di Romano Maria Levante
E’ il secondo servizio sul rapporto tra fotografia e arte che ripubblichiamo ad oltre 7 anni dalla prima uscita nel 2012 nella rivista “on line” fotografia.guidaconsumatore.it, non più raggiungibile. Viene dopo il servizio sulla mostra alla Gnam “Arte in Italia dopo la fotografia”, e si basa sul libro di Marina Miraglia, “Fotografi e pittori alla prova della modernità” “ pubblicato nel 2012, negli stessi mesi della mostra. Questa nuova pubblicazione dei due servizi in 3 articoli ciascuno è stata originata dall’interesse mostrato al tema da un artista, ne abbiamo parlato nell’introduzione al precedente servizio, riportiamo di seguito la nostra motivazione testualmente. “ L’artista Massimo Omnis ha voluto augurare Buone Feste ai suoi “followers” di Facebook con una sconfinata galleria di immagini delle sue molteplici opere soprattutto pittoriche, ma pure scultoree e non solo, comprese fotografie evocative, si assiste anche al momento creativo fino alla fase espositiva; sono oltre 250 immagini, tutte da vedere e gustare nel loro intenso cromatismo e nella loro intrigante figurazione di forme e contenuti . E’ una vera innovazione, una grande mostra nel social network, dall’eccezionale varietà compositiva e maestria artistica. Nella mostra del 2014 a Roma abbiamo potuto vedere da vicino le sue opere di allora, in testa la spettacolare installazione “Il V Stato”, e le abbiamo commentate nel sito www.arteculturaoggi.com con un articolo reperibile alla data del 14 aprile 2014; le immagini attuali aggiornano la galleria di cinque anni fa con nuove ardite esplorazioni e sperimentazioni unite a rassicuranti conferme. Per avere un’idea della forza creativa dell’artista basta rileggere le parole che ci ha rivolto su Facebook il 24 dicembre scorso: “Non è facile tracciarsi una strada propria nel mondo dell’arte. Io in tanti anni di arte a 360° ho cercato di creare bellezza ed emozioni. Non so se ci sia riuscito. Continuo a credere che questa sia la strada giusta. Non c’è giorno che io NON senta un qualcosa che mi spinge a creare… creare un qualcosa che non esiste ancora. Ecco, quando mi chiedono cos’è un artista, io rispondo sempre ‘ un artista è colui che crea una cosa che non esiste ancora’”. Nei giorni precedenti ci aveva scritto, sempre su Facebook, che sarebbe stato interessante approfondire e rendere noto ai nostri lettori il rapporto tra fotografia e pittura; anche perché nella sua mostra virtuale su Facebook in molte immagini le due arti sono abbinate, viene fotografato davanti a un suo quadro o mentre lo completa, o in altri momenti della creazione, in composizioni che spesso le vedono compresenti Stimolati dalla sua osservazione e dal suo interesse abbiamo pensato di ripubblicare i nostri due servizi in 3 articoli ciascuno, in cui vengono sviscerati i rapporti tra le due arti fin dalle origini, con gli artisti-fotografi pionieri. E’ un nostro omaggio all’inizio del Nuovo Anno per ricambiare il regalo natalizio che ha fatto a tutti noi l’artista Massimo Omnis con la mostra virtuale su Facebook, donandoci ritratti coinvolgenti che restano dentro e paesaggi che suscitano emozioni, come la profondità del mare e le immagini che evoca con il viso femminile che ci ha riportati alla incantevole figura della ‘Leggenda del pianista sull’oceano, il film di Tornatore al quale siamo particolarmente affezionati”. Segue il 1° articolo del servizio sul libro di Marina Miraglia, poi in successione gli altri due articoli con i quali si completa la nostra ripubblicazione dei 6 articoli che restano pienamente attuali.
Fotografi e pittori, 1. La loro modernità nel libro di Marina Miraglia
fotografia.guidaconsumatore.it – Guide > Libri > Roma. La fotografia e la modernità in un libro di Marina Miraglia
Non è un libro come gli altri “Fotografi e pittori alla prova della modernità”, di Marina Miraglia. E’ stato presentato il 14 marzo 2012 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, da Carlo Sisi, presidente del Museo Marino Marini di Firenze e da Monica Maffioli, direttore scientifico Fratelli Alinari, Fondazione per la Storia della Fotografia, Firenze. Ha introdotto la soprintendente della Galleria Nazionale Maria Vittoria Marini Clarelli, che aveva curato di recente la grande mostra “Arte in Italia dopo la fotografia, 1850-2000”, nella stessa Gnam, di cui abbiamo già parlato.
La particolarità del libro non sta solo nei titoli di eccellenza dell’autrice, fondatrice e componente della “Società Italiana per gli Studi sulla Fotografia” e del Comitato scientifico che ha istituito il Museo di Fotografia Contemporanea di Villa Ghirlanda, oltre ad essere docente di Storia della Fotografia all’Università “La Sapienza” di Roma e direttore della scuola per Restauratore della fotografia di San Casciano dei Bagni. E’ particolare l’impostazione: un quadro teorico iniziale sui “generi” tra regola e creatività, un varco in cui si è inserita la fotografia fino all’abbattimento degli steccati tra i generi; poi un approfondimento speciale su paesaggio e impressionismo e 7 “ingrandimenti” su grandi fotografi e temi dell’800 le cui forme peculiari di fotografia hanno fatto progredire il genere nei rapporti con la pittura. Teoria e pratica, dunque, in una feconda staffetta.
La fotografia e il superamento della gerarchia tra i generi
Si inizia con la gerarchia tra i generi in base alla classificazione, che risale al 1669, di André Félibien des Avaux secondo i dettami della tradizione storico-artistica italiana: il più alto è la “pittura di storia” per la forza narrativa e la valenza simbolica degli eventi storici, mitologici o religiosi; poi viene il ritratto che della persona coglie fisionomia ed espressione, carattere e psicologia; scendendo si trova il paesaggio nel quale si ripropone uno squarcio naturalistico e un momento atmosferico particolare dato dalla realtà; al gradino più basso, la natura morta con la quale si rappresentano oggetti inanimati definendo solo composizione e distribuzione della luce. Nei generi più “bassi” c’è “un’implicita priorità delle capacità mimetiche su quelle estetiche e creative”.
Questa contrapposizione di valori, che resta dominante anche nel secolo successivo e in parte dell’800, premia la capacità dell’invenzione nei generi “alti” di “trascendere e idealizzare il reale”, mentre investe il realismo rappresentativo dei generi “bassi”, e lo fa “globalmente e senza distinzione, in un giudizio dispregiativo inappellabile” perché manca una visione critica in una “pura e semplice capacità manuale di copiare fedelmente, peggio ancora di scimmiottare malamente, il dato naturale dei referenti presi a modello, animati o inanimati che siano”.
E’ evidente che dal momento della sua invenzione, la fotografia si collocò nei valori più bassi tra i generi della pittura “il che inevitabilmente la travolge in quei giudizi di demerito e di sommo disprezzo che, prima del suo avvento, avevano così pesantemente gravato sui medesimi generi delle arti sorelle”; con il particolare peggiorativo che alla deprecata mera manualità della pittura realistica si sostituiva una ancora più deprecabile “meccanicità involontaria di un processo che automaticamente la escludeva da ogni possibilità interpretativa ed autoriale”. Aggiungiamo che per questo fu posta al servizio della pittura alla quale forniva la rappresentazione fedele della realtà su cui il pittore esercitava il proprio estro che acquistava creatività anche nei generi “bassi”.
Come la fotografia abbia superato questo grave “handicap” iniziale lo ha dimostrato la ricca esposizione della mostra citata all’inizio sull’”Arte in Italia dopo la fotografia”. Diamo solo qualche flash dell’accurata e colta ricostruzione che fa il libro di questo processo. Già alla metà dell’800 veniva sottolineato dalla trattatista fotografica “come anche la fotografia, malgrado la sua meccanicità, dia accesso non soltanto alla mimesi, ma anche all’individualismo estetico dei suoi prodotti, aprendo una dialettica pittura/fotografia di centrale portata storica per il divenire della pittura moderna”. Infatti anche la pittura “non esita ad adottare le modalità di trascrizione del reale tipici della fotografia e dei suoi valori congiunti di indice, icona e simbolo”, e lo fa “prima di rinunziare definitivamente alla rappresentazione”; ne viene sconvolta la gerarchia tra i generi i cui significati e posizioni cambieranno ripetutamente nel Novecento fino al definitivo superamento.
Già nel 1839 William Henry Fox Talbot , inventore di un mezzo fotografico, all’Accademia delle Scienze di Londra presentò la sua invenzione definendo la fotografia “il processo con cui oggetti naturali possono delineare sé stessi senza l’aiuto della matita dell’artista”. Nel 1858 Oscar Gustav Rejlander scriveva che “se lo scopo e la tensione dell’arte sono da individuare soprattutto nella mimesi naturalistica”, ne derivava che “la fotografia, con il suo realismo e la sua referenzialità fosse da considerare senz’altro più artistica della pittura”. E osservava come gli artifici tecnici non esistevano soltanto nella fotografia ma in tutti i media mentre anche questa pur nell’aderenza al reale richiedeva una visione soggettiva impegnando “capacità ideative compositive, nella scelta della luce e dell’inquadratura, nell’ideazione del soggetto e della sua efficacia rappresentativa, ossia nelle espressioni dei modelli, nella loro armonia e in quella dell’insieme”. Tutto questo comporta “doti concettuali e mentali non comuni per la loro elaborazione formale ai fini dell’espressione”.
Con il proprio simbolismo fotografico Julia Margaret Cameron rimise in discussione il “monopolio ideativo e formalizzante della pittura alta”, e in tal modo portò a “riconoscere l’autorialità del medium meccanico e, simmetricamente, a incamminarsi, con decisione, sulla strada del superamento dei generi”.
A questo punto viene approfondito il rapporto tra generi e creatività, regole e invenzione; il che vuol dire tra la tradizione che segna i confini della cultura dell’epoca e l’innovazione con cui l’intelligenza personale riesce a cogliere i mutamenti in fieri. “L’ossimoro regole-creatività” viene “individuato e scientificamente composto soltanto dal pensiero scientifico del Novecento”, ma non possiamo neppure accennare a questa analisi che viene compiuta con dovizia di citazioni colte.
L’autorappresentazione della realtà nella fotografia nell’’800
Tornando alla fotografia, i generi più ricorrenti nell’800 sono la ritrattistica che segnò “l’affermazione sociale del nuovo medium”; poi la veduta, il paesaggio, il panorama, quindi la documentazione dell’opera d’arte; seguono il nudo e le “accademie”, meno frequente la “natura morta” e il tema “di contro amatissimo, della natura vivente”; i “tableaux vivant” e l’illustrazione dei luoghi sede di eventi, bellici e di altra natura, genere che anticipa il “reportage”. Ciascuno di questi campi aveva diverse articolazioni interne, in base a soggetti, tecniche e destinatari. Esponente del “paesaggio pittorico” che guarda alla fotografia fu Domenico Bresolin, con la sua celebre “Casa diroccata”, che fece cambiare la pittura veneta sulla base delle esperienze fotografiche.
Alla mimesi veniva sostituita “l’autoriproduzione e l’autorappresentazione spontanea della realtà, implicita nei meccanismi chimici del processo” fotografico. Il tutto era favorito dall’affermarsi del positivismo anche nelle arti, sotto la spinta dell’iIluminismo settecentesco, con “il valore testimoniale dell’hic et nunc benjaminiano”; in tal modo la fotografia contrastava “la mimesi interpretativa di pittura e produzione calcografica”. Restava anche nell’ambito delle “regole della rappresentazione” basate sulla tradizione rinascimentale della prospettiva e oltre al carattere “indexicale” poteva assumere anche quello di icona e simbolo proprio della pittura.
A ciò aggiungeva una peculiarità, quella di consentire una “narrazione realistica con “tutti gli elementi, anche i più minuti del raffigurato”; una prerogativa, quella di dare corpo “all’istanza illuministica di un sapere più diffuso e meno classista favorendo la conoscenza di luoghi, persone e cose altrimenti destinati a rimanere del tutto ignoti, estranei e sconosciuti per le difficoltà e i costi dei viaggi”; una forza evocativa immediata per accostarsi alle persone care lontane come ai personaggi ripresi nella loro naturalezza “tali e quali, quando camminano, quando pensano, quando non fanno niente del tutto, come scriveva la “Gazzetta Piemontese il 27 luglio 1860; una forza riproduttiva delle opere d’arte che ne consentiva la più vasta diffusione e la comparazione.
Il ‘900, modernismo e postmodernismo nella fotografia
Dal livello “referenziale, iconico e simbolico” raggiunto nell’’800, la fotografia risponde alla sfida della modernità nel ‘900 “che fa soprattutto leva sul riconoscimento dei valori estetici interni alla struttura sintattica del mezzo, automaticamente svincolandolo dalla gabbia ristretta dei generi e dall’obbligo di attenersi ai meccanismi rappresentativi del cubo prospettico rinascimentale”. Non c’è più soltanto l’idea che l’essenza dell’arte è quella di “trasformare e trascendere il reale e di creare realtà iconiche e simboliche che nulla hanno in comune con il reale”; dagli anni ’50 del ‘900 viene concepita “come specchio dello smarrimento delle certezze di un tempo e come campo aperto alle nuove, indefinibili inquietudini dell’esistenzialismo”; dagli anni ’80 come espressione del Postmoderno, che porta ad una “strepitosa accelerazione delle trasformazioni e delle modalità d’uso dell’immagine” favorita dall’introduzione del digitale.
A Umberto Eco si deve un’anticipazione del Postmoderno allorché nel 1962, dopo aver descritto “un mondo in cui la discontinuità dei fenomeni ha nesso in crisi la possibilità di un’immagine unitaria e definita”, fornisce come risposta l’“opera aperta” che può darci l’immagine della discontinuità, non raccontandola ma presentandola, “un modo di vedere ciò che si vive” nel campo dell’indeterminatezza. Ecco le sue parole in un testo pubblicato nel 2009: “Opera aperta come proposta di un ‘campo’ di possibilità interpretative, come configurazione di stimoli dotati di una sostanziale indeterminatezza, così che il fruitore sia indotto a una serie di ‘letture’ sempre variabili; struttura infine come ‘costellazione’ di elementi che si prestano a diverse relazioni reciproche”.
La fotografia lo aveva addirittura precorso nei fatti, alla metà degli anni ’50, passando “dall’immagine ‘chiusa’, ‘sicura di sé’ e formalmente conchiusa di Henri Cartier Bresson, al possibilismo infinito dell’informazione, svelato da autori come Klein, Frank e Arbus”. Ne fu palestra e palcoscenico la mostra del 1955 “The Family of Man”, curata da Steichen, con larga partecipazione dei maggiori fotografi – la “Magnum” al completo, in testa Cartier Bresson e Robert Capa – il cui assunto di una palingenesi universale dopo la tragedia della guerra non fu seguito dai fotografi presi dall’inquietudine esistenzialista, del tutto opposta rispetto all’“unità gioiosa e rassicurante” che per Steichen portava all’abbraccio tra classi sociali ed etnie diverse.
Ai tre fotografi citati, William Klein, Robert Frank, Diane Arbus, più Garry Winogrand e Lee Friedlander, ben si addicono i concetti di Eco e di Lyotard in “La condizione postmoderna” del 1979, che coniò tale termine, in cui “la caratteristica più peculiare del nostro contemporaneo viene riconnessa al venir meno delle ‘grandi narrazioni’ metafisiche elaborate dall’Illuminismo, dall’Idealismo e dal Marxismo”, e questo a causa della “perdita della fiducia e della certezza nei valori della tradizione”. L’effetto? “Quelle inquietudini che porteranno alla morte del ‘soggetto’, frammentato nella propria identità dalla percezione di una società spogliata di ogni storicità”, come ha scritto Jameson nel 2007.Va sottolineato che la duttilità del mezzo fotografico lo rende prezioso a tutti i livelli, di alta e bassa creatività, perché fornisce “una pluralità e un’infinita casistica di segni, di forme e di simboli che sembrano realizzare su scala mondiale e in tempo reale quel Museo immaginario che Malraux (2009) aveva ipotizzato già negli anni trenta del XX secolo. Pensando al museo tradizionale o immaginario che sia, è indubbio che esso si offra all’artista postmoderno come un contenitore”. Viene evocata anche la “serialità” delle opere di Andy Warhol, esplicita nei multipli, ma presente anche nelle nature morte di Giorgio Morandi e nei “Sacchi” di Burri. In questo “Museo immaginario” si può realizzare quella che Francesco Radino nel suo “Inside” del 1903 ha definito “cancellazione di generi”: il ridefinire una visione “dove gli oggetti possono vivere armoniosamente, gli uni accanto agli altri, in un unico mondo senza gerarchie”.
Così si chiude, in un ritorno all’assunto iniziale, il cerchio dell’analisi di Marina Miraglia che abbiamo cercato di rendere in “flash” estremamente riduttivi rispetto alla ricchezza dell’esposizione, un’analisi in profondità costellata di citazioni colte da noi appena sfiorata. Seguono 9 densi capitoli, 2 dedicati al paesaggio nell’800 e all’impressionismo nelle ricerche convergenti di fotografia e pittura; e 7 dedicati ciascuno a un grande fotografo dell’epoca. Faremo presto uno sforzo ancora più drastico di fornire per ciascuno di questi capitoli almeno dei sintetici fotogrammi descrittivi
Info
Marina Miraglia, “Fotografi e pittori alla prova della modernità” , Editore Bruno Mondadori, Milano-Torino, gennaio 2012, ristampa, pp. 214, euro 22,00. L’immagine di copertina è di Wilhelm von Gloeden, Caino, 1900 ca. Dal libro sono tratte tutte le citazioni riportate nel testo; su questa rivista “on line” prossimamente i due articoli sui temi indicati: paesaggio e impressionismo e 7 grandi fotografi dell’’800-primi ’90, in base al libro della Miraglia. Aggiornamento: nella ripubblicazione attuale, i due prossimi articoli usciranno in questo sito il 15 e 20 febbraio 2020. Cfr. inoltre i nostri 3 precedenti articoli su “Fotografia e Arte” , usciti in fotografia.guidaconsumatore.com nell’aprile 2012 ripubblicati, anch’essi in questo sito, il 26, 27, 28 dicembre 2019.
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fotografia.guidaconsumatore.it – Autore: Romano Maria Levante – pubblicazione in data 18 aprile 2012 – E mail levante@guidaconsumatore.com