro.
Le eruzioni che hanno sepolto Santorini e Pompei
Mario Tozzi ha ricostruito le “eruzioni che fanno la storia”, avvengono quando si crea una frattura nel soffitto della “camera magmatica” che contiene materiale fuso di minerali silicei e gas, la cui forte pressione fa fuoruscire i materiali lavici con una forza dirompente che li fa innalzare di chilometri nel’atmosfera seppellendo nella ricaduta una vastissima superficie.
Il vulcano indonesiano Toba 75 mila anni fa sconvolse il pianeta con l’“inverno vulcanico” nato dall’eruzione di ceneri e acido solforico che impedì ai raggi del sole di filtrare e oscurò il mondo con l’estinzione di molte forme di vita vegetale e animale e la sopravvivenza di poche migliaia di ’“homo sapiens” protette da “enclaves” geografiche riparate dal freddo glaciale.
L’eruzione nell’isola greca di Santorini, chiamata “Kallistè”, bellissima, da Erodoto, poi Thira e infine con il nome attuale dalla protettrice Sant’Irene, avvenne nel 1613, dopo l’avvisaglia di un terremoto poche settimane prima, scatenato dal vulcano sottomarino. Sembra che gli abitanti avessero lasciato le abitazioni, e pur impegnati nel riparare i danni del terremoto non furono sorpresi dall’eruzione, lo prova il mancato ritrovamento di oggetti di valore, salvo un piccolo monile d’oro, un ibex, sorta di antilope, dimenticato o sfuggito alla raccolta di ciò che andava salvato e portato via nel mettersi in salvo prima della catastrofe.
Erano trentamila, fu un esodo imponente, un affresco con navi in arrivo e in partenza lo fa pensare. Le navi li portarono lontano, oltre la vicina Creta distante 110 km anch’essa colpita dall’eruzione che avrebbe segnato il declino della potenza minoica cui subentrarono i micenei; si pensa che arrivarono in Egitto, affreschi minoici di 50 anni dopo attesterebbero la presenza di comunità fuggite da Santorini e da Creta.
Gli edifici molto ben conservati sotto molti metri di cenere mostrano una civiltà evoluta e un benessere diffuso perché, a differenza della vicina Creta con grandiosi palazzi dei regnanti e poco altro, a Santorini le abitazioni decorose molto simili in successione testimoniano un benessere diffuso; rivela fervore e prosperità anche un affresco con scene di vita quotidiana molto attiva.
Il cataclismo a Santorini fu di tale violenza da spezzare l’isola in tre parti, nella capitale Akrotiri sono stati trovati gli insediamenti e i reperti di affreschi e oggetti di uso quotidiano di maggior valore. E’ stata riportata alla luce nella seconda metà del ‘900.
Peraltro nell’intero Mediterraneo orientale si sentirono pesanti effetti dell’eruzione – tsunami, ceneri, oscurità – e Mario Tozzi riferisce al cambiamento climatico conseguente la calamità delle dieci “piaghe d’Egitto” attribuite nell’ “Esodo” alla punizione divina del faraone che impediva la partenza di Mosè e del popolo eletto: trova il collegamento per nove delle dieci “piaghe” , salvo per la decima, la morte dei primogeniti maschi, di valore simbolico.
Siamo al 79 d. C., l’unica avvisaglia, per così dire, dell’eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei – con Ercolano e altre località – era stato il terremoto del 62 a. C., 17 anni prima; al tempo dell’eruzione erano ancora in corso i lavori sugli edifici monumentali danneggiati dal lontano sisma, come testimonia l’iscrizione su una lastra del Larario della Casa di Cecilio Giocondo, esposta in mostra; ma nulla faceva presagire l’eruzione, che fece molte vittime.
Nella prima fase morirono per il crollo dei tetti sotto il peso della cenere, nella seconda fase, dopo poche ore, anche per l’asfissia dovuta alla concentrazione di ceneri nell’aria; l’intervallo fu una trappola per molti abitanti che erano rientrati nelle abitazioni alla ricerca di oggetti preziosi, sono stati trovati molti reperti di oro, gioielli e monete nei cittadini in fuga; anche chiavi di bronzo, nella speranza di poter rientrare nelle proprie case, amuleti e statuette di antenati, e lucerne per far luce nel buio impenetrabile come una cappa di piombo.
Venne descritto così da Plinio il Giovane. “Fu notte, non come senza la luna o nuvolosa, ma come luoghi chiusi a luce spenta” . “L’ultimo fuggitivo”, scoperto di recente, portva con sè un sacchetto di monete I resti umani e animali furono trovati sotto la cenere già nella prima campagna del 1863, due anni dopo l’Unità d’Italia, dal direttore degli scavi Giuseppe Fiorelli, ideatore dei recupero iniettando gesso liquido nelle cavità; l’antica Pompei è stata riportata alla luce quasi intatta, i calchi sono divenuti sculture, una tragica istantanea dell’eruzione 1700 anni dopo quella di Santorini della quale mancano tali testimonianze.
Sempre Plinio, nelle Lettere a Tacito che gli chiedeva notizie, racconta la morte dello zio Plinio il Vecchio sorpreso mentre andava in mare ad Ercolano dall’amico Cesio Basso, le acque si ritirarono e ripiegò su Stabia, colpita da ceneri, lapilli e vapori tossici che lo soffocarono. Aggiunge che a Miseno le scosse di terremoto, avvertite qualche giorno prima, nella notte dell’eruzione “crebbero talmente da far sembrare che ogni cosa … si rovesciasse. … che il mare si ripiegasse su se stesso, quasi respinto dal tremare della terra… la spiaggia s’era allargata e molti animali marini giacevano sulle sabbie rimaste in secco”.
Poi l’eruzione: ”Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna: nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma. Infatti slanciatosi in su in modo da suggerire l’idea di un altissimo tronco, si apriva in diversi rami”.
L’eruzione iniziò all’una del pomeriggio con un forte boato e durò due giorni, si è calcolato che la nube fosse alta 26 chilometri e riversasse in 30 ore 4 km cubi di ceneri, pomici e altri materiali su Pompei e Stabia; Ercolano, dodici ore dopo la prima fase fu investita da una “nube ardente” che incenerì, anzi “vaporizzò” all’istante, chiunque si trovasse all’aperto.
Gli effetti furono devastanti, ne fu stravolta la forma stessa del Monte Somma, prima con le pendici coltivate a vite e punteggiate di residenze. Dopo l’eruzione , il Vesuvio assunse l’attuale aspetto conico, e fu desertificata la vasta area circostante.
Così ne parla Marziale: “Ecco il Vesuvio, poc’anzi verdeggiante di vigneti ombrosi, qui un’uva pregiata faceva traboccare le tinozze; Bacco amò questi balzi più dei colli di Nisa, su questo monte i Satiri in passato sciolsero le lor danze; questa, di Sparta più gradita, era di Venere la sede, questo era il luogo rinomato per il nome di Ercole. Or tutto giace sommerso in fiamme ed in tristo lapillo: ora non vorrebbero gli dèi che fosse stato loro consentito d’esercitare qui tanto potere”.
E Publio Papinio Stazio: “Crederanno le generazioni a venire… che sotto i loro piedi sono città e popolazioni, e che le campagne degli avi s’inabissarono?”.
Gli artisti dell’era moderna ispiratisi alle eruzioni
Abbiamo appena citato espressioni letterarie dell’epoca che descrivono l’eruzione del Vesuvio. In mostra ci sono anche i “Dialoghi” di Platone nella versione di Marsilio Ficino Vi colleghiamo le espressioni pittoriche che troviamo nella mostra nei quadri di artisti, ispirati anche ad altre eruzioni, dal ‘600 all’’800 fino ai moderni, tra cui Warhol e Guttuso.
Micco Spadaro, “Processione con le reliquie di San Gennaro ed eruzione del Vesuvio del 1631”, 1656, dà un’immagine spettacolare della grande folla di fedeli che si accalca tra due grandi edifici mentre sullo sfondo incombe il vulcano, il cardinale Borromini espose il busto e l’ampolla del sangue del santo che sarebbe riuscito ad arrestare la “nuvola ardente” e poi fu proclamato protettore di Napoli a furor di popolo.
La gente protagonista anche in dipinti dell’800, come quello di Frederic-Henri Schopin, “L’ultimo giorno di Pompei” 1850, ma non in processione votiva bensì in fuga in modo disordinato, nell calca si vedono anche dei cavalli travolti dalla ressa.
Descrivono, invece, l’impressionante scenario naturale Pierre Jacques Volaire, “L’eruzione del Vesuvio” 1782, e Pierre Henri de Valencienne, “Eruzione del Vesuvio del 24 agosto dell’anno 79 d. C., sotto il regno di Tito”, 1813, le piccole figure mostrano sorretto da due schiavi; l’eruzione da recenti ritrovamenti di iscrizioni è stata spostata al 24 ottobre. L’artista nel suo viaggio in Italia fu presente ad alcune fasi di attività del vulcano e descrisse nel diario come i materiali fossero lanciati a 50 miglia di distanza come aveva riscontrato di persona.
A quste visioni spettacolari del vulcano associamo quella meno movimentata di Joseph Maillard Turner, “L’eruzione del Vesuvio” 1817-20, preceduta dal quadro dello stesso autore “L’eruzione delle Souffer Montains nell’isola di Saint Vincent”, in entrambe le opere i vulcani con la cima fiammeggiante sorgono sulle acque.
Dopo queste opere, in cui l’elemento spettcolare è la forza della natura, torna l’elemento umano, ma in un clima quieto lontano dall’evento. Edouard Sain, “Scavi a a Pompei” 1865, raffigura uomini chini al lavoro, donne che portano in testa contenitori con materiali di risulta, in un’atmosfera serena e operosa.
Mentre Filippo Palizzi, “Fanciulla pensierosa negli scavi di Pompei” 1865, dopo una visita agli scavi ce ne dà un’immagine tenera e raccolta, la ragazza guarda l’affresco con Venere ingioiellata dalla collana, che appare tra i ruderi in basso, è bella l’espressione assorta che sembra immedesimarsi nella dea, coinvolgendo lo spettatore.
Andiamo agli artisti del ‘900, ci dà un’immagine altrettanto tranquilla Andrej Jakovlevic Balaborodov, “La città sommersa” , 1939, della serie “La grande isola”, colonne e templi immersi nell’acqua ma non si avverte l’emergenza dell’inondazione, quasi fosse normale, ripensiamo alla “Cisterna basilica” di Istanbul.
All’opposto, Alberto Burri, “Cretto” 1973 interpreta il buio e la violenza con un’opera di forte intensità materica, una superficie scura rugosa con fenditure. In Andy Warhol, “Vesuvius” 1984, l’immagine limpida dell’eruzione con la gialla colonna di materiali che s’innalza in un cielo verde, nel cromatismo tra il rosso del vulcano, il blu del mare, il viola circostante, una rappresentazione netta e prcisa, non emotiva.
Nello stesso 1984 Richard Long, “Vesouvian Circle”, nella serie “Terrae Melis” evoca icasticamente l’evento quasi cercando di contenerlo con le 54 pietre laviche strettamente compenetrate disposte in un circolo. Di drammatica modernità l’opera monocroatica di Damien Hirst, di colore nero come la lava solidificata. Mentre Giuseppe Pennone in “Soffio” 1973, nella scultura fittile a forma di vaso si rappresenta sulle ginocchia e nei vestiti fino alla bocca aperta in alto come in un anelito, il tutto in un blocco quasi arboreo.
Renato Guttuso, “Eruzione dell’Etna” 1983 dà un’immagine impressionante con figure in controluce rivolte sgomente verso un orizzonte sconvolto dai bagliori violenti e fiammeggianti.
Il video dell’eruzione di Stromboli di James P. Graham, “Iddu”, completa in modo spettacolare la galleria artistica delle interpretazioni moderne.
Affreschi e arredi
Da queste interpretazioni della nostra epoca, torniamo a quella delle eruzioni dei vulcani di Pompei e Santorini con gli affreschi parietali che si son salvati protetti dalla coltre di cenere. Sono testimonianze della vita quotidiana in ambienti benestanti ma comuni, non imperiali e principeschi, con una serie di modulazioni che ne segnano anche destinazione e motivazione.
In particolare, con riferimento a Pompei, si rilevano quattro stili e contenuti. Il primo e più antico, dal II sec. all’80 a. C., riproduce con lo stucco le grandi lastre di marmo delle abitazioni greche, in una visione monumentale, mentre nel secondo stile, tra l’80 e il 20 a. C., pilastrini dipinti con motivi vegetali e candelabri creano l’illusione architettonica; nel terzo stile, tra il 20 a. C. e il 45 d. C., la pittura parietale assume forme geometriche, rettangoli e quadrati inquadrati in colonnati dipinti, e nel quarto stile, dal 45 al 70 d. C., le figurazioni diventano fantasiose, non più di simulazione architettonica né geometriche.
Ne vediamo degli esempi nell’esposizione, dalla Casa degli Amorini con riprodotti i marmi greci alla Casa del Frutteto con le architetture stilizzate dipinte, alla Casa del Bracciale d’oro con miti e leggende, tra cui spicca il mito ovidiano di Dioniso e Arianna, alla Casa del Criptoportico con disegni di scene di caccia con cacciatore, uomini a cavallo e animali, forse opera di bambini.
Spiccano affreschi come quelli di Via dell’Abbondanza, con la Venere ingioiellata, riprodotta nel dipinto di Filippo Palizzi e con Venere su una quadriga trainata dagli elefanti”, del I sec. d. C. Vediamo anche una cassaforte decorata che veniva esposta all’aperto quale esibizione di ricchezza, viene da Oplontis, l’odierna Torre Annunziata.
La pittura parietale si inserisce nella concezione di queste “domus” benestanti ma non monumentali, in cui gli spazi interni si aprivano su giardini molto curati in una geometria segnata da aiuole con essenze vegetali appositamente scelte e siepi; per le dimore più piccole, terrazzamenti invece dei giardini.
C’erano porticati con elementi sospesi, gli “oscilla”, statue e maschere dionisiache, fontane – come quella zampillante sulla statua di Sileno nella casa di Marco Lucrezio Stabia – e ninfei con giochi d’acqua che si riflettevano nelle vasche a mosaici vitrei delle “domus” più eleganti: motivo ispiratore il collegamento tra vita quotidiana e ambiente naturale, con richiami alla religiosità sempre in funzione decorativa.
Anche le pitture parietali di Santorini sono rappresentate da reperti spettacolari, sono sontuose e tanto più rilevanti dato che risalgono all’Età del Bronzo, i primi esempi di pittura monumentale espressivi della vita di allora e dei rituali. Nella Xesté 3 il bacino lustrale e le pitture mostrano iniziati dalla testa rasata, le dediche erano alla Dea della Natura, dalle sembianze umane, con grifoni e scimmie, i fiori di diverse stagioni e provenienze simbolo di fertilità, le brocche mammillate con elementi antropomorfi e i vasi “rhyta” per le offerte rituali.
Vediamo gli affreschi dei “Giovani pescatori”, con le figure stilizzate alte e sottili come in controluce, uno di loro porta appesi nelle due mani – tenendo le braccia larghe alla ricerca di equilibrio – carichi di pesci verdi appena pescati. Il presidente di Ales – Scuderie del Quirinale, Mario De Simoni, definisce l’affresco “autentica ‘Gioconda’ dell’arte minoica che pur nella sua stilizzazione bidimensionale raggiunge vette di commovente umanità solo se si pensa alla serena coscienza di sé che sembra mostrare questo adolescente, fiero della prova superata con la sua prima pesca , in quello stesso mare che a seguito della calamità potrebbe aver travolto anche la sua vita”.
Arredi, vasi, vasellame di vita quotidiana
A Pompei nei giardini con il porticato o comunque negli interni affrescati delle abitazioni si svolgevano i pasti che, in presenza di ospiti di riguardo diventavano banchetti, cui si ricorreva soprattutto per cementare rapporti sociali ed economici. Vi erano triclini a tre posti collocati a ferro di cavallo nelle “domus”, il padrone di casa assegnava i posti per il pranzo. Vediamo il triclinio della casa di Menadro, con decorazioni di bronzo e argento. Le occasioni solenni venivano celebrate anche con canti, musica e danze mentre si svolgeva il banchetto. Un’iscrizione nella casa del Citarista esposta in mostra richiama le regole del galateo conviviale.
I vasi e gli orci per le bevande erano normalmente in terracotta, a vernice rossa, le brocche in bronzo, i bicchieri spesso in vetro. Il vasellame dei più benestanti era in argento, come il servizio di Moregine in 20 pezzi del peso di 3.850 gr., con 1 piatto da portata e 4 piatti tondi, 10 coppe, 4 supporti, e 1 cucchiaino.
La mostra ne espone un numero consistente, in vetrine che danno un’immagine visiva quanto mai efficace degli usi e costumi, in una di esse il servizio d’argento in 20 pezzi. Vi sono i contenitori per il trasporto che testimoniano l’importanza della località, tra la costa e l’interno, nell’area di Napoli e nel Mediterraneo.
Nel II sec. a. C. con le conquiste in Grecia e in Oriente, i traffici riguardavano le anfore da vino provenienti da Rodi e dalle altre isole dell’Egeo, tra il I sec. a. C. e il I sec. d.C. le anfore da olio africane, libiche e turche; poi piccole anfore da vino a fondo piatto con vasellame dipinto a vernice rossa dalla Gallia, fino ai marmi per le abitazioni di prestigio provenienti dall’Africa e dall’Oriente.
Pompei era un importante snodo di traffico e smistamento nella vasta rete di connettività marittima, i reperti esposti nella mostra ne danno un’immagine efficace anche per il suggestivo allestimento. Sono stati trovati le sementi, miglio e altro, per la semina successiva e le derrate nelle dispense, i piatti con i resti dei cibi, e le pentole con squame e lische di pesci nella salsa “gurum” in preparazione e il pane in cottura nel forno, datteri provnienti dalla Siria, il tutto immobilizzato nella cenere dell’eruzione che lo ha protetto facendo giungere fino a noi una preziosa fonte di conoscenza degli usi alimentari dell’epoca. Infine resti di alberi carbonizzati.
Un interesse storico tutto particolare per i reperti di Santorini perché testimoniano usi e costumi di un’antichità ancora più remota, 1700 anni prima di Pompei. I materiali utilizzati per la casa erano legno e paglia, pelle e stoffa, vi erano vasi in terracotta e contenitori per le varie necessità: per la conservazione dei cibi, anfore, bacile e giare; per la cottura, pentole a tre piedi e piastre, alari e teglie; per il consumo, brocche , cestini per frutta e fiori, pesce e formaggio, fino ai “riytà” per usi di culto; per lavorare il cibo il torchio di terracotta, macine e mortai in pietra, per trasportarlo anfore: un ciclo completo.
Inoltre i semi, gli ossi di animali e un’arnia di terracotta per le api testimoniano l’attività agricola e di allevamento; un calco in gesso di una pagaia la pesca, già evidente visivamente negli affreschi dei “Giovani pescatori” prima ricordati; e armi in bronzo, evidentemente utiliuzzate nella caccia.
Gli arredi delle abitazioni erano generalmente in legno, con letti e tavoli, sedie e sgabelli; utilizzavano anche le lucerne a olio. Siamo a 3500 anni fa, l’Età del Bronzo, suscita una certa emozione la vista dei reperti preistorici.
I gioielli e i calchi delle figure umane
Dagli oggetti della vita quotidiana a quelli legati alla persona, fino ai reperti impressionanti dei calchi di figure sepolte, trasformate nelle statue di gesso della tragica istantanea, persone e animali “imprigionati” dalla tempesta di cenere e lapilli.
Ci sembra il “clou” della rievocazione, anche se i reperti sono esposti in ordine sparso, in molti casi inseriti nelle ricostruzioni spettacolari di ambienti particolari che riportano il visitatore a quei tempi e a quei luoghi in un’immedesimazione intensa e coinvolgente.
Vediamo orecchini a spicchi di sfera e barrette con perle pendenti che dovevano tintinnare con il movimento, per questo Plinio li chiamava “crotalia”; bracciali a semisfera, collane a giro collo dette “monilia”, e collane lunghe fino alla vita, le “catenae”, anche di materiali preziosi come oro e smeraldi grezzi. Provengono da Pompei perché, come si è già accennato, a Santorini si è trovata soltanto l’ibis-antilope d’oro, il resto evidentemente venne salvato in anticipo alle prime avvisaglie dell’eruzione che diedero tempo agli abitanti addirittura di imbarcarsi verso Creta e poi fino all’Egitto.
Ma ciò che è più impressionante sono i calchi delle figure umane, anch’essi di Pompei: danno l’immediatezza della tragedia perché mostrano le persone e gli animali sull’orlo estremo della vita. Sono statue formate dal gesso solidificatosi dopo essere stato iniettato liquido nelle cavità così formate, verrebbe voglia di fare come Michelangelo con il Mosè, chiedere alla figura “perché non parli”, tanto è eloquente l’immagine plastica, le manca soltanto la parola.
I reperti nel magistrale allestimento della mostra danno veramente la parola a un passato così remoto che sembra incredibile vedere a Santorini, 3500 anni fa, oggetti di uso comune e immagini dipinte negli affreschi che potrebbero essere attuali. Si è portati a riflettere sulla dimensione del tempo e dello spazio e quindi sulla natura umana insieme ai grandi fenomeni naturali che, visti nei cataclismi delle eruzioni vulcaniche, ci ammoniscono nel presente in cui tali minacce vengono rimosse anche se sono incombenti, si pensi ai mutamenti climatici sotto gli occhi di tutti. Un ammonimento, dunque, e l’esortazione implicita a non farsi cogliere di sorpresa: l'”ultimo fuggitivo” intrappolato con il suo sacchetto di monete è lì a ricordarcelo.
Info
Scuderie del Quirinale, via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì, ore 10,00-20,00 venerdì e sabato ore 10,00-22,30 ingresso consentito fino a un’ora dalla chiusura. Ingresso e audioguida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per under 26, insegnanti, gruppi, forze dell’ordine, invalidi parziali, euro 2 per under 18, guide, tessera ICOM, dipendenti MiBAC, gratuito per under 6, invalidi totali. Tel. 06.81100256. www.scuderie.it. Catalogo: “Pompei e Santorini. L’eredità di un giorno”, a cura di Massimo Osanna, Demetrios Athanasoulis, con Luigi Gallo e Luana Toniolo, e la collaborazione di Maya Efstathiou, Stefanos Keramnidas e di Anna Mattirolo, Scuderie del Quirinale con L’erma di Bretshneider, ottobre 2919, pp. 80, formato 24 x 30. Per le citazioni del testo cfr. i nostri articoli: in questo sito, su Istanbul per la “Cisterna basilica” 14 luglio 2020, su Pennone 3 gennaio 2020; in www.arteculturaoggi.com, su Ovidio 1, 6, 11 gennaio 2019, Guttuso 14, 26, 30 luglio 2018, 16 ottobre 2017, 22 settembre, 2, 4 ottobre 2016, 25, 30 gennaio 2013, Turner 7, 17 giugno, 4 luglio 2018, Warhol 15, 22 settembre 2014.
Photo
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nelle Scuderie del Quirinale, si ringrazia Ales s.p.A, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Sono raggruppate per le diverse categorie – opere di artisti dell’era moderna sulle eruzioni, affreschi, vasi e vasellame, altri reperti e calchi – e inserite nello stesso ordine del testo In apertura scorcio di una sala con “Efebo portalucerna” a sin, triclinio a dx, vasellame nella vetrina, affresco con un giardino dalla Casa del Bracciale d’oro, 1° sec. d. C., nella parete; segue un 1°gruppo con le immagini di 16 opere sulle eruzioni del Vesuvio, inizia con Micco Spadaro,“Processione con le reliquie di San Gennaro ed eruzione del Vesuvio del 1631” 1656, e Frederic-Henri Schopin, “L’ultimo giorno di Pompei” 1850, poi, Pierre Jacques Volaire,“L’eruzione del Vesuvio” 1782, e Pierre Henri de Valencienne, “Eruzione del Vesuvio del 24 agosto dell’anno 79 d. C., sotto il regno di Tito” 1813, quindi Joseph Maillard Turner, “L’eruzione del Vesuvio” 1817-20 e Joseph Maillard Turner, “L’eruzione delle Souffer Montains nell’isola di Saint Vincent” 1815, inoltre, Edouard Sain, “Scavi a a Pompei” 1865, e Filippo Palizzi, “Fanciulla pensierosa negli scavi di Pompei” 1865, ancora, Andrej Jakovlevic Balaborodov, “La città sommersa” , 1939 e Alberto Burri,“Cretto” 1973, continua, Andy Warhol, “Vesuvius” 1984 e Richard Long, “Vesouvian Circle” 1984, prosegue, Damien Hirst, “Untitled Black Monochrome, Without emotion” 1993 nella parete, e Giuseppe Pennone, “Soffio” 1973, chiude Renato Guttuso, “Eruzione dell’Etna” 1983 ; poi, un 2° gruppo con 14 immagini di statue, affreschi,e triclinio di Pompei, affreschi di Santorini, in particolare due di “Giovani pescatori” ; quindi, un 3° gruppo con 8 immagini di vasi e vasellame, di Pompei e soprattutto di Santorini; infine, un 4° gruppo di 10 immagini da Pompei, un albero carbonizzato, 3 immagini di calchi di animali e 6 di calchi di persone, colti dall’eruzione e imprigionati dalla cenere; infine, una sala al centro una statua con la fuga dall’eruzione e, nella parete, Guttuso, “Eruzione dell”Etna” 1983; in chiusura, la panotramica di una sala con affreschi e reperti di arredi.