Holliday, vacanze romane dall’inferno al paradiso, al Museo Bilotti

di Romano Maria Levante

La mostra “Frank Holliday in Rome” espone al Museo Bilotti, all’Arancera di Villa Borghese, dal 20 giugno al 13 ottobre 2019, oltre 30  dipinti  di grande formato,  alcuni monumentali, realizzati dall’artista americano a Roma nel  2016. Segue la mostra dell’aprile 2018 al MoMa di New York  sul “Club 57”, il locale newyorkese  dell’East Village  nel quale dal 1978 al 1983 si sono avute le prime espressioni controcorrente di Holliday e di altri artisti nella musica e nell’arte. La mostra, promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale, organizzata dalla Galleria Mucciaccia di Roma con i servizi museali di Zétema Progetto Cultura, è a cura di Cesare Biasini Selvaggi, che ha accompagnato l’artista nella visita guidata di presentazione della mostra. Catalogo bilingue italiano-inglese di Carlo Cambi Editore.

Magical Thinking”, con l’artista, Frank Holliday

Una mostra intrigante, che invita  ad andare “oltre”,  da diversi punti di vista. Il primo è tutto interno all’esposizione, e riguarda il modo di guardare le opere e soprattutto di interpretarle; avviene di frequente ma non nella misura e con l’intensità di questa mostra. Gli altri punti di vista riguardano le opere esposte e l’itinerario artistico e di vita del protagonista.

Immaginare per interpretare

Ci troviamo dinanzi a  tele a olio, l’autore dichiara che per il solvente si è ispirato alla pittura di Tiziano e aggiunge di usare “qualunque cosa che possa essermi utile per finire il lavoro”:  pennelli grandi   e stracci, spatole di metallo e anche le dita.  Sono dipinti spettacolari  accomunati  dal modo personalissimo di unire una serie di colori dalle tonalità più varie in composizioni dove forme indistinte sembrano fluttuare per essere poi risucchiate nel vortice cromatico. L’osservatore  è preso dalla forte sollecitazione visiva mentre cerca di dare una logica all’addensarsi e rarefarsi  delle macchie di colore che sembrano in continuo movimento, come le nubi in un cielo tempestoso. 

“Settembre”

I titoli  aggiungono la sfida  di interpretare il significato specifico della composizione inseguendo le vaghe somiglianze delle formazioni cromatiche a  forme intellegibili.  Ma sono soltanto il  motivo che ha sollecitato l’artista, poi l’impulso di partenza si è tradotto nella libera espressione  in cui non vi è più traccia dello spunto originario, anche quando la spinta iniziale ha accompagnato l’intera creazione, cosa improbabile allorché il tempo di realizzazione si protrae nel tempo, non trattandosi dell’immediatezza dell’”action painting” che da opera d’arte vira in “performance” .

L’artista rivela  come si svolge la fase creativa:  “Sto lì e  metto la pittura sulla tela, immagino ci sia un processo, ma non una formula. Ho l’impressione di ciò che voglio, ma devo trovarlo, guardarlo e scoprirlo nel momento stesso in cui  dipingo. Ci vuole molto tempo per costruire la superficie, la luce, il tempo, il colore e lo spazio”. Quindi conferma che non c’è immediatezza ma maturazione, però sempre  con spontaneità: “Vado a studio ogni giorno, ascolto i dipinti e prendo le decisioni nel momento in cui vengono alla luce. Non c’è un’unica soluzione, c’è molto da guardare  e da dipingere fino a quando, a un certo punto, il dipinto ha tutto e, allora, è concluso”.

“Elektron”

Così descrive l’effetto d’insieme il curatore Cesare Biasini Selvaggi: “La bellezza del colore controbilancia la solidità del gesto pittorico, in un susseguirsi di paradossi dove luci e ombre , cadute e ascese,  assenze e presenze diventano inscindibili”.

E  Carter Ratcliff analizza le onde cromatiche di singole opere  con l’occhio dell’osservatore che voglia “limitarsi solamente a crogiolarsi dinanzi a questi colori sontuosi, questi ricchi impasti e le sorprendenti modulazioni”. Ma non basta, perché “il quadro ci guarda mentre noi lo osserviamo”, e nel fare così ci trasmette un’emozione;  in fondo le “strisce e impennate” cromatiche sono i gesti del pittore,  “ricchi strati di colore verso la medesima alta tonalità di immediatezza. E di complessità”.

Infatti  è complesso, pur nell’apparente semplicità compositiva, percepire cosa c’è dietro la “miscela di elementi” che cambia ogni volta conferendo una diversa identità all’opera e rinnovando la sfida all’osservatore di prevedere quale delle masse cromatiche possa prevalere nell’alternanza dell’onda cromatica. “La tela non è soltanto un soggetto, bensì un surrogato della presenza stessa dell’artista”, quindi non è solo il racconto di un qualcosa che cerchiamo di decifrare con difficoltà dal momento che siamo nell’informale. Difficoltà  anche per trasmettere solo la sua emozione, dato che è difficile la sua permanenza  durante l’intero processo  di creazione dell’opera.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Holy-87-Faces-in-Golden-Rays-1.jpg
“Faces in Golden Rays”

Quindi è inutile investigare, ma si può immaginare: ”I significati di un dipinto di Holliday sono quelli che creiamo  noi stessi quando osserviamo il suo mondo, impigliandoci nella sua scala, nel suo ritmo e nella grana – la consistenza della sua energia e dello stile raffinato delle sue modulazioni”. E allora ci potrà sembrare di vedere il gesto dell’autore, descritto in precedenza con le sue parole,  dietro le “strisce e impennate” cromatiche.

Ratcliff non si ferma a questa sensazione, si spinge più avanti: “La presenza dell’artista affiora man mano che si percepisce che ha un suo modo di occupare questo mondo pittorico che, in fondo, egli è questo mondo. E’ proprio questa unione tra artista e opera che ci porta  dichiarare che l’osservato osserva a sua volta”. E non è cosa da poco perché “evocare questa unicità  vuol dire attribuire a un’opera  l’incommensurabile complessità di una persona, un essere capace di  sentimenti infiniti – e infinitamente sfumati”.

I titoli delle opere  e l’espressione artistica

Cerchiamo di addentrarci in questa complessità cominciando dall’osservazione apparentemente più semplice e scontata: i  titoli che pone alle sue opere rispetto al modo con cui dà ad essi forma visiva. E’ solo una fase della nostra esplorazione, consapevoli che nell’informale non si può cercare la corrispondenza figurativa, ma soltanto delle tracce dell’ispirazione che ha dato il titolo; qualcosa che “rimane nella memoria” e quindi  può lasciare il segno nelle “strisce e impennate” cromatiche.

“Sunset Strip”

Guardiamo prima i cromatismi più luminosi con giallo dominante che vira nell’ocra, li  troviamo in “”Settembre” e “Magical Thinking”, “Elektron” e “Faces in Golden Rays”, “Sunset Strip” e “Yellow Jacket””, fino a “Medusa:  i “raggi dorati”  e le linee avvolgenti della “medusa”  si possono cogliere, ma è il colore con le sue modulazioni ad esprimere il contenuto. Per gli altri titoli rinunciamo all’interpretazione.

Dal colore altrettanto deciso, ma sul rosso, “Sizzle” e “”Phoenix Rising”, non si coglie il rapporto tra il colore e lo “sfrigolio” del titolo, mentre  la “resurrezione della fenice” può essere evocata dal passaggio cromatico, dal giallo e arancio al rosso finale.  Alla destra del dipinto la “vampata” rossa di Blaze” e il “rossore” di “Blush”, nel primo dopo una massa gialla e grossi filamenti ocra, nel secondo il resto ha un’intonazione neutra, pudore o vergogna? Anche in “Femme Fatale” c’è una macchia rossa a destra, vicina a una blu, poi l’intreccio compositivo può evocare la “donna fatale”. Il rosso ancora a destra, il bianco nell’angolo alto e i toni di giallo arancio in “Battle Cries and Champagne”, nell’insolito abbinamento  tra “grido di battaglia e champagne” . Nell’“Electric Eye”  il rosso, con le varianti  arancioni e gialle incombe sulla  parte del dipinto  in bianco-celeste.

“Medusa”

Le tinte chiare, tra bianco e celeste, sono più rare,  le troviamo in   “”Blu Angel “, due sagome vagamente antropomorfe in un  colore  celestiale sembrano evocare l’”angelo”,  in “”F”ountain Blue”, anch’esso con evocazioni peraltro quasi impercettibili della “fontana”, e in “Naked Doves”i “colombi nudi” sono evocati dal biancore  sulla sinistra, mentre a destra si ha un viola inconsueto.  

In White Petalstrionfa il bianco, i “petali” sono evocati ma non delineati dal viola sulla destra,  c’è molto bianco anche in Cold fire”, il “freddo” è nel celeste che trascolora nel bianco, il “fuoco” nel rosso e arancio in alto.  in Jump” il bianco-celeste sta al centro nelle figure fluttuanti nel “salto”  del titolo, tra pesanti masse scure. Il “cielo geloso” di Jealous Sky” lo vediamo solo nella parte destra in alto, il resto è in giallo-arancio e rosso. E’ in basso, tendente al verde, il cielo che si immagina in Wind of Others”, le “ali degli altri” sono visualizzate nelle forme ondeggianti nella parte superiore.

Ed ora i più scuri. Strisce marroni intervallate  da giallo e bianco-celeste in “Burning Desire”, diverso dagli altri dipinti per la verticalità delle strisce, mentre per lo più  il cromatismo è circolare e avvolgente; che sia il “desiderio bruciante”  a dare all’artista quest’altra direzione?  Verticalità anche in East Wind Skies”, nella perturbazione del “vento dell’Est”  che sconvolge i “cieli”. In “Cowboy”   la verticalità è meno spiccata, nelle forme pur confuse un qualcosa che evoca vagamente il titolo. Nelle  “Cascades”  è appena percepibile l’acqua che cade nei filamenti a sinistra, in True Berry” ci sembra misterioso anche il significato del titolo. Una grande massa scura  che scolora nel giallo fino a un bordo azzurro in “”Smoke and Mirrors”, l’interpretazione resta aperta, come in Treasure Ground”, anche qui masse scure che scolorano.   In “Bite and Chew” delle strisce concatenate evocano il “morso” e la “masticazione”.

Phoenx Rising”

Titoli molto espliciti nei due dipinti più grandi, addirittura monumentali: “Run Moon Run”, quasi 3 metri per più di 2, mostra la “corsa della luna”  nel passaggio dal biancore al blu-nero: dall’alba alla notte?  E  Nights of Tiber”, oltre 2,50 per 4,50 metri,  evoca le “notti del Tevere” non solo con il suo blu notturno, ma con le sagome che si intravedono. Sono le  notti dell’artista a Roma, nella lunga “vacanza romana” del 2016 nella quale ha prodotto tutte le esposte. Un lavoro gigantesco realizzato con una forte spinta interiore, forse è quella espressa da “Spark of Soul”, la “scintilla dell’anima” resa in una sinfonia di colori con immagini fluttuanti, quelle dalle quali evidentemente nascevano le sue ispirazioni.

Il soggiorno romano nel  2016 e lo spirito creativo

Questa esplorazione, che ci ha fatto entrare in contatto con gli enigmi di un mondo reso in un cromatismo magistrale  sostitutivo della forma nell’espressione compositiva,   ci porta  a volerne sapere di più del suo soggiorno romano. Ci aiuta il  recentissimo colloquio dell’artista con Anney Bonney nel quale, poco prima della mostra, nello scorso mese di maggio, rievocava quel  periodo.

“Blaze”

Sono le sue “vacanze romane”, in un straordinaria “residenza” personale così intensa  e feconda.  “Vivevo abbastanza da monaco. Lo studio era dietro una chiesa ed era stato ricavato da un vecchio box auto dalla capienza di una vettura. Era sprovvisto di finestre e io ci abitavo direttamente sopra”. Vediamo delle fotografie in mostra, compresa la bicicletta con cui si spostava, ci sembra tutto molto  povero, ma l’artista esclama: “Era bellissimo”.  Forse lo giudicava così perché  sapeva che nelle vicinanze aveva avuto lo studio Caravaggio, per di più di lì  poteva andare facilmente ad ammirare  le sue opere della Cappella  Contarelli  “che aveva più o meno le dimensioni del mio studio. Stavo in piedi davanti ai dipinti e mi lasciavo invadere dalla loro potenza e, poi, tornavo nello studio per continuare a lavorare”.   

Dal suo racconto lo vediamo come in “trance”: “Ero concentrato e assorbito mentre stavo in piedi davanti ai miei dipinti. Cercavo di intercettare la forza dell’arte che vedevo tutto intorno a me , dappertutto, nelle fontane, nelle strade e nelle chiese”.  La luce che pioveva dalle vetrate delle chiese  lo ha aiutato a  “scoprire come illuminare dall’interno”, è rimasto ammirato dalla “grandiosità del barocco”. Così, esclama, ”lo studio cominciò a trasformarsi in un calderone”.

“Blush”

 Ma non solo in senso cromatico ed espressivo, c’è qualcosa di più profondo. Già l’osservazione dei soffitti  affrescati, in particolare da Tiepolo, con “il loro spazio infinito e senza tempo racchiuso in una cupola fisica”  gli aveva  dato “la sensazione di essere senza peso, di fluttuare”;  in studio faceva “ruotare la tela sul muro” fino a raggiungere “ la sensazione di essere  senza peso, anche se la materialità del colore lotta  per ristabilire il predominio della forza di gravita”; lo stesso effetto, spiega, che Pollock raggiungeva dipingendo sulla tela posta a terra con una sorta di danza ispirata.

Di qui è venuta per lui la rivelazione: “Ho scoperto che ci sono tre zone: c’è il paradiso, che di solito è luminoso, arioso e senza peso – qualcosa che non possiamo avere, ma di cui possiamo farci un’idea. E poi c’è la terra. Quindi l’inferno. E l’inferno è la forza di gravità, che cerca sempre di aggrapparsi a noi per tirarci giù. E noi siamo incastrati tra i due”.  Da Bernini viene l’aiuto decisivo, lo definisce “geniale” perché nelle sue opere “si avvertono l’attrazione del peso della terra e la ricerca della spiritualità nella pietra. Nei miei dipinti affronto questo spazio intermedio artigliandolo e gattonando. Annaspo tra l’inferno e il paradiso, nel mezzo”.

“Battleground”

Così l’artista  ricorda  Roma  nel colloquio avvenuto nel suo studio newyorkese. E non poteva non pensare all’inferno, quello che ha attraversato in New York  dal punto di vista umano e non solo artistico, fino all’approdo nel suo “phoenix risng”,  che per noi è il “paradiso romano”.

L’itinerario artistico e umano, la morte  e l’inferno nella vita e nell’arte

Ma c’è un’ulteriore  esplorazione che va fatta per capire come l’artista parli di inferno e paradiso in modo così personale e intenso che non sembra trattarsi di metafora, quanto di vita vissuta. Possiamo farla attingendo alla miniera di  notizie contenute nella ricostruzione  quanto mai dettagliata operata del curatore Biasini Sslvaggi che fa rivivere i tempi eroici e tragici delle inquiete avanguardie “underground”  di cui Holliday ha fatto parte e le vie percorse dall’artista, molto diverse dalle forme espressive attuali. 

Fino al  2010, allorché  con “The Gold Gold”   vediamo apparire un cromatismo compositivo con dominante gialla del tipo di quello che vediamo nella mostra di Roma, dopo che nel 2014, con “Rumors” ed “Ever”  ha avuto altre espressioni cromatiche, culminate nell’azzurro  di “Fly Away”, quando l’artista spicca il volo, se ne avverte il senso di sollievo.   Il  2016, con la “total immersion” in una Roma così coinvolgente per lui, dà alla sua svolta un valore quasi liberatorio. Che risulta ormai permanente, stando alle composizioni dello stesso tipo, anche se in un cromatismo meno aereo e sfumato, realizzate dopo il ritorno a New York, nel 2017 e 2018.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Holy-50-Femme-Fatale-sin-52-Battle-Cries-and-Champagne-dxc-2.jpg
Da sin., “Femme Fatale” e “Battle Cries and Champagne”

Il suo percorso artistico  inizia con “la spontanea celebrazione dell’attimo”  per dare espressione allo “slancio vitale”  nell’accezione di Bergson, che ispirò la sua visione dall’inizio degli anni ’80, quando a New York  il suo studio era in una piccola stanza gelida divisa in due da una tenda nera perché lo condivideva con l’artista Carl Apfelschnitt; non potevano che derivarne  dipinti neri, “minimali”, come i “Black Mirror”, lo specchio che riflette l’immagine inquietante di se stesso.

E’  l’ora del “Club 57”, aperto nel 1978 nell’interrato di una chiesa nell’East Village,  culla delle avanguardie pop  e delle sperimentazioni nei più diversi generi artistici con le “drag performance”. Nel 1980 la doppia personale “New Paintings by Keith Haring and Frank Holliday”, Haring era stato suo compagno in un corso di semiotica alla School of Visual Art di New York; di Holliday, “Black Mirror” e  il polittico “TVC 15” ispirato alla canzone di David Bowie dello stesso titolo.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Holy-77-Bite-and-Chew-1.jpg
“Bite and Chew”

E qui irrompe la vita in tutta la sua drammaticità: “I dipinti – osserva Biasini Selvaggi –  rappresentano una premonizione dell’AIDS  e della sua lunga ombra, ripristinando i valori materiali della pittura, ridefinendo  il disegno come parte del processo pittorico  e dimostrando di guardare già al di là del postmodernismo  per riacquistare la pienezza della pittura intesa come arte principale”.  Questo contro  “la dittatura di Clement Greesnberg”  – così intitolava la sua critica Kay Larson nel 1987 – le cui concezioni sull’arte priva di ogni contenuto avevano segnato la morte della pittura negli anni ’60, la paralisi dell’arte all’inizio degli anni ’70 e la reazione postmodernista.

Holliday passa dal nero al bianco,per sentirsi circondato dalla luce, ma con la metafora della morte: “Volevo trasmettere il senso di perdita e al tempo stesso di sicurezza e di pericolo” e, nelle parole del curatore, “il senso, cioè, della morte nella vita e della vita nella morte”.  Sempre nel “Club 57” si impegna nelle scenografie teatrali malvolentieri, “per me erano installazioni, ma furono liquidate come elementi scenografici”. Non era soltanto questa l’anomalia, “al ‘Club 57’ c’erano droghe e promiscuità: era una grande famiglia orgiastica”  ha ammesso Kenny Scharf, così non solo non poteva durare a lungo, tanto che chiuse all’inizio del 1983, ma i suoi frequentatori furono falcidiati dall’AIDS:  “Keith Haring è solo uno dei tanti artisti che morirono a causa del virus Hiv – ricorda Biasini Selvaggi –  Frank Holliday ne è, invece, uno dei pochi superstiti”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è IHoly-120-Treasure-Ground-sin-95-EastWind-Skies-dx-1.jpg
Da sin., “Threasure Ground” e East Wind Skies” 

In quegli anni la sua pittura aveva toni ossessivi, “erano un teatro della crudeltà, in cui la qualità del colore era espressionista, l’atteggiamento vero l’intero piano pittorico era formale,  e il proprio immaginario pervaso di morte, violenza e negatività. Scene prese dalla sua vita underground”.

Per questo forse anche ora parla di inferno, come abbiamo visto, descrivendo se stesso mentre annaspa nell’area intermedia che porta al paradiso. Allora ha raffigurato in modo metaforico nell’inferno e nella morte il crollo del suo mondo colpito dall’Hiv con la relativa riprovazione morale, e le tragedie dei tanti amici portati via dall’AIDS; ma è un sopravvissuto, quindi “la sua arte celebra tuttavia nello stesso tempo pure la vita, la gioia di vivere”.   

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Holy-74-Run-Moon-Run-circa-3x2-1.jpg
”Run Moon Run” , 295 x 214 cm

L’artista va alla ricerca di una “poetica della pittura. Una poetica che raccogliesse argomenti ampi, come la memoria e la presenza, la morte e la vita, la dannazione e la resurrezione, la materialità e la trascendenza”, i temi che metaforicamente riaffiorano nell’evocazione di inferno e paradiso. In questa dicotomia artistica ed esistenziale convivono opere che nascono dall’“esplorazione”  di  grandi artisti, come Tiziano e Tiepolo, Caravaggio  e Van Gogh, Manet e Rembrandt, e opere  astratte come le immagini totemiche, i volti e i riflessi di “Wah-Wah”.

Alla fine  degli anni ’90 “la ricerca pittorica dell’artista è inghiottita da una sorta di horror vacui compositivo”,  nascono opere “claustrofobiche”, con “gli occhi degli amici morti dallo sguardo penetrante, in modo da generare una reazione psicologica inconsueta nello spettatore, agendo sul suo inconscio ed esprimendo il mondo interiore dell’artista, a partire dal suo emisfero affettivo più prossimo”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Holy-78-Nightes-of-the-Tober-266-457-1.jpg
“Nights of the Tiber”, 266 x 457 cm

Dal puro astrattismo agli effetti psichedelici  con forme sgocciolate alla Pollock, sono gli ultimi fuochi prima della svolta che abbiamo già ricordato in precedenza citando “Gold Gold” del 2010, fino a “Fly Away” del 2014. Svolta che nelle “vacanze romane” del 2016 ha avuto la consacrazione più alta nell’arte e nella vita. Abbiamo visto l’artista illuminarsi quando gli abbiamo fatto notare come il Ninfeo dell’Aranciera di Villa Borghese – che nella mostra fa da scenario spettacolare alle  due opere monumentali – dà un significato  simbolico alle sue opere solari, evoca il  paradiso. Ha annuito con gioia, non solo a parole, la luce dei suoi occhi era più eloquente di ogni spiegazione.  

La pittura di Holliday, una cura dopo la malattia

Siamo tornati, così, alla mostra romana, e ci fa meditare la conclusione di Ratcliff:  “I flussi di  colore che inondano i dipinti di Holliday ricordano gli splendori che tutti riconosciamo perché, come lui, anche noi abbiamo sperimentato il senso di unione con loro. L’immediatezza e la penetrante energia con cui  l’artista presenta questi colori ci aiutano a immaginare un mondo ancora più intenso, più ricco di profondi significati di quello che conosciamo”. 

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Holy-96-Sweet-Blindness-107-Cold-Fire-67-Winds-of-Others-1.jpg
Da sin,. “Sweet Blinness,”, “Cold Fire”, e “Wing of Others”

Il commentatore va oltre: “O forse sarebbe più esatto dire che ci dimostra, con l’esempio delle sue opere, come vivere più intensamente il nostro mondo di quanto siamo normalmente capaci”. Ma non ci indica una direzione, tutt’altro: “Se diventa proprio irrinunciabile ricavare un messaggio  da uno dei suoi dipinti, potrebbe essere questo: non c’è messaggio, non c’è morale della favola. Perché non c’è una storia, perlomeno non una con un inizio, uno sviluppo e una fine; si tratta piuttosto di un campo di inesauribili possibilità”. 

Ma forse  un  messaggio c’è, e  viene da un  artista la cui storia  ha avuto un inizio, uno sviluppo e un lieto fine nell’approdo romano, mentre  il “campo di inesauribili possibilità”  aperto per tutti, e anche per lui, oltre a un messaggio è una speranza che aiuta a vivere.

Proprio per questo ci permettiamo di invitarlo a rivedere il suo motto “Painting is a disease or a curse”  togliendo la “s”  a  “curse”, maledizione, trasformandola in “cure”, cioè cura. Ebbene, crediamo che per lui “la pittura è una malattia o una cura”, anzi  è stata entrambe le cose nella successione degli eventi della sua vita. Comunque,  dopo le “Roman Holliday” del 2016 ci sentiamo di dire che ha cessato di essere una maledizione. Ed ora può affermare di sentirsi “libero di essere dannato e carino quanto serve, di fluttuare, di cadere e rialzarmi allo stesso tempo”.  E’ la prova che la cura è stata efficace, eccome!

Un angolo dell’esposizione

Info

Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese, Via Fiorello la Guardia 6, Roma. Da martedì a venerdì e festivi ore 13,00-19,00  (ottobre-maggio  ore 10-16),  sabato e domenica  10,00-19,00; lunedì chiuso; ingresso fino a mezz’ora prima della chiusura). Info 06.06.08, www.museocarlobilotti.it, www.museiincomune.it.  Catalogo “Frank Holliday”, a cura di Cesare Biasini Selvaggi, Carlo Cambi Editore, giugno 2019, pp 216, formato 24,5 x 28,5; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Cfr. i nostri articoli sull’arte americana: in questo sito, “Lachapelle, l’artista scenografo con nuove opere, alla Galleria Mucciaccia” 24 giugno 2019; in www.arteculturaoggi.com nel 2015: “Lachapelle, la fotografia da set teatrale al Palazzo Esposizioni” 12 luglio; nel 2014: “Warhol. L’artista totale del XX secolo, alla Fondazione Roma” 15 settembre e ”Warhol. Tra la quotidianità e il mito, alla Fondazione Roma” 22 settembre; nel 2013: “Empire, l’arte americana oggi al Palazzo Esposizioni” 31 maggio; nel 2012: sul Guggenheim: “Il museo mecenate dell’avanguardia artistica americana” 22 novembre, “Dall’espressionismo astratto alla Pop Art” 29 novembre, “Dal Minimalismo al Fotorealismo” 11 dicembre; vi si trovano inoltre molti articoli sugli artisti citati nel testo in riferimento a Holliday.

Immagini

Le immagini delle opere di Frank Holliday, tutte del 2016, sono state riprese da Romano Maria Levante al Museo Carlo Bilotti alla presentazione della mostra, si ringrazia l’organizzazione con i titolari dei diritti – in particolare l’artista, anche per essersi fatto riprendere su nostra richiesta vicino a una sua opera – per l’opportunità offerta; la foto di chiusura del Ninfeo è tratta dal sito web “culture future.net”, si ringraziano i titolari. In apertura, “Magical Thinking”, con l’artista, Frank Holliday; seguono, “Settembre” ed “Elektron”; poi, ““Faces in Golden Rays”  e “Sunset Strip” ; quindi, “Medusa” e “Phoenx Rising”; inoltre, “Blaze” e “Blush”; ancora, “Battleground” e ” “Femme Fatale” con “Battle Cries and Champagne”“; continua, “Bite and Chew” e “”Threasure Ground” con “East Wind Skies” ; prosegue, ”Run Moon Run”, 295 x 214 cm, e “Nights of the Tiber”, 266 x 457 cm infine.“Sweet Blindness” con “Cold Fire”, più “Wing of Others“, e un angolo dell’esposizione; in chiusura, il Ninfeo dell’Aranciera di Villa Borghese  visto dall’interno del salone con le opere monumentali.

Il Ninfeo dell’Aranciera di Villa Borghese visto dal salone con le opere monumentali

Aftermodernism, Husby e Samson alla Galleria Mucciaccia

di Romano Maria Levante

La  mostra “Aftermodernism. A perspective on Contemporary Art. Chapter 1. – James Busby-Justin Samson”, alla Galleria Mucciaccia di Roma dal 9 aprile al 29 giugno 2019  espone 25 opere dei due artisti nell’ambito della collezione di Hurbert Newmann, grande rabdomante di talenti  che ha segnato il passaggio nell’arte dalla dimensione modernista dell’opera “chiusa” a quella non-modernista dell’opera “aperta” cui ha dato l’efficace definizione di “aftermodernism”. Curatore della mostra Cesare Biasini Selvaggi, catalogo bilingue italiano-inglese di Carlo Cambi Editore.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Busby-40-46-47.jpg
James Busby, da sin,. “Ocean Eyes”, “Sweep” 2018 e “Sweet Sun”, 2019

Il grande collezionista Newmann, arte “aperta” contro le “chiusure”

La mostra non si limita ai due artisti di cui è esposta una selezione di opere, ma fa piena luce sui movimenti che si agitano intorno all’arte contemporanea e trovano nel grande collezionista Hubert Newman un innovatore forte delle sue intuizioni nell’individuare tra i tanti artisti conosciuti e frequentati quelli dalle potenzialità nascoste che sarebbero esplose. In questo figlio d’arte, per così dire, dato che il padre  Morton agli inizi del ‘900 a Parigi frequentava giovani artisti allora sconosciuti ma che apprezzava; basta citare alcuni nomi per ammirare il felice intuito del collezionista di allora, imprenditore nel campo della cosmetica, si tratta di Picasso e Braque, Mirò e Giacometti. 

Con un simile genitore, agli inizi degli anni ’50 Hubert diventa collezionista seguendo lo stesso principio di seguire giovani sconosciuti nei quali percepiva il talento. Il curatore Cesare Biasini Selvaggi, profondo conoscitoredel mondo artistico americano nel quale è molto addentro,  riporta quanto gli ha detto Newman su questo principio, nel corso di un incontro nella sua residenza all’Upper Side di New York: “Tutta la collezione si basa sull’idea  di comprare opere non ritenute importanti e sottovalutate  dal sistema dell’arte al momento della loro realizzazione”.  Nacque così anche il Guggenheim, con un approccio che a parte l’aspetto economico ha la veste di un mecenatismo “sui generis”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Afterr-Busby-36.jpg
James Busby, “Diamonds and Gasoline”, 2019

Ma seguiamo le confidenze a Biasini Selvaggi: “Mio padre ed io sapevamo che gli Espressionisti Astratti si ritrovavano a Ney York. Frequentammo diversi incontri al 9th Street Club, come anche al Cedar Bar. Era quella la scena artistica. La domenica pomeriggio gli artisti si incontravano  al ristorante all’ultimo piano del Museum of Modern Art. Eravamo attratti da Franz Kline, nonostante molti ne denigrassero i lavori perché non erano colorati  e perché utilizzava vernici da edilizia. Franz faceva molta fatica a vendere le sue opere”.  Risultato: acquistano un grande dipinto per 1000 dollari, in 4 rate di 250 dollari perché Kline non li spendesse subito in alcolici, poco dopo vinse un premio di 3.000 dollari, “e questo ci rese molto felici”,  sentimento suscitato più che dal vantaggio economico dal successo di un artista sconosciuto ma da loro apprezzato.  Anche Giacometti entrò nella loro collezione quando “le sculture di questo artista geniale” non avevano il riconoscimento meritato e poi ottenuto come espressione dell’esistenzialismo.

La capacità di sentire lo spirito del tempo, lo “Zeigest”, è stata alla base dell’attività collezionistica della coppia Morton-Hubert in passato, e di Hubert negli ultimi 30 anni, con il nome di “Aftermodernism”  dato alla tendenza percepita negli artisti  selezionati.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Busby-42.jpg
James Busby, “Gold Panda”, 2019

Qual è questo spirito? Lo spiega Biasini Selvaggi: “Il collezionista Hubert Newmann crede che la migliore arte prodotta oggi rifletta la cacofonia , l’asimmetria e l’indeterminatezza della nostra società”.  Che non trova espressione nell’arte tradizionale, anche modernista,  le cui opere vanno “intese come oggetto con un’identità estetica, formale o materiale rigida, definita una volta per tutte, suggerendo così un mondo di valori altrettanto coerente, ordinato e univoco”, la “dimensione della chiusura”.  “Ma se si guarda al tempo attuale – sono parole di Newmann – con Internet, che è probabilmente il maggiore traguardo conseguito dall’uomo, ci si accorge che l’opera d’arte contemporanea soggiace, invece, a tali fattori di variabilità da essere diventata sempre più aperta , un campo di possibilità senza precedenti”.

Apertura equivale a indeterminatezza e variabilità, come nelle sculture riflettenti di Koons che offrono osservazioni sempre diverse  ogni volta che cambia il riflesso: “Non è possibile cogliere, pertanto, alcuna chiusura nell’opera/dell’opera che, infatti, non si presenta mai identica a se stessa”, precisa Newmann.  Questo dà un ruolo attivo all’osservatore nel considerare l’opera in modo del tutto personale con visioni diverse del tutto asimmetriche che possono divergere dalla stessa interpretazione di base dell’autore.  Biasini Selvaggi commenta: “Tuttavia, è opportuno chiarire, nessuna delle molteplici forme che assume può essere considerata ‘migliore’ di un’altra o più vicina ad esprimere l’essenza dell’opera. Il concetto di apertura riguarda infinite nuove idee anche in altri ambiti di ricerca, dalla filosofia alla matematica, dal cinema all’architettura, dalla musica alla letteratura”. Nella stessa direzione la fotografia astratta, che contesta la “chiusura” dell’immagine in un preciso momento, per immagini “aperte” alle continue modificazioni della realtà, come nelle opere del fotografo-artista De Antonis passato all’astrazione.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Busby-34.jpg
James Busby, “Get Low”, 2019

Il curatore non a caso cita le altre discipline, perché Newmann  è stato sempre consapevole che una civiltà è definita dalla propria filosofia, scienza e arte,  in rapporto tra loro.  E proprio dall’evoluzione del pensiero filosofico,  matematico e scientifico rispetto alla nascita di nuovi linguaggi visivi  è nata in lui la percezione della “rottura”  rispetto al passato  e l’interesse per gli artisti con orientamento “post-moderno”, quindi nell’ottica dell’”aftermodernism”.

Le mostre “The Incomplete” con artisti di “rottura”

E’ una sigla che nasce nel 2013, mentre la percezione della “rottura” risale al 1985, tradotta in un’attività collezionistica  coerente, con la scelta  di artisti operanti in contrasto con l’estetica modernista. Ma, una volta messo insieme un vasto assortimento di artisti ed opere del nuovo corso,, il collezionista diventa anche organizzazione e curatore di mostre innovative dell’arte “aperta”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Busby-44.jpg
James Busby, “Simple Song””, 2019

Tra l’ottobre 2007 e il gennaio 2008  la mostra al Chelsea Art Museum presenta, oltre a 5 artisti già noti, altri 30, Newmann sostiene che non è indirizzata al mercato ma  fa conoscere “opere d’arte che rispecchiano la nostra nuova società aperta”. Dopo aver dichiarato che  “rispecchia alcuni concetti filosofici particolari, quali la lacuna, gli antagonismi, la sottrazione, la molteplicità discordante”,  ammette subito dopo che “di primo acchito, la presentazione potrebbe disorientare un po’. E’ certamente un’esperienza complicata”.  Per questo si rivolge così  al visitatore: “Inizia pure dove ti pare e la comprensione dovrebbe crescere man mano. Cerca di considerarla come una rampa di lancio”. E conclude: “Ci auguriamo che il pubblico che verrà alla mostra possa considerarla l’inizio di una lunga indagine sul momento”. Un messaggio che riteniamo valido per ogni esposizione di arte contemporanea, perché il visitatore anche se è disorientato deve sentirsi nello stesso tempo stimolato a capire. La mostra ebbe nel 2010 una trasposizione europea, a Parigi con 29 artisti e 45 opere.

Titolo delle due mostre “The Incomplete”, per trasmettere il senso di incompiutezza delle opere, in quanto “aperte”; ma presto Newmann si accorse che il nuovo corso non poteva restare incompiuto. Così utilizza il  termine “Aftermodernism” che pur nella sua definizione almeno temporale, aveva pur sempre  una doppia indeterminatezza, come rivela a Biasini Selvaggi: La prima:  “Lo trovo suggestivo perché, attraverso la sua natura ambigua, oppone resistenza alla dimensione di chiusura. E’ ambiguo in primo luogo perché la preposizione after ha due significati [dietro e dopo , n.d.a]”; la seconda: “Inoltre, il concetto di modernism (modernismo) nessuno sa bene cosa sia con esattezza. Alcuni sono arrivati persino alla conclusione che il modernismo non sia mai esistito”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Busby-38.jpg
James Busby, “Always Alright”, 2019

L’Antimodernismo si presenta con una trilogia espositiva

Nel 2013 e 2014  “Aftermodernism”  diventa il titolo di tre mostre successive al Nassau Country Museum of  Art di New York. La prima, con AM  premessa alla fatidica parola, da giugno a ottobre del 1913,  con 5 artisti di cui viene sottolineata la “policromia” e la combinazione di “elementi tanto astratti quanto figurativi in modalità nuove e innovative”.

 La seconda, da ottobre  a febbraio 2014, presenta 19 artisti, di cui 4 della mostra precedente, tra loro anche Justine Samson dell’esposizione attuale, di cui  diremo più avanti. Le opere su carta, bozzetti, appunti, studi preparatori,  cui è riservata la mostra, per loro stessa natura ne accentuano il carattere personale e asimmetrico e  rendono così  l’immediatezza dell’espressione.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Busby-45.jpg
James Busby, “One Red Thread”, 2019

Solo 3 artisti nella terza mostra dal marzo al  luglio 2014, tra loro James Busby, le cui opere, di cui parleremo,  sono esposte alla Mucciaccia con quelle di Samson. Biasini Selvaggi commenta: “Le loro opere illustrano il concetto chiave che anima ’Aftermodernism, quello cioè di visioni artistiche fratturate, asimmetriche, e portano questo nuovo linguaggio verso territori inediti , abbracciando tutto lo spettro dal neo-oggettivismo  al realismo più spinto, senza mai rinunciare all’importanza dell’astrazione”. Questo significa che nelle loro opere,  “in una nuova morfologia di arte minimalista” si può trovare “in modi spesso inediti e  innovativi  la sintesi tra l’astrazione e la figurazione, tra linguaggi iconici e anticonici”.

Un decisivo  passo in avanti nel 2016, dopo la trilogia espositiva terminata due anni prima. Viene aperta  nell’Upper Side a New York una nuova galleria d’arte contemporanea, la Newmann Wolfson Art, da due collezioniste, una delle tre figlie di Hubert Newmann, Belinda, e una delle organizzatrici della trilogia espositiva dell’”Aftermodernism” al Nassau Centrum, Alisdon Wolfson. Addirittura la galleria è dedicata agli artisti “accomunati dalla ricerca di una nuova visione del mondo attuale”. Così, tra luglio e settembre dell’anno di apertura della galleria, subito una collettiva di 33  pittori e scultori, intitolata “AftermodernisM in the Hamptons”, presentata con parole che riecheggiano quelle di Hubert Newmann: “ Viviamo in un mondo frammentario e incoerente. Pertanto è fondamentale prendere in esame questo filone della ricerca artistica contemporanea che riflette questa assenza di organicità e sistematicità”.

Tale frammentarietà si riflette sull’osservatore, al quale l’artista presenta un’opera “aperta” suscettibile di una visione molteplice personale: “Dove ogni fruizione è così un’interpretazione e un’esecuzione poiché in ogni fruizione l’opera d’arte rivive in una prospettiva originale”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Afre-Samson-57.jpg
Justin Samson: “Gegenschein”, 2012

La casa-museo di Newmann e l’accordo con la Galleria Mucciaccia

La figlia di Hubert, dunque, continua l’opera del padre, che ha messo insieme una collezione di oltre 2.600 opere, con capolavori del Cubismo e dell’Espressionismo, dell’Astrattismo europeo e americano, della Pop Art e altre correnti, troviamo anche Picasso e Mirò, Kandisky e Giocometti, oltre a Rauschenberg e Liechtenstein, Haring e Basquiat.

Un ventesimo di queste opere è nella sua residenza newyorkese – 5 piani in pietra calcarea nell’Upper East Side –  che  Biasini Selvaggi descrive  dopo una visita al collezionista concludendo con queste parole: ”Un’esposizione fluida orizzontale, eternamente presente, pertanto, quella di questa casa-museo, in cui l’arte moderna  contemporanea  è offerta alla vista come un intreccio di suggestioni divaricabili quanto intercambiabili, in una galassia di opzione ready-made che veicolano altrettanti messaggi ready-made, esito di una visione del tutto personale…”. E anche “opinabile”, come è giusto che sia.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 600.jpg
Justin Samson, “Gegenschein # 22”, 2012

Si comincia con James Busby e Justin Samson, che hanno esposto  nelle due mostre di “Aftermodernism”  del 2014 e nella mostra “The Incomplete” del 2007, sono presenti nelle stesse collezioni di New York, le due Newmann ovviamente e Museum of Modern Arts, Minneapolis e Miami, fino ad una collezione di Atene. Di entrambi un gran numero di mostre collettive a partire dal 2001; ne abbiamo contate oltre 50 per Busby e oltre 80 per Samson, mentre per le personali il rapporto si inverte, 20 per Busby e 8 per Samson. Interpretano l’”Aftermodernismo”  con delle  notevoli peculiarità nell’impostazione e delle evidenti differenze nei materiali utilizzati e nell’uso particolare che ne fanno, come vedremo descrivendo la personale abbinata, con 10 opere di Busby e 15 di Samson.

James Busby, il lavoro sui materiali

L’”Aftermodernismo” di Busby, nato nel 1973 e operante in South Carolina, viene così descritto da Biasini Selvaggi: ”L’ambivalenza tra  scultura e pittura è sempre stato un catalizzatore dei suoi lavori. La qualità riflettente della grafite che impiega in abbondanza altera la percezione  dello spazio, richiedendo  allo spettatore di muoversi. Le opere, infatti, suggeriscono un numero pressoché infinito di esperienze,  ogni qual volta un riflesso cambia”. Proprio la caratteristica primaria dell’”Aftermodernismo” con al centro il fruitore nelle molteplici visioni che può avere dai mutevoli punti di vista dati dai riflessi cangianti.

Il curatore va oltre: “Il traguardo per l’artista è quello di  condurre lo spettatore alla consapevolezza dell’irrealtà del mondo, del suo carattere transitorio e, in qualche modo, arbitrario, in perfetta armonia con l’insaziabile ricerca  di un linguaggio inverosimile e, a sua volta, di un’apertura a sogni esaltati”.

Li vediamo nei titoli, “Ocean Eyes”, con gli “occhi dell’oceano” in una miriade di fori su una superficie argentata, e “One Red Thread”, il filo rosso delineato in alto  sopra due forme triangolari giustapposte;  Sweet Sun, il “sole dolce” nella macchia gialla in basso a sinistra a fronte di due masse nere che tendono a congiungersi, e  “Sweep”,  la “spazzata” forse evoca il bisogno di pulizia nei tre semicerchi bianchi in fondo alla superficie nera solcata da segni chiari, “Diamonds and Gasoline” , “Get Low” e “Always Alright” , tre dischi  gemelli con diversi segni cromatici e vibrazioni, “Gold Panda”, il bianco-nero del simbolo del rischio di estinzione, sia pure a strisce, evocato dal titolo, con il giallo dell’oro, e Slow Burn”, la “bruciatura lenta” in uno stick sottile nero, dala punta gialla e nera. MentreSimple Song”, il “semplice canto” è reso con una forma nera con riflessi verdi che evoca un profilo.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Samson-58.jpg
Justin Samson, “Acropolis on Pergamon”, 2016

I singoli titoli  non sempre aiutano nell’interpretazione, forse sono il motivo di partenza, come abbiamo visto nella mostra attualmente in corso al Museo Bilotti, su Frank Holliday, ma poi l’artista è preso da altre  sollecitazioni. A differenza  di Holliday, nel quale domina il cromatismo, qui sono i materiali ad avere la prevalenza su qualunque altro elemento. E, si badi bene, non solo i materiali utilizzati, ma la lavorazione cui sono sottoposti.

Sono compresenti nelle opere appena citate gesso e grafite, olio e acrilico nella pittura spray su legno, utilizzati con un’estrema attenzione alla fattura, lo spiega il curatore: “Il suo rigore esecutivo ricalca  lo stesso processo della scultura, perché si compie per sottrazione. Anche se la superficie finale dei suoi lavori sembra liscia e del tutto finita, molte volte rappresenta l’esito di una costante pratica decostruttiva. Allo stesso modo di un disegno  che passa per diverse fasi di cancellatura”.

Le fasi di realizzazione  sono molteplici, dalla sovrapposizione di  strati di gesso, uno al giorno perché si devono asciugare,  alla levigatura e alla lucidatura, con attrezzi artigianali, che determinano l’effetto riflettente, fondamentale per l’”Aftermodernismo”, senza uso di vernici, ma con ore di lavorazione; completa l’opera la pittura spray su fogli acrilici e l’inchiostro, il tutto in dimensione tridimensionale. Per i tempi di attesa porta avanti più opere contemporaneamente che vedranno la luce al termine del processo.

Le opere vanno  considerate in modo unitario, come del resto sembra suggerire il curatore: “L’intervento dell’artista si disloca nello spazio secondo la misura rigorosa,  eppure libera, delle sue sequenze che danno vita nel loro insieme a un’unica installazione in cui ciascun elemento è legato e rimanda al successivo”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Samson-53.jpg
Justin Samson, “Inhabitant” , 2018

James Samson, cromatismo e collage nella nuova pittura

Se i materiali sono l’elemento distintivo delle opere di Busby, il cromatismo lo è per le  opere di Justine Samson, classe 1979, dal Connecticut. Artisti in famiglia,  zio e nonno  pittori, sin da piccolo vissuto tra tele e colori, frequenta l’Istituto d’arte, la considera la sua vocazione, ammira i Fauves e Derain. Ma nell’adolescenza la passione per la musica punk e per le idee politiche del movimento lo prende, e anche di recente, ha confidato al curatore, ha riascoltato  quei gruppi.

“Il suo modo di fare arte – spiega Biasini Selvaggi – e le conseguenti modalità di esposizione, mantengono tracce indelebili della cultura del fai da te e della filosofia antisistema del movimento punk”. A questo si aggiunge l’influsso anche delle altre forme musicali, dal Jazz alle più sofisticate, con il concetto di “opera aperta”  che attinge alle varie discipline in modo libero, fuori dai tabù, anche quelli delle avanguardie, compreso quello del linguaggio che, nel suo caso, porta al recupero della  pittura rifuggendo dalle suggestioni della tecnologia.

Recupero ma nel rinnovamento, perchè “i meccanismi del colore non sono stati ancora sfruttati a fondo. C’è, insomma, ancora molto da inventare,  a partire dalla  contrapposizione dei medium più contrastanti (olio e acrilico, vernice spray, ecc)”. Il curatore descrive  così i risultati: “I suoi sono combine-works in cui la sovrapposizione eclettica di supporti, l’assemblaggio di materiali irrituali, o lo strano accostamento di immagini ritagliate e incollate direttamente… e l’effetto rappresentano una modificazione del medium pittorico, di cui non si riesce, infatti, ad averne una percezione chiusa definita, compiuta”.

Guardiamo le opere esposte per verificare un’operazione artistica collegata all’immagine di società incompiuta e “indefinita” della società contemporanea come è stata percepita da Newmann – lo si è visto all’inizio – e tradotta in opere dai suoi artisti, da Samson in lavori soprattutto pittorici.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Samson-54-55.jpg
Justin Samson, da sin., “Farvieewer” ,2914 e
“Feltzen on the Rhine”, 2019

La sua nuova pittura utilizza  gli oli e acrilici su tela, ne  vediamo esposte delle serie molto colorate, a differenza di Busby, con dei titoli dichiaratamente esplicativi.

Nella prima serie, del 2018,  abbiamo 6 dipinti di piccole dimensioni, 42 per 35 cm, con piccole figure di vario tipo ritagliate e incollate su fondi a tinta unita,  gialla e blu, rossa e verde. I titoli sono descrittivi di situazioni illustrate dai ritagli figurativi: An Essay on the Picturesque” e A Description of  the Scenery of the Lakes  in the North”, “Interior of Tintern Abbey”   e “Frost at Midnoght”,  “A Description of Keswick” eShe Dwelt among the  Untrodden  Ways.

Molto più grandi 4 opere, con sovrapposizione di supporti, evidente in “Gegenschein”, 2012, e “Acropolis of Pergamon”,  2016, quasi 2 metri per lato, mentre in A Farmhouse near the Water’s Edge”, 2016, e “Gegenschein #22”, 2012  metri 1,30-40 per 1,10 tornano i comparti.

Un’altra serie presenta dipinti verticali, con diversi comparti, che ci ricordano alcune opere di Sergio Ceccotti, come  “Avventura e mistero” e “Scena notturna”, del 1966-68. per la divisione in comparti  con scene di vita, soprattutto Inhabitants”, 2018, lo accostiamo a Ceccotti, pur nella radicale differenza nella rappresentazione, qui nessuna pistola ma volti e oggetti ritagliati; mentre in Farviewer”,  2014, e “Feltzen on the Rhine”, 2019,  nei comparti vi sono figure geometriche dai colori brillanti fortemente contrastanti.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Samson-68.jpg
Justin Samson, “Time and Space #13”, 2011

Questo viene esaltato nel “quadro-scultura” “Time and Space #13”, 2011, con molti materiali, dal legno  alla stoffa fino alla pelliccia sintetica, ma quello che spicca sono i cerchi rosso e blu, il triangolo rosa su uno sfondo che va dal giallo al rosa, dal verde al blu, netti e intensi, quasi un’installazione.

Una vera installazione campeggia all’ingresso della mostra, nel centro della prima sala, Gemini 1”, 2018, c’è il cerchio azzurro in un’alzata  con intense macchie cromatiche, molto spettacolare.

Un “tourbillon” di sensazioni resta negli occhi del visitatore, immagini staccate che si sovrappongono. Forse per questo Biasini Selvaggi conclude che “non è possibile ricordarsi dell’opera, di come sia,  una volta che si smette di guardarla”. 

Ma non è un dato negativo: “Viviamo in una società incompiuta e questa sua mancanza di definizione o di chiusura  nella sua leggibilità si riflette in un campo di possibilità senza precedenti su cui insistono tutti gli aspetti della nostra vita, che nutrono e perpetuano quell’organismo in continua mutazione che è diventato il mondo dell’arte contemporanea”.

Lo vedremo nelle prossime mostre sull’”Aftermodernism” previste nel programma concordato dalla Galleria Mucciaccia con il grande collezionista  Hubert Newmann; ora abbiamo avuto il “1° Capitolo.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è After-Samson-70.jpg
Justin Samson, “Gemini 1”, 2018

Info

Galleria Mucciaccia, Largo della Fontanella Borghese 89, Roma Da  lunedì a sabato, ore  10.00 – 19.30; domenica chiuso Tel.  06 69923801, segreteria@galleriamucciaccia.it| www.galleriamucciaccia.com. Catalogo “Aftermodernism, a Perspective on Contemporary Art – James Busby – Justin Samson” “, a cura di Cesare Biasini Selvaggi, Carlo Cambi Editore, aprile 2019, pp. 74, formato 17 x 24; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Cfr. i nostri articoli sull’arte americana: in questo sito, “Lachapelle, l’artista scenografo con nuove opere, alla Galleria Mucciaccia” 24 giugno 2019; in www.arteculturaoggi.com nel 2015: “Lachapelle, la fotografia da set teatrale al Palazzo Esposizioni” 12 luglio; nel 2014: “Warhol. L’artista totale del XX secolo, alla Fondazione Roma” 15 settembre e ”Warhol. Tra la quotidianità e il mito, alla Fondazione Roma” 22 settembre; nel 2013: “Empire, l’arte americana oggi al Palazzo Esposizioni” 31 maggio; nel 2012: sul Guggenheim: “Il museo mecenate dell’avanguardia artistica americana” 22 novembre, “Dall’espressionismo astratto alla Pop Art” 29 novembre, “Dal Minimalismo al Fotorealismo” 11 dicembre. Per Ceccotti e l’artista-fotografo citato nel testo: nel 2018: “Ceccotti, la “finestra sul cortile” e il “rebus” nella pittura, al Palazzo Esposizioni” 26 settembre; nel 2016: “De Antonis. Nella fotografia astratta un nuovo realismo” 19 dicembre, “De Antonis. Dai ritratti classici alla fotografia astratta” 25 dicembre. Ci sono molti articoli, dal 2012 in poi, sugli artisti della collezione citati nel testo.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla Galleria Mucciaccia, si ringraziano gli organizzatori, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Le prime 7 immagini ritraggono opere di Busby, tutte del 2019 meno una espressamente indicata; le successive 8 opere sono di Samson, in varie date. James Busby: in apertura, “Ocean Eyes”, con “Sweep” 2018 e “Sweet Sun” ; seguono, “Diamonds and Gasoline” e “Gold Panda”; poi, “Get Low” e “Simple Song””; quindi, “Always Alright” e “One Red Thread”. Justin Samson: “Gegenschein” e “Gegenschein # 22” 2012; poi, “Acropolis on Pergamon” 2016, e “Inhabitant” 2018; quindi, “Farvieewer” 2914, con “Feltzen on the Rhine”2019; inoltre, “Time and Space #13” 2011, e “Gemini 1” 2018; in chiusura, “An Essay on the Picturesque””, con “Interiorr of Tintern Abbey” e “A Description of Keswick” , del 2018.

Justin Samson, da sin., “An Essay on the Picturesque””, “Interiorr of Tintern Abbey” e
“A Description of Keswick” tutte del 2018

Rosefeldt e Carmelo Bene in due mostre intriganti al Palazzo Esposizioni

di Romano Maria Levante

“Manifesto”  dal 26 febbraio al 22 aprile, e “Il Corpo  della voce” dal 9 aprile al 30 giugno 2019 protagonisti Julian Rosefeldt nella prima, Carmelo Bene nella seconda, presentano due approcci di rottura e in un certo modo rivoluzionari. “Manifesto”, definito “call of action” dall’autore chiama all’azione contro le regole del mondo attuale, motivo di base i manifesti ideologici del ‘900, forma espressiva  13 brevi filmati interpretati dal premio Oscar Cate Blanchett,; “Il corpo della voce”, “esplora la voce tra scienza, teatro e canto”, motivo di base la rottura del legame indissolubile tra il significato della parola e la sua dimensione sonora”, forma espressiva le performances di tre grandi protagonist, oltre a Carmelo Bene, Cathy Barberian e Demetrio Stratos. Collaterali per “Manifesto”  “incontro con Julian Rosefeldt e 4 pomeriggi con suoi video in marzo;  per “Il corpo della voce” visite, incontri, laboratori, e  una Rassegna cinematografica in aprile-maggio di 22 titoli.

“Manifesto” di Julian Rosefeldt

Una breve presentazione dell’autore, nato nel 1965 a Monaco, dove è docente di Digital and Time-based Media all’Accademia di Belle Arti, ha studiato architettura nella città natale e a Barcellona, vive a Berlino dal 2011; la mostra nasce dalla sua attuale presenza all’Accademia Tedesca di Roma a Villa Massimo. Artista di matrice cinematografica vicino alla cultura pop, con formazione storica, è noto per le sue installazioni visive anche in più schermi, come nella mostra attuale, di tipo teatrale con impronta surreale perché utilizza in ambienti di normale quotidianità personaggi che li rendono bizzarri. Le sue opere si trovano in collezioni private e in alcuni dei più grandi musei, dal MoMA, il Museum of Modern Art di New York alla Burger Collection di Hong Kong, dallo Sprengel Museum di Hannover alla Nationalgalerie di Berlino. Attualmente è borsista.

Una breve presentazione dell’autore, nato nel 1965 a Monaco, dove è docente di Digital and Time-based Media all’Accademia di Belle Arti, ha studiato architettura nella città natale e a Barcellona, vive a Berlino dal 2011; la mostra nasce dalla sua attuale presenza all’Accademia Tedesca di Roma a Villa Massimo. Artista di matrice cinematografica vicino alla cultura pop, con formazione storica, è noto per le sue installazioni visive anche in più schermi, come nella mostra attuale, di tipo teatrale con impronta surreale perché utilizza in ambienti di normale quotidianità personaggi che li rendono bizzarri. Le sue opere si trovano in collezioni private e in alcuni dei più grandi musei, dal MoMA, il Museum of Modern Art di New York alla Burger Collection di Hong Kong, dallo Sprengel Museum di Hannover alla Nationalgalerie di Berlino. Attualmente è borsista.

E’ senz’altro suggestiva la messa in scena dei 13 schermi cinematografici nella “Rotonda” del Palazzo, in una oscurità rotta dai bagliori delle immagini che rimbalzano da uno schermo all’altro, ben distanziati  ma sufficientemente vicini per la sintonia corale che esplode in certi momenti.

Si passa dall’uno all’altro trovando sempre Cate Blanchett protagonista di 12 brevi storie – ispirate ciascuna a un gruppo di “manifesti” ideologici – anche se non riconoscibile nelle sue camaleontiche incarnazioni in tanti personaggi diversi, quante sono le denunce-appelli che l’autore rivolge al mondo nelle fiction di 10 minuti e 30 secondi con diverse ambientazioni, significati e intenti: dall’aula scolastica al cimitero, dalla scuola di danza all’inceneritore di rifiuti, dalla ricerca scientifica al brockeraggio, dal management imprenditoriale all’”homeless”, dalla televisione alla esibizione adolescenziale. Tutti personaggi femminili tranne uno, in contrasto con l’origine dei manifesti ispiratori, per lo più di marca maschile, molto diversi al punto che non ci si accorge neppure che sono interpretati dalla stessa bravissima attrice. australiana.

Per la piena comprensione si sente la mancanza dei  sottotitoli al parlato  in un inglese che  rende i filmati poco intellegibili ai non anglofoni, tanto più che la compresenza di altri video non favorisce la concentrazione, Ma ciò ha acuito l’interesse sui “manifesti” d’epoca che sono la base ideologica della creazione artistica, una  sintesi dei quali è stata opportunamente fornita dall’organizzazione.

L’interesse, e la sfida a cui è chiamato il visitatore è di collegare la trama del filmato, scarna ed essenziale, con i rispettivi manifesti ispiratori, ma non trova delle risposte bensì nascono interrogativi, in netto contrasto con la forza, spesso la violenza delle enunciazioni dei manifesti, i cui intenti sono sempre rivoluzionari nell’arte con le avanguardie, e spesso anche nella società.

Non è automatico collegare immagini della quotidianità – anche domestiche e non trasgressive – con gli ardenti proclami sulla necessità di superare il passato, per usare un eufemismo, espressi in un linguaggio aggressivo che rivelava la giovane età degli autori e l’impazienza di rivoluzionare il mondo per ricostruirlo su nuove basi.

Non è automatico collegare immagini della quotidianità – anche domestiche e non trasgressive – con gli ardenti proclami sulla necessità di superare il passato, per usare un eufemismo, espressi in un linguaggio aggressivo che rivelava la giovane età degli autori e l’impazienza di rivoluzionare il mondo per ricostruirlo su nuove basi.

Si tratta di manifesti della prima parte del ‘900, quindi “datati” e precedenti le vere rivoluzioni del progresso tecnologico che ha fatto passi da gigante cambiando radicalmente la vita e sconvolgendo  con la telematica e Internet il mondo delle comunicazioni su scala globale.  Ma il collegamento è più nella citazione che nella rappresentazione, per cui si evitano queste possibili incoerenze. Al riguardo ricordiamo intanto i manifesti novecenteschi con le principali scene dagli stessi ispirate. 

Il manifesto del Futurismo evocato dall’agente di cambio,che declama nella grande sala dove si svolgono le contrattazioni borsistiche, e il manifesto dei Stuazionisti nelle grida del  senzatetto sperduto in uno stabilimento in rovina; il manifesto dell’Architettura negli scorci avveniristici di un inceneritore di rifiuti dove si muove un’operaia nella sua tuta argentata, e il manifesto del Vorticesmo con l’Espressionismo astratto e il Cavaliere azzurro nell’intervento a un party di una manager, amministratore delegato; il manifesto dello Stridentismo e Creazionismo nelle farneticazioni di una punk fuori di sé, e il manifesto dei Suprematisti  con i Costruttivisti nell’azione di una scienziata in un laboratorio di alta tecnologia; il manifesto dl Dadaismo nell’orazione funebre sulla morte e sul nulla; il manifesto dei Surrealisti con gli Spazialisti nella confezione del pupazzo con la propria immagine di una burattinaia; il manifesto della Pop Art nella recita sommessa come una preghiera di una madre intorno al desco familiare, degli intenti trasgressivi   di una artista pop; il manifesto degli Happening, con Flexus e Merz nelle parole rivolte in modo energico da una severa coreografa alle ballerine nelle loro tute argentate; infine il manifesto del Nuovo cinema negli insegnamenti ai suoi scolari di una maestra elementare. Prologo il manifesto dei Comunisti, di Marx ed Engels, una miccia accesa.

Ed ora spigoliamo fior da fiore nei Manifesti del ‘900 con i loro messaggi rivoluzionari che l’artista ha voluto evocare nei 13 filmati per la “chiamata in azione” alla ribellione creatrice di nuova arte.

Il  manifesto del Futurismo (con il Broker), di Filippo Tommaso Marinetti, seguito dal Manifesto dei pittori futuristi di Boccioni e Carrà, Russolo, Balla e Severini, fino all’Antitradizione futurista di Apollinaire: “Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno. Noi vogliamo glorificare la guerra e le belle idee per cui si muore. Esaltare ogni forma di originalità, anche se temeraria, anche se violentissima…. Noi dobbiamo ispirarci ai miracoli della vita contemporanea, alla ferera rete di velocità che avvolge la terra lanciata a corsa, essa pure, nel circuito della sua orbita… Distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico, il pedantismo e il formalismo accademico. Noi vogliamo liberare l’Italia dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri innumerevoli.  Volete dunque sprecare tutte le vostre forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del passato, da cui uscire fatalmente, esausti, diminuiti e calpesti?”.

Il manifesta dei Situazionisti (con il senzacasa),di Guy Debord,con Lucio Fontana e il suo “Manifesto bianco”,  “Noi continuiamo l’evoluzione dell’arte. Le idee non si rifiutano, si trovano in germe nella società, poi i pensatori e gli artisti le esprimono… Il vecchio mondo sta morendo, un altro sta nascendo… La crisi generale del capitalismo si riflette nella sua cultura… L’arte moderna, soffrendo di una tendenza permanente verso tutto ciò che è costruttivo e di un’ossessione di obiettività , rimane isolata e  impotente in una società che sembra incline alla sua stessa distruzione. L’arte occidentale, un tempo celebrazione di imperatori e di papi, sta diventando strumento di glorificazione di ideali borghesi… Glorifichiamo la rivoluzione a gran voce come unica  motore della vita. Glorifichiamo le vibrazioni degli inventori… Facciamo appello a tutti gli intellettuali onesti, a tutti gli scrittori ed artisti, perché abbandonino l’illusione dell’arte e che l’artista si possa isolare dai conflitti storici”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Julian-5.jpg

Nel manifesto dell’Architettura (con la lavoratrice inceneritore rifiuti), dallArchitettura futurista di Antonio Sant’Elia, l’Architettura deve bruciare di Coop Himmelb(I)au, Una Architettura non semplice di Venturi fino a Bruno Tau: “”Oggi più che mai crediamo nella nostra volontà, che rappresenta il nostro unico valore  nella vita: il continuo cambiamento. Lottiamo senza tregua contro la vigliaccheria passatista, Sentiamo di non essere più gli uomini delle cattedrali, dei palazzi, degli arengari, ma dei grandi alberghi, delle gallerie luminose, dei rettifili, degli sventramenti salutari.. Buttiamo all’aria monumenti, marciapiedi, porticati, gradinate, sprofondiamo le strade e le piazze, innalziamo il livello della città. Noi dobbiamo inventarla e ricostruirla simile a un immenso cantiere tumultuante, agile, mobile, dinamico in ogni sua parte, e le nostre case devono essere simili a macchine gigantesche… L’architettura se fredda che sia fredda come un blocco di ghiaccio. Se calda sia calda come un’ala in fiamme. L’architettura deve bruciare”.

Passando al manifesto del  Vorticismo, Espressionismo astratto e il Cavaliere azzurro (con la manager A.D.)di Lewis, Newmann e Kandinskij, leggiamo: “Si apre una grande stagione: il ‘risveglio’ spirituale, la tendenza a recuperare l’’equilibrio perduto’, la inevitabile necessità di seminagioni spirituali, lo schiudersi delle prime gemme.. Siamo alla soglia di una dell più grandi epoche che l’umanità abbia mai vissuto, l’epoca della grande spiritualità.  L’arte, la letteratura, e perfino al scienza ‘positiva’  rivelano gradi diversi di conversione alla nuova era; ma vi soggiacciono tutte… Ci stiamo liberando delle  catene della memoria, delle associazioni  automatiche, della nostalgia, della leggenda, del mito. Invece di costruire cattedrali su Cristo, sull’uomo o sulla ‘vita’, le stiamo traendo da noi  stessi, dai nostri sentimenti… Il nuovo vortice si immerge nel cuore del Presente… Con il nostro vortice il Presente è l’unica cosa attiva. Il Passato e il Futuro sono le uniche cose fornite dalla Natura.

Il manifesto dello Stridentismo e Creazionismo (con la ragazza punk tatuata), di Maples Arce con Huidobro, Gabo e Pevsner, lancia questo messaggio: “L’uomo non è un meccanismo a orologeria sistematicamente bilanciato. Le idee spesso deragliano.  Non sono sempre consequenziali, una dopo l’altra, ma simultanee e intermittenti. La logica è un errore, e il diritto  alla completezza uno scherzo di cattivo gusto.  Tutto il mondo viene diretto da una banda di dilettanti… Non cerchiamo la verità nella realtà delle apparenze, ma nella realtà del pensiero. Dobbiamo creare. L’uomo ha smesso di imitare. Inventa , aggiunge qualcosa ai fatti del mondo, nati in seno alla Natura, nuovi fatti nati nella sua testa : una poesia, un quadro, una statua  un piroscafo, un’automobile, un aeroplano. Dobbiamo creare. E’ questo il sego del nostro tempo… Basta con la retrospezione! Basta col Futurismo! Ognuno, silenzioso, a bocca aperta, miracolosamente illuminato dalla vertiginosa luce del presente: unico ed elettronicamente sensibilizzato all’IO ascendente”.

Si prosegue con il manifesto del Suprematismo e Costruttivismo (con la scienziata),alfieri Malevic e Rodchenko con la sua “pittura non-oggettiva”con Olga Rozanova: “La vita dev’essere liberata dal fracasso del passato, dall’eclettismo parassitario, per essere riportata alla sua normale evoluzione. L’arte non deve andare verso al sua riduzione  e la sua semplificazione, ma verso la complessità. La Venere di Milo è un modello palese di decadenza. Non è una donna reale ma una parodia. Il David di Michelangelo, quale mostruosità… I maestri del Rinascimento hanno conseguito grandi risultati nell’anatomia… Qul che è vivo si trasformava in uno stato di immobilità, di morte… Il pittore è votato ad essere un creatore libero, non un libero predatore. Solo nella creazione assoluta acquisirà il proprio diritto. creare vuol dire vivere, produrre eternamente cose sempre nuove. deve verificarsi un miracolo nella creazione artistica!”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Juloian-9.jpg

Ed ora il  manifesto del Dadaismo (con l’oratrice funebre), capofila Tristan Tzara, con Picabia e Ribemont-Dessaignes, Eluard e Aragon: “Si muore da eroi e da idioti, che è proprio la stessa cosa. La sola parola che non sia effimera è la parola morte. Amate vivere, probabilmente. Ma avete cattive abitudini, amate troppo quello che vi hanno insegnato ad amare… Vediamo tutto, non ci piace niente. Siamo indifferenti….Io sono contro tutti i sistemi, l’unico sistema accettabile è quello di non seguirne…. Dada non è follia né saggezza né ironia. Dada non significa nulla… E’ il nulla, come le vostre speranze: nulla. Come il vostro paradiso: nulla… Basta con i pittori e letterati, musicisti e scultori, religiosi e repubblicani, monarchici e imperialisti, anarchici e socialisti, bolscevichi e politici, proletari e democratici, borghesi e aristocratici, polizie, eserciti, patrie, basta con tutte queste idiozie, niente più, niente più, niente, NIENTE; NIENTE, NIENTE… Abbiamo bisogno di opere forti, diritte, precise e incomprese una volta per tutte. La logica è una complicazione. La logica è sempre falsa. Sposata alla logica, l’arte vivrebbe un incesto, inghiottendosi, ingoiandosi la coda, sempre del suo corpo si tratta, fornicando con se stessa”.

ligioni: nulla. Abbiamo bisogno di opere forti, diritte, precise e incomprese una volta per tutte. Prima di spegnere così in voi ogni desiderio di orgasmi, di filosofia, di pepe e di cetrioli metafisici, matematici e poetici – Prima di tutto ciò – Ci tufferemo in un bel bagno antisettico – E vi avvertiamo – Siamo noi gli assassini – Di tutti i vostri piccoli neonati”.

Segue il manifesto del Surrealismo  e Spazialismo (con la burattinaia), Capofila André Breton, con due manifesti e Lucio Fontana, del Manifesto bianco: “Viviamo ancora sotto il regno della logica. Il razionalismo assoluto che rimane  di moda ci permette di considerare soltanto fatti strettamente connessi alal nostra esperienza. Con il pretesto del progresso e della civilizzazione, si è arrivati a bandire dallo spirito ogni possibile ricerca della verità che non sia conforme all’uso…  Vorrei dormire er potermi abbandonare ai sognatori; per far cessare il ritmo cosciente del mio pensiero. Non può essere anche il sogno utilizzato per risolvere i problemi fondamentali della vita? E nel sogno sono presenti questi problemi?… la ragione non crea. Nella creazione delle forme la sua funzione è subordinata a quella del subcosciente. Il subcosciente, magnifico ricettacolo dove si collocano tutte le indagini che l’intelligenza percepisce, ospita le nozioni che informano la natura. Il subcosciente modella l’individuo, lo integra  e lo trasforma”.

Come manifesta della Pop Art (con la madre tradizionalista),  l’orazione di Claes Oldenburg: “Sono per un’arte che cresce inconsapevole di essere arte. Sono per un’arte che s’ingarbuglia con le schifezze di tutti i giorni & riesce comunque a emergere. Sono per un’arte che imita l’umano, che è comica, se necessario, o violenta, o qualsiasi cosa sia necessario Sono per tutta l’arte che prende la sua forma dalla vita, che si contorce e si estende e accumula e sputa e sgocciola, ed è pesante  e volgare e brusca e dolce e stupida come la vita stessa… Sono per l’arte che zoppica, e rotola, e corre e salta. Sono per l’arte che si avvita e ruggisce come un lottatore…. Sono per l’arte che si srotola come una mappa, che si può baciare come un amato cagnolino. Che si espande e scricchiola come una fisarmonica, su cui puoi rovesciare la tua cena come su una vecchia tovaglia… Sono per l’arte che cade, che schizza, che si agita, salta che va e viene…”.

Per il manifesto dell’Happening, Fluxus e Merz (con la coreografa),  tanti protagonisti, da Rainer a Williams, e Corner; Cage e Higgings, fino a Vautier, Maciunas per Fluxus, Schwitters per Merz: “La vita è un’opera d’arte e l’opera d’arte è vita. Più sappiamo, meno capiamo, e meglio è. Io accolgo tutto quello che verrà… Purgare il mondo dalla cultura intellettuale, professionale e commercializzata. Purgare il mondo dall’arte morta, dall’imitazione, dall’arte artificiale, dall’arte astratta, dall’arte illusionistica, dall’arte matematica. Promuovere l’arte della Non Realtà che tutti possono capire, non solo i critici, gli intellettuali e i professionisti. Promuovere un’inondazione e un’ondata rivoluzionaria in Arte. Promuovere l’arte viva, l’anti-arte…. Tutto quello che dico è Arte è Arte. Tutto quello che faccio è Arte è Arte. Pretendo il principio di uguali diritti per tutti i materiali, uguali diritti per persone abili, idiote, reti metalliche fischianti, pompe pensanti”.

Il manifesto dell’Arte concettuale  e Minimalismo (con la telecronista-reporter), teorici Le Witt, Sturtevant e Piper: “Le idee possono essere opere d’arte. Nell’arte concettuale l’idea, o concetto, costituisce l’aspetto più importante del lavoro. Quando l’artista utilizza una forma di arte concettuale vuol dire che tutto il progetto  e tutte le decisioni vengono prese anticipatamente e  e che l’esecuzione si riduce a un fatto meccanico.  L’idea diventa una macchina che realizza l’arte. Questo tipo di arte non è teoretica né illustra teorie; è invece intuitiva e senza scopo. Qualunque sia la forma finale, deve cominciare con un’idea. L’aspetto dell’opera d’arte non è troppo importante. E’ con il processo di ideazione e di realizzazione che ha a che fare l’artista. L’opera, una volta che l’artista le abbia conferito realtà fisica, è aperta alla percezione di tutti, anche dell’artista… L’arte concettuale non è necessariamente logica. La logica può essere utilizzata per camuffare il vero intento dell’artista, per cullare lo spettatore nella convinzione di capire il lavoro oppure per suggerire una situazione paradossale – ad esempio logico contro illogico”.

Come manifesto del Cinema (conl’insegnante), una serie di postulati di Brakhage e Jarmusch, con Trier, Vinterberg e Herzog: “Si immagini un mondo prima del ‘principio e della parola’. Si permetta alla cosiddetta allucinazione di entrare nel regno della percezione, di accettare le visioni oniriche, i sogni a occhi aperti e quelli notturni. L’occhio della mente non si deve necessariamente spegnere dopo l’infanzia. Niente è originale. Ruba da qualsiasi cosa che risponde all’ispirazione o alimenta la tua immaginazione. Divora i vecchi film, i nuovi film, la musica,i libri, i quadri, le fotografie, le poesie, i sogni, le conversazioni casuali, l’architettura, i ponti, i segnali stradali,  gli alberi, le nuvole, i bacini d’acqua, luci, ombre… Scegli di rubare solo le cose che parlano direttamente alla tua anima. Se fai questo, il tuo lavoro e il tuo furto saranno autentici.  L’autenticità è preziosa, l’originalità inesistente”.

Con questo Epilogodal manifesto di Wood (nel collage dei manifesti di cinema): “Io sono in guerra con il mio tempo, con la storia, con ogni autorità contenute in forme fisse e spaventate… Non ho modo di sapere il tuo nome. Né tu il mio. Domani inizieremo insieme la costruzione di una città”.

Il Prologo era stato il manifesto del Partito comunista  (con al miccia che brucia): autori Marx ed Engels con riferimenti al Dada di Tzara: “Sono contro l’azione; per la contraddizione continua e anche per l’affermazione, non sono né favorevole né contrario e non do spiegazioni perché detesto il buonsenso.  Scrivo un manifesto perché non ho nulla da dire… Parlo sempre per me perché non voglio convincere nessuno non costringo nessuno a seguirmi e ciascuno si fa l’arte che gli pare… Si crede forse di aver trovato  una base psichica comune a tutta l’autorità? Come si può far ordine nel caos di questa informe entità variabile: l’uomo?”.

Un interrogativo ancora più stringente dopo la carrellata nei manifesti novecenteschi che l’opera di Rosefeldt, pur se di difficile decifrazione pur nella sua apparente semplicità ha avuto il merito di riproporre. Un merito esteso alla direzione del Palazzo Esposizioni sebbene l’allestimento della forma espositiva non agevola di certo il visitatore comune.  Ma la silloge dei manifesti è preziosa!

“Il corpo della voce”, Carmelo Bene, Cathy Berberian, Demetrio Stratos

Protagonista  è la voce, definita così: “La voce è lo strumento con il quale diamo volume ai nostri pensieri, registra e diffonde le nostre emozioni e ci permette di comunicare con il mondo. L nostra voce parla, ride, piange, urla, canta e si tace… insomma, è il più straordinario strumento di partecipazione alla vita, il più naturale e al tempo stesso misterioso del nostro essere al mondo”.

E sulla voce c’è una prima sezione della mostra dedicata alla foniatria, dei video con sequenze di bocche atteggiate alle più diverse fonazioni fanno entrare nella carnalità vocale, se si può usare un ossimoro, con le sperimentazioni della ricerca vocale, le pratiche vocali diffuse nel mondo e le indagini sulle potenzialità vocali. Le installazioni interattive consentono di rendersi conto di ciò.

Il “clou” è nel trio Cathy Beberian, Demetrio Stratos e Carmelo Bene  perché si passa dalla voce in un’ottica di ordine fisiologico e foniatrico alla voce come strumento di espressione artistica.

Con Cathy Berberian ci si immerge nelle sperimentazioni di musica elettronica degli anni ’50, e ‘60 la sua straordinaria vocalità  ha ispirato artisti quali  Cage e Berio, Maderna e Bussotti. Il suo  “Stripsody”, del 1966, definito un “brillantissimo saggio sull’onomatopea vocale”,  ispirato ai u fumetti comici, anche Umberto Eco si interessò alla”popular culture” della Berberian. Di Demetrio Stratos sono presentate prove coinvolgenti della sua straordinaria potenzialità vocale.

 Ma per noi nulla è più coinvolgente, a livello uditivo, della voce di Carmelo Bene, la cui azione teatrale è stata basata sulle possibilità date dalle straordinarie modulazioni piuttosto che sulla recitazione e lo stesso contenuto. Con i laboratori della Biennale Teatro, a porte chiuse esplorò le possibilità della “parola di smarcarsi dal senso e della voce di farsi puro ascolto”.

La locandina del Teatro delle Arti del 1992 reca citazioni da lui prescelte che riassumono i presupposti della sua sperimentazione vocale nel corpo vivo del teatro: Nietsche:”Ciò che nel linguaggio meglio si comprende non è la parola, bensì il tono, l’intensità,  la modulazione, il ritmo con cui una serie di parole vengono pronunciate. Insomma, LA MUSICA CHE STA DIETRO LE PAROLE, la passione dietro questa musica, la personalità dietro questa passione: quindi tutto quanto NON PUO’ ESSERE SCRITTO. Per questo lo scrivere ha così poca importanza”.  Lacan: “IL DISCORSO NON È NELL’ESSERE PARLANTE”. Artaud:

“Un teatro subordinato al testo “è un teatro di idioti, di pazzi, di invertiti, di pedanti, di droghieri, di antipoeti, di positivisti, in una parola di occidentali”.  La voce sovrasta il testo, il tono le parole.   

L’ascolto delle interpretazioni teatrali di Carmelo Bene, che ricordiamo fotografato in scena da Abate, con le memorabili modulazioni della voce dà compitamente il senso della rivoluzione vocale dell’immaginifico artista, che intitolò un suo libro “Sono apparso alla Madonna” per marcare di essere controcorrente, dalle iniziali esibizioni trasgressive nei teatrini romani alle recitazioni nei grandi teatri.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Voce-5.jpg

Il Palazzo Esposizioni è andato oltre l’abituale corredo di incontri e laboratori per i piccoli, questa volta anche per studenti più grandi  e adulti con sollecitazioni canore delle curatrici, e addirittura ogni sabato e domenica “esercizi di riscaldamento vocale di gruppo all’interno della mostra” con insegnanti specializzati del metodo Linklater, il cui motto è “liberare la voce vuol dire liberare la persona”.  

Ma è solo il contorno, abbiamo gli “esercizi di memoria per quattro voci femminili” e la performance “Quattro voci dalla città stanca”, i sei incontri della serie “A voce alta” e l’“Omaggio a Carmelo Bene”  con 6 sue performance teatrali  di cui l’artista è stato regista, interprete e  e voce solista-recitante,  da “Macbeth Horror” a “Hommelette for Hamlet “L’Adelchi”  e “Manfred”, fino a “Quattro diversi modi di morire in versi” e “In-vulnerabilità d’Achille”. Inimitabile!

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Voce-carmelo-bene-fine.jpg

Il programma “Vedere la voce”  presenta 10 film:con “ grandi storie cinematografiche che hanno in comune un protagonista sotterraneo: la voce. Una mappatura della comunicazione attraverso esperienze molto diverse tra loro… voci della natura o mediate dalla tecnologia… voci deliranti e sinistre, sovrumane o divine, ricostruiscono un’immagine sonora della nostra presenza nel mondo”.

Anche in questa occasione, come in casi precedenti – citiamo tra i tanti “ Human”  e “Dna”  – il Palazzo Esposizioni svolge una funzione pubblica di approfondimento e divulgazione su temi scientifici. Il lato spettacolare viene curato, e se ne può apprezzare lo sforzo pedagogico: anche se viene meno il Palazzo Esposizioni delle grandi mostre d’arte, soprattutto dopo il divorzio dalle Scuderie del Quirinale cui evidentemente è stata demandata la frontiera artistica. Un peccato!

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carmelo-Bene-print.jpg

Info

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Da martedì a domenica ore 10,00-20,00, venerdì e sabato apertura fino alle 22,30, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 10, ridotto euro 8.  Tel. 06 39967500; www.palazzoesposizioni.it. Su Carmelo Bene cfr. i nostri articoli: in www.arteculturaoggi.com, “Abate. Le foto a Carmelo Bene al Palazzo Esposizioni” 2 gennaio 2013, e in fotografia.guidaconsumatore.it, “Roma. le foto di Claudio Abate a Carmelo Bene al Palazzo Esposizioni” 3 gennaio 2013 (quest’ultimo sito non è più raggiungibile, le foto saranno trasferite su altro sito, saranno fornite a richiesta).

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione delle mostre al Palazzo Esposizioni, si ringrazia la direzione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Si inizia con la mostra “Manifesto”, in apertura, un quadro d’insieme di 8 interpretazioni di Cate Blanchett; seguono 13 immagini riprese dagli schermi, alternando scene delle singole storie con lprimi piani dell’interprete in diverse incarnazioni; poi mostra “La voce e il corpo”, si inizia con un’immagine della sequenza “Le bocche” di Stratos, poi 2 immagini di Cathy Berberian, quindi un’immagine di Demetrio Stratos, inoltre 3 immagini di Carmelo Bene, la seconda in “Nostra Signora dei Turchi” con Margherita Paratich; in chiusura, una sala con video-audio per i visitatori.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Voce-print.jpg

Cultura d’impresa, l’umanesimo industriale nel convegno di Civita

di Romano Maria Levante

A Roma,  il 24 giugno 2019,  si è tenuto il convegno “Umanesimo industriale: creatività, innovazione e cultura d’impresa” promosso dall’Associazione Economia della Cultura e dall’Associazione Civita nella cui sede  a Piazza Venezia sono intervenuti come relatori  operatori del settore e docenti universitari.  E’ stato svolto il tema generale “Costruire l’immaginario nella competizione globale”, moderatrice Elisa Fulco, Heritage communication consultant. Dopo gli nterventi in programma su questo tema è intervenuta Madel Crasta dell’Associazione per l’Economia della Cultura per introdurre la parte speciale, Il Paese e le sue imprese: il racconto dell’unicità”, relativa all’attività di alcune Fondazioni, la cui trattazione è stata rinviata. Ha sottolineato, tra le altre considerazioni, che il nostro è un  paese con tante identità e c’è  difficoltà a farle coesistere e farne una sintesi, ma devono convivere scienza e cultura,  passato e presente  nelle imprese, e non solo; tecnica e umanesimo sono indispensabili ed è stata istituita un’università in cui sono felicemente abbinati. Riporteremo le principali argomentazioni degli interventi sul tema generale.

Il logo del Convegno

Civita da trent’anni prosegue nell’impegno  di collegare la cultura con le imprese e con l’economia, del resto lo ha nella sua origine – salvare un bene culturale, Civita di Bagnoregio –  e nella sua composizione,  fatta di molte imprese associate con una “mission” culturale.  Le diverse ricerche sulle “Imprese culturali e creative”  hanno scandagliato, e continuano a farlo, questa componente del nostro sistema produttivo più legata alla cultura, mentre con la “Cultura di cittadinanza” e il “Soft Power” ha esplorato temi che stanno a monte e a valle del fatto culturale. Nell’ultimo Rapporto ha analizzato anche il tema “I giovani e la Cultura”  nel mondo dei social del Web. In parallelo a questa attività di ricerca di tipo culturale la promozione di iniziative come le vie Francigene e l’incessante organizzazione di mostre d’arte.  

Il tema del convegno,  storia aziendale e  cultura d’impresa come  “asset” immateriale  

Il convegno attuale è stato presentato da Civita come un modo di  “mettere a fuoco la trasformazione, insieme  culturale e produttiva, che vede il mondo delle imprese italiane  interprete creativo del valore della memoria e di un nuovo umanesimo con, al centro, il rapporto con le persone”.  Le imprese sono impegnate  nel valorizzare la loro storia per trasferire i propri valori all’interno e all’esterno e farne un fattore di sviluppo,  mediante  gli archivi storici e le biblioteche, l’impegno in capo museale le mostre e le produzioni artistiche.

E’ un fenomeno positivo accentuatosi   notevolmente  nella moderna società digitale che offre maggiori opportunità di valorizzare i contenuti immateriali e nello stesso tempo presenta crescenti esigenze e richieste. La ricostruzione della memoria aziendale fa emergere “una storia d’idee, di persone e territori intrecciata all’evoluzione dei processi produttivi, delle tecnologie e della ricerca scientifica: una sintesi fruttuosa che interpreta in pieno il bisogno di riallacciare i rapporti fra la cultura scientifica e quella umanistica”.

Le imprese italiane, in quanto  nella loro attività quotidiana producono e utilizzano una serie di prodotti riferiti alla cultura,  rappresentano un sistema culturale con implicazioni  di tipo storico, sociologico ed economico che concorre, con le Istituzioni, alla creazione della cultura del Paese. 

Pertanto il recupero della loro memoria storica, e la sua valorizzazione, può portare a notevoli risultati: da quelli più strettamente aziendali, legati al marketing nella qualificazione  dei prodotti con il “brand heritage”  e alla migliore consapevolezza del “Know how”  aziendale; a quelli più generali, come la condivisione dei  valori con la società e la valorizzazione del territorio con il turismo industriale promosso anche  dall’interesse suscitato per la propria storia.

.Innocenzo Cipolletta nel ricordare questi temi, ha portato il saluto dell’Associazione Economia della Cultura, di cui  è stato Presidente, e ha presentato l’omonima  rivista –  è uscito il 1° numero del 2019 nelle edizioni del “Mulino” – nella quale la materia viene trattata sistematicamente in modo approfondito.

Ha sottolineato che il rapporto tra imprese e cultura interessa tutto il territorio e le comunità  che vi si trovano e vengono investite dai cambiamenti epocali che sconvolgono l’economia. Ha citato il passaggio traumatico dalla civiltà contadina alla società industriale e quello successivo dalla società industriale alla società dei servizi,  il lavoratore non si rapporta più alle macchine ma alle persone.  Cambiano radicalmente le forme organizzative. Sono fenomeni economici ma anche culturali.

Tra cultura ed economia, ha concluso, non c’è  contraddizione né dipendenza, ma  interdipendenza, quindi relazione reciproca.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è cIVITA-SALA-2.jpg
La sala Gianfranco Imperatori prima dell’inizio del Convegno

Cultura d’impresa e territorio, la linea della Confindustria

Importante la presenza della  Confindustra con il Presidente del Gruppo Tecnico Cultura&Sviluppo, Renzo Iorio, secondo il quale  bisogna avere  la consapevolezza che fare impresa con  una visione globale oltre i cancelli dello stabilimento è un elemento chiave  di successo.

L’impresa è legata al territorio e alla comunità  che gli dà vita, quindi  l’etica di impresa va portata  nelle grandi occasioni  culturali, come si sta facendo a Matera, l’attuale capitale europea della cultura; in tale modo tale legame, spesso non riconosciuto, può risultare quanto mai efficace.

Nella competizione globale ci si deve basare sui  fondamentali del nostro paese, che sono forti,  per  costruire  l’immaginario. Con la comunità locale va istituito un rapporto di fiducia che solo comportamenti adeguati possono alimentare.

Il vantaggio competitivo si può creare anche con la qualità della vita che il paese sa esprimere, valorizzando gli elementi immateriali.  Però, a dispetto dei fondamentali, ci troviamo al 12° posto nella classifica dei paesi rispetto al “Soft Power”,  altri sanno comunicare meglio di noi questi valori; eppure le indagini svolte  pongono il nostro paese al primo posto come creatività e capacità inventiva, e come destinazione preferita dei viaggi degli stranieri, e non è solo per la bellezza.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è CiviTA-GIUGNO-TAVOLO-1t.jpg
I relatori, con la moderatrice Elisa Fulco, al centro, durante la relazione del presidente Gruppo Tecnico Cultura&Sviluppo Confindustria, Renzo Iorio, secondo da sin.

La Confindustria  cerca di dare consapevolezza dell’importanza di questo aspetto e dei danni che possono derivare da una percezione distorta della realtà che diventa insoddisfazione. “Occorre lavorare a casa nostra su come siamo e su come rischiamo di diventare perché il vantaggio competitivo è legato al nostro modo di essere,  quindi non deve deteriorarsi”. E questo non riguarda soltanto il turismo, anche se è molto importante;  i nostri fattori competitivi immateriali diventano una vetrina straordinaria per il mercato internazionale, e ciò  comporta  scelte più ampie.

Non bisogna guardare solo al proprio interno di produttori ma al modo di comunicare l’idea di impresa,  mediante la valorizzazione del fascino che ne deriva e non dobbiamo disperdere.  L’imperativo è quello dell’erede consapevole del patrimonio ricevuto che deve lasciare a sua volta in eredità.  I soggetti economici e i cittadini della comunità devono essere uniti nel valorizzare l’immaginario per il vantaggio competitivo del nostro paese.

I Musei aziendali, il valore della longevità d’impresa e il “giudizio di autenticità”

Dalla rivendicazione dell’importanza  di valorizzare la cultura d’impresa alle forme in cui questo avviene. Marco Montemaggi, Consigliere di “Museimprese”,  ha descritto l’organizzazione e l’attività di questo organismo. Fondato nel 2001 da Assolombarda e  Confindustria  per supportare musei e archivi, ha  85 associati e una rete europea, con 25 archivi d’interesse per il MiBAC.  La missione è promuovere la politica culturale dell’impresa, scambi e relazioni, la sua attività è rivolta ai musei e archivi e alle imprese per l’apertura di  strutture artistiche e museali; opera anche con seminari residenziali.

Tra le iniziative e realizzazioni ha citato la Settimana della cultura d’impresa, come cultura del cambiamento, il documentario newmuseum(s), la mostra ”Che storie”  che  a Milano nell’ambito dell’Expo è stata una vetrina per gli associati,  “the great industry game” in  Italia e all’ estero.

Il  patrimonio storico aziendale viene considerato uno strumento al servizio dell’impresa, dimostra come le capacità attuali, pur nei forti mutamenti dovuti all’innovazione,  nascono dalle radici del passato, visto come risorsa e non in senso agiografico.

Appartenenza e identificazione fanno parte di questo modello culturale, tradotto nel museo aziendale che ne dà testimonianza conservando la storia e rappresentandola  come veicolo di valorizzazione.

Il museo dell’azienda  come luogo di presentazione ed evocazione della storia aziendale nella quale si manifesta la cultura d’impresa , fa sentire il cliente parte della storia, trasformandolo  in appassionato, quindi fidelizzato; perciò  va considerato un “asset”  aziendale, strumento di  trasmissione e comunicazione tra azienda e comunità presenti nel territorio.  C’è anche un nome, “heritage marketing”.

Nelle ultime “slide” spiccano le immagini dei musei di imprese celebri, tanti documenti, tante produzioni d’epoca, tante storie. Fino alla frase di Mahler: non si tratta di “culto della cenere, ma di custodia del fuoco”.

La parola agli studiosi, Maria Rosaria Napolitano, Professore di Management all’Università di Napoli Parthenope,  approfondisce il tema del valore della storia aziendale nell’ottica della longevità in rapporto con l’orientamento strategico; in particolare parla delle attività di “heritage marketing” esercitate dalle imprese longeve.

Pone una serie di domande sulle imprese longeve: quali i fattori di longevità? Quale il patrimonio di valori, spesso familiari? Quali le linee strategiche? Quali gli strumenti?  Quale il contenuto della comunicazione?  Ebbene, la risposta è stata una e precisa: è un’opportunità che ancora non viene colta, e lo si vede nelle percentuali per classi di età delle imprese viste sotto questo profilo.

L’ “heritage marketing” è un processo manageriale e sociale con varie fasi: nell’“auditing”  si identificano i fattori,  nel “visiting” si fissano gli obiettivi, nel “managing”  le attività, nel “controllino” le verifiche.

Gli strumenti sono di varia natura, in un mix di narrazione con parole e con immagini di prodotti e brand in luoghi come il museo e in apposite celebrazioni.

La relazione di Chiara Paolino, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a dx

Chiara Paolino, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, si è posto il problema della misurazione di  come  l’impresa esprime la propria cultura chiedendosi se va fatto  rispetto alla prestazione oppure agli “stakeholders”, cioè i portatori di interesse, se deve essere solo una misura quantitativa  e se va considerato anche l’impatto sul sistema culturale e artistico.  

E’ una misura della produzione culturale che nelle imprese di successo fa sorgere l’interrogativo: “sono ricche perché investono in arte e cultura oppure l’inverso”,  cioè  fanno tali  investimenti perché hanno un surplus di risorse?

Quale che sia la risposta, viene sottolineata l’Importanza dell’investimento culturale dell’impresa che emerge dai risultati di un’apposita ricerca sulle imprese italiane, la “corporate collection”. E’ emersa la necessità di una maggiore socializzazione con lo sviluppo di sistemi di gestione della conoscenza assicurando la capacità di supportarli, in una “governance” organizzativa profondamente rinnovata.

Vi è anche un “giudizio di autenticità” che nasce dalla verifica del rapporto integrato tra  “stakeholders” e  valori, “skills” e processi, il tutto storicizzato, che porta a ripartire le imprese in diverse categorie. Importante considerare l’innovazione, con la quale l’impresa impara a fare ciò che prima non faceva, lo vediamo anche in campo artistico dove l’artista apprende pratiche e modalità nuove.

C’è una stretta interazione,  per cui le professioni museali diventano attività d’impresa e viceversa,   parla di “lateral thinking”, pensiero laterale, e del fatto che l’innovazione viene collegata allo “storyrelling” riferendola alle radici della storia aziendale come Montemaggi di “Museimpresa”.

Si  leggono le parole chiave che riassumono  i  motivi anche interiori direttamente toccati:   relazioni fiducia emozioni esperienza estetica storia memoria identità nostalgia identificazione appartenenza ricordi orgoglio autenticità  conservazione restauro valorizzazione.

Per quello che evocano ci sembra possano concludere il nostro resoconto quanto mai sommario dell’esplorazione in un campo nel quale l’ottica aziendale si coniuga con la visione  personale profondamente umana; alla quale tiene in particolare il presidente di Civita Gianni Letta.

Un’altra immagine della sala del Convegno

Info

Convegno nella sede dell’Associazione Civita, Sala Gianfranco Imperatori, Piazza Venezia  11, Roma. Per i precedenti convegni di Civita su temi e iniziative culturali cfr. i nostri articoli in www.arteculturaoggi.com: nel 2019: su “I giovani e la cultura, I ‘Millenials’ nell’XI Rapporto di Civita” 11 e 18  aprile; nel 2018: “WeAct per le Gallerie Nazionali d’Arte Antica” 20 dicembre, sulla “Cultura come diritto di cittadinanza” 20 e 25 ottobre, sulle “Imprese culturali e creative”  14, 18 febbraio, sul “Soft Power”  11 e 15 febbraio, sulla “Via Francigena”  19 luglio; negli anni precedenti: sulla “Via Francigena”, 18 giugno 2017, 29 agosto 2015, 19 luglio 2014, sul salvataggio di “Civita di Bagnoregio”  20 giugno e 9 luglio 2015, sulle “Imprese culturali e creative” 19 settembre 2014, sugli “Itinerari consolari” 16 marzo 2013, sui “Tesori della provincia di Roma” 29 luglio 2013; inoltre, in www.archeorivista.it, sull’ “Archeologia e il suo pubblico”  26 febbraio 2010, e  in cultura.inabruzzo.it, “Appello contro la recessione culturale” 15 luglio 2010,  le “Domus di Palazzo Valentini”  3 dicembre 2009, “Arte, cultura, territorio” 3 novembre 2009,  la “Via Francigena”  5 ottobre 2009, l'”Hotel della cultura” 17 settembre 2009 (i due ultimi siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).  Non si citano i numerosi articoli sulle mostre organizzate da Civita.

Foto

Le immagini del Convegno sono state riprese da Romano Maria Levante nella sala di Civita, si ringrazia l’associazione per l’opportunità offerta.  In apertura, il logo del Convegno; seguono, la sala Gianfranco Imperatori prima dell’inizio del Convegno, e i relatori, con la moderatrice Elisa Fulco, durante la relazione del presidente Gruppo Tecnico Cultura&Sviluppo Confindustria, Renzo Iorio; poi, la relazione di Chiara Paolino, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e un’altra immagine della sala del Convegno; in chiusura, dalla terrazza della sala del Convegno, la vista sul Vittoriano.

Dalla terrazza della sala del Convegno, la vista sul Vittoriano.

Lachapelle, l’artista scenografo con nuove opere, alla galleria Mucciaccia

di Romano Maria Levante

La mostra “David Lachapelle” espone a Roma alla Galleria Mucciaccia, dal 18 aprile al 5 luglio  2019,  35 composizioni spettacolari, in gran parte di notevoli dimensioni,  dell’artista americano che realizza dal vivo scenografie costruite come “set” teatrali, e poi le fotografa in un fotorealismo brillante nella resa visiva, intrigante nel contenuto. La mostra, a ingresso gratuito, è a cura di LaChapelle  Studio e Galleria Mucciaccia, Catalogo della Galleria Mucciaccia.  All’artista è stata dedicata nel 2015  dalla Fondazione Roma la mostra “David Lachapelle, dopo il diluvio”; è in corso  una mostra alla Venaria di Torino, organizzata da Civita Mostre, dal titolo “Atti divini”.   

The New World”, 2017

Le opere più recenti per la prima volta esposte a Roma

L’interesse corre subito alle nuove opere presentate, successive alla mostra del 2015 alla Fondazione Roma. Sono 5 opere del 2017, su temi che approfondiscono ulteriormente quelli cari all’artista. Un tuffo nella natura  e nella spiritualità suscitato dall’ambiente in cui lui si trova fisicamente e traduce in scenografie ispirate e lussureggianti: ”Quando sono alle Hawaii – dichiara – sono isolato  e vivo fuori dal mondo. Essere immerso nella natura  e nelle sue meraviglie mi dona decisamente nuova ispirazione”.

 In “A New World”,   davanti a una tenda rossa tre figure circonfuse da un’aureola di raggi, due con le mani giunte, una di loro in ginocchio con a lato una lampada accesa: è impressionante la forza spirituale che si sprigiona dal raccoglimento in un ambiente naturale suggestivo, con le chiome degli alberi, la cascata, lo specchio d’acqua.  I raggi a mo’ di aureola li vediamo anche in un’opera di vent’anni prima, “Sacred Life”, soggetto due tori nel verde della vegetazione.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachepelle-18.jpg
“Behold”, 2017

“Behold”   è un giovane dal viso ispirato, anche lui ha l’aureola di raggi, intorno alla fronte  una corona di fiori, non sembra una corona di spine anche se potrebbe essere l’immagine di un Cristo rivisitato. Tanto più che in “Jesus anb Buddha under a Tree”  Cristo in piedi con l’aureola a raggi ha il viso somigliante a “Behold”, il tutto incastonato in una natura lussureggiante.

Altrettanto senso panico di abbandono alla natura in “Lost and Found”, una scena idilliaca da paradiso terrestre, si poteva intitolare “Adamo ed Eva”, i due giovani nella loro innocente nudità tra i rami dell’albero con le braccia che si protendono nel gesto di porgere e ricevere la fatidica mela, le luci, i riflessi, i colori, danno alla scena una luce non solo esteriore.

C’è luce anche in “Miley Cyrus: Solitary”, ma ha tutt’altro significato, filtra in una stanza dove una giovane donna  nuda in ginocchio si protende veda le due finestre alte e strette in cui passano i raggi luminosi, basta vedere il povero arredamento,  in fondo una rete fissata al muro per dormire, nella parete di destra due piccole mensole, in quella di sinistra un bugliolo. Non ci sono dubbi, è una cella, si potrebbe dire dal paradiso della liberta nella natura all’inferno della prigionia nella cella.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachapelle-20.jpg
“Jesus and Buddha Under a Tree”, 2017.

Partendo da queste opere rievochiamo il mondo di questo artista presente  negli ultimi vent’anni in 120 mostre personali e in un numero ancora maggiore di mostre collettive, che ha avuto tanti riconoscimenti. Un artista fuori dal comune, che non è possibile incasellare in un genere, dato che si colloca tra la fotografia,  la pittura e  la scenografia, superandole  in una sintesi personalissima.

Le opere che abbiamo descritto e quelle che citeremo più avanti, infatti, sono  per lo più dei grandi affreschi scenografici ottenuti fotografando una scena  predisposto a tal fine, come in un allestimento teatrale o in un “set” cinematografico, effetti speciali compresi.  Ma come nasce tutto questo?

“Lost and Found”, 2017

Dopo la Cappella Sistina, la svolta nella vita e nell’arte

L’artista divenne già famoso come fotografo impegnato nella moda e nella pubblicità, con testate di punta quali “Vogue” e “Vanity Fair”, sue grandi campagne pubblicitarie e ritratti delle “star”, ebbe come primo committente cui rimase legato Andy Warhol, del quale ricorda la “previsione dei ’15 minuti di  fama’” che può dare una fotografia, prima riservati alle star, ora invece raggiungibili con la fotografia digitale in tutti gli “smartphone” e cellulari provvisti di fotocamera; Ma c’è di più, si impegnò  nei video in campo musicale, in spettacoli teatrali, tra cui “The Red Piano” al Caesars Palace con Elton John, in documentari come “Krumped” cui seguì il film “Rize” nel 2006, diffuso in molti paesi.

Queste esperienze con il denominatore comune dell’effetto spettacolare costituiscono la base professionale e la predisposizione personale alla svolta che lo ha portato alla nuova espressione artistica. Ma quale è stato il motivo per cui ha abbandonato la mondanità e il “glamour”, insieme alla fama già acquisita con ciò che ne deriva?  Una folgorazione come quella di Paolo sulla via di Damasco.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachepelle-26.jpg
“Milley Cyrus: Solitary”, 2017

La via di Damasco è stata la Cappella Sistina. Nel 2006, in una visita privata, quindi nel raccoglimento e nl silenzio, mentre contemplava il  Giudizio universale ha avuto un’illuminazione che ha prodotto una svolta nella sua vita. Si è allontanato dal mondo vacuo  e patinato nel quale era immerso ricevendone tante gratificazioni e ha abbracciato contenuti più profondi; per esprimerli ha ideato una forma visiva dalla grande forza evocativa, che nella fotografia trova  il momento conclusivo di un processo creativo ben più complesso. L’ispirazione non momentanea ma meditata prima, la costruzione del “set” che le dà forma e  sostanza poi, la fotografia  alla scena allestita come coronamento dell’intero processo alla fine.

Svolta nella vita e nell’espressione artistica, dunque: “La serie After the Deluge – ha dichiarato l’artista – è stata ispirata da una visita alla Cappella Sistina. Volevo offrire una rivisitazione in chiave contemporanea dell’affresco del Diluvio di Michelangelo, includendo la disfatta dell’umanità a causa dell’avidità; mostrando però, allo stesso tempo, nei personaggi che si spingono a vicenda verso la salvezza, la nostra forza e promessa di solidarietà”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachapelle-86.jpg
“After the Deluge: Cathedral”, 2007

Della serie After the Deluge vediamo esposte 2 opere del 2007: la monumentale “Cathedral”, 180 x 240 cm circa, grandi vetrate e navate invase dall’acqua, nel dissesto degli arredi , le croci a terra mentre il gruppo di fedeli sgomento sembra pregare, c’è anche una figura che ricorda l’immagine di Cristo. L’altra opera Statue”, è  altrettanto monumentale, ma in verticale, due figure angeliche scultoree di stampo classico in un ambiente spoglio pure allagato. Anche in “Awakened”, non esposto, l’acqua è insieme  distruttrice e purificatrice, fonte di  rovina e di rinascita: si può affondare e galleggiare, metafora della fragilità  e della resistenza umana. Un liquido amniotico che può riportare alla purezza della nascita.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachepelle-66.jpg
“American Jesus: Hold Me, Carry Me Boldly”, 2009

Religiosità ancora più esplicita in 3 opere del 2009, paradossalmente con protagonista Michael Jackson . Un grande angelo, Archangel Michael: and No Message Could Have Been Any Clearer”  ha il suo volto, con grandi ali bianche, schiaccia con il piede un diavolo rosso abbattuto  a terra in uno sfondo marino, il messaggio è chiaro. Anche in The Beatification: I’ll Never Let You Part for You’rein My Heart” il volto del divo americano che ha il Sacro Cuore sul petto, alla sua sinistra una figura femminile imponente nella sua veste preziosa, lo sfondo  sempre marino. In“American Jesus: Hold me, Carry Me Boldly” il divo pop giace disteso tra le braccia di Cristo in una sorta di “Pietà” alla rovescia, tra il verde degli alberi e una luce accecante sullo sfondo. Uno  strascico della sua “vita” precedente nel mondo dei divi, che, nella nuova vita pervasa di spiritualità e meditazione porta a immagini così insolite e intriganti.

Della precedente mostra al Palazzo Esposizioni ricordiamo la “Pietà”  nella composizione ben nota,  in “Courtney Love”  Cristo  riverso tra le braccia di una donna dai capelli biondi; l’opera è del 2006, l’anno della visita rivelatrice alla Cappella  Sistina.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachapelle-76.jpg
“Rape of Africa”, 2009,

Va precisato che il fascino di Cristo lo aveva preso già in precedenza: nel 2003, tre anni prima della Cappella Sistina, la serie Jesus my Homeboy”,  “Il mio Gesù privato ,   grandi composizioni sugli episodi evangelici in cui Gesù ha l’aspetto tramandato dalla tradizione ma in abiti e ambienti moderni, della nostra società dei consumi, come fast food e simili; la sua figura, però, è sempre ieratica, e le composizioni sono investite da una luce soprannaturale. Ricordiamo, dalla mostra precedente, “Gesù nel lavaggio dei piedi della Maddalena”  e “Gesù nella Resurrezione”.

La natura e il consumismo, un abbinamento intrigante

Del  2009 anche “Rape of Africa”, lungo oltre 3 metri, di forte denuncia, dietro le due grandi figure del giovane adone addormentato e della bellezza africana, quasi una coppia reale, tre piccoli che impugnano armi terribili, dal mitra al bazooka, sembra evochi la terribile realtà dei bambini-soldato, c’è  a terra un crocifisso, sullo sfondo un anfiteatro romano. Questa la violenza sull’Africa!

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachapelle-78.jpg
“Rebirth of Venus”, 2009

Nello stesso anno un’opera molto suggestiva, “Rebirth of Venus”, rivisitazione del capolavoro di Botticelli con riferimenti anche alla “primavera” nella natura lussureggiante oltre che nella grazia della figura femminile con l’aureola a raggi che già conosciamo.

La natura anche attraverso le rigogliose composizioni di Fiori degli anni 2008-11, nature morte in cui figurano gli oggetti più diversi: in “America” ,  intorno a delle grandi rose vediamo un cocomero tagliato a metà, candele accese e aeroplanini, mentre spiccano palloni festosi con la scritta “Good Lack” e “Get Well”; in “Late Summer” il vaso di fiori  è ancora più ricco, oltre alle rose tulipani avvizziti e altre piante in piena fioritura, in primo piano un vassoio di uova e gli oggetti più disparati, compresa una maschera  e una banconota; in “Willing Gossip” , soltanto qualche frutto e un giornale tabloid sulla destra  si aggiungono all’esplosione floreale della composizione.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lapachelle-56.jpg
“America”, 2008-11

Per interpretarne il significato è bene riferirsi a un’altra sua opera, “Hearth Laughs in Flowers”, non esposta in mostra, il cui titolo rimanda a  una poesia di Emerson, un poeta americano del XV secolo: l’accostamento dei fiori agli oggetti del consumismo, futili e stravaganti, è una metafora della pretesa  di  piegare la natura alle aberrazioni umane, ma la natura ride. Anche qui, come nel “diluvio”, la compresenza degli elementi nichilisti con quelli positivi, ora identificati nei fiori.

La distruzione, dissoluzione e alienazione, con la rigenerazione salvifica

Dopo i fiori vengono l’Apocalisse e il Terremoto,  due motivi che seguono di  alcuni  anni l’altrettanto catastrofico  “diluvio”,  rispondono alla stessa logica di distruzione salvifica perché vengono stimolate reazioni positive.   

In “Showtime  at the Apocalypse” , 2013, lungo quasi 4 metri, non c’è l’azione distruttiva e insieme rigeneratrice dell’acqua, ma a terra i segni della distruzione, con manichini disarticolati,  e una diecina di figure femminili per lo più elegantemente vestite di scuro che esprimono visivamente la loro gioia di vivere: è spettacolare il “set” teatrale elaborato e composito,  c’è anche una sorta di Madonna con bambino esotica in un grande riquadro.

Sismic Shift” , 2012, lungo 4 metri e mezzo, è ancora più dissestato, con  oggetti singolari come il manichino e lo squalo, senza figure umane.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachapelle-42-bis.jpg
“Showtime of Apocalypse”, 2013

Le figure umane  dissestate come da un sisma le ricordiamo nella serie  “Still Life”, 2012, non esposta:  non persone  ma teste e corpi di manichini di personaggi famosi distrutti in un “raid” di vandali in un museo delle cere, che l’artista fotografò dal vero, come metafora non solo del disfacimento dell’essere umano, ma della caducità della fama e della celebrità, con l’ambiguità tra la pietà e il senso di compiacimento che si prova dinanzi alla punizione delle fortune sfacciate.

Nello stesso 2012  abbiamo “Gas Shells”, vediamo la stazione di servizio con i suoi distributori di benzina invasa dalla vegetazione, appartiene alla serie Gas Stations, mentre per la serie Land Escape, del 2012,   2 opere, “Emerald City”  che spunta dall’acqua su una tappeto di carbone, e “Luna Park”, il titolo ne sottolinea l’aspetto spettacolare nella sinfonia di luci  delle colonne di distillazione, non mancano le emissioni di gas e le fiammate dell’impianto.

“Landscape Luna Park”, 2013

Non si tratta soltanto di un aspetto figurativo,  evoca il forte impatto della civiltà del petrolio  che ha rivoluzionato  la vita  incidendo sull’economia e sulla società e ha dominato anche i rapporti internazionali, fino alle guerre  per assicurarsi una fonte di energia divenuta indispensabile. Ma il petrolio non viene rappresentato come fattore di sviluppo, gli impianti,  pur nelle loro luci da Luna Park, hanno un che di allucinato, e non evocano la vita, forse perché manca la presenza umana: è un mondo alienante e irreale, con i frutti della tecnica fagocitati dalla vegetazione.  Ecco le sue parole: “La serie Land Scape rappresenta esattamente la mia immagine del futuro, quando la natura si impossesserà nuovamente della terra. Immagino queste stazioni di servizio, che una volta rappresentavano il presente, ritrovate come resti archeologici, circondate dalla natura”.

L’artista questa volta non ha dovuto comporre il suo  “set”  teatrale da fissare nella fotografia  finale come un regista che sistema i soggetti dando a ciascuno la collocazione e le disposizioni più efficaci; ha costruito in modo artigianale modellini mettendo insieme  lattine e  oggetti  di uso comune che rendono le colonne di raffinazione e le altre parti dell’impianto in un fotorealismo magistrale, non si avverte minimamente che c’è un “trucco” di natura cinematografica con modelli in miniatura. Del resto l’autore non lo nasconde ha diffuso fotografie del “backstage”e addirittura un filmato in cui viene seguita l’intera scena della preparazione dei modellini poi fotografati: si vede come cura l’ambientazione del modellino, nei particolari e nelle luci, perché sembri reale, le grandi dimensioni della fotografia finale fanno il resto nel rendere un iperrealismo fotografico brillante e spettacolare.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachapelle-50.jpg
“Icarus”, 2012

Ugualmente  ispirate  alla crisi vaticinata del sistema capitalista, e senza figura umana, le serie “Car Crash” e “Negative Cuttencies”, non presenti in mostra, con riferimento ai multipli di  Warhol. La prima sulle auto distrutte, ma mentre Warhol in “Death and Disaster” esprimeva angoscia, qui nella solita ambivalenza c’è anche la suggestione pubblicitaria. Mentre  la seconda è sulle crisi valutarie, siamo nel 2008, all’inizio della grande  crisi per il fallimento della grande banca Lehman Brothers, si è diffuso un senso di grave insicurezza, lo spirito nichilista trova terreno favorevole negli eventi che scuotono il mondo globalizzato; anche qui si differenzia dal grande Andy che in “One dollar bills” esprimeva l’invadenza della moneta moltiplicandola all’infinito, lui non solo non moltiplica il dollaro ma lo oscura.

Il volo di Icaro e dell'”aristocrazia”, le immagini “glamour”

Nel 2012-13 un ritorno alle figure alate del 2009 con “Icarus” , 2012: il protagonista è un giovane in pantaloni con delle ali rudimentali fatte di rami fissati maldestramente con una cinta al torso nudo, caduto in un discarica di computer e altre apparecchiature  elettroniche con tastiere, monitor della nostra società consumistica che viene così denunciata nella rievocazione dell’antico mito anche nell’annullamento della persona fagocitata dalla discarica. 

Alla spettacolarità del mare di oggetti si sostituisce quella della figura alata a terra in un bosco la cui oscurità fa spiccare maggiormente il bianco delle grandi ali aperte e il corpo michelangiolesco del giovane, l titolo è “”What Was Unseen”, come fosse stato invisibile.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachaspelle-46.jpg
“What Was Unseen”, 2013,

Il volo è non più solo evocato ma rappresentato con gli aeroplani della serie Aristocracy, del 2014: vediamo esposti Private Pirates” e “Lost in the Clouds of Luxury”: in entrambi ardite acrobazie come uccelli imbizzarriti, in un  cielo il cui cromatismo sfumato e soffuso che non troviamo nelle altre sue opere fa pensare ai fumogeni aerei, richiamano anche i cieli di  Turner. Il pensiero torna  all”Aeropittura” del futurismo, mentre ci si chiede quale sia il riferimento all’aristocrazia: il titolo “pirati privati” fa pensare ai passatempi degli aristocratici, banali e insieme seduttivi,  ancora la sua ambivalenza; l’altro titolo riferito alle “nuvole della lussuria” è una metafora dell’artista spericolata come il volo magistralmente raffigurato.

 E le immagini “glamour” e dei Vip? Non abbiamo la serie di ritratti, ma opere che  spaziano dal 2017 al  2000, per risalire poi al 1996 e addirittura al 1984: hanno in comune la piccola dimensione, inconsueta per l’artista, 60 per 50 cm.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachapelle-32.jpg
“Aristocracy: Lost in the Clouds of Luxury”, 2014

Ripercorriamo a ritroso questo iter iniziando con “It’s Not About Me, It’s About You” , 2007-2017,  la figura “glamour” è della affascinante ragazza bionda,  si muove in modo leggiadro vestita di rosa,  con nella mano sinistra uno specchio che rivolge verso l’osservatore un improbabile riflesso del suo viso, e nella destra una catena; al suo fianco   un giovane di fattezze hawaiane seduto con le stampella a lato, sullo sfondo il cartello “Super Lotto Plus”, quindi una serie di motivi contrastanti  abbinati come sempre.

Tre immagini ancora con soggetti singoli, molto diverse: in “Awakened: Ruth”, 2007, non più la ragazza bionda affascinante e leggiadra, ma una donna anziana infagottata oltremodo che sembra saltare. Con “Dynamic Nude”, 2001, torna la gioventù, addirittura in un nudo, e la leggiadria, il dinamismo è tale che la ragazza si libra nell’aria aggrappata al lampadario, a terra piatti e piattini, in un interno celeste. Gioventù e leggiadria anche in “Snake Charmer”, 2000, però il costume in due pezzi e i capelli, nonché lo sfondo rosso dove è proiettata la sua ombra, hanno un tono quanto mai inquietante.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachapelle-94.jpg
“It’s Not About Me, It’s About You”, 2007-17

Ancora più inquietante “Faye Dunaway: Day of Locuste”, risale al 1986, la diva del cinema distesa sul tetto di un’auto bianca, assediata da una folla di fan che protendono le mani per gli autografi, l’espressione sgomenta del viso dell’attrice e il tono della scena fanno riflettere  sugli eccessi del divismo coniugando le due facce di una pratica così diffusa nella società contemporanea.

La più indietro nel tempo, del 1984,  è Good News for Modern Man 3”, uno scorcio suggestivo del corpo di una donna seduta con le braccia protese – in un bianco e nero prezioso perchè è l’unica sua foto non a colori – sfumato quasi in dissolvenza; sembrava preludere a tutt’altra direzione, come nel fotografo De/ Antonis  passato dalla fotografia di moda alla fotografia astratta, invece si è avuta la teatralizzazione addirittura con la composizione creata artificialmente in appositi “set” e poi fotografata.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lachapelle-90.jpg
“Awaked: Ruth”, 2007

L’umanità nella visione tormentata e fiduciosa dell’artista

Vogliamo concludere con un’immagine del tutto diversa, naturalmente a colori: tante figure umane, viste  all’interno di un’abitazione a più piani, isolate o a gruppi per lo più nude nell’intimità domestica, riprese in una sorta di “finestra sul cortile”, una  “radiografia” surreale che ci dà lo “spaccato” dell’edificio senza la parete esterna. Si tratta di “Self Portrait as An House”, 2013, non esposto, lo ricordiamo dalla mostra precedente. Dopo i catastrofismi del “Diluvio” e dell’ “Apocalisse”, il disfacimento, l’alienazione di “Gas Stations” e “Land Escape”, l’ambiguità dei “Flowers”, questo ritorno alla dimensione domestica ci sembra beneaugurante dopo tante metafore e visioni preoccupanti.

L’umanità che ci è stata presentata è inquieta  e minacciata, ma non inerte né rassegnata; la visione dell’artista va al di là  dell’alienazione e del pessimismo esistenziale, pur sempre presenti. Del  resto, le sacre rappresentazioni di matrice religiosa, fino alla figura di Cristo  nelle parabole evangeliche,  con  la loro forza evocativa, nella quale il mondo Pop è sempre presente, ci dicono molto sulla sua spiritualità.

E la svolta radicale con l’abbandono delle  fotografie “glamour” ai divi al culmine del successo professionale  è eloquente. Nella visita alla mostra le immagini, nella spettacolarità delle composizioni scenografiche e nelle grandi dimensioni stimolano i sensi dell’osservatore. Ma nello stesso tempo suscitano anche riflessioni e meditazioni. L’artista ne è consapevole, come ha detto chiaramente: “Io credo in un linguaggio visivo tanto potente quanto la parola scritta”. Il suo linguaggio visivo lo è certamente.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lapachelle-100.jpg
“Faye Dunaway : Day of the Locust”, 1996

Info

 Galleria Mucciaccia, Largo della Fontanella Borghese 89, Roma Da  lunedì a sabato, ore  10.00 – 19.30; domenica chiuso Ingresso gratuito. Tel. 06 69923801, segreteria@galleriamucciaccia.it| www.galleriamucciaccia.com. Catalogo: “David Lachapelle” Galleria Mucciaccia, aprile 2019, pp.142, formato  29 x 25. Cfr. i nostri articoli in www.arteculturaoggi.com: sulla precedente mostra di Lachapelle a Roma nel 2015, “Lachapelle, la fotografia da set teatrale al Palazzo Esposizioni” 12 luglio; sull’arte americana:: nel 2014: “Warhol. L’artista totale del XX secolo, alla Fondazione Roma” 15 settembre e ”Warhol. Tra la quotidianità e il mito, alla Fondazione Roma” 22 settembre; nel 2013: “Empire, l’arte americana oggi al Palazzo Esposizioni” 31 maggio; nel 2012: sul Guggenheim: “Il museo mecenate dell’avanguardia artistica americana” 22 novembre, “Dall’espressionismo astratto alla Pop Art” 29 novembre, “Dal Minimalismo al Fotorealismo” 11 dicembre; infine, per l’artista-fotografo citato nel testo, i due articoli su De Antonis, nel 2016: “Nella fotografia astratta un nuovo realismo” 19 dicembre, e “Dai ritratti classici alla fotografia astratta” 25 dicembre.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla Galleria Mucciaccia, si ringraziano gli organizzatori, con i titolari dei diritti – “LaChapelle Studio” – per l’opportunità offerta. In apertura, “The New World” 2017; seguono, “Behold” 2017, e “Jesus and Buddha Under a Tree” 2017; poi, “Lost and Found” 2017, e “Milley Cyrus: Solitary” 2017; quindi, “After the Deluge: Cathedral” 2007, e “American Jesus: Hold Me, Carry Me Boldly”; inoltre, “Rape of Africa” 2009, e “Rebirth of Venus” 2009; ancora, “America” 2008-11, e “Showtime of Apocalypse” 2013; continua, “Landscape Luna Park” 2013, e “Icarus” 2012; prosegue, “What Was Unseen” 2013, e “Aristocracy: Lost in the Clouds of Luxury” 2014; infine, “It’s Not About Me, It’s About You” 2007-17, “Awaked: Ruth” 2007, e “Faye Dunaway : Day of the Locust” 1996; in chiusura, “Gas Shell” 2012, con “Land Scape Luna Park” e “Land Scape Emerald City” , 2013.

Da sin., “Gas Shell” 2012, “Land Scape Luna Park” e “Land Scape Emerald City”, 2013

Palazzo Barberini, il ‘700 nelle nuove sale recuperate all’arte

di Romano Maria Levante

Dal 12 aprile 2019  al Palazzo Barberini sono aperte al pubblico le 10 sale restituite alla funzione espositiva dal Ministero della Difesa, che le ha detenute per 80 anni, dopo tre anni di restauro, con il nuovo allestimento che nel nuovo spazio di 750 mq ha collocato 78 opere con una nuova illuminazione e una nuova grafica, nuovi pannelli e didascalie, nella valorizzazione degli apparati per la migliore conoscenza del visitatore. Le nuove sale prima dell’allestimento definitivo sono state presentate nella seconda metà del 2018 con la mostra “Eco e Narciso”, opere antiche e contemporanee del Maxxi inserite in dialogo tra loro e con gli ambienti finalmente recuperati.  Il nuovo allestimento è a cura della direttrice Flaminia Gennari Sartori,  con Maurizia Cicconi e Michele Di Monte.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Giuditta.jpg
Francesco Furini, “Giuditta e Oloferne”, 1630-35

Cosa si è guadagnato nel recupero delle sale adibite per 60 anni a Circolo Ufficiali lo si vede nell’allestimento in cui le sale costituiscono un itinerario coerente di arte e di storia; con il rammarico incontenibile che per tanto tempo si è dovuto rinunciare a una destinazione doverosa a causa di una prepotenza ottusa favorita da una  burocrazia altrettanto ottusa.

Lo spettacolo è nelle sale ancor prima che nelle opere esposte nel nuovo allestimento, per ognuna l’origine storica evoca la vita che vi  svolgeva la famiglia Barberini; mentre le opere sono raggruppate secondo una vicinanza tematica, la cronologia in secondo piano.  “Parlano tra loro” ,ma anche “parlano al visitatore” con gli apparati particolarmente esaurienti da non poter essere chiamati “didascalie” ma vere e proprie  schede d’arte.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Ribeira-e-Giordano.jpg
Jusepe De Ribera, “San Giacomo Maggiore” 1632-35, a sin. , e Luca Giordano, “Filosofo” 1660, a dx

 Una visita guidata d’eccezione con i curatori consente di esplorare entrambe le dimensioni della mostra – sale e opere –   unite in un mix la cui decifrazione è altrettanto intrigante del legame tra arte antica e arte contemporanea della precedente “Ego e Narciso”.

La “teatralità” nelle prime sale del nuovo allestimento

Nella prima sala dell’ala meridionale, la n. 33, “Sala del trono”,  si trova la vasta anticamera che separava le due ali dell’”appartamento di Sua Eminenza” destinato ai cardinali Barberini,  cioè l’appartamento estivo, orientato ad Est verso  il giardino, e l’appartamento invernale, ad Ovest verso via delle Quattro Fontane.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-SantOnofrio.jpg
Giovanni Battista Caracciolo, “Sant’Onofrio”, 1625

In questa sala, con un lampadario monumentale, spiccano le copie d’epoca, una eseguita da  Carluccio Napoletano (al secolo Carlo Viva)    dell’affresco di Giulio Romano ai Musei Vaticani con la“Battaglia di Costantino e Massenzio”; gli altri due di Giuseppe Belloni,  copie degli originali   commissionati a Giovan Francesco Romanelli con “Le nozze di Peleo e Teti” e “Bacco e Arianna”. realizzate pochi anni  dopo la morte di Romanelli. Si accede al giardino attraverso il Ponte di Lorenzo Bernini .

 La teatralità è il tema della seconda sala, la n. 34, dal titolo “Teatro e pittura”, che evidenzia questo carattere della pittura seicentesca, espresso negli interni mediante il movimenti dei tendaggi, e nelle persone attraverso il linguaggio del corpo alla ricerca del dialogo complice con l’osservatore. Ma c’è un’altra componente, la sensualità, che introduce elementi ambigui ed allusivi in scene spesso arricchite da figure allegoriche e da metafore.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-van-sommer-San-Girolamo.jpg
Hendrick van Somer, “San Girolamo”, 1652

Lo vediamo nelle opere  esposte in questa sala,  “Maria Maddalena”, 1626-27, di Guido Cagnacci, e “Venere che suona l’arpa” 1630,di Giovanni Lanfranco, “Giuditta e Oloferne” 1630-35,  di Francesco Furini, e “Calcagnini” inizi XVI sec., Manifattura veneziana.

Tra Napoli e Roma

Sono questi pittori del centro Italia, a parte l’anonimo veneziano, mentre nella sala successiva , la n. 35, troviamo la “Pittura di Napoli”. Il teatro diventa quello anatomico, con le dissezioni dei corpi esibite anche per i curiosi, e non solo nelle scuole di medicina; in tale clima l’ostentazione del corpo nella pittura non si limita alle forme nobilitate dall’ideale di bellezza, ma ne rappresenta anche la decadenza fisica e ogni tensione che lo trasfigura, data dall’età fino alla morte, e anche dal’ascesi e l’estasi. La  pittura diventa corporea e densa, cerca il coinvolgimento dell’osservatore.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Berberini-Preti.jpg
Mattia Preti:, “La cena del ricco epulone”, 1655-60

Incontriamo grossi calibri come Luca Giordano con “Il filosofo” 1980 e Jusepe de Ribeira con “San Giacomo Maggiore” 1632-35, poi  i santi di Giovanni Battista Caracciolo,“Sant’Onofrio”1625, di Hendrick van Somer, “San Girolamo” 1652, Bernardo Cavallino, “Il commiato di Pietro e Paolo” 1645-50, e la biblica “Cacciata di Eliodoro dal tempio”1725,  di Francesco Solimena.

L a sala n. 36 è quasi monografica, intitolata a “Mattia Preti”, abbiamo scritto “quasi” perché delle 5 opere solo 3 sono di Mattia – “La fuga da Troia” 1635, “Resurrezione di Lazzaro” e “La cena del ricco epulone”1655-60. le prime 2 sono state esposte alla recente mostra, nello stesso Palazzo Barberini, sui fratelli Preti; in entrambe le mostre  l’”Allegoria dei cinque sensi” 1642-46, del fratello Gregorio.  L’unico “estraneo” è Massimo Stanzione, “Compianto del Cristo morto” 1621-27.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Roma-Bernini.jpg
Gian Lorenzo Bernini, “Busto di papa Clemente X Altieri “, 1676-80

 C’è il superamento del caravaggismo, pur presente nelle opere dei due fratelli, al pathos si aggiungono motivi più sottili, ci cerca ancora di più  il coinvolgimento emotivo dell’osservatore alla scena. E questo avviene sia con motivi religiosi che con temi biblici o mitologici,  e non mancano i richiami ai maestri veneti del secolo anteriore, da Tiziano a Tintoretto.

Ed ora Roma, cui sono dedicate  due sale, la prima è la n. 37 intitolata  “Roma 1670-1750”. tra l’ultima parte del ‘600 e la prima metà del ‘700. Un periodo di transizione e per questo una grande varietà di forme espressive con un motivo classico comune: “l’eloquenza retorica delle immagini, sia pure declinata secondo intonazioni variabili”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Maratti-2.jpg
Carlo Maratti, “San Paolo” 1667, a sin., “San Giovanni Evangelista” 1690. a dx

L’energia di Gian Lorenzo Bernini e la solennità di Carlo Maratti, grandi esponenti del Barocco che si avvia a chiudere il suo ciclo, vengono evocati, per il primo dal “Busto di papa Clemente X Altieri” 1676-1680. per il secondo da “San Paolo” 1667 e “San Giovanni Evangelista” 1690.

Il nuovo “secolo dei lumi” trova una primissima testimonianza in “America, Europa, Asia, Africa”1707, di Francesco Trevisani, prima dell’irrompere di Marco Benafial con  4 opere,  alcune intrise di ironia, come “”La famiglia Quarantotti” 1756; oltre a quest’opera,  fuori dai generi consueti troviamo “Santa Margherita da Cortona ritrova il cadavere dell’amante” 1728-32, dal titolo eloquente sul contenuto, e le mitologiche ”Ercole e Onfale” 1735-40,  e ’“Piramo e Tisbe”, i Romeo e Giulietta dell’antichità che abbiamo visto in varie interpretazioni antiche e moderne alla mostra celebrativa del bimillenario di  Ovidio alle Scuderie del Quirinale.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Famiglia-Quarantotti.jpg
Marco Benefial, “La famiglia Quarantotti”, 1756

Oltre  che sui dipinti alle pareti, l’attenzione si sofferma sull’affresco del soffitto, di Giuseppe Bartolomeo Chiari, allievo di Carlo Maratti, una “Nascita di Pindaro” all’altezza dei voli pindarici, come omaggio alla vis oratoria e alla forza poetica di Urbano VIII  e dei Barberini nella sala delle Udienze.  I curatori .a questo riguardo parlano di “oratoria visiva”  e citano Quintiliano il quale nell’”Institutio oratoria” scriveva che un dipinto,  “per quanto muto e immobile, penetra  a tal punto nei più intimi sentimenti che sembra a volte superare la forza stessa delle parole”.

Passiamo alla sala n. 40, saltando per un  momento le n. 38 e 39, su cui torneremo,  per proseguire con “La veduta romana”, una sorta di piccola personale su Gaspar Van Wittel di cui sono presentate 8 opere, insieme a  “Capriccio con i più celebri monumenti  e sculture dell’antichità di Roma” 1734, di Giovanni Paolo Panini. 

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Roma-Van-Wittel-bis.jpg
Gaspar Van Wittel, “Veduta di Roma dalla Piazza del Quirinale”, a sin.
“Veduta di Roma con Ponte Rotto e Ripa Grande”, a dx, 1684 ,

Van Wittel è olandese e viene in Italia portando il livello più avanzato raggiunto nel suo paese nel campo dell’ottica, sia come facoltà visive  sia come uso di lenti speciali dai microscopi per l’infinitamente piccolo  ai cannocchiali e telescopi per l’infinitamente grande. 

Nelle sue riproduzioni del paesaggio  è come se l’artista si avvalesse di occhiali speciali, tanto che venne chiamato “Gaspare dagli occhiali”. Il suo sigillo sulle vedute romane rimase molto a lungo. ma in cosa consiste questo approccio del tutto particolare?  L’assommarsi della visione cartografica e del rilievo  architettonico allo stile calligrafico e all’espressione della vitalità cittadina che va oltre il fascino monumentale e paesaggistico. Una sorta di ossimoro pittorico, in cui convivono la precisione  e l’accuratezza della veduta con una visione scenografica che unisce alle architetture e rovine antiche aspetti pittoreschi in un realismo misto alla fantasia. Trascendendo così  la rappresentazione realistica.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Roma-Van-Wittel-3.jpg
Gaspar Van Wittel, altre 4 vedute di Roma, 1684

Il “Grand tour” e  ritratti

A parte l’antichità romana, che era il piatto forte del “viaggio in Italia”, le motivazioni erano più ampie, riguardavano più in generale il “genio italiano”  manifestato anche nella storia e nell’arte, quindi con carattere universale. Ma non venivano trascurati aspetti apparentemente contrastanti con questa visione globale, i caratteri peculiari delle varie località, geografici ed etnici, climatici e ambientali, una sorta del “glocal” dei nostri tempi, globale e locale insieme.

Era una nuova sfida, confrontare il “gusto” italiano con i modelli stranieri,  come fece lo scrittore Karl Philip Moritz dopo aver conosciuto Goethe nel suo viaggio in Italia nel 1786. Ma il significato e il risultato andavano ben oltre, come ricordano i curatori: “Il soggiorno in Italia non è solo la scoperta del paesaggio, dell’antichità, del classico, ma anche di sé stessi e della propria patria d’elezione, perché in fondo – come già sapeva Seneca – il luogo non basta, e per ritrovarsi ‘non occorre che tu sia altrove, ma che tu sia un altro’”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Roma-Clive.jpg
Anton von Maron, “Ritratto di Sir Robert Clive” 1766

Anche per questo solo una delle opere esposte nella sala dedicata al “grand tour”  ha carattere paesaggistico: “La cascata di Tivoli” 1769, di Jacob Philipp Hackert”. Le altre sono ritratti – a parte “Giove e Ganimede”  1760, di Anton Raphael Mengs – nevediamo due di Anton von Maron, di  “Sir Robert Clive” 1766, e del “Cardinale Vincenzo Maria Altieri” 1780, oltre a quello  di “Filippo Agricola” 1820, di Emile-Jean Horace Vernet“. Non sono di personaggi, ma di figure simboliche il “Ritratto di giovane donna in veste di baccante” 1801, di Angelica Kauffmann, e il “Busto di gentiluomo” II metà XVIII sec., di Jean-Jacques Caffieri.

Sono  2  tedeschi,  2 francesi, un austriaco e una svizzera. tutti trasferiti  in Italia, tre sono morti a Roma, solo uno all’estero. Non solo “grand tour”, dunque, spesso era una scelta di vita.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Hacman-Vernet-Kaufamann.jpg
Da sin., Angelica Kauffmann, “Ritratto di giovane donna in veste di baccante” 1801, Emile-Jean Horace Vernet, “Ritratto di Filippo Agricola” 1820, e
Jacob Philipp Hackert, “La cascata di Tivoli” ,1769

Il “viaggio in Italia” poteva avere anche motivazioni pratiche, sempre legate a una positiva peculiarità del nostro paese. Se ne ha testimonianza nella sala n. 38, dedicata a “Pompeo Batoni, Pierre Subleyras”, accostati per un altro intrigante ossimoro. Batoni, al quale fu dedicata una delle prime mostre “tematiche” della nuova direzione, all’insegna del “Gran Signore”,  era divenuto una sorta di “arbiter elegantiarum” esprimendo l’identità sociale dei personaggi ritratti anche attraverso l’estrema cura dei dettagli dell’abbigliamento secondo l’etichetta del tempo.  Siamo a metà del XVIII sec., la pittura di Batoni è al passo con le regole di comportamento e “bon ton”, il “ritratto d’occasione” prende sempre più piede e lui ne è l’interprete insuperato avendo il privilegio di essere il ritrattista della famiglia del Pontefice, della nobiltà e dei gentiluomini. Chiaro che gli aristocratici straneri, in particolare inglesi, facessero la fila per avere un suo dipinto che li ritraesse all’insegna del “buon gusto”!

E’ del 1775  il “Ritratto di Henry Peirse” di Pompeo Batoni,  e oltre al gentiluomo inglese vediamo raffigurati  due italiani, “”Conte Niccolò Soderini”  1765, e Abbondio Rezzonico” 1766; di dieci anni successivo “Agor e l’angelo” 1766, non solo ritratti, dunque.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Bastoni.jpg
Pompeo Batoni, “Ritratto di Abbondio Rezzonico”, 1766

Abbiamo detto che la sala è intestata anche a Pierre Subleyras di cui non viene presentato un ritratto curato nei dettagli dell’abito, ma “Nudo femminile di schiena” 1740, con il  quale, secondo i curatori, l’artista “prova a mettere a nudo il rituale di finzione che detta le regole del gusto nel gioco della pittura”: e lo fa non rispetto a una figura mitologica, come avveniva di regola, ma a una donna qualsiasi, forse vicina a lui, colta in un momento di intimità, cosa che “per un momento lascia lo spettatore da solo, non già davanti al soggetto, così com’è, ma davanti al proprio stesso sguardo”.

 Venezia e i bozzetti

Il “Grand tour” comprendeva Venezia alla quale è dedicata la sala n. 39 con il titolo La veduta veneziana. Vediamo 8 dipinti non su Venezia, ma di 3 artisti di Venezia, uno dei  quali,  Bernardo Bellotto, ritrae “La Piazza del Mercato della città nuova di Dresda” 1747, e “Veduta del castello di Schloshof” 1760-63, in una sorta di “gran tour” all’inverso; mentre di Francesco Guardi,  abbiamo “Capriccio con vedute romane” e finalmente “Veduta di Venezia con san Giorgio visto dalla Giudecca”, entrambi del 1770-80.

Invece “Veduta di Venezia” apre il titolo dei quattro i dipinti di  Giovanni Antonio Canal, detto “Canaletto”, tutti del 1735-40:“Con la Piazzetta” e “Con il Ponte di Rialto”,  Con piazza san Marco e delle procuratie” e “Dal Canal Grande”. Sono spettacolari e  possono dare anche l’idea di un estremo realismo, ma è vero il contrario. Il Canaletto –  così i curatori – “fonde appunto la consumata sapienza della prospettiva scenografica con gli strumenti della nuova scienza ottica e, ovviamente, con la ‘sensibilità’, la facoltà intuitiva di cogliere il bello che è ormai diventata una categoria estetica dominante”. Quindi le immagini sono rese incredibilmente nitide dall’“occhio artificiale” della camera ottica di cui si servono ormai i vedutisti, in una “combinazione, talvolta ‘capricciosa’, di natura e artificio” che diviene molto popolare trasformando le opere in “souvenir”.  Ritroviamo l’artificio ottico dei vedutisti che veniva dall’Olanda, a Roma lo portò “Gaspare degli occhiali”, Canaletto, 45 anni dopo è veneziano,

Tutt’altra cosa i bozzetti, nei quali l’artista delinea il contenuto dell’opera, non  servono al ricordo ex post come i “souvenir” veneziani, ma a presentarla ex ante anche per l’assenso del committente a realizzarla.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Bellotto.jpg
Francesco Bellotto, “Veduta del castello di Schlosshof”, 1760-63

Nella sala n. 42 troviamo la “Donazione Lemme, una ventina di bozzetti donati alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini nel 1998 da Fabrizio e Fiammetta Lemme. Una serie per il ciclo del soffitto della Basilica di San Clemente, autori gli artisti romani Giuseppe Chiari, Sebastiano Conca e Pier Luigi Ghezzi, per i santi carmelitani della Chiesa di san Martino ai Monti da Antonio Cavallucci con 2 bozzetti,per i laterali della cappella in San Marcello al Corso da Domenico Corvi, con 2 bozzetti. Inoltre  abbiamo Mariano Rossi,  con 2 bozzetti di tema religioso, e Stefano Pozzi  con l’”Allegoria dei Quattro elementi” in 4  bozzetti.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barberini-Venezia-canaletto.jpg
Canaletto, “Veduta di Venezia con il Ponte di Rialto”, 1735-40

Viene riportata la “prescrizione”  scritta da Piero Selvatico nel 1842 nell’“Educazione del pittore storico”, che ne evidenzia le caratteristiche: “Sia, dunque il bozzetto né troppo, né troppo poco studiato. Non lo sia troppo nei particolari, non troppo poco nell’effetto generale”.

Ciò perché il bozzetto non va visto soltanto come un ”memento” all’artista per l’opera definitiva, nel qual caso potrebbe sembrare sorprendente non prendere nota dei particolari;  ma anche – ed è il caso della collezione Lemme –  come presentazione ex ante da cui dipende l’affidamento dell’opera da parte del committente. “Ciò spiega, concludono i curatori, perché spesso i pittori, preoccupati di assicurarsi la commissione, abbiano profuso maggior impegno e maggior cura nell’esecuzione dei modelli che nella realizzazione dell’opera finale”.

Canaletto, “Veduta di Venezia con la Piazzetta”, 1735-40

La conclusione della ricognizione nell’arte del ‘700 del nuovo allestimento delle sale recuperate, con i bozzetti della Fondazione Lemme, ne esprime anche il dinamismo, implicito nel bozzetto come preludio alla realizzazione dell’opera. Viene già annunciato un nuovo allestimento dall’ottobre 2019, di 3 sale. Nella n. 35 sulla “Pittura di Napoli” , dopo il “Filosofo” si avrà l’ “Autoritratto” di Luca Giordano, con 2 opere di Salvator Rosa, “Ritratto della moglie”, “La Poesia, la Musica”, e “San Pietro” di Giuseppe Sammartino;  nella n. 37, “Roma 1670-1750”, 2 opere di Ercole Ferrata, “Putti che sorreggono un medaglione”, e “La Fede con il ritratto di Lella Falconieri”; nella n. 38, “Pompeo Batoni, Pierre Subleyras”, di Batoni,  “Ritratto di Clemente XIII Rezzonico” , di Subleyras,  “Madonna che legge”, dopo il nudo femminile ora esposto; anche la sala n. 40 aggiornata con l’opera di Giovanni Paolo Panini, “Capriccio con la statua equestre di Marco Aurelio”.

Questo l’annuncio, pensiamo che ci saranno anche tante sorprese, la nuova direzione non le farà mancare certamente.   

Donazione Fabrizio e Fiammetta Lemme”, uno scorcio della quadreria di bozzetti di vari artisti del ‘700

Info
Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13, Da martedì a domenica ore 8,30-19,00, la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 6; biglietto valido per 10 giorni nelle due sedi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini; gratuito under 18 anni e particolari categorie.  www.barberinicorsini.org; comunicazione@barberinicorsini.org.  Cfr. i nostri articoli in www.arteculturaoggi. com: sulla mostra di presentazione delle stesse sale, “Eco e Narciso, 1. La mostra nelle sale recuperate: le prime 7, a Palazzo Barberini” 25 settembre, ed “Eco e Narciso, 2. Le altre 6 sale recuperate in mostra, a Palazzo Barberini” 30 settembre 2018; su uno degli artisti in mostra: “Mattia e Gregorio Preti, i due fratelli insieme a Palazzo Barberini” 24 febbraio 2019.

Foto

Le immagini sono state  riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Barberini alla presentazione della mostra, si ringrazia la direzione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Francesco Furini, “Giuditta e Oloferne” 1630-35; seguono, Luca Giordano, “Filosofo (Cratete ?)” 1660 con Jusepe de Ribera, “San Giacomo Maggiore” 1632-35, e Giovanni Battista Caracciolo, “Sant’Onofrio” 1625; poi, Hendrick van Somer, “San Girolamo” 1652, e Mattia Preti, “La cena del ricco epulone” 1655-60; quindi,  Gian Lorenzo Bernini, “Busto di papa Clemente X Altieri” 1676-80 e Carlo Maratti, “San Paolo” 1667 con “San Giovanni Evangelista” 1690; inoltre, Marco Benefial, La famiglia Quarantotti” 1756, e  Gaspar Van Wittel, “Veduta di Roma dalla Piazza del Quirinale”, “Veduta di Roma con Ponte Rotto e Ripa Grande”, 1681; ancora, Gaspar Van Wittel, altre quattro vedute di Roma, e Anton von Maron, “Ritratto di Sir Robert Clive” 1766; prosegue, Angelica Kauffmann, “Ritratto di giovane donna in veste di baccante” 1801, con Emile-Jean Horace Vernet, “Ritratto di Filippo Agricola” 1820e Jacob Philipp Hackert, “La cascata di Tivoli” 1769, e Pompeo Batoni, “Ritratto di Abbondio Rezzonico” 1766; quindi, Pierre Subleyras, “”Nudo femminile di schiena” 1740, e Bernardo Bellotto, “Veduta del castello di Schlosshof” 1760-63; infine, Canaletto, Giovan Antonio Canal, “Veduta di Venezia con il Ponte di Rialto”, e “Veduta di Venezia con la Piazzetta”, 1735-40; in chiusura, “Donazione Fabrizio e Fiammetta Lemme” due scorci della quadreria di bozzetti di vari artisti del ‘700.

Donazione Fabrizio e Fiammetta Lemme”, un altro scorcio della quadreria di bozzetti

Carabinieri, la tutela del patrimonio culturale nel 2018

di Romano Maria Levante

Nella  sede del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di via Anicia a Roma si è svolto, il 17 aprile 2019, il tradizionale resoconto dell’attività svolta nell’anno precedente  con i risultati ottenuti nel recupero delle opere d’arte trafugate e più in generale nell’attività di tutela svolta a largo raggio. E’ intervenuto il ministro per i Beni e le Attività Culturali, Alberto Bonisoli,  con il comandante gen. B. Fabrizio Parrulli e il responsabile del Reparto operativo che è entrato nei dettagli dell’attività illustrando anche le operazioni più eclatanti relative ad una  serie di reperti di grande valore storico e artistico esposti nell’occasione in una sala del Comando.

“Musa Calliope” (a sin.) II sec. d. C, e “Diana Cacciatrice” (a dx) fine XVIII sec. (copia)

Siamo tornati  nella sede del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale per il Bilancio 2018, dopo tanti incontri per la presentazione, oltre che dei bilanci precedenti, dei ritrovamenti e recuperi di importanti opere d’arte. Passano i Ministri  per i Beni e le Attività Culturali, sempre intervenuti nel Bilanci e nei più importanti ritrovamenti, passano anche i Comandanti – ricordiamo nel 2010 il gen. Nistri  divenuto oggi Comandante Generale dell’Arma – ma prosegue  senza sosta la meritoria attività operativa con risultati positivi  per la lunga e valida esperienza maturata che fa dei nostri carabinieri specializzati in questo campo anche degli istruttori per cui è  largamente richiesta dagli altri paesi la partecipazione ai nostri corsi di aggiornamento: nel 2018 sono stati più di 50 gli interventi formativi dall’Europa all’’America del Nord e del Sud, dal Medio ed Estremo Oriente alla Cina; e una quindicina i corsi organizzati in Italia.   

Va aggiunto che da febbraio 2018 due unità di Carabinieri del Comando Tutela sono stanziate in modo stabile, con avvicendamento ogni 4 mesi,   a Baghdad ed Erbil, come supporto all’ufficio dell’UNESCO nella protezione e riordino dei beni cultural dell’Irak, anche attraverso appositi corsi di formazione e una banca dati tipo quella italiana.  Sono i “caschi blu della cultura” istituiti proprio su iniziativa del Ministro Italiano dei Beni e Attività Culturali, che era allora Dario Franceschini

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabinieri-rilievo-1.jpg
Rilievo epoca romana

E’ stata realizzata negli anni la “Banca dati dei beni illecitamente sottratti” , quasi sempre risolutiva nell’accertare la presenza nelle aste d’arte internazionali di opere di provenienza furtiva  per procedere al recupero.  L’attività non consiste solo nella pur fondamentale repressione, ma si  opera anche a livello di prevenzione. E non ci si avvale solo degli strumenti a disposizione dell’Arma sul piano investigativo  e di intervento ma si agisce anche sul piano diplomatico in stretto collegamento con gli organi dei ministeri competenti,  oltre al Ministero per i Beni e le Attività Culturali quello per gli Affari Esteri, con le sue  Ambasciate e Consolati e gli addetti alla Sicurezza.

Vicende intriganti da fiction televisiva

Possiamo dire, in modo forse irrituale rispetto all’importanza del tema e al rigore delle azioni, che risulta particolarmente intrigante la dinamica degli avvenimenti, perché evoca “thriller”  con una serie di protagonisti di varia estrazione,  la “suspence” e l’esito finale. Sono veri  e propri “gialli”, spesso originati da  casualità banali che diventano rivelatrici.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Barabinieri-anfore.jpg
Serie di anfore a figure rosse

Sono  intrecci degni di “fiction” televisive, e a questo riguardo il pensiero torna a una diecina di anni fa allorché nella stessa sede il sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali di allora avanzò la proposta di interessare la Rai a un “serial” su questo tema. Un colonnello del Comando ci  ricordò che c’era stato un “serial” di questo tipo, “Caccia al ladro d’autore”, con Giuliano Gemma protagonista,  appoggiammo  l’idea  tonandoci sopra più volte ma non se ne fece nulla. Ancora una volta la Rai ha perso l’occasione di svolgere effettivamente la funzione di servizio pubblico per la quale riceve  oltre 1,5 miliardi di euro l’anno.

E’ forse l’aspetto più interessante anche di questi incontri, del resto, la lotta tra “guardie” e “ ladri” ha sempre interessato;  e quando dinanzi agli attentati al  patrimonio culturale, che fa parte del nostro DNA collettivo, si riesce a reagire con successo, scatta spontaneo l’entusiasmo, come all’”arrivano i nostri” nei film western.  La diffusione di queste storie, oltre ad appagare le pulsioni positive di ognuno,  è oltretutto  utile perché sapere come vengono trafugati i beni culturali e poi  legalizzati in qualche modo od occultati,  può aiutare l’azione di contrasto. Il canale televisivo sembra essere il più appropriato per la diffusione più vasta, oggi andrebbero aggiunti i “social” .

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabuinieri-anfore.jpg
Primo piano di un’anfora a figure rosse

 I principali risultati  dell’azione svolta nel l 2018

Cominciamo  con un rapido riepilogo dei risultati i complessivi, precisando come  il Comandante Parrulli  abbia  tenuto a mettere  in evidenza   che “le attività investigative hanno  permesso, nel 2018, di disarticolare numerose associazioni criminali, operanti sia in Italia sia all’estero  soprattutto nel settore dell’archeologia”. E questo ci sembra di particolare importanza, al di là dei dati specifici, perché “disarticolare” vuol dire metterle  nell’impossibilità di agire, così la repressione diventa anche prevenzione per il futuro; sono 5 queste associazioni, di cui 4 operanti in modo truffaldino o nell’archeologia e una nell’antiquariato, composte da 76 persone.

Sino state denunciate circa 1200 persone, di cui 34 arrestate,  i beni  recuperati sono stati oltre 56.000, per un valore di 118 milioni di euro, in linea, aggiungiamo noi, con i 3 milioni di beni recuperati nei 50 anni  di attività del Comando, ricordati dal   ministro Bonisoli  il quale ha sottolineato che al suo insediamento con l’operazione chiamata “Demetra”  furono recuperati 20.000 reperti archeologici siciliani frutto di scavi clandestini, per un valore di 40 milioni di euro.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabinieri-2-n.-1.jpg
Luca e Andrea Della Robbia, “Madonna con Bambino”

La molteplicità dei canali attraverso cui oggi vengono commercializzati i beni culturali ha reso più agevole far passare anche quelli di provenienza illecita, in particolare l’ “e- commerce” e i “social” attraverso il web; ma consente anche forme di controllo da parte dei Carabinieri utilizzando la “Banca dati dei beni illecitamente sottratti” per individuare quelli irregolari pur con le difficoltà dovute alla difficile identificazione in molti casi. Nello scorso anno su circa 24 mila verifiche fotografiche con la banca da sono risultati di provenienza illecita  quasi 7 mila, di cui 4000 beni numismatici, 2000 reperti archeologici e 900 beni archivistici e librari.

A parte i controlli “on lne”  ex post,  è stata svolta un’efficace azione preventiva  monitorando le aree maggiormente a rischio  perché prese di mira in passato, quelle di maggiore afflusso turistico e quelle con vincolo paesistico, in particolare i siti  UNESCO, riguardo ai  beni archeologici, mentre per i beni culturali esposti al pubblico, quindi facilmente asportabili, come i documenti archivistici e i beni librari,  si provvede a  sensibilizzare i rispettivi istituti  perché siano eliminati  i maggiori fattori di rischio  distribuendo agli addetti il  vademecum, “La sicurezza anticrimine nei musei”  predisposto nel 2015. In effetti,  nei musei  un primo effetto positivo si è avuto con la diminuzione dei furti  da 23 a 21, invece nei luoghi di culto, particolarmente esposti, sono aumentati.

Vengono indicate in modo specifico le azioni effettuate  e i risultati ottenuti nei comparti principali, l’archeologia e l’antiquariato, e anche nel contrasto alla contraffazione.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabinieri-monete-vhiudsura.jpg
Opus sectile a mosaico, con serpentino e porfido”, II sec. d. C

Per l’archeologia, l’operazione “Demetra”, di cui il ministro ha citrato i risultati,  ha consentito di porre fuori combattimento “un articolato sodalizio criminale  che, da decenni, operava un indiscriminato saccheggio di aree archeologiche nissene ed agrigentine, destinando i reperti a facoltosi operatori del Nord Italia, consapevoli della provenienza illecita dei beni”: scavi clandestini e “corrieri”  per portarli in Germania,  poi falsari per fittizie attestazioni di provenienza fino all’immissione sul mercato legittimo dell’arte attraverso case d’asta di Monaco di Baviera.

Nell’antiquariato sono proseguiti i controlli sugli esercizi commerciali di settore, ma l’attenzione è stata rivolta soprattutto all’“e- commerce” dove si è riversata gran parte dell’offerta  per i loro minori costi; l’attività investigativa è comunque lo strumento più efficace consentendo di cogliere dei segnali che, seguiti ed approfonditi, portano al risultato.  Che è stato notevole: 12,000 beni recuperati, con un aumento vicino al 60% rispetto all’anno precedente, 530 persone denunciate per ricettazione,  37 opere d’arte recuperate tra cui un dipinto di Guido Reni di grande valore.

La Relazione dà conto delle principali azioni svolte a livello nazionale e in ambito internazionale, precisando anche le collaborazioni fornite da altre istituzioni  in Italia e all’estero.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabinieri-p-4-n.-1-1.jpg
“Promissione del Doge Andrea Dandolo e capitolare”, 1262

Le principali operazioni in Italia

Sono una quindicina le operazioni in ambito nazionale riassunte nel Rapporto 2018, è una geografia d’Italia  in cui spicca il centro-sud,  ma è presente in modo rilevante anche il nord.

Particolarmente attivo il contrasto ai falsi, con il sequestro di 302 opere contraffatte di  Guttuso e Fattori, Rotella e Schifano fino a Picasso a gennaio in Campania; di falsi di artisti contemporanei in febbraio in varie regioni del centro-sud, Sicilia compresa;  di falsi di Leonardo da Vinci in aprile nel Veneto e di Cezanne in maggio, di Modigliani in giugno e di Fontana in luglio, tutti e tre nel milanese, di Basquiat in ottobre a Roma e di  De Dominicis in novembre a Roma, Milano e Fabriano

Il contrasto alla sottrazione di  beni archeologici ha avuto un momento importante in febbraio, con il sequestro di oltre 1500 reperti dell’epoca romana, 35 sculture  e più di  2100 monete archeologiche, con altri oggetti ecclesiastici e di mobilio in molte regioni del sud; e in settembre  con il sequestro di 100 beni archeologici di epoca etrusca e romana, più 100 dipinti a Roma.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabinieri-p-p.-4-n.-2.jpg
Manfredino da Pistoia, “Episodi della vita di Gesù e della Vergine Maria”, sec. XIV

 Sono state denunciate per associazione a delinquere  a maggio 42 persone  in Sardegna,  a novembre 4 persone  a Roma. Milano e Fabriano,  a dicembre 20 persone a Napoli con il recupero, in quest’ultima operazione, di 533 beni per un valore di 8,5 milioni di euro. 

Oltre alle operazioni citate,  con le relative denunce, il sequestro in luglio nel milanese di una scrivania a ribalta con alzata, e denunce in agosto ad Ancona e Rimini, in novembre a Napoli per i furti nel Museo di Villa Livia, all’interno del parco Grifeo.

Sequestri e soprattutto rimpatri di opere nell’attività all’estero

Più di 25 le operazioni nel 2018 in ambito internazionale, attraverso Rogatorie e Ordini europei d’indagine su richiesta del Comando, la collaborazione con le forze di polizia di paesi stranieri, Interpol ed Europol, le autorità giudiziarie estere e la “Law Enforcement Agency”; in molti casi è stata risolutiva  la “diplomazia culturale”  del “Comitato per il recupero e la restituzione dei beni culturali” del MiBAC. Di questa intensa attività citiamo  i risultati.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabinieri-p-2-n.-1-e-2.jpg
Protome gocciolatoio con statua

In gennaio rimpatriati dalla Germania 2 dipinti del XVII sec., valore 100.000 euro,  da  un museo di Copenaghen 155 reperti archeologici dell’VIII-IV sec. a. C., valore 7 milioni di euro, e  da Monaco di Baviera di una statua in marmo di “Afrodite”  del I sec. d.C., valore 350.000 euro.

A marzo sequestrati a Bruxelles 200 reperti archeologici tra l’VIII e il III sec. a. C., valore 900.000 euro, rimpatriati da Londra un dipinto di Reynolds, XVIII sec., e un disegno di Ruggieri, valore 80.000 euro.

Nell’aprile sequestrati in Francia, oltre a Roma e Ancona, circa 800 beni artistici tra 14 dipinti moderni e 62 antichi, 37 reperti archeologici, 622 pietre preziose e 24 monili in oro, valore 8 milioni di euro, inoltre rimpatriati da Basilea una kylix attica a figure rosse del V sec. a. C. e un rilievo ellenistico del II sec. a. C., entrambi con l’immagine di Dioniso, da Lugano 2 anfore a figure nere del VI sec. a. C. e un frammento di “lekano” del VII sec. a. C., valore 700.000 euro.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabinieri-p-2-n-2.jpg
“Cinghiale”, Protome gocciolatoio, fine VI sec. a. C.

A luglio la grande operazione “Demetra”, condotta tra  molte città italiane e città britanniche, tedesche e spagnole,  Londra, Monaco di Baviera, Barcellona, Londra,   con il sequestro  di oltre 450 reperti archeologici da scavi clandestini in Sicilia e di 22.000 monete antiche greche e romane, valore 40 milioni; nello stesso mese rimpatriati da Monaco di Baviera e Londra 3 dipinti di  Rubens,  Guercino e D’Antonio, valore 4 milioni di euro.

Siamo a ottobre,  rimpatriati da Bruxelles 100 reperti archeologici tra il VII  e il III sec. a. C., valore 400.000 euro, da Lugano 345 monete greche e romane, 2 fibule, 44 medaglie e un timbro, in bronzo, valore 500.000 euro,  da Monaco di Baviera un dipinto di Pietro di Cosimo, valore 1 milione di euro.

Nel mese di novembre,  rimpatriati da Basilea 4 reperti archeologici, tra cui 2 statue romane, valore 500.000 euro, dagli Stati Uniti  un codice e un foglio in pergamena del XIV sec.,  valore 2 milioni di euro, e numerosi manufatti etruschi, apuli e romani tra l’VIII e il III sec. a. C., valore 3 milioni di euro.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabibieri-senza-nome.jpg
Statua romana

Infine dicembre, a Emblem, in Belgio, sequestrati oltre 700 reperti archeologici ceramici e miniaturistici, tra il III e il IV sec. a. C., valore 6 milioni di euro.

E importante sottolineare, a conclusione di questa carrellata sull’attività all’estero, che ci sono state anche cerimonie di restituzione a paesi esteri di beni culturali illecitamente sottratti a tali paesi e recuperati dal nostro Comando Tutela. A febbraio restituito presso la residenza dell’ambasciatore belga un dipinto di scuola fiamminga del 1520,  ad aprile nella sede del Comando, restituita all’ambasciatore dell’Iran in Italia una stele funeraria in pietra del VII sec., a giugno, a Palazzo Farnese, restituita all’ambasciatore francese una scultura lignea policroma del XVIII sec., e a Villa Savoia, nella sede della rappresentanza diplomatica egiziana, restituiti all’ambasciatore oltre 190 reperti archeologici egizi di inestimabile valore e 23.000 monete antiche in bronzo e argento.

Si tratta del 2018, quindi non si cita la spettacolare riconsegna, avvenuta nel marzo 2019, al Presidente cinese Xi Jinping, in visita in Italia per la firma del protocollo sulla “Nuova via della Seta”. di circa 800 reperti trafugati in Cina in varie epoche ed esportati illegalmente in Italia, esposti nella sede dell’incontro a Villa Madama e destinati a una mostra in Cina il prossimo anno, nelle celebrazioni del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.

Una restituzione anche dall’estero all’Italia, in ottobre nella sede dell’ambasciata a Villa Wolkonsky il Ministro britannico per le forze armate ha riconsegnato 2 preziosi reperti etruschi rinvenuti nel Regno Unito.     

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è carabinieri-busti.jpg
Statua di “Giove”, II sec. d. C. con base colonna

L’esposizione nel Comando  di opere recuperate

In conclusione,  diamo conto della parte spettacolare della mattinata, sono state presentate, in una speciale interessante mostra, le acquisizioni più recenti, fino ai primi mesi del 2019, ciascuna con una sua storia. Ne diamo conto sommariamente..

Il recupero più prezioso è la  “Madonna con Bambino”, bassorilievo di Luca e Andrea  della Robbia”, fine ‘400,  rubato nel 1971a Scansano, paese toscano in provincia di Grosseto. Dopo oltre 40 anni, nel 2013,  i carabinieri del  nucleo fiorentino del Comando Tutela riconoscono l’opera nel catalogo di una importante casa d’aste di Londra,  come venduta a una società americana. E’ uno dei modi più frequenti con i quali avvengono le identificazioni, altrettanto abituali sono le fasi successive: scattano le indagini sulla collocazione dell’opera e viene identificato il compratore, un collezionista canadese, il cui acquisto era avvenuto in buona fede. Di qui due linee d’azione:  la prima giudiziaria,  la Procura della Repubblica nel Tribunale di Lucca emette un provvedimento di “confisca per esportazione illecita commessa da ignoti”, tali infatti sono rimasti i responsabili del furto; la seconda diplomatica,  appositi contatti con il possessore dell’opera, per una restituzione spontanea, sostenuta dal provvedimento di confisca, questa effettuata dall’Ambasciata in Canada, con l’esperto Sicurezza, insieme al Consolato di Toronto. Passano ben 6 anni dall’individuazione, ma almeno il 4 aprile 2019 l’opera è rientrata  in Italia.

 Ancora più indietro nel tempo, nel dopoguerra, trafugato l’ “Opus sectile a mosaico, con serpentino e porfido”, del II sec. d. C.,  nel caratteristico marmo lavorato, faceva parte del pavimento di una delle  navi che Caligola teneva nel lago di Nemi per le cerimonie, rinvenuto nella campagna di scavi svolta dallo Stato italiano nel 1928-32, e collocato nel Museo delle navi romane. Sempre il Comando carabinieri lo ha individuato a Detroit da una italiana ivi residente ed è riuscito a farlo sequestrare  dal “District Attorney” di Manhattan portando prove evidenti della  provenienza furtiva. Anche qui, attenzione e competenza, unita a intransigenza e perseveranza fino al  recupero.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabinieri-p.-2-n.-4-1.jpg
Statua femminile, II sec. a. C.

Risale al 1949 il furto della pagina in pergamena manoscritta e miniata del 1262, concernente la Promissione del Doge Andrea Dandolo e capitolare dei consiglieri ducali” avvenuto nella Sala diplomatica dell’Archivio di Stato di Venezia, una delle forme di sottrazione sulle quali i Carabinieri del Comando invitano alla vigilanza con il vademecum citato all’inizio. Anche qui  l’individuazione è avvenuta  tra i beni messi all’asta da  Christie’s di Londra il 2 giugno 1999, 50 anni dopo il furto, i carabinieri hanno la memoria lunga…. le prove sono state inconfutabili. Il 12 febbraio 2019 la casa d’aste ha restituito la pergamena che vediamo esposta su un leggio.

L’esposizione di questi ritrovamenti  è ben assortita, nei generi oltre che nelle vicende: Vediamo una spettacolare predella, in tempera su tavola a fondo oro, on “Episodi della vita di Gesù e della Vergine Maria”, sec. XIV, attribuita a Manfredino da Pistoia.  Questa volta nulla di romanzesco, l’opera era stata asportata da una casa privata di Varazze nel 1988 ed è stata trovata in possesso di un noto collezionista canadese, solito acquirente in buona fede; è bastata la negoziazione extragiudiziale attraverso l’Ambasciata d’Italia con la collaborazione dell’Ambasciata dei Paesi Bassi il cui ufficiale di collegamento ha contribuito all’individuazione per ottenere che fosse restituita nel febbraio 2019.

Altro   reperto esposto è la raccolta “Aes Grave” , 75 monete archeologiche  in bronzo fuso. Spiccano sul drappo rosso, ma  a parte questo effetto spettacolare  si tratta della  prima  serie coniata dalla zecca di Roma nel III sec. a. C., molto rara   La Soprintendenza della Capitale ha avvertito  la Procura che erano state trovate da un cittadino queste monete di valore straordinario, lo “scopritore”  ha mentito sulle circostanze del rinvenimento per cui gli sono state sequestrate ed è stato deferito per “impossessamento illecito di beni culturali”. Resta il mistero sulla vera origine, ma l’importante  è che siano state recuperate; e se  il  ritrovamento fosse di chi è stato denunciato per aver cercato di appropriarsene sarebbe una lezione perché ne avrebbe avuto il merito, invece deve pagare l’illecito.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carabinieri-p.-3-n.-1.jpg
Busto romano, II-III sec. d. C.

Ed ora le sculture recuperate  che fanno mostra di sé nel lungo corridoio nella sede del Comando.  

Delle  6 sculture esposte, 3  provengono da scavi clandestini nell’Etruria meridionale, portate illegalmente in Svizzera. Sono  una “Statua di Giove”, II sec. d, C. in marmo,  una “Statua di donna”, I-II sec. d. C.in pietra,  e un ”Cinghiale”, fine VI sec. a. Cin terracotta, un “protome gocciolatoio” prezioso  esemplare arcaico di arte etrusca,  Torna l’abilità investigativa, viene fermato a Ginevra, nel Porto franco,  un trafficante italiano di beni archeologico conosciuto dagli addetti ai lavori, dalle fotografie che gli vengono sequestrate si possono individuare questi beni per poi risalire a chi li detiene, un operatore svizzero che si deve arrendere dinanzi alle prove della provenienza illecita e non può far altro che restituirle spontaneamente. ’La via extragiudiziale evita lungaggini, nel novembre 2018 tornano in Italia .

Le altre 3  statue, tutte in marmo e acefale a differenze di quelle appena citate, provengono invece da furti, due in luoghi pubblici nel 2010, “Busto romano”, II-III sec. d. C., trafugato dall’Orto botanico di Roma, “Statua di Diana cacciatrice”, copia di Domenico Caveceppi, fine XVIII , asportata dalla fontana ninfeo di Villa Borghes, resa acefala nella dea e nel cane da ignoti nel 1968 e 1978; la terza statua romana, “Musa Calliope”, II sec. d. C., era stata rubata nella casa romana dell’attore-regista  Roberto Benigni. Furono  tanti i furti di quegli anni tra Villa Borghese e Villa Torlonia, Villa Pamphili e residenze private, che la  recrudescenza fece avviare una vasta indagine con intercettazioni e pedinamenti in tutti i sospetti operanti nelle varie fasi dell’illecito nell’arte, tra i presunti mandanti ed esecutori dei furti, i trasportatori e i collocatori sul mercato estero. Risultato, 9 arresti, diecine di denunce, e il sequestro delle  6 statue in Spagna, in una galleria a Barcellona, a seguito dell’intervento della Procura della Repubblica del Tribunale di Roma  con la collaborazione della polizia giudiziaria spagnola. Dopo “la vita è bella”,  per Roberto Benigni un lieto fine.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è carabinieri-statua-2.jpg
Musa Calliope”, II sec. d.C.

Un’idea, soltanto un’idea

Delle principali operazioni svolte con successo, i siti web dei maggiori giornali, e i giornali cartacei locali ne hanno dato conto, spesso con titoli ad effetto, come si vede nel Rapporto che ne dà conto opportunamente riportando i principali articoli pubblicati.  

Questo ci fa venire un’idea: a parte la fiction televisiva in un “serial”  poliziesco sulla “Caccia a l ladro d’autore”, non si potrebbe pubblicare una rubrica fissa che periodicamente desse conto dei furti e dei ritrovamenti e recuperi?  Lo proponemmo nel 2010 al gen. Nistri allora Comandante del nucleo, ma ci limitavamo al sito web specialistico “www.archeorivista.it”  su cui scrivevamo allora.

Ma qualunque sito sarebbe inadeguato  rispetto alla diffusione che andrebbe data a tali notizie.  Allora il pensiero torna ancora alla Rai, aggiungere alla rubrica sui libri una rubrica sui furti e ritrovamenti di opere d’arte. Rientrerebbe a buon diritto nel servizio pubblico che è tenuta ad assicurare e per il quale è remunerata in modo stratosferico, dato che il “canone” attiene solo a questa componente, e non all’intrattenimento da Tv commerciale che costituisce la parte di gran lunga preponderante della sua programmazione. Se poi realizzasse anche la “fiction” di cui abbiamo detto all’inizio farebbe il “plenum”  e saremmo i primi a riconoscerlo. Ma forse non si può avere tutto, però qualcosa sì. 

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Carbinieri-p-3-.-2.jpg
“Diana Cacciatrice”, copia Bartolomeo Cavaceppi, fine sec. XVIII

Info

Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, Caserma La Marmora, via Anicia, 14 – Roma. Per i precedenti nostri articoli sui recuperi, cfr. in www.arteculturaoggi.com:  2015: “Carabinieri TPC, recuperati 5000 reperti archeologici” 25 gennaio, “Arte e Stato. Le acquisizioni mirate, a Castel Sant’Angelo” 20 ottobre, “Arte e Stato, La galleria di acquisizioni a Castel Sant’Angelo” 25 ottobre, “Arte e Stato: anche l’arte orientale a Castel Sant’Angelo” 30 ottobre;  2014 , “Caligola, la statua e non solo in mostra al Vittoriano” 8 giugno;  2013: “Archeologia, capolavori recuperati a Castel sant’Angelo” 27 luglio, “Urne etrusche, 24 recuperate con 3000 altri reperti” 21 luglio,  “Arte salvata. La mostra nel 150° dell’Unità d’Italia” 1° giugno. In www.archeorivista.it e www.antika.it, 2012:  “ I Carabinieri del Comando Tutela recuperano 3 statue e 200 reperti archeologici negli USA” 12 gennaio; “Roma. I  Carabinieri del Comando Tutela recuperano 200 reperti” 12 giugno;  2010: “Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale: nel 2010 successi da fiction Tv” 15 febbraio, “Due Vanvitelli e un Dughet recuperati dai Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale” 9 luglio (i due siti web appena citati sull’archeologia non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, sono comunque a disposizione).

Foto

Serie di anfore a figure rosseSerie di anfore a figure rosseLe immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nella Caserma La Marmora alla presentazione del Bilancio 2018, si ringrazia il Comando Carabinieri, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, “Musa Calliope” (a sin.) II sec. d. C, e “Diana Cacciatrice” (a dx) fine XVIII sec. (copia); seguono, rilievo epoca romana e serie di anfore a figure rosse; poi, primo piano di un’anfora e a figure rosse, e Luca e Andrea Della Robbia, “Madonna con Bambino”; quindi, “Opus sectile a mosaico, con serpentino e porfido”, II sec. d. C, e “Promissione del Doge Andrea Dandolo e capitolare”, pergamena, 1262; inoltre, Manfredino da Pistoia, “Episodi della vita di Gesù e della Vergine Maria”, predella sec. XIV, e Protome gocciolatoio con statua; ancora. “Cinghiale”, Protome gocciolatoio, fine VI sec. a. C., e Statua romana; prosegue, Statua di “Giove”, II sec. d. C. con base colonna, e Statua femminile, II sec. a. C.; infine, Busto romano, II-III sec. d. C, “Musa Calliope”, II sec. d.C., e “Diana Cacciatrice”, copia Bartolomeo Cavaceppi, fine sec. XVIII; in chiusura, “Aes grave”, 75 monete archeologiche in bronzo fuso, III sec. a. C.

“Aes grave”, bronzo fuso, 75 monete archeologiche romane, III sec. a. C.

,

Molina, le sue “Figuras” inquietanti, alla Galleria Russo

di Romano Maria Levante

La nostra “Diego Cerero Molina, ‘Figuras’”  presenta, dal 13 giugno al 4 luglio 2019, alla Galleria Russo una trentina di “figure”, ritratti nella caratteristica espressione pittorica dell’artista, curatrice Maria Cecilia Vilches Riopedre che ha curato anche il Catalogo bilingue italiano-inglese della Manfredi Edizioni. La mostra segue, a staffetta, con la stessa curatrice, “Istanbul”, tenuta nella stessa galleria dal 15 aprile al 5 giugno, con opere dello stesso Molino e di altri 8 artisti.

“Figura con lente d’ingrandimento”, 2018

Ci sono tanti tipi di ritratti e di figure – per usare il termine utilizzato dall’artista nei titoli – ma quelle di Molina sono di certo fuori del comune. Proprio per questo motivo è intrigante cercare di interpretarle. La visione d’insieme di questa inconsueta galleria mostra colori neutri però con vibrazioni che nascono da alcune sottolineature cromatiche, soprattutto di particolari somatici che si manifestano con tratti brillanti.

Ma come è discreto il cromatismo di base, così è all’opposto la forma della rappresentazione e il suo contenuto, linee e contorni deformati, figure inquietanti. C’è un qualcosa, anzi molto, di irridente e sarcastico in quei volti, quasi per lanciare una sfida, con atteggiamenti e situazioni fuori da ogni logica. 

“Due figure”, 2018

Chi vuole sfidare l’autore di queste singolari rappresentazioni?   Non crediamo che la sfida sia rivolta all’osservatore, anche se chi guarda si sente comunque impegnato a trovare una chiave interpretativa; è evidente come quelle figure  esprimano un “sentimento” dell’artista verso il mondo in cui vive, in cui viviamo tutti.

La visione caricaturale dell’artista

Cerchiamo, dunque, di penetrare in questo mondo, che nelle opere dell’artista assume aspetti tra l’ironico e l’allucinato, tra  lo scherzo e la tragedia. Ci torna in mente il titolo di un film, “La tragedia di un uomo ridicolo”,  che ci sembra rendere il personaggio presentato dall’artista nelle sue figure accomunate da un qualcosa che si può esprimere con un aggettivo: grottesco, che unisce tragedia e farsa compresenti.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-nd-2.jpg
“Figura con abito blu””, 2018

A questo punto ci chiediamo cosa possa portare l’artista a una simile visione al contempo partecipe e distaccata. Partecipe perché segue il suo personaggio  nelle situazioni più diverse, e spesso improbabili, distaccato perché non si lascia coinvolgere, quasi lo sorprendesse in atteggiamenti riservati entrando nella sua “privacy”.  Con questa interpretazione sembrerebbe contrastare il fatto che alcune immagini ritraggono il protagonista quasi in posa, ma è solo apparente, si vede  nel suo sguardo l’immediatezza con cui assume un atteggiamento appena si vede al centro dell’attenzione.

Nel parlare del “personaggio” abbiamo semplificato la galleria di volti e figure riferendola ad un unico soggetto, la molteplicità ridotta ad unità; in effetti, nelle sue incarnazioni molteplici, pur non riconducibili a un solo personaggio, c’è l’uomo contemporaneo con le sue anomalie, che la quotidianità e l’abitudine porta a sottolineare,  enfatizzate in modo  paradossale e caricaturale.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-30.jpg
“Figura con mucca” , 2016

Si avverte una metafora reiterata, qualche volta enigmatica ma sempre presente, fin nei dettagli. Alla “tragedia di un uomo ridicolo” nel mondo d’oggi si può aggiungere la dissacrazione del ritratto, genere tradizionalmente praticato a fini celebrativi. Qui è una celebrazione all’inverso, si mettono in evidenza deformazioni esteriori che corrispondono ad anomalie  interiori, elevando la caricatura a genere pittorico, ancora di più di quanto ha fatto Baj con i “generaloni”, e altri artisti con i dittatori. In qualche caso viste  in situazioni al limite della presentabilità.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-25-1.jpg
“Figura con mucca”, 2017

Le figure negli atteggiamenti più stravaganti

Nella galleria di immagini, la mucca che compare in più  dipinti del 2016-18 dal titolo  “Figura con mucca” – ne abbiamo contati quattro – viene presentata come un retaggio dell’infanzia quando, come ha confidato, “le mucche erano gli animali più grossi del campo e sono state al centro della mia attenzione per molto tempo. E poiché ho capito le cose solo dopo averle dipinte, non ho mi smesso di farlo. Ecco perché hanno una presenza così significativa nel mio lavoro”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-42-bis.jpg
“Figura con mucca” , 2018

Ma cosa ha capito? Forse la metafora cara all’uomo politico Pierluigi Bersani, di non vedere “la mucca nel corridoio”, cioè una presenza tanto ingombrante quanto spesso colpevolmente ignorata. In una “Figura con mucca” addirittura la cavalca, mentre in altre condivide situazioni improbabili, come una piscina circolare in plastica  e un grande tappeto blu a fiori bianchi, in mano un telefono collegato al muso dell’animale, fino alla mucca che protende il muso verso il personaggio, con due ricevitori telefonici tradizionali, uno dorato, l’altro nero, legati al suo capo da un nastro, senza che corrispondano alle orecchie. Stessa collocazione dei due ricevitori in “Figura con telefono”, 2016, quasi per sottolineare la dipendenza che se ne ha nel mondo d’oggi, ma non si tratta di cellulari.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-19.jpg
“Figura con piante”, 2018

Ci riporta al mondo di ieri il  collare elisabettiano che vediamo in “Dae figure” e “Figura con abito blu”, 2018. Il primo vede il protagonista  assiso su una poltrona dorata, con un cane ai piedi, un cono gelato nella mano destra,  e l’improbabile collare su un vestito  moderno, con tanto di giacca, cravatta e scarpe tirate a lucido. E’ stato interpretato come metafora dell’inversione di ruoli tra uomo e animale, essendo il collare più adatto al cane che invece ne è privo; ma allora come spiegare il collare del secondo dipinto nel quale ma non c’è l’animale?  Forse è una metafora del condizionamento subito anche quando si compie un gesto normale, come mangiare un cono gelato, peraltro dissociato  rispetto alla poltrona dorata in cui siede quasi fosse un trono.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-47.jpg
“Figura con le mani aperte”, 2016

Come la “Figura con pianta”, 2018, con il vestito intorno al quale è avvolto un serto vegetale, è evocativa di un altro contrasto tra l’abito cittadino e la pianta che sembra avvinta “come l’edera”. Altrettanto condizionato, anche se in un viluppo di segno opposto,  “Uomo avvolto in fatture”, 2014, i fogli del meccanografico richiamano ciò con cui si è alle prese quotidianamente in un accerchiamento oppressivo.   “Exiguo II”, stesso anno, in cui mostra le tasche vuote, sembra  la logica conseguenza dell’assedio delle fatture che corrispondono ad altrettanti pagamenti. Una variante di questo atteggiamento la vediamo in “Figura con le mani aperte”, 2016, quasi a mostrare che sono vuote come le tasche, sopra la testa una moneta da un euro quasi come aureola di santità; e in Figura con le mani sopra il tavolo”, 2014, quasi una resa inerme con le mani poggiate, ingigantite dal primo piano, il volto aggrondato sembra confermare questa interpretazione.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-44.jpg
“Figura con nastro adesivo sulla bocca”, 2019

Una diversa serie con le scritte, “Figura con nastro adesivo sulla bocca”, 2019, reca sul nastro  le parole “Precauciòn mantener serrado”, un  avvertimento sulla limitazione della libertà espressiva, altro vincolo che opprime l’uomo contemporaneo, e “Figura con orologio da tasca”  con la scritta “Romper en caso de emergencia”, quasi si potesse fermare il tempo rompendo il vetro dell’orologio; mentre nella “Figura con occhiali” , 2016, si legge “I’m only popolar on the Internet”, e in “Figura. Graffiti Area”, 2018, un viso stravolto con le parole “This Face is a designed” come nel titolo, con la precisazione “By Order National Highways Agency”. Affermazioni, quelle scritte sui due ultimi dipinti,  identitarie della condizione vissuta nell’epoca dei “social network”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molina-16-1.jpg
Figura con orologio da tasca”, 2018

Nessuna scritta ma ingrandimenti che enfatizzano e nel contempo deformano le immagini in “Figura con lente d’ingrandimento”, 2018,  occhio e pugno di grandi dimensioni su un corpo schiacciato, come in un’altra “Figura con occhiali”, 2018, in grande evidenza non sono gli occhiali ma due pugni giganteschi, in contrasto con la figura modesta del protagonista anche se appare corrucciato. Mentre una terza “Figura con occhiali”, anteriore nel tempo perché risale al 2012, mostra un viso  con la bocca spalancata forse nella protesta, e in “Burla”, del 2°17, il volto, sempre con occhiali, è atteggiato a delle boccacce con la lingua fuori e le mani che sventolano intorno alle orecchie.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-nd-3.jpg
“Figura – Graffiti Area”, 2018

Le figure negli atteggiamenti consueti

Questo “diapason” irridente lo poniamo a conclusione della parte della galleria espositiva dedicata a figure dagli atteggiamenti più intriganti e dai contorni più deformati e caricaturali. Ma ci sono anche altri atteggiamenti come  in “Figura sulla poltrona”, 2014,  e “Figura con parrucca  blu”, 2015, “Figura nell’acqua”, 2016, e “Figura con camisa rosa”, 2016-17,  sempre il protagonista “sorpreso” in situazioni particolari, in linea con i titoli. Abbiamo anche ritratti con divise particolari, come “Figura con giacca da torero”  e “Tenente colonnello 2”, entrambi del 2016, spiccano nel buio il primo trasandato, il secondo con la giacca bianca piena di medaglie ma non sembra marziale. C’è  anche la serie di ritratti intitolati “Mad”, tra il 2014 e il 2016, il protagonista, dagli occhi stralunati come del resto molti personaggi ripresi dall’artista, ha una giacca a righe bianche  e nere; e il recentissimo “”Figura con Narguile”, 2019, una delle sue tre opere esposte nella mostra in omaggio a “Istanbul”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-37.jpg
“Mad IX”, 2014

L’assoluta normalità di atteggiamento la troviamo nell’”Autoritratto”  del 2017, il volto quasi di profilo con espressione intensa e lo sguardo lontano, il sigillo della immancabile deformazione nella mano cui si appoggia la testa ingrandita dal primo piano. Ma c’è un’altra immagine altrettanto sobria, “Autoritratto mentre dipingo”, un omaggio a Pablo Picasso perché evoca la celebre pittura sul vetro nella casa di Villauris del grande maestro suo conterraneo. Anche qui, peraltro, la deformazione non manca, ripresa dall’alto la sua figura appare schiacciata.

Questi autoritratti ci riportano all’ultimo e forse principale interrogativo che pongono  le “figure” mostrate dall’artista nelle situazioni più diverse, in atteggiamenti spesso sconcertanti e con  deformazioni dei loro tratti somatici o di alcuni particolari, generalmente le mani. L’interrogativo riguarda l’identità dei personaggi spesso rassomiglianti, e quindi i riferimenti che suggeriscono.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-50-1.jpg
“Autoritratto mentre dipingo”, 2019

La curatrice Vilches Rioprede ci dà la sua chiave interpretativa: “Diego è giovane, desideroso di imparare ed esplorare. Le sue tele lo aiutano nella comprensione del mondo che lo circonda. Si ritrae molte volte. E’ lui la figura principale, sia essa folle sia sensata”. In effetti, oltre che in questi Autoritratti, è perfettamente riconoscibile in “Due figure”, l’opera più intrigante commentata all’inizio e in altre senza occhiali. Ma forse anche nelle “Figure con occhiali” resta protagonista. D’altra parte, è stato lui stesso a dire, a proposito delle “Figure con mucca”, di insistere sul tema dal momento che “poiché ho capito le cose solo dopo averle dipinte, non ho mi smesso di farlo”. E’ verosimile che lo applichi anche a se stesso, perciò si dipinge nelle situazioni più diverse. Capire il mondo  attraverso la pittura, può essere anche questo l’insegnamento della mostra di Molina.  

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Molino-n-d.jpg
“Figura con Narguile”, 2019

Info

Galleria Russo, via Alibert  20, Roma. Aperta il lunedì dalle ore 16,30 alle 19,30, dal martedì al sabato dalle ore 10 alle 19,30, domenica chiuso. Tel. 06.6789949, 06.60020692 www.galleriaarusso.com,  Catalogo  “”Diego Cerero Molina ‘Figuras'” , a cura di Maria Cecilia Vilches Riopedre, Manfredi Edizioni, giugno 2019, pp. 88, bilingue italiano-inglese, formato 22,5 x 22,5; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Cfr. i nostri articoli, su precedenti mostre tematiche della Galleria Russo con Molina insieme ad altri artisti: in questo sito, su “Istanbul” 15 maggio 2019; in www.arteculturaoggi.com, su “Shakespre in Rome” 25 aprile 2016.

Foto

Le immagini delle opere di Molina sono state riprese da Romano Maria Levante nella galleria Russo alla presentazione della mostra, si ringrazia la proprietà della galleria, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta; sono riportate, apertura e chiusura a parte, in linea di massima nell’ordine in cui sono citate nel testo. In apertura, “Figura con lente d’ingrandimento” 2018; seguono, “Due figure” e “Figura con abito blu”” 2018; poi, “Figura con mucca” 2016 e ““Figura con mucca” 2017; quindi, “Figura con mucca” e “Figura con piante” 2018; inoltre, “Figura con le mani aperte” 2016, e “Figura con nastro adesivo sulla bocca” 2019; ancora, Figura con orologio da tasca” e “Figura – Graffiti Area” 2018; continua, “Mad IX” 2014, e “Autoritratto mentre dipingo” 2019; infine, “Figura con Narguile” 2019 e, in chiusura, un angolo della mostra, di fronte “Figura con le mani aperte” e a sin. “Figura con mucca” 2016, a dx “Mad IX” 2014.

Un angolo della mostra, di fronte “Figura con le mani aperte”
e a sin. “Figura con mucca, 2016, a dx “Mad IX”, 2014

Luciano Radi, 5. Il nostro ricordo

di Romano Maria  Levante

A conclusione del servizio, dopo i 4 articoli nel quinto anniversario della scomparsa di Luciano Radi, non possiamo non  aggiungere una nota personale: riportiamo il nostro ricordo  che fu pubblicato esattamente cinque anni fa sulla “Gazzetta di Foligno” del 15 giugno 2014  insieme al “ricordo delle illustri persone che lo hanno conosciuto, affiancato, amato e ammirato”, nell’omaggio al grande conterraneo  con cui il giornale della sua città volle aprire la prima pagina della seconda domenica di giugno. Non aggiungiamo nulla, le  parole e i sentimenti espressi allora, nell’immediatezza della scomparsa, risuonano ancora nel nostro animo, e lo faranno sempre.

Luciano Radi

Un sodalizio intellettuale

Il mio ricordo di Luciano Radi è strettamente personale, dopo un rapporto affettivo e un sodalizio intellettuale durato quarantacinque anni;  ma la grandezza della sua figura è tale che il ricordo si allarga fino a investire un campo quanto mai vasto, dall’economia alla politica, dalla società alla cultura. Ogni mio colloquio con lui – e in quasi mezzo secolo sono stati innumerevoli – era per me una lezione di vita, mi parlava un osservatore molto attento ai movimenti nella società, impegnato a coglierne i mutamenti profondi sul piano economico e sociale che precedeva quello politico, chiamato a risolvere i problemi evidenziati dall’analisi precisa e documentata. Era una fucina di idee e di iniziative, mi sorprendeva il suo impegno continuo nel cercare le soluzioni partendo dai dati rilevati  con la precisione dello statistico, per interpretarli  da economista e trarne le conseguenze da politico; impegno tradotto, oltre che  nella lunga attività parlamentare, in una pubblicistica vasta e articolata. Le sue anime di statistico, economista e politico alimentavano una ricerca incessante e instancabile, volta a “conoscere per deliberare” o comunque aiutare a deliberare chi ne aveva il compito. Aveva anche l’anima dell’uomo di cultura, che si guarda dentro e sente il bisogno di rendere partecipi delle sue riflessioni  personali, profonde se rivolte ai grandi temi della vita, divertenti allorché si dedicava a temi leggeri, anche qui la sua vasta pubblicistica ne è la migliore testimonianza. E aveva l’anima dell’uomo di fede – il fondamento della sua vita – che si è espressa pubblicamente nell’attenzione alle vite dei santi, cui ha dedicato scritti intensi e devoti. Questa dimensione pubblica del parlamentare e scrittore Radi non sovrasta  la dimensione privata del mio rapporto con l’uomo Luciano. Il sodalizio intellettuale nel condividere con me le sue riflessioni sulla società fa sì che le due dimensioni fossero strettamente intrecciate e in questo esprimeva un’umanità profonda, con  il suo spirito aperto alla curiosità, che faceva mettere in luce particolari destinati a passare inosservati, ma che diventavano paradigmatici nelle sue riflessioni: ne sono testimoni i suoi libri e non solo, ricordo la sua trasmissione radiofonica del mattino che allietava il risveglio. Ma nulla di tutto questo può sovrapporsi nel mio ricordo alle manifestazioni d’affetto di una persona raffinata e gentile, che sapeva esprimere sentimenti personali con la stessa sensibilità con cui esprimeva sentimenti collettivi. Gli uni e gli altri li ha manifestati fino all’ultimo, con l’amabilità e l’affettuosa fiducia con cui mi ha confidato le sue riflessioni anche in tempi recenti, pronto a tradurle ancora una volta in scritti documentati. Grazie, Luciano carissimo, per quanto mi hai dato e per quanto hai dato a tutti con la tua dedizione al bene comune e alla cultura. Sei stato un protagonista del ‘900, ma per me sei e resterai sempre il grande indimenticabile amico di una vita.   

Info

Con il ricordo dell’amico concludiamo la rievocazione, nel quinto anniversario della scomparsa di Luciano Radi, del politico e dello studioso, dell’uomo delle istituzioni e dello scrittore. Cfr. i nostri quattro articoli precedenti, usciti in questo sito: “Luciano Radi ricordato con una sua opera, l’incontro tra ‘Francesco e il Sultano ‘ 800 anni fa” 6 giugno  2019; “Luciano Radi, ‘potere democratico e forze economiche’” 9 giugno;  “Luciano Radi, ‘’i libri dell’anima’, l’umanità e la fede di una ‘personalità limpida’” 11 giugno; “Luciano Radi, protagonista e testimone del nostro tempo” 13 giugno.

Foto

L”immagine in apertura è stata tratta da Twitter, è l’omaggio di Gabriele Benedetti (@gabdetti) a Luciano Radi nel giugno 2015, un anno dopo la scomparsa, con le parole: “Luciano Radi, il volto sereno della politica onesta”. Lo ringraziamo per averci consentito di unire una fotografia che ne mostra l’amabilità e l’umanità, nell’espressione autorevole e dignitosa, come lo ricordiamo sempre e lo sentiamo vicino.

Luciano Radi, 4. Protagonista e testimone del nostro tempo

di Romano Maria Levante

A cinque anni dalla scomparsa di Luciano Radi abbiamo ricordato, dopo una breve introduzione sulla sua figura,  una sua opera sulla vita dei Santi, “Francesco e il Sultano”, presentata a Foligno il 30 maggio 2019 a 800 anni dallo storico incontro; poi una sua opera di politica economica, “Potere democratico e forze economiche”, che  a 50 anni dalla pubblicazione mantiene una viva attualità di analisi e di proposte,  quindi abbiamo ripercorso l’itinerario spirituale dei suoi “libri dell’anima”, da “Nati due volte” e “Sotto la brace” a “Non sono solo”, fino alla “trilogia dell’anima”, “Anime e voci”, Luci del tramonto”,  “I giorni del silenzio”, l’ultimo a quattro anni dalla  morte. Completiamo questo  ricordo con il profilo del politico  e dello studioso, dell’’intellettuale e dell’uomo di fede, che ha saputo tradurre il frutto della sua attività nelle istituzioni e delle sue ricerche culturali in testimonianze  preziose data l’attualità del suo pensiero rispetto ai problemi di oggi e di sempre. Tale profilo è contenuto nello scritto, distribuito all’incontro di Foligno citato nel primo servizio: Romano Maria Levante,  “Luciano Radi. Protagonista  e testimone del nostro tempo”, come estratto dalla pubblicazione nel  “Bollettino Storico della Città di Foligno XXXVIII-XLII (2015-2019)”. Lo riproduciamo integralmente con l’aggiunta di fotografie  che  mostrano Luciano Radi in alcuni  momenti della  sua lunga vita politica, le poche che abbiamo trovato per la sua riservatezza; sono intervallate da immagini della sua Foligno, che ha rappresentato in Parlamento per trentacinque anni. In tal modo cerchiamo di far rivivere le due vite, nelle istituzioni e nella sua terra, di una “personalità limpida”, come lo ha definito Pierferdinando Casini alla sua scomparsa; tanto apprezzata per la sua azione instancabile e illuminata nelle istituzioni nazionali e locali da rappresentare un esempio, e anche una fonte di insegnamenti con i suoi molteplici scritti istruttivi e profondamente  umani.

Luciano Radi

La figura di Luciano Radi  è tale da superare  alcuni luoghi comuni, da quello contro i “professionisti della  politica”  a quello speculare al contrario sulla  “politica come servizio” per ciò stesso esclusivo. E’ stato un politico a tutto tondo, ma non un professionista della politica, avendo  avuto un proprio rilevante profilo professionale; e il suo servizio politico per il bene pubblico non è stato esclusivo, tanto ampia e variegata risulta la gamma degli interessi coltivati assiduamente fino all’ultimo.

Ripercorrendo idealmente un’esistenza vissuta in modo intenso su questi versanti diversi ma collegati, si possono trarre preziosi insegnamenti sui valori che la classe politica dovrebbe perseguire sotto la spinta delle sollecitazioni provenienti dal proprio retroterra culturale e umano.

Ed è questa la lezione imperitura soprattutto  per le giovani generazioni che viene da un politico di razza che ha saputo coniugare diverse vite all’insegna di un’alta qualità intellettuale e culturale.

Con Scelba, Fanfani e Rumor

L’unicità della sua  figura di politico e uomo di cultura

Come osservatore attento della realtà del suo paese e della sua terra ne traeva alimento non soltanto per la sua azione politica ma anche per le sue narrazioni ricolme di umanità e di saggezza. La competenza tecnica di economista e di statistico gli consentiva di far seguire all’osservazione l’analisi, cosicché dopo l’interpretazione veniva la proposta, poi l’azione, ciò che si attende da un politico vero.  E quanto più la riflessione era approfondita, spaziando sul versante storico e culturale, tanto più diventava convincente la traduzione in comportamenti politici conseguenti.

In questa contaminazione di visioni diverse e convergenti sta la straordinaria specificità, si dovrebbe dire anzi l’unicità della sua figura di politico e di uomo di cultura: chi può vantare nove legislature, per oltre 35 anni di vita parlamentare, e al contempo più di 35 pubblicazioni, dalla politica economica alla narrativa, dalla storia alla sociologia, ai bozzetti di costume?  E se si aggiungono le originali grafiche artistiche e le conversazioni mattutine alla radio il quadro è ancora più ricco.

Foligno, un lato di Piazza della Repubblica

Ala base di questa visione e azione poliedrica c’è stata una curiosità insaziabile, l’attenzione ai particolari apparentemente secondari della realtà osservata, che diventavano paradigmi; e soprattutto un animo  aperto alla comprensione di ciò che si muove nella società, l’identificazione nei bisogni dei più deboli,  uno spirito con forti radici nella religiosità della sua terra, l’Umbria di san Francesco, che è stato per lui un alimento inesauribile nell’intero corso della sua vita.  

Neppure questo basterebbe per spiegare il  fervore instancabile delle sue iniziative culturali e umane se non  fosse accompagnato da una vitalità straordinaria che lo portava a cogliere gli spunti anche occasionali per costruirvi sopra una riflessione sempre più profonda; non solo, .ma si aggiungeva il desiderio, altrettanto irrefrenabile, di renderne partecipi gli altri, di qui la sua produzione editoriale quanto mai feconda  sui più diversi campi nei quali si spostava la sua attenzione: dai grandi temi politico-sociali e storici alle osservazioni più minute e ai quadretti  bozzettistici, dai ritratti di personaggi alle vite dei santi, fino alle riflessioni personali più intime e raccolte, in qualche caso sofferte, una continua apertura di sé a chi voleva condividerne le scoperte e le emozioni, anzi a chi vuole farlo anche ora perché mantengono una validità e una freschezza sorprendenti.

Con Fanfani, in visita a Dottori

Il tutto con un’amabilità personale perfino disarmante in un portamento di per sé autorevole che ispirava rispetto ma non soggezione. Giulio Andreotti, nell’introduzione al libro “Gli scarabocchi dell’onorevole”, ha parlato dell’”amicizia per un collega del quale ammiro particolarmente la dedizione al lavoro, la serenità di spirito, la comunicativa umana”, aggiungendo che “la calma, tutta umbra, di Luciano Radi, contribuisce a distendere il nostro complesso mondo di lavoro”.

Non si tratta soltanto di temperamento, bensì dell’istintiva apertura al dialogo,  con una capacità di ascolto e di comprensione delle ragioni degli altri che, pur nella saldezza dei suoi convincimenti, lo portava alla riflessione, consapevole che con il confronto si possono cogliere spunti meritevoli di essere approfonditi per allargare la propria visione e quindi arricchirla e perfezionarla. E soprattutto,  lo ripetiamo, l’attitudine a ricevere nuove sollecitazioni per ulteriori analisi e riflessioni da condividere per farne partecipi quanti potessero trarne elementi positivi anche per sé stessi.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-Piazza-6.jpg
Un altro lato di Piazza della Repubblica

Ed è in questa apertura, anche del proprio più intimo e riposto sentire, l’unicità di una figura che ha dato tanto agli altri fino all’ultimo, pur nello strettissimo legame con la propria famiglia: la moglie Lucia per la quale vale quanto mai la constatazione che “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”, la figlia Chiara, i nipoti Tommaso e Sebastiano, il genero Alfredo de Poi, politico e dirigente con inclinazioni poetiche  e artistiche prematuramente scomparso, per non parlare dei fratelli Lamberto e Leonello direttore di banca a lui particolarmente vicino. E non si può dimenticare Luciano Nieri, l’assistente di una vita, fedele e premuroso quanto bravo ed efficiente.

Una vita nella politica, un impegno continuo e una testimonianza preziosa

In Parlamento ininterrottamente dalla III all’XI legislatura, vale a dire dal 1958 al 1994, con 405 progetti di legge presentati, 104 atti di indirizzo e controllo, 256 interventi, 2 incarichi parlamentari  e 8 incarichi di governo, come autorevole esponente della Democrazia cristiana, ha segnato con la sua iniziativa politica  tanti momenti cruciali nella storia del Paese, e li ha raccontati fornendo una testimonianza preziosa che li documenta direttamente e fedelmente.

Con Forlani, Malfatti, Spitella e De Poi

A partire dalla  corrente “Nuove Cronache” , che portava nella vita del partito, intorno ad Amintore Fanfani, le spinte innovative della omonima rivista, in contrasto con la linea conservatrice.Per questo la corrente fanfaniana “Iniziativa democratica” si scisse nei due gruppi, “Nuove Cronache” e “Dorotei”, il promo si proponeva di superare la pur feconda stagione del centrismo per una maggiore sensibilità e apertura ai temi sociali che premevano nella società e Luciano Radi ne fu tra i più attivi esponenti.  Ed ebbe un ruolo fondamentale nella svolta del partito, altro che “radi, storti e malfatti” come venivano scherzosamente sottolineati i nomi dei componenti più noti!

E’ stata questa l’ispirazione costante del suo pensiero politico, nata dal contatto diretto nella sua terra con realtà scottanti come quella dei contadini, che ha conosciuto da vicino e a cui ha dedicato il suo secondo libro nel 1962, I mezzadri: le lotte contadine nell’Italia centrale  dall’Umbria al 1960. Che fosse molto di più di un saggio di politica economica ma esprimesse la propria partecipazione personale a un cambiamento epocale lo dimostra il fatto che otto anni dopo, nel 1970, è tornato sul tema da un angolo di visuale diverso, nella sua poliedrica visione della realtà, con Nati due volte, non più analisi socio-economiche ma un insieme di bozzetti sulla “vita tormentata e dura delle popolazioni contadine dell’Umbria”, che Carlo Carretto ha definito “un impressionante documento capace di far nascere romanzi e destare inchieste  su una realtà che anche se non esiste più nel suo complesso, travolta dalle  trasformazioni veloci del nostro tempo, è ancora attaccata a brandelli alle nostre carni e ci fa soffrire quasi come se fossimo attori e responsabili”. Lui stesso parla di “sofferta esperienza personale”, che lo ha egnato per sempre.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-Piazza-4.jpg
Il lato di Piazza della Repubblica con il palazzo del Comune

Così il primo incarico parlamentare, affidatogli dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, fu di responsabile dell’ufficio “Aree depresse” e  il suo primo impegno di governo fu di Sottosegretario all’agricoltura. Ma la sua  presenza nelle istituzioni viene molto prima del suo ingresso in Parlamento nel 1958 a 36 anni. Inizia come dirigente di partito nella sua città, Foligno, con l’elezione a 24 anni, nel 1946, nel Consiglio comunale. E poi, sempre in sede locale, negli anni ’60 è stato presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto professionale di Foligno che divenne tra i più importanti d’Italia e presidente dell’ospedale san Giovanni Battista.

Non solo politica, dunque, ma impegno nei campi in cui poteva svolgere un servizio utile alla sua terra a cui è rimasto sempre legato quando  la politica lo ha portato ad operare nella capitale. La sua  docenza di economia e statistica all’Università di Camerino gli ha assicurato una vita professionale oltre la politica ma in costante sinergia con il suo impegno nelle istituzioni, perché sull’economia si basa la gran parte delle decisioni che incidono sulla vita delle persone mentre la statistica fornisce ulteriori strumenti tecnici per l’analisi dei fenomeni e dei movimenti nella società.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-print-con-Silvio-Gava-e-Scalfaro-digitalsturzo.it_.jpg
Con Gava e Scalfaro

La sua ampia produzione pubblicistica nel campo della politica economica e sociale dimostra come sia riuscito a mettere a frutto tale positiva convergenza per cogliere i movimenti sottesi nella società con i sensori dati dalla scienza economica e statistica oltre che dalla sensibilità politica per definire interventi appropriati: Il motto einaudiano “conoscere per deliberare” ispirava la sua azione,  né approfondimenti fini a sè stessi né improvvisazioni del momento, attento com’era a distinguere i semplici atteggiamenti, che potevano essere transitori, dalle modifiche dei modelli di comportamento  che invece erano persistenti e andavano affrontate in modo adeguato.

Nella sua formazione troviamo il ruolo pedagogico di sacerdoti come Don Consalvo Battenti, suo parroco dal 1932 al 1941, poi di don Guglielmo Spuntarelli, dal 1941 al 1953. Don Dante Cesarini ricorda questo suo giudizio verso di loro: “Mentre Don Consalvo aveva rappresentato il parroco di alta dignità intellettuale e di estrema severità, il nuovo arrivato portava nel lavoro sacerdotale uno stile diverso: cordiale, bonario, fratello tra i fratelli, non capo ma umile servitore della comunità”.  Ne troviamo evidenti riflessi nel suo libro “Un grappolo di tonache”, del 1981, gustosi,  eloquenti bozzetti, in  qualche caso impertinenti, da don Obeso a don Marzio a don Giulio.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-Piazza-5.jpg
Il palazzo del Comune con l’alta torre al centro

A questo riguardo Manlio Marini – sindaco di Foligno nel 2006 nel 60° anniversario dell’ingresso nelle istituzioni locali di Radi – ricorda, come prova della sua versatilità, la sua  bravura di attore dilettante nella filodrammatica del San Carlo, in ruoli leggeri, e la sua risposta alla signora che gli chiedeva “Ma perché lei che è così bravo nel fare l’attore comico si è invece dato alla politica?”, fu “Ma perché, forse i politici non fanno ridere?”: espressione eloquente del suo spirito alieno da enfatizzazioni di un ruolo che poteva anche essere dissacrato per restare con i piedi per terra. Lui stesso ricorderà, in un suo scritto, con una certa soddisfazione, questa  giovanile “vis comica”.

Riguardo ai Vescovi della sua diocesi, giudizi rispettosi quanto acuti: di Stefano Corbini, vescovo fino al 1946,  apprezzava “la paternità bonaria, sempre pronta alla battuta ironica”, di Siro Silvestri, dal 1955 al 1975, “rimanemmo imbarazzati, incuteva soggezione, sembrava stabilire , senza volerlo, una invalicabile distanza da noi fedeli”. Ma se questa fu l’impressione iniziale alla vista di “un  personaggio tanto diverso, alto, diritto, distinto”, ogni timore di ingerenza di chi nello stesso 1955 era diventato segretario provinciale della Democrazia Cristiana, svanì decisamente: “Mai il Vescovo osò interferire e mettere in discussione la mia autonoma responsabilità di cristiano impegnato in politica”. L’ultimo vescovo, Giovanni Benedetti, dal 1976 al 1992, ricorda sempre don Cesarini, “dava molta importanza ai laici cattolici impegnati in politica e, in generale, nella vita sociale”, per cui  gli incontri e la collaborazione furono intensi e fecondi.  La religione poteva entrare in campo nelle questioni di “alto valore etico”, mentre la dottrina sociale della Chiesa poteva dare un indirizzo in campo economico;  ma al pari di altre sollecitazioni culturali, l’azione politica era del tutto separata dalla credenza religiosa pur se ispirata ai suoi valori nell’indipendenza più assoluta .

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-con-pertini-2-tuttoggi.info_.jpg
Con Fanfani e Pertini a una cerimonia sulla CEE

Dopo l’esperienza di governo nel Ministero dell’agricoltura, da sottosegretario alle Partecipazioni statali dal 1968 al 1970  l’ottica si allarga, nella prospettiva della grande concentrazione industriale dei grandi gruppi come l’Iri, l’Eni e l’Efim,  in settori chiave per lo sviluppo industriale e la crescita economica del Paese. Ma la sua visione pone sempre al centro la persona umana, investita dei profondi cambiamenti in atto, ora nell’industria come prima nell’agricoltura con la crisi della mezzadria.

E come dedicò ai mezzadri l’analisi approfondita che abbiamo ricordato, così fece a livello più generale con il libro Potere democratico e forze economiche in cui forniva “Idee per una moderna politica economica nazionale”  partendo dall’analisi delle ”attuali strutture del potere economico e politico” per delineare le “possibili modifiche all’assetto istituzionale, considerando la partecipazione dei gruppi sociali e l’organizzazione della classe politica nei partiti”, il tutto in considerazione della “posizione dell’uomo nella società contemporanea”, visto “come individuo, come cittadino  e come lavoratore”, rispetto  alle “esigenze autentiche dell’uomo”. Il libro è del 1969, ma sono temi che restano attuali come  lo sono le proposte avanzate a largo raggio.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-Palzza-Trinci-1.jpg
La facciata di Palazzo Trinci con il Museo, in fondo a piazza della Repubblica

Seguirono incarichi di governo sempre più prestigiosi, sottosegretario ai ministeri della  Difesa e degli Esteri, poi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Arnaldo Forlani, di cui era definito “il braccio destro”. Forlani aveva preso la guida della corrente “Nuove Cronache”, con lui c’era una stretta  comunanza non solo nell’impostazione ma anche nell’azione politica. Ha scritto che “Forlani ha la virtù della prudenza, della pazienza, della moderazione, e l’autocontrollo  e l’arte di scegliere i tempi giusti”; e come persona “ha una solida formazione cristiana, ha il culto della famiglia, considera la libertà un valore irrinunciabile, la condizione per realizzare una sicura e progressiva elevazione umana”. Fu tuttavia il presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, del Partito Repubblicano Italiano, a farlo Ministro per i rapporti con il Parlamento, dove poté far valere la propria collaudata esperienza parlamentare oltre alla sensibilità politica e alla considerazione di cui godeva. Per queste sue doti ha ricoperto il ruolo delicato di Questore della Camera.

E’ stato anche presidente della Commissione bicamerale di vigilanza sulla Rai, tra il 1992 e il 1994, promuovendo importanti innovazioni; tale nomina è legata alla sua competenza nel settore, l’anno prima aveva pubblicato il libro La grande maestra, la tv tra politica e società, era responsabile dei problemi radiotelevisivi per il partito. Tra gli altri incarichi che ha avuto nella DC  ricordiamo che nel 1980 è stato Direttore dell’organo ufficiale, il quotidiano “Il Popolo”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è luciano-radi-PRINT-inaugurazione-mostra-centenario-garibaldi-5.jpg
Con Pertini all’inaugurazione della mostra per il centenario di Garibaldi

Piuttosto che rievocare le iniziative politiche, tante in una vita parlamentare così lunga e intensa,  ci piace tornare sulla visione di osservatore dall’interno della vita dei partiti oltre che delle istituzioni, di cui, come sempre, rende partecipi i suoi lettori. Ricordiamo La talpa rossa,  del 1979, sulla penetrazione sotterranea del Partito comunista nel corpo del paese, al di là del suo ruolo di maggiore partito di opposizione, ritenuto per ciò stesso al di fuori delle stanze del potere. Ma non era così per il potere reale, nel quale l’egemonia gramsciana veniva messa in atto con spregiudicatezza e abilità. Nella sua gustosa presentazione Leone Piccioni citava le varie accezioni della “talpa”, dal piccolo animale al grande escavatore di gallerie fino alla spia; la copertina del libro, un riquadro giallo e rosso e il formato tascabile facevano pensare a un libro giallo, ci si divertiva a immaginare la sorpresa dell’acquirente alla scoperta che invece era un libro di politica, riemergeva lo spirito comico del giovane attore dilettante nella filodrammatica di Foligno.

Ma nell’analisi politica era estremamente serio e documentato, anche sulla base delle proprie esperienze dirette.  Lo sottolinea Gaetano Quagliariello nell’introduzione a La DC da De Gasperi a Fanfani, il libro con cui  nel 2005 lui ha ricostruito in dettaglio una vicenda politica di profondi cambiamenti, fondamentali per gli sviluppi futuri: “La tecnica utilizzata dall’autore è quella del graffito. Egli, infatti, su una ricostruzione storica fatta per lo più utilizzando fonti bibliografiche edite, apre di tanto in tanto squarci di ricordi personali che servono a puntellare la tesi sostenuta. Sono queste le parti più interessanti del volume, al punto da spingere il lettore a rammaricarsi che le proporzioni tra storia e memoria non risultino invertite. Sono anche le parti che fanno di questo libro un contributo originale”. Fonti precise e testimonianza diretta, dunque,  sono i requisiti di un approccio rigoroso anche alla politica, in genere oggetto di valutazioni approssimative ed estemporanee, ma non per un docente e studioso come lui, osservatore attento della politica e della società.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-palazzo-Trinci-3.jpg
Palazzo Trinci, il cortile interno con a dx la scala d’ingresso al Museo

Così  per gli altri libri di analisi socio-politica, dal primo che risale al 1957, anteriore all’ingresso in Parlamento, La crisi della pianificazione rigida e centralizzata, al libro che ha seguito “I mezzadri” e “Potere democratico e forze economiche” approfondendo ulteriormente quest’ultimo tema,  Partiti e classi in Italia del 1975, seguito dal citato “La talpa rossa” e da altri come Il voto dei giovani del 1977, e due analisi dei risultati elettorali del suo partito, Riflessioni su una sconfitta e Riflessioni su una vittoria. Non è soltanto socio-politica ma socio-culturale e di costume,  la visione di “La grande maestra: la tv tra politica e società”  del 1991, anche questo già citato, un’analisi dall’interno del “grande fratello”. Vi abbiamo trovato, tra l’altro, che protettrice della Televisione è Santa Chiara perché,  impossibilitata ad assistere alla messa di Natale celebrata da Francesco,  ne ebbe la visione miracolosa sulle pareti della stanza dove giaceva a letto ammalata, un piccolo scampolo di un libro di notevole interesse.  

Sempre in campo politico abbiamo anche ritratti di personaggi molto diversi: Tambroni, trent’anni dopo, del 1990,  il trentennio è dall’agitata breve stagione della sua presidenza del Consiglio, Gli anni giovanili di Giorgio La Pira, del 2001, il “sindaco santo” negli anni della sua formazione, fino a  Gerardo Bruni e la questione cattolica, del 2005, dalla persona al grande tema.  Non manca la rievocazione a livello locale: Foligno 1946. Ricordo di Italo Fittaioli e Benedetto Pasquini in occasione del sessantesimo della prima elezione democratica al Consiglio comunale, 2006.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-print-con-Nilde-Jotti-presidente-Camera.jpg
Con la presidente della Camera Nilde Iotti nella cerimonia del “ventaglio”

Il suo sguardo è anche andato oltre l’ambito nazionale con La macchina planetaria, del 2000,  “Quali regole per la corsa alla globalizzazione” è il sottotitolo:  fu tra i primi ad analizzare gli effetti positivi ma anche i rischi conseguenti  a un processo inevitabile ma da controllare. parlava della  “difficile conciliazione tra azione del mercato e valori individuali e collettivi”, spiegava “come superare i fattori di debolezza e le distorsioni a livello internazionale”, avendo attenzione all’“instabilità finanziaria”  e alla “grande questione dello sviluppo sostenibile” avvalendosi delle “opportunità offerte dalle nuove tecnologie” dinanzi ai “complessi problemi di inflazione, disoccupazione, crisi valutarie”. Con realismo indicava “le soluzioni più probabili e quelle auspicabili”, non nascondendosi le difficoltà di introdurre “un sistema globale di regole e decisioni politiche”.

Le sue conclusioni suonano profetiche: “ Nell’attesa  che ciò avvenga non è da escludere che si aggravi lo squilibrio tra sfera politica e sfera economica, e che il capitale internazionale continui a sfuggire a un incisivo controllo”. Con l’avvertimento finale: “Se il sistema capitalistico non si orienterà in questa nuova direzione, mettendo alla prova, ancora una volta, la sua capacità di adattamento e non favorirà il processo di coordinamento a livello globale, rischierà di generare pericolosi e sempre nuovi rischi di disintegrazione a livello planetario”. I rigurgiti protezionistici in corso nelle maggiori economie, USA in testa, da un lato, l’insostenibile degrado economico che genera correnti migratorie inarrestabili dall’altro, mostrano come fosse lungimirante tale avvertimento.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-Musoe-9-Imperatori-3.jpg
Museo, un lato affrescato della Sala degli Imperatori

Questo studio approfondito è stato preceduto nel 1998 da Il futuro è tra noi. Anche qui il sottotitolo “Dalla sfida globale al dialogo interreligioso” è eloquente, si tratta di valutazioni iniziali degli aspetti economici e sociali  della globalizzazione con le conseguenze in campo religioso.  

La  narrativa, con l’introspezione più intima e accorata

Dalla vita politica siamo passati logicamente alla testimonianza dello studioso che dall’analisi dei fenomeni trae proposte per l’azione concreta. Un osservatore attento che già a 26 anni, nel 1948, pubblicava Il pendolo composto e le sue leggi, ristampato in anastatica nel 2010.

Ma la sua poliedricità va ben oltre, incontriamo la ricostruzione storica 20 giugno 1859: l’insurrezione e il sacrificio di Perugia, 1998, e Il mantello di Garibaldi, 1911;   la serie di vite di Santi aperta da Chiara di Assisi, del 1994, a lui particolarmente cara, seguita da Angela da Foligno nel 1996 e da Santa Veronica Giuliani nel 1997,  San Nicola da Tolentino  e Margherita da Cortona nel 2004,  fino a Francesco e il Sultano nel 2006; nel 1999 aveva curato San Francesco e gli animali nel quale sono riportati episodi tratti dalla vita del santo secondo il Celano e san Bonaventura che “fanno comprendere come sarà l’armonia rigenerata dall’Amore” in tutto il creato. Diario di un cane del 1993 – commentato da Carlo Bo e Sergio Quinzio –  e Memorie di una lumaca del 2002, esprimono l’umanizzazione degli animali, creature di Dio che comunicano con noi: “Gli uomini e gli animali  si scambiano messaggi, si trasmettono sentimenti ed emozioni”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-print-delegazione-tedesca-questore-radi-2-storia.camera.it_.jpg
Con una delegazione tedesca da Questore della Camera

Sulla religiosità della sua regione abbiamo Umbria santa, del 2001, inoltre nel già citato “Angela da Foligno” descrive, oltre alla vita della santa, “l’Umbria mistica del XIII secolo”.

Fin qui sono evidenti i collegamenti con il suo retroterra culturale e ideologico, anzi ideale, se pensiamo a queste ultime espressioni della sua fervente  religiosità in uno spirito libero e aperto. Come sono evidenti nella più fortunata delle sue pubblicazioni, Buongiorno onorevole, del 1973, 4 edizioni, seguita, nel 1996, da Buonanotte, onorevole, tra loro, nel 1978, Gli scarabocchi dell’onorevole,” Cento appunti grafici di Luciano Radi”:una scherzosa “trilogia”, cui si aggiunge Il taccuino dell’onorevole del 1985, notazioni penetranti da osservatore, anzi testimone  attento..

La “trilogia dell’onorevole” inizia con i bozzetti di vita del parlamentare, nei quali descrive in modo gustoso i colleghi deputati, anche i più autorevoli, nonché altri soggetti protagonisti di episodi insoliti, termina con situazioni ben diverse 23 anni dopo, in mezzo una sorta di trasposizione grafica di queste sensazioni, come afferma Antonello Trombadori, dicendo che “appartengono all’area tipica dei disegni degli ‘scrittori’”  e cita quelli di Goethe e Belli, Pascarella, Cecchi e Pasolini, con la particolarità che nei ritratti scarabocchiati, “sia nell’ossequio che nella confidenza formicola sempre la medesima ironia folignate, pacata, ma, se è necessario, senza far male, pungente”. Le punture colpiscono “i monsignori” e “gli onorevoli colleghi”, “monache e frati” e “gli animali”, “i mezzadri” e “i barboni”, fino a “i carabinieri”. Un vero “en plein”!

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Rai-Museo-8-Imperatori-2.jpg
Un altro lato affrescato della Sala degli Imperatori

Ed ora cambia tutto, passiamo agli scritti più intimi e personali, in cui l’osservatore attento della realtà esterna guarda invece se stesso, si scruta dentro e si analizza, torna sulla propria vita senza temere le inevitabili reazioni emotive.  Del resto, Sotto la brace del novembre 1999, reca l’epigrafe tratta dagli “Epigrammi” di Marziale, ”Saper rivivere con piacere il passato è vivere due volte”- Forse perché è la vigilia del nuovo millennio ci riesce benissimo, rievoca l’infanzia con “il mistero della stanza proibita” e “il primo giorno di scuola”, e poi le immagini di vita contadina come la “vendemmia con parto”,  “la raccolta delle olive” e la “maialatura”, “la villeggiatura” e “le mie cotte”; poi, andando avanti nel tempo, il clima muta, la cartolina-precetto del richiamo alle armi nella “Caserma Castro Pretorio” e quindi “la clandestinità”,  con ampi squarci di religiosità e di vita familiare, fino alla conclusione: “La nostra vita appare capricciosa, con le sue contraddizioni, i suoi tradimenti, le sue incertezze. Ci sembra di precipitare, ma poi un soffio ci solleva fino alle vette più alte”.  Come le “foglie esposte al vento che Altro governa. All’innalzamento può seguire il precipitare improvviso sul prato delle erbe morte per ridare vigore alla vita”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è luciano-radi-print-visita-presidente-senato-australiano-5-tuttoggi.jpg
Alla visita del presidente del Senato australiano

Abbiamo parlato di “trilogia dell’onorevole”, concludiamo con la “trilogia dell’anima” in cui questa visione viene approfondita in un processo interiore sempre più intenso, passando da  “Anime e voci”  a “Luci del tramonto”, e infine  a “I giorni del silenzio”.

Ma prima c’è  Non sono solo, del 1984, presentato come il taccuino di un vecchio sacerdote che gli ha dato “un vero godimento spirituale” per cui ha voluto trasmetterlo con la pubblicazione, c’è comunque una totale coincidenza con i suoi sentimenti che abbiamo già trovato espressi, come quello sull’amore: “ Il nostro fine è amare, amare l’Amore. Il tumulto delle nostre esplosioni interne, che è la ragione della nostra avventura umana, ha una risultante positiva solo se irradia amore. Ognuno di noi è un piccolo sole”.  E ancora: “Se ti trovi dunque chiuso in te stesso, costretto ad attraversare la notte dell’incomunicabilità, non disperare, ma attendi che il sole risorga”.  Fino alla conclusione: “Il figlio dell’Amore, credente o non credente, non muore, vive in eterno”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Rai-Museo-19-Rilievo.jpg
Una sala del Museo, rilievo scultoreo e pittura

Ed ora la trilogia, con i racconti di Anime e voci del 1900, in cui c’è il pensiero dominante della morte partendo dalla solitudine della vecchiaia, che fa dire a Leone Piccioni: “Forse c’è in Radi una minore serenità forse dovuta  ai fatti della vita, ma per noi lettori quanto successo a Radi è un bene, perché, appunto, la sua pagina ha preso un altro spessore, una diversa profondità, uno struggente attaccamento al paesaggio, una dimensione poetica più intensa”.

Nel  2005, con“Luci del tramonto”, 15 anni dopo secondo  lo stesso Piccioni, “Radi guarda alla vita e alla morte con più distacco ma certi dubbi  risorgono e Radi non li nasconde anche se li risolve in una rinnovata fede”.  Si tratta di 52 riflessioni in cui sono racchiusi i suoi pensieri dinanzi alle sollecitazioni di una quotidianità con “l’impressione di vivere una vita aggiunta” nella quale, mentre “il corpo perde elasticità ed efficienza e si trasforma in un cumulo di acciacchi, l’anima che ne è prigioniera, scalpita per conquistare  l’arcano. Le energie spirituali assumono una nuova vitalità, la Fede penetra come non mai tutte le apparenze, attraversa il muro del dubbio, appare una vittoria della volontà”.  E in primo piano torna l’amore: “L’amore è un mistero che nessuno riuscirà mai a svelare; lo cerco, lo possiedo, ma non so  proprio cosa sia… Ma noi uomini sentiamo che tutti i suoi gradi non sono sufficienti per saziarci; che siamo chiamati ad un amore più alto, a partecipare all’amore increato. Un amore che inizia quaggiù e si compie al di là del tempo”. Per concludere: “La vita non è il dipanarsi di un rimpianto. ‘Il tempo che passa è Dio che viene’”.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radirint-print-spellooggi.it_.jpg
Un altro momento di vita parlamentare

La “trilogia dell’anima”, vent’anni dopo “Anime e voci”, si conclude nel 2010 con I giorni del silenzio, il più accorato e insieme il più sereno, basato sulla premessa che “l’anima ha bisogno del silenzio, del raccoglimento, per ritrovare se stessa dopo la dispersione provocata dal dinamismo, spesso convulso ma inevitabile, che caratterizza i giorni nostri. Ma ha anche bisogno di essere sottoposta a un esame severo, al fine di verificare la concordanza del suo operato con i principi delle fede e dell’amore, con quel patto sancito con l’Assoluto  al quale non una sola volta ci si accorge di aver derogato”. Per questa meditazione si è deciso a bussare alle porte del convento di Ravo  chiedendo di trascorrervi alcuni giorni per “rinfrescarsi spiritualmente”. Ebbene, il racconto di questi inusuali esercizi spirituali, è avvincente quanto istruttivo per ciò che ha appreso dalle meditazioni al suo interno e a contatto con la natura e dai colloqui con padre Jacopo, che sull’essere superiore gli dice: “Più l’anima è sgombra da superbia intellettuale e meglio può avvertire la Sua presenza. Le parole e la cultura vengono dopo, prima c’è l’amore. Ogni espressione di amore rivela la presenza del Signore, è la Sua epifania”. Nei “giorni del silenzio” riesce a superare le angosce, a rinnovare le speranze che sembravano svanite, a sentire di nuovo l’amore vero, non quello fallace che ci rende “vittime di una fata morgana nello sconfinato deserto dell’anima nostra”.  Così può esclamare: “Mi sembrò che una ignota mano avesse aperto una breccia nel muro della mia inquietudine”. Tante sono le espressioni quanto mai intense che punteggiano le sue meditazioni. Ma ci piace citare la conclusione, una sorta di “addio monti…”: “Lasciavo alle mie spalle le belle colline: i grappoli pendevano turgidi dai tralci, gli ulivi facevano danzare le loro chiome d’argento. Le messi esprimevano nella loro ricchezza la promessa di una nuova primavera.  Il pensiero volava ancora ai fugaci giorni del mio ritiro. Sia pur teso, avvertivo di aver ritrovato me stesso.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Rai-Musoe-4-Misericordia.jpg
Due opere simbolo di fede del Museo, Crocifissione e Madonna della Misericordia

Così lo giudica Attilio Turrioni: “Un libro di rara composizione che, mentre puntualizza momenti significativi del cammino umano e spirituale dell’autore, sollecita  nel lettore una risposta personale altrettanto perentoria di fronte ai problemi dell’esistenza, alle ragioni ultime della fede, all’esperienza storica che ciascuno è chiamato a percorrere hic et nunc nel rapporto con gli altri, nel contributo, offerto o omesso, alla costruzione di una società più umana”.

Il suo messaggio  politico e umano

A questa finalità superiore, del resto, è stata rivolta anche l’attività politica di una vita nelle istituzioni, alimentata dal profondo senso religioso che pervade le sue intense pagine di introspezione.  La costruzione di una società più umana può avvenire, come scrive in “La talpa rossa”, in opposizione all’ideologia marxista basata su una “egemonia totalizzante”: “L’unico moto autenticamente rivoluzionario è suscitato dalla libertà. La libertà è la forza sempre nuova che, con la scienza e la tecnica e la coscienza della crescente complessità delle relazioni sociali, trasforma la società fondata sul potere  come dominio in una società consapevole fondata sul potere come servizio, come funzione dirigente”. Non si tratta di un processo automatico e semplice, va costruito: “Ciò implica, come si è osservato, coordinamento e finalizzazione dei comportamenti, dei programmi, delle iniziative. Ma lo stesso coordinamento e la stessa finalizzazione hanno un limite nell’autonomia e nella libertà stessa. Come la libertà ha un limite nel coordinamento per perseguire un fine di interesse generale, è un delicato, difficile equilibrio che è facile compromettere”. 

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Radi-print-con-sconosciuti-tuttoggi.info_-2.jpg
La cordialità dei suoi incontri ufficiali in Parlamento

Quindi va preservato da ogni possibile forzatura e manomissione, ieri dall’egemonia totalizzante marxista, oggi – aggiungiamo noi – dalle altre possibili minacce sempre incombenti: “Per questo la collettività e i singoli cittadini non possono fare a meno di un preciso sistema di garanzie, ed una delle conquiste fondamentali dell’esperienza liberaldemocratica è lo Stato di diritto al quale non possiamo rinunciare e che la nostra Costituzione ha definito in un complesso sistema di autonomie, di articolazione e divisione di poteri, anche per salvaguardare la società civile da possibili arbitri della società politica”. 

E’ anche questo il messaggio che lascia, con quello di natura spirituale, entrambi convergenti sulla “costruzione di una società più umana”: si tratta dell’obiettivo primario sorretto da una forte tensione morale cui ha mirato l’impegno instancabile di tutta la sua vita.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è RADI-PRINT-SOPELLO-OGGI.jpg
Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Forlani, la presentazione

Info

Romano Maria Levante, “Luciano Radi, protagonista e testimone del nostro tempo”, Estratto dal ”Bollettino Storico della Città di Foligno XXXVIII-XLII (2015-2019)”, pp. 12, in corso di pubblicazione. L’estratto è stato distribuito a tutti i partecipanti all’incontro svoltosi il 30 aprile 2019 a Foligno, nel Palazzo  Giusti Orfini, per celebrare “Luciano Radi studioso. A cinque anni dalla scomparsa”. Su tale incontro, nel quale è stato anche presentato un suo libro, e sugli altri aspetti della pubblicistica di Radi, v. i  nostri articoli in questo sito: “Luciano Radi ricordato con una sua opera, l’incontro tra ‘Francesco e il Sultano 800 anni fa” 6 giugno  2009; “Luciano Radi, ‘potere democratico e forze economiche’” 9 giugno;  “Luciano Radi, ‘’i libri dell’anima’, l’umanità e la fede di una ‘personalità limpida’” 11 giugno. Chiuderà la nostra personale celebrazione dei cinque anni dalla scomparsa, “Luciano Radi, il mio ricordo” 15 giugno.

Foto

Sono alternate immagini della vita politica di Luciano Radi e immagini di Foligno, la sua città. Le prime sono tratte dai siti web di pubblico dominio che verranno di seguito indicati, le seconde sono state riprese a Foligno da Romano Maria Levante il 30 maggio 2019, prima dell’incontro celebrativo. Si ringraziano i titolari dei siti web per l’opportunità offerta, precisando che non vi è alcun intento pubblicitario né tanto meno economico nell’inserimento di immagini a solo scopo illustrativo, ci si dichiara pronti a eliminare immediatamente, su semplice richiesta, quelle per i quali i titolari non gradiscano la pubblicazione. Ecco i siti delle immagini d’epoca con Luciano Radi: Foto n. 1,  apertura , umbriadomani.it;  foto n. 2 e 8 digitalsturzo.it; foto n. 4  futur.ism.it;  foto n. 6 centrostudivanoni.org; foto n. 10, 12, 14, 18, 22 tuttoggi.it; foto n. 16 corriereumbria.corriere.it; foto n. 20 spellooggi.it; foto n. 21 umbriadomani.it. La foto n. 22, in chiusura, è stata presa dall’ultima pagina dell’Estratto citato; tutte le altre sono di Romano Maria Levante. In apertura, “Luciano Radi; seguono, “Con Scelba, Fanfani e Rumor” e “Foligno, un lato di Piazza della Repubblica”; poi, “Con Fanfani, in visita a Dottori”, e “Un altro lato di Piazza della Repubblica”; quindi, “Con Forlani e Malfatti, Spitella e De Poi”, e  “Il lato di Piazza della Repubblica con il palazzo del Comune”; inoltre, “Con  Gava e Scalfaro”, e “Il palazzo del Comune con l’alta torre al centro”; ancora, “Con Fanfani e Pertini”, e “La facciata di Palazzo Trinci con il Museo, in fondo a Piazza della Repubblica“; seguono, “Con Pertini all’inaugurazione della mostra per il centenario di Garibaldi”, e “Palazzo Trinci, il cortile interno  con a dx la scala d’ingresso al Museo”;  poi, “Con la presidente della Camera  Nilde Iotti nella cerimonia del “ventaglio”, e  “Museo, un lato affrescato della Sala degli Imperatori”; quindi, “Con una delegazione tedesca da Questore della Camera”, e  Un altro lato affrescato della Sala degli Imperatori”; inoltre, “Alla visita del presidente australiano” e  “Una sala del Museo, rilievo scultoreo e pittura”; ancora, “Un momento di vita parlamentare” e “Due opere simbolo di fede del Museo, Crocifissione  e Madonna della Misericordia”; infine, “La cordialità dei suoi incontri ufficiali in Parlamento” e “Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel governo Forlani, la presentazione” ; in chiusura, l’immagine posta  al termine dell’estratto del “Bollettino” di cui si è riportato  il testo,  “Luciano Radi (Foligno 19-9-1922  – Foligno 1-6-2014), Lucia Radi Antiseri (Spello 29-11-1921- Foligno 27-2-2006). 

Luciano Radi (Foligno 19-9-1922  – Foligno 1-6-2014)
Lucia Radi Antiseri (Spello 29-11-1921- Foligno 27-2-2006)