Si conclude la visita alla mostra “Ovidio, amori, miti e altre storie”, aperta alle Scuderie del Quirinale, dal 17 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019, con cui terminano le celebrazioni del Bimillenario della morte del poeta. La sua poesia dedicata all’amore viene fatta rivivere con 250 opere d’arte in cui sono raffigurati miti e leggende resi immortali dai suoi versi. Organizzata da Ales S.p.A., presidente e A.D. Mario De Simoni, la mostra è a cura di Francesca Ghedini, che con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zagabra ha curato anche il Catalogo edito da Arte,m-L’ERMA. Alla mostra sono collegati incontri culturali e altre manifestazioni rivolte alle scuole e ai giovani per far meglio conoscere il poeta latino e le opere d’arte a lui ispirate.
“Gruppo scultoreo di Ganimede con l’aquila’“, prima età imperiale, al centro, dietro sulla parete, Damiano Mazza, “Ratto di Ganimede”1575
Una mostra che celebra un poeta dopo duemila anni dalla morte richiede che venga inquadrata storicamente, soprattutto trattandosi di Ovidio i cui versi sono stati doppiamente trasgressivi: l’audacia pedagogica dell'”Ars Amatoria”, e la concezione emancipatrice della donna nelle “Heroides” hanno trasgredito l’imperativo moraleggiante imposto ai costumi per frenare una società per certi aspetti gaudente; il coinvolgimento degli dei a livello amatorio in vicende da “pochade” di stampo prettamente umano, ha trasgredito rispetto alla loro sacralità.
Tutto questo è rimarchevole considerando che la severità nei costumi era imposta dall’imperatore Augusto nel suo programma di moralizzazione, e che gli dei presi a bersaglio dal poeta erano soprattutto Apollo, protettore di Augusto e di Roma, Venere, progenitrice della “gens Iulia”, e perfino il sommo Giove.
Ne abbiamo parlato ampiamente nella parte iniziale di presentazione, mentre nella seconda abbiamo percorso il primo tratto della vasta galleria di opere d’arte in cui si esprime quanto appena ricordato, con le austere immagini statuarie di Augusto e della moglie Livia, anche lei moraleggiante e severa, mentre i busti delle due Giulie, figlia e nipote dell’imperatore, ricordano la loro punizione. Poi Venere, dalla sensuale statua “Callipigia” agli amori con Marte sorpresi da Vulcano con l’irrisione degli altri dei, Apollo visto negli insuccessi amorosi con Dafne, e nella furia vendicativa, fino a Giove, nelle trasformazioni da predatore sessuale con Leda ed Europa, Io e Ganimede.
“Affreschi con Satiro e Monade”60-79 d. C.
Sono le “Metamorfosi” di Ovidio una fonte di questi miti e di molti altri, con versi che hanno ispirato le opere d’arte esposte in mostra, partendo dall’epoca coeva fino al nostro Rinascimento. Il piano superiore delle “Scuderie” è riservato a questo suo poema, con stanze dedicate a uno o più miti, rievocati con opere d’arte di tipologia ed epoca diversa, in una cavalcata nel tempo e nell’arte.
Lo spirito vendicativo degli dei e un altro predatore
Continua la dissacrazione degli dei sotto i due aspetti, l’aspetto amoroso predatorio nei riguardi dei comuni mortali e lo spirito vendicativo che li porta ad imperversare sulle vicende umane.
Questi due spetti li abbiamo riscontrati entrambi nell’Apollo cantato da Ovidio, dall’insuccesso amoroso nel vano assalto a Danae che si trasforma in alloro per sfuggirgli, al supplizio inflitto a Marsia reo di averlo sfidato al suono del flauto, non pago di essere risultato vincitore nella sfida.
Ora lo spirito vendicativo lo troviamo ancora in Apollo, con Diana. Nel mito delle Niobiadi sono associati nel fare strage dei figli di Niobe, figlia di Tantalo – mandato via dall’Olimpo per aver rivelato dei segreti di Giove – rea di essersi vantata di essere più prolifica, con i suoi 7 figli maschi e le 7 femmine, di Latona, madre delle due divinità, che si divisero il crudele compito: Apollo uccise ad uno ad uno i figli maschi, Diana le figlie femmine, e Niobe distrutta dal dolore chiese e ottenne da Giove di essere trasformata in un blocco di marmo, piangente con una fonte. Le opere dell’epoca esposte nella mostra sono 5 statue, 3 delle quali della metà del I sec. a:C. e 2 del II sec. d.C., tutte rappresentano un figlio o una figlia di Niobe che cercano di sfuggire alle frecce scagliate contro di loro. I 2 intonaci dipinti di Pompei allargano la scena, l’Affresco del I sec. a. C. mostra la fuga disordinata delle Niobidi a piedi e a cavallo tra l’indifferenza dei servi a caccia del cinghiale, nell’Affresco del I sec. d. C. è rappresentato un tripode con imprigionate le sorelle Niobidi trafitte dalle frecce di Diana, .mentre tre sono davanti al tripode, tripodi votivi di Augusto erano nel tempio di Apollo. Dopo 1500 anni Andrea Camassei ha raffigurato la “Strage dei Niobidi”, dipinto del 1638-39 con a sinistra uno dei figli trafitto e soccorso invano da due donne, a destra Niobe che stringe a sé la figlia più piccola rivolgendosi adirata agli dei vendicatori che incombono dall’alto.
“Affresco con Venere con lo specchio”, 60-79 d.C.
Diana è ancora la protagonista nella prima parte del mito di Meleagro, quando manda nella Calcide un cinghiale a distruggere i campi e minacciare la vita delle persone per vendicarsi di non aver ricevuto i sacrifici votivi come gli altri dei da parte del padre di Meleagro, Oineo. Meleagro, uno degli argonauti, provetto nel maneggiare la lancia, organizza la caccia al cinghiale con altri cacciatori tra cui Atalanta, la prima a ferirlo, poi è lui a ucciderlo con la lancia dopo che la bestia ha fatto vittime, e dona il trofeo delle sue spoglie ad Atalanta di cui è invaghito, contro la volontà dei due fratelli della madre Altea che non accettano siano date a una donna contestata anche da altri cacciatori. Nel diverbio, Meleagro li uccide e la madre Altea, per il dolore della perdita dei fratelli ne causa la morte bruciando il tizzone dal quale dipendeva la sua vita secondo la profezia avuta dopo la nascita; poi due sorelle, distrutte dal dolore, sono trasformate da Diana in due uccelli..
Sono 4 le opere esposte, con le diverse fasi in successione in una sequenza quasi cinematografica: Nel “Mosaico con caccia al cinghiale calcedonio”, I sec. a. C,, da Pollenza, Meleagro conficca la lancia uccidendo il cinghiale; poi nell'”Affresco con Meleagro e Atalata”, I sec.d. C.,di Pompei, l’eroe è seduto con le armi e il cinghiale ai suoi piedi rivolto ad Atalanta, alla destra, da lui armata, per darle il trofeo, a sinistra i due fratelli della madre Altea lo guardano scontenti di tale offerta; nei “Rilievi laterali di sarcofago urbano”, 170-180 d. C., nel rilievo destro Altea, spinta da una Erinni che le tira il braccio con il tizzone profetico, lo getta nel fuoco decretando la morte del figlio, nel rilievo sinistro le due sorelle di Meleagro, Eurimede e Melanippa disperate per la sua morte prima di essere trasformate da Diana, secondo l’ornitomorfosi greca, evocata dai due uccelli in volo.
“Statua di Niobide che fugge su una roccia”,metà I sec. a. C.
Dagli dei vendicativi torniamo agli dei predatori che abbiamo già incontrato con Giove anticipando per associazione il mito di Ganimede sebbene le opere a esso ispirate siano al termine della mostra.
Ed è predatore Plutone nel “Ratto di Proserpina”, che il dio degli inferi porta via sul suo carro, dopo aver visto la ninfa, figlia di Cerere, raccogliere i fiori con altre fanciulle. Il mito prosegue con l’intervento di Cerere presso Giove, che la liberò, ma restò in parte legata a Plutone trascorrendo con lui nell’Ade i sei mesi più freddi e con la madre sulla terra i sei mesi più caldi, la leggenda fa risalire le quattro stagioni a questa alternanza.
Le opere d’arte che vi si sono ispirate mostrano soprattutto la scena di inaudita violenza, nel contrasto tra la dolcezza della fanciulla inerme che si divincola invano e la brutalità del rapitore che la afferra alla vita. Così la “Pinax con il ratto di Proserpina”, 300-450 a. C..e la “Placca” ante 79 a.C., da Pompei, nonché il “Frammento di sarcofago urbano” 120 d.C. e il bronzo di epoca rinascimentale, “Plutone e Proserpina”, 1587. Alquanto diversa l’immagine del dipinto di Hans von Aachen dello stesso anno del bronzo, intitolato “Ratto di Proserpina”, sulla sinistra le compagne ignare guardano altrove, sulla destra il carro con la fanciulla inerme distesa mentre il rapitore la tiene ferma spronando i cavalli, Il contrasto del biancore del corpo della fanciulla con la figura scura che la porta via è quanto mai espressivo della violenza compiuta.
“Mosaico con caccia al cinghiale calidonio”, II sec.-inizi I sec. a. C
L’amore disperato: Adone e Venere, Teseo e Arianna, Ippolito e Fedra, Piramo e Tisbe
Il mito di Adone è quanto mai coinvolgente perché nei versi di Ovidio è sfrondato dalle trame ingarbugliate della leggenda e ridotto all’essenziale, la travolgente passione di Venere – ferita casualmente dalla freccia di Eros – per il bellissimo giovane, nato dall’involontaria relazione incestuosa del padre Cinira con la figlia Mirra, invece consapevole, con l’apertura della corteccia dell’albero in cui è stata trasformata Mirra scacciata dal padre. La dea si dedica totalmente a lui, per seguirlo nella caccia non va più nell’Olimpo, lo mette in guardia dagli animali pericolosi dai quali non lo proteggerà la sua bellezza, ma non può evitare che venga ferito a morte all’inguine da un cinghiale colpito dalla sua lancia. Disperata si strugge nel pianto, può solo trasformare il sangue dell’amato in un fiore, l’anemone, e le sue lacrime in rose.
Vediamo l’intera sequenza che inizia con “La nascita di Adone”, di Tiziano, 1508-11, al centro l’albero dalla cui corteccia viene estratto Adone, con tre Naiadi, a sinistra una coppia che allude al concepimento, sulla destra Venere; la nascita è anche nella xilografia sul volume a stampa “Metamorphosin, cum Raphaelis Regii Commentariis” di Ovidio, 1505, al centro, poi le altre fasi del mito, a sinistra il padre che scaccia Mirra, a destra Adone che amoreggia con Venere, sullo sfondo un cinghiale che lo ferisce a morte.
Alla “Morte di Adone” sono intitolate 3 opere pittoriche, tra il 1620 e il 1650, di Emilio Savonanzi, Giovan Francesco Gessi e Cornelius Pieter Holsteijn, nelle quali in vario modo il corpo del cacciatore è abbandonato al suolo con Venere attonita sopra di lui; altre 3 dedicate a “Venere e Adone”, dall’ “Affresco” pompeiano di età ellenistica in cui, ferito, si appoggia alla gamba di lei, al dipinto di Josepe de Ribera in cui “Venere scopre il corpo di Adone”, 1637, scendendo dall’alto sul corpo esanime, a quello di Michele Desubleo, l650, “Venere piange Adone“, rivolta al cielo come la Madonna addolorata, dal fianco di lui esce il sangue che lei trasformerà in anemone.
Giovan Francesco Gessi, “Morte di Adone”,1639
Un dio invece è protagonista di un lieto fine, nel mito di Teseo, Arianna e Bacco, dopo che l’argonauta, presente anche nel mito di Meleagro, l’ha lasciata sola nell’isola di Nasso, sebbene lei con il suo filo provvidenziale gli avesse permesso di uscire dal labirinto di Dedalo e uccidere il Minotauro, per poi fuggire insieme ad Atene. Sarebbe Minerva a volere questo sacrificio, perché il destino dell’eroe si incarna nel rigore augusteo, ma Ovidio segue la via dell’amore, le 5 opere esposte ispirate ai suoi versi riproducono in vario modo “Teseo che abbandona Arianna”: primo nella sequenza il busto marmoreo, “Arianna dormiente”, 1500, integrazione del gruppo “Arianna addormentata” , con il suo volto immerso nel sonno placido e sognante, lei del tutto ignara.
La “Lastra campana”, seconda metà I sec. d. C. va oltre, i due si guardano, Teseo riflette, lei piange, lui sa che ha il destino segnato; nel 1° Affresco di Pompei del 60-79 d. C. sale sulla nave voltandosi per guardare lei addormentata, con Atena che vigila sulla sua partenza, nel 2° Affresco la fanciulla guarda mestamente la nave con Teseo che si allontana e un amorino piange. Carlo Saraceni ha dipinto la scena, 1605-08, in cui lei dopo il risveglio vede la nave allontanarsi e protende le braccia verso il mare, disperata.
Nella seconda parte del mito l’opposto, “Bacco trova Arianna”, vediamo la scena riprodotta nell’Affresco di Pompei, “pendant” di quello con “Arianna abbandonata” del 60-79 d. C., in cui il dio, in piedi, la guarda mentre giace addormentata, con i monili e la coltre che viene sollevata da Pan per mostrargli il suo corpo, c’è anche un sileno e un satiro, sullo sfondo il corteo dionisiaco; analoga scena nel Pannello di un cammeo, inizi I sec. d.C., lei dorme ma non è distesa, ha il seno scoperto, con il dio c’è un satiro e degli amorini.
“Affresco con Arianna abbandonata”,60-79 d. C.
Finalmente Pompeo Batoni in “Bacco e Arianna”, 1773, rappresenta il momento dell’incontro e dell’innamoramento, lui in piedi protende la mano sul suo volto, lei seduta la guarda e si apre a lui, Eros in alto scocca la freccia d’amore. Teseo non è protagonista negativo soltanto del mito a lieto fine si Arianna con Bacco, ma anche della tragedia di IppolitoeFedra che si conclude con la morte di Ippolito e della madre Fedra. E’ a forti tinte, pensando che Fedra era figlia di Minosse re di Creta e di Pasifae, la quale si era fatta fecondare dal toro mandato da Poseidone per essere sacrificato e aveva dato alla luce il Minoitauro, poi ucciso da Teseo che aveva abbandonato Arianna sorella di Fedra, andata sposa poi a Teseo!
Ebbene, Fedra si innamora follemente del figliastro Ippolito per il solito intervento vendicativo di Venere gelosa di Diana preferita dal giovane, e la nutrice per aiutare Fedra lo rivela al giovane che però fugge, Fedra per vendicarsi dice al marito, tornato dall’Ade, che il figliastro le ha usato violenza, allora Teseo lo espelle da Atene e chiede a Poseidone di punirlo, il dio manda dal mare un grosso toro – ancora un toro – che travolge il suo cocchio uccidendolo; Fedra allora si suicida per il rimorso.
Un Affresco di Ercolano, 60-79 d. C. mostra la nutrice che ne parla a Ippolito, e Fedra fa un gesto erotico, poi le xilografie di due edizioni di Ovidio degli inizi del 1500, di Venezia e di Perugia, fino alla fuga e al ferimento del giovane. La “Morte di Ippolito” la troviamo nella scultura di marmo di Jean-Baptiste Lemoyne, 1715, e nel dipinto di Joseph Desiré Court, 1825, entrambi mostrano il giovane a terra morente impigliato alle briglie.
“Affresco con Fedra e Ippolito”, 60-79 d. C,
Altrettanto tragico il mito di Piramo e Tisbe, anche se qui è l’innocenza sacrificata all’amore, basta dire che è la storia di Giulietta e Romeo dell’antichità. Due giovani che si amano, osteggiati dai genitori, comunicano attraverso una crepa del muro finché decidono di vedersi di notte sotto un albero; arriva prima lei ma si nasconde in una grotta per sfuggire a una leonessa, perde il velo bianco e la leonessa lo sporca di sangue, giunge Piramo non la trova ma il velo insanguinato gli fa credere che sia morta, si uccide con la spada e lo stesso farà lei quando lo vedrà morto per causa sua, il sangue colorerà di rosso i fiori di gelso. Un “Affresco con Piramo e Tisbe” di Pompei, 60-79 d. C. mostra lei dinanzi a lui disteso nella morte, con la spada a fianco, un membranaceo miniato da Stefano degli Azzi e un volume a stampa sulle “Metamorfosi”, di Venezia, 1522, riassumono la tragedia con una miniatura e una xilografia, , mentre il dipinto “Piramo e Tisbe” di Antoniuo Gionina, 1719, riproduce, come l’affresco, lei che sta per uccidersi sopra di lui disteso.
Fetonte e Icaro nell’attrazione fatale del Sole che li distrugge
Dal buio al sole, ma è sempre tragedia, non è l’amore a causarla ma il presuntuoso ardore giovanile. Lo vediamo nei due miti di Fetonte e di Icaro, collegati appunto dalla luce accecante del sole. Fetonte, figlio del Sole e di Climene, non si sente riconosciuto dagli dei e intende dare dimostrazione della sua ascendenza paterna guidando il carro del Sole. Lo chiede al padre che non vuole accontentarlo per il grave rischio che correrebbe, neppure Giove può condurre il suo carro, è rischioso per la difficoltà di guidarlo tra le costellazioni agguerrite e le asperità del percorso, ma il ragazzo non rinuncia e il padre Sole cede; avviene ciò che temeva, il ragazzo perde il controllo dei cavalli imbizzarriti, semina distruzioni nel cielo tra le costellazioni e sulla terra con incendi nei boschi, le acque prosciugate, finché Giove accoglie l’appello della Terra e riunisce gli dei, Sole compreso, prendendo l’unica decisione per fermare la distruzione: con un fulmine abbatte Fetonte e il suo carro impazzito.
“Affresco con Piramo e Tisbe”, 60-79 d. C.
Due membranacee su “Ovidio moralizzato” recano miniature sul mito, quella del 1350, di Pierre Bersuire, riproduce la scena, quella del 1315-25, miniata dal Maestro del Roman de Fauvel, le metamorfosi delle Eliadi in pioppi, abbracciate dalla madre di Fetonte, e del saggio Cicno, che espia colpe altrui, in cigno, con la purificazione nelle acque. Vediamo la “Caduta di Fetonte”, nell’affresco strappato esposto del 1596-99, di Ludovico Carracci, è riprodotto il ragazzo a testa in giù fuori dal carro rovesciato con i cavalli imbizzarriti.
Il Sole è protagonista anche del mito di Icaro, cui sono dedicate ben 8 opere esposte nella mostra. Come per Fetonte, la giovane età lo spinge a rischiare ignorando le raccomandazioni del genitore, in questo caso non ci sono i fulmini di Giove a perderlo, ma i raggi solari che sciolgono la cera usata per unire le penne formando le ali che il padre Dedalo aveva realizzato per fuggire dalla prigionia nel labirinto cui Minosse lo aveva condannato per aver fatto fuggire Teseo con Arianna dopo l’uccisione del Minotauro. Icaro non rispetta la raccomandazione del padre di seguirlo in volo senza andare vicino alle acque per non appesantire le ali con l’umidità né troppo in alto per evitare il troppo calore, vuole innalzarsi verso il sole i cui raggi sciolgono la cera e lui precipita in mare.
Le raffigurazioni sono le più varie, nel “Cammeo con Dedalo che applica le ali a Icaro”, I sec. a. C., la scena che vediamo anche nel più antico “Cratere a volute apulo a figure rosse”, IV sec. a. C.,, mentre due dipinti mostrano il padre intento a dare al figlio i consigli poi disattesi. Andrea Sacchi in “Dedalo e Icaro”, 1645-48, li mostra in primissimo piano, Carlo Saraceni in “Volo di Icaro”, 1605-08, invece da lontano, sull’orlo dello spuntone dal quale si getteranno per il volo. Saraceni ha raffigurato negli stessi anni anche “La caduta di Icaro”, con il padre in volo sulle acque che guarda impotente il figlio più in alto che sta precipitando, e il “Seppellimento di Icaro”, in cui viene vista un’assonanza con la “Deposizione” di Caravaggio. Anche l’ “Affresco con la caduta di icaro”, inizi I sec. d. C., di Pompei, presenta Icaro esanime a terra con Dedalo ancora in volo.
Ludovico Carracci, “Caduta di Fetonte” 1596.99
Ermafrodito e Narciso, fino al trionfo di Ovidio
La galleria espositiva dei miti di Ovidio si conclude con due figure che non solo sono rimaste particolarmente impresse, come Icaro e altre, ma in più sono entrate nel linguaggio comune.
Ermafrodito è diventato il maschio con caratteri femminei, fino ad avere il doppio sesso, come nel mito del figlio di Ermes-Mercurio e di Afrodite-Venere Afrodite – di qui il nome – di cui si innamorò la ninfa Salmacide vedendolo bellissimo vicino a una fonte, ma fu respinta e appena lui si immerse nelle acque lo seguì e chiese agli dei di unirli in modo inscindibile, per cui divennero un unico corpo, e quelle acque trasformarono tutti nello stesso modo. La “Statua di Ermafrodito”, copia II sec. d. C. da originale ellenistico, rende appieno i due sessi con le morbide forme femminee “callipigie”, mentre la parte superiore del corpo disteso appare maschile. Invece le altre 3 opere esposte mostrano “Ermafrodito e Salmacide” sulle rive della fonte: nel dipinto di Carlo Saraceni, 1605-08, l’adolescente nudo sta per entrare in acqua e respinge la ninfa che gli si avvinghia; nei dipinti del 1610 di Sisto Badalocchio e del 1620-25 di Francesco Albani, ci sono due figure molto simili ancora sedute a distanza, il ragazzo sembra un putto sorpreso, la ninfa è molto aggressiva.
Sisto Badalocchio, “Ermafrodito e Salmacide”, 1610
Ed ecco Narciso, il cui mito ha creato un carattere talmente popolare, il narcisismo, che ha fatto dimenticare la sua origine. Nella versione di Ovidio era un giovane bellissimo, respingeva tutte le ninfe che se ne innamoravano, come avvenne ad Eco, quando lo vide ma non poté dichiarasi a lui perché condannata da Giunone a ripetere le parole altrui, fu respinta e vagò elevando i suoi lamenti verso il cielo. La dea Nemesi volle punire Narciso facendolo innamorare della propria immagine riflessa nell’acqua non rendendosi conto di essere lui stesso, allorché se ne accorse capì che era un amore irraggiungibile e questo lo consumò fino a farlo morire. Quando le Naiadi andarono a seppellirlo, videro che era stato trasformato in fiori bellissimi, i narcisi.
L’“Affresco con Narciso” lo troviamo 4 volte nei reperti di Pompei, 60-79 d.C., in 3 contempla la propria immagine nello specchio d’acqua, nel quarto, scoperta la sua identità, si strappa le vesti; e in 2 membranacei del 1330 e 1460, in uno dei quali l’immagine riflessa è un bocciolo di rosa, nonché in un volume a stampa di Lodovico Dolce, 1561. Dei 3 dipinti su “Narciso”, ilDomenichino, 1603-04, lo mostra sulla sinistra chino a contemplare la propria immagine riflessa nell’acqua in un ampio scenario paesaggistico che si dispiega con alberi e prati, un lago con barchetta e un castello; nei due di Giovanni Antonio Boltraffio e di un suo seguace, del 1500, solo il suo viso triste che guarda in basso.
E così si conclude la sfilata dei miti delle “Metamorfosi” di Ovidio. Il botto finale del vero e proprio spettacolo pirotecnico, nella nostra associazione di idee con la galleria espositiva delle “Scuderie”, è il dipinto di Nicola Poussin, “Trionfo di Ovidio”, 1625, una cosmogonia dell’amore come forza della Natura nei suoi 4 elementi, con 9 Cupido, 2 dei quali imbevono le frecce nel latte del seno di Venere addormentata a destra, il poeta è assiso al centro, coronato di alloro, si appoggia ai libri sull’amore, il braccio sollevato con corone di mirto, dominatore di una scena molto evocativa.
Ben si addice, al termine della nostra galoppata nell’arte ispirata ai suoi versi immortali, il pensiero di Federica Zalabra sulle “Metamorfosi” nella pittura: ” La sintesi tra parola e immagine che il poeta riesce ad operare è la forza che spinge la favola attraverso i secoli, incidendo sul’immaginario europeo e incitando all’imitazione e alla reinterpretazione” .
La mostra a coronamento del Bimillenario di Ovidio ne è la suggestiva prova visiva.
“Affresco con Narciso”, 60-79 d. C.
Info
Scuderie del Quirinale,via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì, ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-22,30, ingresso consentito fino a un’ora dalla chiusura. Ingresso e audioguida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per under 26, insegnanti, gruppi, forze dell’ordine, invalidi parziali, euro 2 per under 18, guide, tessera ICOM, dipendenti MiBAC, gratuito per under 6, invalidi totali. Tel. 06.81100256. www.scuderie.it. Catalogo “Ovidio. Amori, miti e altre storie”, a cura di Francesca Ghedini con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zalabra, Editore arte,m – L’ERMA di Bretschnider 2018, pp. 310, formato 24,5 x 30,; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I primi due articoli sulla mostra sono usciti, in questo sito, il 1° e 6 gennaio 2019, con altre 13 immagini ciascuno. Cfr. inoltre i nostri articoli, in questo sito, per la mostra “Augusto”, 9 gennaio 2014; in abruzzo.cultura.it per “Villa Giulia a Ventotene” (itale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nelle Scuderie del Quirinale, si ringrazia Ales, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta; è riportato un campionario di quelle citate in questa seconda parte di commento ai miti evocati nell’opera di Ovidio. In apertura, .“Gruppo scultoreo di Ganimede con l’aquila’“, prima età imperiale, al centro, dietro sulla parete, Damiano Mazza, “Ratto di Ganimede”1575; seguono, 2 “Affreschi con Satiro e Monade”60-79 d. C., e “Affresco con Venere con lo specchio”, 60-79 d.C.; poi, “Statua di Niobide che fugge su una roccia”,metà I sec. a. C., e”Mosaico con caccia al cinghiale calidonio”, II sec.-inizi I sec. a. C quindi, Giovan Francesco Gessi, “Morte di Adone”,1639, e “Affresco con Arianna abbandonata”,60-79 d. C.; inoltre, “Affresco con Fedra e Ippolito”, 60-79 d. C, e “Affresco con Piramo e Tisbe”, 60-79 d. C.; ancora, Ludovico Carracci, “Caduta di Fetonte” 1596.99, e Sisto Badalocchio, “Ermafrodito e Salmacide”, 1610; infine, “Affresco con Narciso”, 60-79 d. C. e, in chiusura, “Cratere a volute apulo a figure rosse” con le storie di Dedalo e Icaro, fine IV sec. a.C.
“Cratere a volute apulo a figure rosse” con le storie di Dedalo e Icaro, fine IV sec. a.C.
Dopo aver ripercorso i primi 30 anni del sessantennio 1958-1988, si conclude, con il trentennio successivo 1989-2018, la visita alla mostra antologica “Ennio Calabria, verso il tempo dell’essere. Opere 1958-2018”, aperta dal 20 novembre 2018 al 27 gennaio 2019 a Palazzo Cipolla, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presidente Emmanuele F. M. Emanuele, ideatore della mostra, organizzata da “Poema” con “Archivi Calabria”, supporto tecnico di “Civita mostre”, a cura di Gabriele Simongini, che ha curato anche il catalogo bilingue, italiano-inglese, della Silvana Editoriale.
‘L’artista Ennio Calabria chiude la presentazione della mostra, alla sua dx. il curatore Gabriele Simongini, dietro “Il pensiero nel corpo”, 2010
Abbiamo ccncluso la rievocazione dei primi 30 anni dell’itinerario artistico e umano di Ennio Calabria sottolineando la nuova direttrice, con cui accentua ulteriormente il suo rifiuto di tradurre nell’arte le ideologie precostituite impegnandosi invece nella ricerca sull’essere umano nel mondo in cui vive mediante l’aderenza alla realtà, ma non al realismo, in una visione complessa con base filosofica volta alla conoscenza per percepire i germi del futuro.
La fiducia nella pittura e la coscienza del proprio ruolo
Ecco le sue parole illuminanti del 1985: “Ho dipinto quadri politici per molti anni, e continuo a dipingerne. L’unica differenza consiste nel fatto che prima io portavo confusamente nel ‘politico’ il mio privato anelito, il mio desiderio oscuro di trovare nel gesto politico una risposta ai problemi che evidentemente erano più profondi, e forse anche mie personali”; di certo, aggiungiamo noi, non suscitati dai dettati dei partiti della sinistra dai quali, pur aderendo alla loro visione politica, aveva segnato la più assoluta autonomia. E ora? “Questa presa di coscienza di oggi non significa una rottura col politico, significa una distinzione, una consapevolezza dei due livelli di partecipazione e di conoscenza”.
Ha ancora più fiducia nella sua arte: “Da qui per me è rinata, negli anni recenti, una forte rivalutazione della pittura come strumento per conoscere la realtà, strumento più valido della parola parlata, scritta e inflazionata, che serve più a nascondere che a far emergere”. E, di conseguenza, piena coscienza del proprio ruolo: “In questo senso, ho capito il contributo che un artista può dare anche al movimento politico, ed è usare il proprio strumento in modo conoscitivo. In sostanza, io posso essere un pittore che cerca di interpretare la realtà per gli altri. E quindi sono al di fuori del servizio di una ideologia”.
I canoni del Realismo socialista del tutto rovesciati, è l’artista a incidere con la ricerca di verità sulla politica, l’opposto che ridursi a megafono della sua propaganda.
“Evento nell’acqua”, 1989
Ci siamo soffermati su queste dichiarazioni perché ci sembrano di straordinario valore in assoluto, oltre a introdurre nel modo più adeguato il percorso del trentennio successivo, l’ultimo nel quale la politica, anche nella sua visione non ideologica, lascia il posto all’ispirazione sociale ma soprattutto esistenziale: “Il suo modo di vivere e confrontarsi con la realtà – afferma Ida Mitrano – è cambiato e guarda ora nel proprio profondo, dentro di sé”. Lo stesso artista dichiara di aver compreso come “si debba riconsiderare il mondo partendo da noi, da dentro, e che il mondo va rifondato attraverso noi stessi. In questo senso va interpretato lo spostamento avvenuto nella mia pittura”.
E’ stato sempre attento alla realtà, fuori dalle ideologie, ma ora “il processo di identificazione ha cominciato ad accadere per via interiore, cioè ho continuato l’analisi del mondo esterno dall’interno. In altre parole, è come se il cannocchiale si fosse spostato dentro di me”. Nel guardare dentro di sé vede che “le uniche informazioni importanti vengono dal tuo Sé profondo e non dal tuo Sé ideologico”.
Dal 1989 al 2000
Per la fine degli anni ’80, precisamente il 1989, sono esposti “Evento sull’acqua”, con la bandiera rossa caduta nel Tevere che “si scinde… si scinde… si scinde assumendo il metamorfismo dell’acqua”, e “Biografia rivisitata”, la madre scomparsa tre anni prima, vestita da sposa; “Inchiesta autobiografica” con le scure proiezioni dell’inconscio, e 2 opere dal cromatismo più vivo, “Rosso lacerazioni”, in cui torna il colore dell'”Evento nell’acqua”, e “Dallo scoglio”, 1989, che ci ricorda la rivelazione che fu per lui la rifrazione dell’acqua in mille immagini sugli scogli battuti dalle onde. Ne deriva che l’ispirazione dell’artista non fa riferimento a idee o progetti definiti, ma a una realtà in continuo divenire, il che determina una sorta di spaesamento con la ricerca di forme espressive sempre nuove, in grado di interpretare l’incessante processo di cambiamento, stimolate anche dalla riflessione a livello filosofico che accompagna come sempre l’evoluzione sul piano artistico.
“Biografia rivisitata”, 1989
Un’intrinseca instabilità non c’è solo nella realtà interna, ma anche nella sfera interiore. Perciò le forme delle sue composizioni diventano più sfuggenti e indefinite, per un metamorfismo insito nel cambiamento, e questo lo avvicina solo apparentemente all’informale, perché è sempre legato alla “realtà vista come capacità percettiva dei più”, che resta al centro della sua visione.
Afferma lui stesso che “non si pone di fronte ai fenomeni e agli accadimenti con il proprio ‘io’, già concluso e blindato, ma ne accetta la precarietà culturale, mentre lo valorizza come strumento sensibile e vibrante, che a petto delle sollecitazioni oggettive, smuove ed eccita l’intero arco della psiche, e quindi tutti gli strumenti che la personalità ha, al fine di conoscere”. E conclude: “Egli ricompone il proprio ‘io’ a valle, dopo averlo negato come identità conclusa a monte”. Nessuna regola prefissata, si tratta di rendere l’imprevedibilità delle trasformazioni del reale con il “sincronismo” e il “metamorfismo”, immagini di tipo nuovo che assumono una valenza simbolica.
Un’introspezione così complessa non può che tradursi in opere dall’interpretazione altrettanto complessa, che alla spettacolarità delle grandi dimensioni uniscono l’intrigante incertezza sul loro significato, con la suggestione delle forme più o meno evanescenti che animano le composizioni.
Per gli anni ’90 sono esposte 4 opere della serie “Ambiguità dell’intravisto”: 3 sono del 1992, si tratta di ” Dinamismo della staticità”, “Uomo che guarda il mare” e “Donna e mare”: l’ossimoro del primo titolo deriva dalle forme coesistenti diverse tra loro e rispetto “a quell’immagine finale e complessiva che accadrà”, senza alcun rapporto di causa ed effetto, del resto negato dal sincronismo unito al metamorfismo; mentre negli altri due titoli il genere espresso trova vaga rispondenza in forme evocative per quanto fluide e indistinte.
Nell’opera del 1993, “Eretto antropomorfo”, è delineato l’uomo “antitetico all’automatismo della natura”, capace di “concepire la ‘fenomenologia del senso'”. Chiude il decennio “Accade in città”, 1999, forme che si affollano in un intenso magma cromatico. In quest’ultimo anno partecipa alla XIII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, per la sua mostra a Bagnacavallo esce il catalogo 1995-96 dal titolo eloquente: “I confini del mondo nell’opera incisa di Ennio Calabria”.
“Dallo scoglio”, 1989
Inizia il terzo millennio
Con il terzo millennio l’evoluzione continua, pur nella continuità ideale di fondo, il linguaggio pittorico diventa sempre più aderente al nuovo soggetto. Così lo vede la Mitrano: “Il contesto esterno sembra venire meno, perché l’attenzione è rivolta a se stesso come sedimento cui attingere, come magma entropico da cui la figura prende forma”. Ed ecco come si manifesta nella composizione pittorica: “Alcuni elementi, come un colore, un segno, un’ombra si rivelano significativi senza alcuna intenzione. E la figura, un pretesto per l’emersione di contenuti inconsci che attraverso quegli elementi acquisiscono forza esterna connotando lo spazio pittorico con la loro presenza”. Ancora più chiaramente: “Il segno non è descrittivo, ma contorna. E’ segno-colore che, come già sottolineato, non giunge mai ad esiti informali o astratti”, nasce sempre dalla realtà che è comunque contraddittoria nell’assenza di relazioni di causa-effetto e nell’imprevedibilità. Una contraddittorietà che è creatrice di un nuovo significato, generato da nuovi presupposti. La forma si afferma e si nega entro il vortice di quei segni-colore, dove l’artista rimane assolutamente centrale”. Ciò perché la forma è un mero “contenitore” di contenuti mutevoli, e le figure – è sempre la Mitrano – “appaiono, allora, come campi energetici dove si scontrano, se le forze centrifughe dilaniamo le figure, quelle centripete tendono ad aggregare le forme”.
Non ci potrebbe essere migliore preparazione alla vista delle opere del quinto decennio, perché mentre fornisce una chiave interpretativa delle figurazioni, solleva anche dall’ansia di capire.
Le 2 opere esposte del 2003, “Arcaica navigazione”, e ““Linee d’energia”, mostrano entrambe una labile figura umana in balia di forze esterne; la navigazione si riferisce al “mare delle tecnologie”, con l'”Intelligenza artificiale”, la mente sembra adattarsi finché l’istinto di sopravvivenza fa insorgere “per difendere la nostra identità umana”. Seguono, del 2003, “Passa un aereo”, con la scia nel cielo e l’enigma delle forme a terra; del 2008, “Presentimento d’acqua”, evocata da una striatura blu, mentre in“Ombre del futuro”, dello stesso anno,.si addensano piccolissime figure umane che diventano tre sagome che si stagliano, alte e sottili, come in una tragica crocifissione.
Di questo decennio sono esposte due serie con 3 ritratti ciascuna, una dedicata a papa Giovanni Paolo II, l’altra intitolata “Il volto e il tempo”.
“Accade in città”, 1999
Nei primi due ritratti del papa, “Un papa polacco”, 2004, e “Le linee del dolore”, 2005, emerge la sofferenza in chiave anche figurativa, nel terzo, “Il vero e il falso”, 2005, con la folla ai funerali torna la visione popolare degli inizi, evoca “Un’Annunciazione del nostro tempo” del 1963. Questi dipinti fanno parte del ciclo di 22 ritratti papali esposti in apposite mostre; nel catalogo della mostra di Cracovia si legge che il volto di papa Wojtyla è “luogo simbolico, ma al tempo stesso fisico nella tensione dei segni che si caricano di significati oscuri. Un luogo dove le contraddizioni dell’uomo contemporaneo convivono e diventano espressione inequivocabile di quella condizione umana di cui Giovanni Paolo II, ogni volta, in questi ritratti, appare dolorosamente farsi carico”.
La figura umana è dominante anche nell’altra serie, lo vediamo in “Pantani nell’accadere del ricordo”, 2005, eretto sulla sua bicicletta con le braccia aperte nel segno della vittoria che diventa anche la sua crocifissione; “Uomini del deserto. Ritratto di Ahmadinejad” , 2008, presenta il discusso presidente iraniano in modo non diverso da “Jorge Louis Burges. La manovra dell’ombra”, 2009,le loro teste sono al culmine di un’immagine totemica con i corpi innervati da segni e forme oscure.
Paola Di Giammaria afferma che “anche un ritratto, per la verità dell’unicità soggettiva del suo autore, ha la potenzialità che può consentirgli di diventare una rappresentazione collettiva ‘della esiliata dimensione complessa della nostra personalità'”, esprimendo l’introspezione profonda. Del resto, anche al di fuori dei ritratti, si è visto che la figura fa emergere all’esterno i contenuti inconsci, le “posizionature della mente”.
Mostre in cui sono esposti i dipinti di questo decennio si svolgono nel 2000 a Roma, nell’ex Mattatoio, e nel 2001 a Chieti, nel 2002 a Roma alla Galleria “Lombardi” per i ritratti di papa Giovanni Paolo II, mostra ripetuta in altre città, nel 2003 a Roma nella Galleria “Il Narciso” e nel 2004 a Pescara e a Castiglioncello, nel 2005 a Siena e a Palermo, nel 2006 a Gemini e a Fondi, nel 2008 a Giulianova sui ritratti e a Cracovia specificamente su quelli del papa polacco, nel 2009 a Milano, Chieti e Viareggio con “La forma da dentro”.
Scopriamo un’attività espositiva forse al di fuori dei circuiti “istituzionali” più accreditati, ma senza soluzione di continuità, alla quale si associa la pubblicazione di cataloghi e monografie con gli approfondimenti critici.Vedremo come tale presenza, discreta ma costante, continua anche in seguito. Inoltre partecipa attivamente a convegni e incontri nei quali sostiene il valore della testimonianza dell’artista in grado di dare all’arte un valore sociale, affermando che “la pittura può e deve contrapporsi all’egemonia della documentazione di derivazione fotografica, e deve dimostrare di essere portatrice di verità e comunque di un numero e di una qualità di informazioni diverse ma altrettanto attuali di quelle di cui la foto è capace”.
“Ombre del futuro”, 2008
Gli ultimi due anni del decennio lo vedono intervenire nel 2008 al “Tavolo di coordinamento per l’arte contemporanea”, nel quale con gli operatori del settore presenta una serie organica di proposte per migliorare la condizione degli artisti, che saranno incluse nel documento sulle “Problematiche dell’arte figurativa”. a conclusione dell’indagine parlamentare. E nel 2009 fonda l’associazione culturale “in tempo”, con un manifesto che sarà seguito nel 2017 dal “Manifesto per l’arte, pittura e scultura”, vi partecipano importanti personalità dell’arte e della cultura.
L’ultimo decennio
Si apre l’ultimo decennio con una personale a Catania nel 2010, dal titolo eloquente,”L’occhio del dentro”, seguita nel 2011 dalla partecipazione al Padiglione Italia Regione Lazio a Roma, nella Biennale di Venezia curata da Vittorio Sgarbi nel 150° dell’Unità d’Italia, con l’opera “Il pensiero del corpo”. Nel 2012 personale a Roma con la nuova opera “Patologia della luce”, corpi distesi all’ombra di un aereo come cupo presagio. Anche nella crisi dell’arte come specchio della decadenza della società in lui c’è sempre la volontà di rifondarla ritrovando valori condivisi; é protagonista, nello stesso anno, del video “Spunto di vista”. Nuova mostra a Marino nel 2013, il titolo “Il tempo, i tempi” fa tornare alle sue speculazioni di tipo filosofico, che ritroviamo nel suo intervento al convegno a Roma nello stesso anno, “Creatività e forma tra arte e diritto” sul tema “Riforma delle mutazioni”: il “pensante” non può più riferirsi al “già pensato” travolto dalla crescente velocità, non c’è il dualismo dei contrari, è subentrato “l’io irrazionale”, da artista sta riflettendo su come rispondere a questa mutazione.
Siamo nel 2014, partecipa all’Esposizione Triennale di Arti visive a Roma, con opere sull’invasività della tecnologia e la conseguente mutazione dei processi psicofisici. E’ un tema che segue da decenni, aggiornandolo con le innovazioni tecnologiche: il telefono cellulare diventa soggetto di dipinti in cui esprime la contraddizione tra la possibilità di comunicare ovunque con tutti e l’incapacità di instaurare relazioni dirette e umane, perdendo il rapporto con se stesso e con gli altri.
Nel 2015 la retrospettiva “Visioni fantastiche. Trame dell’invisibile” alla Biennale Internazionale di Arte e cultura a Roma, una serie di eventi collettivi a Roma, al Macro, e a Venezia. Ancora a Roma nel 2016, è presente alla mostra “7 artisti in 7 chiese per il Giubileo della Misericordia” con “L’Uomo e la Croce”, a dicembre alla mostra a Palazzo Montecitorio “Il Vo(l)to di Donna”; la sua associazione “in tempo” organizza una mostra sull’invadenza della tecnologia e l’esigenza di rifondare l’arte basandola sulla forza creativa dell’essere umano, il suo tema ricorrente.
“Patologia della luce”, 2012
Il 2017 lo vede in due mostre collettive, a Roma e a Francavilla a mare, esce un libro e un filmato su di lui. E siamo al 2018, con le mostre “Sum ergo cogito”, a Roma nello “Spazio Arte Fuori Centro”, e “Il corpo” a Sofia, poi una collettiva a Firenze e infine l’antologica a Palazzo Cipolla che porta nel 2019, dall’apertura a novembre 2018 alla chiusura nel gennaio 2019.
Abbiamo fatto questa cavalcata nelle mostre e nelle presenze dirette dell’artista sulla scena artistica per evidenziarne l’inesauribile vitalità pur se certa critica e certi livelli istituzionali lo hanno trascurato, si sono dovuti attendere 30 anni per questa grande antologica meritoriamente voluta da Emanuele. Ma torniamo alla sua impostazione culturale e filosofica, richiamando ancora l’interpretazione della Mitrano: “Una società in cui gli opposti tendono a essere esclusi e la dinamica delle cose risolta dalla pragmaticità del vivere, Calabria non risponde negando quelle che ritiene siano ormai delle trasformazioni radicali e irreversibili, ma ricercando nell’uomo, nelle sue parti inconsapevoli e irrazionali, nuove possibilità espressive di un’inedita condizione umana”.
Vediamo come lo esprime nelle opere esposte per l’ultimo decennio. Del 2010, “Il pensiero nel corpo”, per la mostra citata del 150° dell’Unità d’Italia, le bandiere vi aderiscono diventando una seconda pelle, è “la cultura della storia”. Ecco, del 2012, “Patologia della luce”, anch’essa già citata, figure di bagnanti su una spiaggia che scivola “in un rapporto di causa-effetto storicamente inedito che è la sfida del futuro”, sono le sue parole; e “Garrula morte”, tanti pappagalli petulanti e “logorroici”. Tra il 2013 e il 2015, della serie “Questa lunga notte”, due dipinti oscuri, il secondo ha come sottotitolo “La luce dei telefonini”, in effetti una “luce” modesta e abbiamo spiegato prima il perché. Con il 2016 i cellulari dopo il titolo entrano nel quadro con “Fusione celibe”, due innamorati abbracciati ma soli “ciascuno se ne va con il proprio sogno, e nell’abbraccio ciascuno se ne va con il proprio telefonino”; “L’Uomo e la Croce” mostra Cristo “su una croce di pietra che è già tomba”, osserva il curatore, è “un pugno nello stomaco” per la straordinaria potenza drammatica, “uno choc visivo che è anche un omaggio universale ai martiri e alle vittime innocenti della violenza umana”. Il 2017 è presente con “Azzurri coltelli del mare”, in cui si intravedono le sagome di due corpi nel fluire dell’acqua, l’elemento liquido è congeniale all’artista.
“L’Uomo e la Croce”, 2016
Lo troviamo anche in “Lo scoglio”, del 2018, ricordiamo l’opera già citata sullo stesso tema del 1989, senza dimenticare la rivelazione che ebbe dalle mille immagini prodotte dalle rifrazioni dell’acqua viste proprio su uno scoglio, nelle quali identificò “il prodursi del ‘senso’ attraverso ‘accidenti’ e forme che non vi concorrono nella loro specificità”, come nella sua pittura, per cui gli parve di “riconoscere qualcosa che ha a che fare con me”. Sempre del 2018, l’ultimo anno, “Gravido mistero”, una sinfonia sul celeste con “le icone di Maria” che si intravedono mentre si innalzano tra albe e tramonti, vita e morte fino all’ultima, incinta, con il vento del parto fuori dagli schemi canonici, come il suo Crocifisso. Torna l’immagine di insicurezza del 1973, nella prima fase del percorso artistico, con “L’ombrello è rotto: paura dell’acqua”, così la commenta l’artista: “Oggi percepiamo la paurosa fine delle protezioni. Siamo soli. Incalzati da domande senza risposta”, il celeste-grigio diventa cupo, dell’ombrello inservibile spiccano le esili stecche del tutto inutili, mentre l’acqua tracima. Torna la figura umana, anche se appena distinguibile, nei due dipinti esposti della serie “La lunga notte”, “Parlamento” e “Il branco”, non è un malizioso accostamento il nostro, e tanto meno un’associazione, però rileviamo che la parte sinistra del secondo dipinto sembra un ingrandimento dell’analogo lato del primo con le teste che si affollano.
I ritratti “Mio padre viene da Tripoli lontana”, 2010, e “Benedetto XVI, la rivoluzione della fragilità”, 2018, sono toccanti, per la vicinanza alla sensibilità dell’artista, mentre i due ultimi, della serie “Un volto e il tempo”, di “Marcel Proust. La manovra dell’acqua”, 2012, e “Italo Calvino. Voglia di eterno”, 2013, li mostrano come l’artista vede i loro volti e corpi, ben distinguibili, fluttuanti negli elementi cui collega la loro identità e la lezione che hanno lasciato.
Una serie di piccoli dipinti conclude la spettacolare galleria di tele di notevoli dimensioni, sono “Pastelli” e “Autoritratti”: lo vediamo ritrarsi, con il viso ben delineato, come “Pittore volante” nel 1961, con “La luce, il gioco, il pensiero” nel 2003, all’insegna di “Viva la pittura” nel 2007, con “Il pensiero, il caso e la carne” nel 2008, infine con “La verità nell’enfasi” nel 2011.
Ma non c’è mai enfasi nella verità di Calabria, bensì lucida consapevolezza frutto di conoscenza, e sono significative le parole che Simongini ricorda essergli state rivolte dall’artista “in un’afosa serata estiva”. Gli disse: “In viaggio verso il tempo dell’essere”. Così il curatore interpreta questo viaggio: “Calabria è costantemente immerso in un inestricabile magma creativo ed esistenziale in cui il futuro della pittura è immaginato come parte di un avvenire più ampio e decisivo, quello degli esseri umani e della sopravvivenza della nostra specie”. E conclude: “Per lui è questa la posta in gioco e dunque l’arte si identifica anche in una presa di responsabilità morale e in un complesso atto conoscitivo che rifiutano l’immagine facile, superficiale e disimpegnata, per far sentire, dal profondo e nella sua totalità più autentica, la ‘drammatica gioia del vivere'”.
“L’ombrello è rotto: paura dell’acqua”, 2018
Conclusione
Il percorso di arte e di vita che abbiamo rievocato ci ha mostrato un artista che rappresenta un “unicum” nel suo genere. Nell’arte è legato alla realtà, al fatto, ma non aderisce al realismo pittorico, e tanto meno al Realismo socialista, pur nel suo orientamento progressista; nella vita è militante soprattutto della sinistra sindacale, ma non usa l’arte nella sua azione politica e nel suo impegno sociale, non si concentra sulle denunce delle ingiustizie, ma sull’essere umano nella sua interezza, si rivolge al presente ma nelle sue opere entrano i germi del futuro, descrive i fatti ma in una visione che supera il contingente diventando metaforica, il tutto con assoluta coerenza.
Diverso e speculare rispetto a Renato Guttuso per il quale l’artista deve usare l’arte come strumento della propria milizia politica, e lo ha fatto con straordinaria forza fin dagli anni della resistenza ai nazisti, proseguendo poi con la sua pittura di denuncia; ma c’è stato anche il “Guttuso privato”, contemporaneo al “Guttuso rivoluzionario”, e per quanto riguarda l’uso della pittura nella milizia politica ricordiamo che, divenuto parlamentare – quindi avendo altri strumenti per portare avanti l’azione spinta dall’ideologia – la sua pittura si dedicò solo al privato, senza più opere di denuncia.
Calabria invece non ha avuto altri riferimenti costanti che l’essere umano, senza diversioni, né nell’ideologia – a parte i manifesti sindacali ispirati comunque al sociale come proiezione dell’essere – né nel privato, in una straordinaria costanza e continuità; mentre il processo evolutivo ha riguardato la forma e l’intensità della ricerca che ha prodotto anche l’evoluzione delle sue riflessioni filosofiche trovando modi personali e suggestivi di esprimere un “pensiero complesso”.
I pensieri della sua speculazione filosofica li abbiamo visto arricchire i titoli dati ai suoi dipinti con riferimenti profondi, accompagnati da commenti ispirati, in una traduzione visiva manifestata attraverso linee fluide o aggrovigliate, figure deformate per un inedito figurativo che chiameremmo informale, con un ossimoro che gli calza a perfezione.
Questo è stato Ennio Calabria nei sessant’anni di itinerario artistico, questo è tuttora nella prosecuzione di un’attività pittorica che si rinnova di continuo trovando sempre nuove forme di espressione di quanto si muove intorno all’essere umano: nella vita e nella società in continua evoluzione dalla quale cerca di cogliere i segni del futuro per innervare la visione del reale quale appare alla sua ricerca incessante e portarne alla luce il senso vero, rivelando ciò che è recondito
Ritratti “Uomini del deserto. Ritratto di Ahamdinejad”, 2008, a sin. – “Stalin “, a dx
Info
Palazzo Cipolla, Via del Corso 320, Roma. Tutti i giorni, escluso il lunedì, ore 10,00-20,00, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 7, ridotto euro 5 per gli under 26 e over 65, forze dell’ordine e militari, studenti universitari e giornalisti, convenzionati; gratuito under 6 anni, disabili con accompagnatore, membri ICOM e guide turistiche. Tel. 06.2261260. I primi due articoli del servizio sulla mostra sono usciti questo sito, con 11 immagini ognuno, il 31 dicembre 2018 e il 4 gennaio 2019. Per quanto citato nel servizio, cfr. i nostri articoli, in questo sito: per Renato Guttuso, “Guttuso rivoluzionario” 14, 26, 30 luglio 2018, “Guttuso innamorato” 16 ottobre 2017, “Guttuso religioso” 27 settembre, 2 e 4 ottobre 2016, “Guttuso antologico” 16 e 30 gennaio 2013;per “Picasso” 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, “Cèzanne” 24, 31 dicembre 2013, il “Padiglione Italia Regione Lazio” 8 e 9 ottobre 2013; per i “Futuristi” 7 marzo 2018, sui singoli artisti, “Thayaht” 27 febbraio 2018, “Marchi” 24 novembre 2017, “Tato” 19 febbraio 2015, “Dottori” 2 marzo 2014, “Erba” 1° dicembre 2013, “Marinetti” 2 marzo 2013; per “Deineka” 26 novembre, 1 e 16 dicembre 2012, “Franco Angeli” 31 luglio 2013; per la Pop Art e le altre avanguardie americane“Guggenheim” 23 e 27 novembre, 11 dicembre 2012; per gli “Astrattisti italiani”, 5 e 6 novembre 2012 ; in abruzzo.cultura.it, per i “Realismi socialisti” 3 articoli il 31 dicembre 2011, gli “Irripetibili anni ’60”, 3 articoli il 28 luglio 2011, il “Futurismo” 30 aprile, 1° settembre e 2 dicembre 2009, “Picasso” 4 febbraio 2009 (il sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a palazzo Cipolla alla presentazione della mostra, si ringrazia la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, con gli organizzatori e i titolari dei diritti, in particolare l’artista, per l’opportunità offerta. Le 10 foto dei dipinti di Ennio Calabria coprono i secondi 30 anni del sessantennio 1958-2018. In apertura, l’artista Ennio Calabria chiude la presentazione della mostra, alla sua dx. il curatore Gabriele Simongini, dietro “Il peniero nel corpo”, 2010; seguono, “Evento nell’acqua”, 1989, e “Biografia rivisitata”, 1989; poi, “Dallo scoglio”, 1989, e “Accade in città”, 1999; quindi, “Ombre del futuro”, 2008, e “Patologia della luce”, 2012; inoltre, “L’Uomo e la Croce”, 2016, e “L’ombrello è rotto: paura dell’acqua”, 2018; infine, i Ritratti “Uomini del deserto. Ritratto di Ahamdinejad”, 2008, a sin. – “Stalin “, a dx. e, in chiusura, gli Autoritratticon “Mio padre vien e va da Tripoli lontana,”, 2010, a sin. – “Autoritratto: il pensiero, il caso, la carne”, 2008, al centro – “Autoritratto, la luce, il gioco, il pensiero”, 2003, a dx.
Autoritratti, con “Mio padre vien e va da Tripoli lontana,”, 2010, a sin. – “Autoritratto: il pensiero, il caso, lacarne”, 2008, al centro – “Autoritratto, la luce, il gioco, il pensiero”, 2003, a dx.
A quasi tre mesi dalla presentazione dell’11 ottobre 2018 pubblichiamo di nuovo la parte iniziale del primo dei 4 articoli del nostro servizio sul libro di Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana”, per iniziare il nuovo anno, dopo l’Epifania “che tutte le feste si porta via”, ricordando una rievocazione in cui la storia dell’Arma è intrecciata a quella del Paese. La rievocazione mette in rilievo le vicende con gli atti di eroismo dei carabinieri nello scenario nazionale cui l’autore riserva particolare attenzione, con particolare riguardo alle fasi più drammatiche e controverse. La parte iniziale del primo articolo, qui riportata, descrive il contenuto del libro e le impressioni di lettura, il seguito e i tre articoli successivi del servizio riguardano i diversi periodi storici, dal Risorgimento alla 1^ Guerra mondiale, dal fascismo alla 2^ Guerra mondiale con le campagne d’Africa e di Russia, la R.S.I. e l’occupazione di Roma, la deportazione nei lager nazisti degli ebrei e dei carabinieri, fino alla resistenza e alla Liberazione. Segnaliamo agli interessati il nostro servizio integrale come sintesi dell’ampia esposizione del libro, di cui consigliamo vivamente la lettura per l’accuratezza della ricerca e il tono incalzante da romanzo storico che avvince, coinvolgendo in vicende al centro della memoria nazionale e più direttamente della memoria familiare.
La copertina del libro
L’11 ottobre 2018, nella sede della Legione Allievi Carabinieri di Roma, è stato presentato il libro di Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, edito dall’Associazione Nazionale Carabinieri. Il libro è dedicato “all’Arma dei carabinieri per l’inestimabile contributo fornito alla Patria nel consolidamento e nella difesa delle libertà democratiche”, e tratta della loro attività come Arma militare. Nella presentazione a una sala affollata di invitati e di Carabinieri, parecchi con alti gradi ma soprattutto molti giovani, il brillante intervento di Umberto Broccoli, seguito dall’orazione appassionata del gen. B. Vincenzo Pezzolet, e dalle considerazioni dell’autore Gelasio Giardetti.
Contenuto del libro e impressioni di lettura
Un libro sui Carabinieri potrebbe sembrare riservato a una cerchia limitata e comunque circoscritta, anche se non troppo ristretta data la capillare distribuzione delle stazioni di carabinieri in ogni zona del paese.
Questa era almeno la nostra impressione prima di averlo letto, anzi dobbiamo confessare che abbiamo cominciato a scorrerlo con il distacco che si prova dinanzi a temi che sentiamo alquanto estranei, al di là della curiosità per una storia che suscita comunque un certo interesse. Con altrettanta sincerità dobbiamo confidare che invece ne siamo stati presi perché la storia raccontata nel libro è in realtà la storia d’Italia della quale l’Arma benemerita è parte integrante.
La presentazione del libro, al centro il gen. B. Vincenzo Pizzolet nel suo intervento, con l’altro presentatore, Umberto Broccoli (alla sua dx) e l’autore Gelasio Giardetti (alla sua sin.)
E se pensavamo che essendo una storia nota nelle linee generali il racconto poteva essere ripetitivo, ci siamo ricreduti pure su questo, tanto siamo stati attratti da una lettura divenuta subito avvincente: forse perché nella lunga carrellata sulla storia d’Italia vi sono accenti nuovi, o perché è rara una visione congiunta che si snoda come in un film, dei periodi storici che si sono succeduti dal Risorgimento alla 2^ Guerra mondiale passando per le vicende della 1^ Guerra mondiale, poi del regime fascista fino alla Resistenza e alla Liberazione; o forse perché la rievocazione storica è ravvivata dalla personalizzazione nelle figure fulgide dei carabinieri che si sono segnalati per atti di valore.
Un particolare della sala, la “platea”
Non si tratta di individuare quale di questi motivi è alla base dell’attrazione inattesa, forse tutti, perché ricordare eventi così importanti per la vita della nazione è come ripercorrere la propria vita sia per le vicende vissute anche indirettamente dal racconto dei familiari, sia per gli eventi più antichi, appresi sui banchi di scuola e approfonditi con le letture da chi ha voluto saperne di più. Così la lettura del libro crea un magico clima evocativo per il cuore e la mente; ed è anche una lezione di alta coscienza civile in una fase in cui l’immagine dell’Arma è apparsa offuscata per i gravissimi episodi che hanno coinvolto dei semplici militari, e altri che hanno lambito perfino il vertice.
Ma sono stati episodi isolati, inevitabili in ogni organizzazione, per quanto la fiducia nei Carabinieri è stata sempre tale da lasciare increduli dinanzi a fatti che sembravano impossibili fino a che non di sono avute prove inequivocabili; perciò ci si attende un rigore ancora maggiore. Pur con questo rilievo, con la stessa obiettività si deve dire che tali fatti, che restano gravissimi, non possono lasciare macchie su un tessuto, come quello dell’Arma, la cui integrità ha superato prove ben più impegnative della cronaca attuale, basti pensare alle deportazioni nei lager nazisti alla cui memoria il libro è dedicato. Anzi, va preso atto che si è messa in campo, per così dire, la linea del Progetto “Tacere non è un dovere”, e nel tragico caso di Stefano Cucchi il comandante gen. Nistri ha proclamato solennemente “chi sa parli”; vale a dire che “parlare è un dovere” per denunciare deviazioni, come quelle inammissibili venute alla luce di recente, dall’etica del corpo oltre che dalla legalità.
L’intervento del presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Carabinieri gen. Libero Lo Sardo
Riguardo al motto “Nei secoli fedele”, l’Arma ha già mostrato nella sua storia che se le istituzioni prendono derive antidemocratiche e autoritarie non dà il proprio supporto alle conseguenti violazioni della legalità; ne era consapevole il fascismo che creò appositamente un corpo speciale, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, con i pretoriani ai quali affidare le missioni che mai i carabinieri avrebbero svolto perché sarebbero state al servizio del regime contro ogni etica civile e politica. La fedeltà dei Carabinieri è verso il popolo di cui si sono sentiti sempre tutori e difensori.
E’ un”Arma forte delle sue tradizioni, ma capace di allineare ai tempi il severo motto “Obbedir tacendo e tacendo morir” con il programma in atto “Tacere non è un dovere”.
Del resto, i Carabinieri restano il presidio per l’ordine pubblico più vicino alla gente sia logisticamente sia umanamente, per la tradizione consolidata che vedeva nel maresciallo dei carabinieri e nel medico condotto, nel maestro di scuola e nel parroco, i punti di riferimento che davano sicurezza ai cittadini per la convivenza quotidiana e la cura della salute, l’istruzione e la vita spirituale, cioè i cardini della crescita umana e civile. Le profonde trasformazioni nell’organizzazione della società hanno modificato in parte questo assetto tradizionale, ma non si può cancellare ciò che resta impresso nella memoria popolare e continua a svolgere un ruolo molto importante, anzi fondamentale.
Un particolare della sala, la “galleria”
Anche per questo motivo i carabinieri sono al centro delle ben note “barzellette” che pur nell’intento dissacratore della satira all’insegna del “castigat ridendo mores”, con l’umorismo ne sottolineano indirettamente la popolarità e la presenza nella vita di tutti. Nell’autunno del 2009, alla “Biblioteca Nazionale” di Roma, la mostra “In nome della legge” ha esposto le vignette satiriche sulla Polizia di Stato, apparse a partire dai primi del ‘900 su tante riviste umoristiche; l’esposizione è stata promossa dalla stessa Polizia. Non sarebbe sorprendente che “Tacere non è un dovere” possa portare anche i Carabinieri a un “outing” analogo sulla satira che li ha presi a bersaglio con una dissacrazione in fondo di tono affettuoso.
Ma il libro non si occupa dell’ immagine “domestica”, per così dire, a tutti familiare dei carabinieri, e non serve sottolineare gli infiniti episodi in cui si sono segnalati nella quotidianità, che coincide con la svolgersi della vita della Nazione. D’altra parte, sono stati costituiti per questo, per assistere oltre che per proteggere le comunità nei momenti difficili della vita di ogni giorno. E’ una cronaca anch’essa punteggiata da momenti gloriosi, valgano per tutti le copertine della “Domenica del Corriere” che fissano questi episodi, come l’arresto in corsa del cavallo imbizzarrito per citare una delle più note, scelta anche come conclusione di un film d’epoca.
Dalla sin. i presentatori del libro, Umberto Broccoli e il gen. B. Vincenzo Pizzolet, poi l’autore Gelasio Giardetti e il presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Monte Porzio Catone, Edoardo Zucca
Il libro entra nella Storia, nel ripercorrere la vicenda dei Carabinieri come parte integrante della storia d’Italia che marca i momenti topici della vita nazionale presenti nella mente di tutti. La sua non è né la storia cosiddetta “alto mimetica”, dal’angolo di visuale delle istituzioni e dei potenti, né quella “basso mimetica”, dalla parte del popolo sacrificato sull’altare di cause spesso a lui estranee. Nella sua rievocazione appassionata e appassionante, l’Autore ha riconsiderato la storia d’Italia con lo spirito del ricercatore – la sua attività nel mondo dell’industria trasferita anche su altri libri storici – in una posizione intermedia tra quelle appena citate, fuori dai luoghi comuni ma ponendosi dal punto di vista dei Carabinieri nelle fasi in cui sono stati protagonisti; e va sempre più a fondo nella ricerca penetrando via via nell’animo dei protagonisti in un crescendo di emozioni.
Basta iniziare la lettura, poi si è portati ad andare avanti presi da vicende di cui normalmente si conoscono solo le linee generali e si è ansiosi di saperne di più; non è facile crederlo, pochi penserebbero che una storia di Carabinieri possa coinvolgere a tal punto, ma è rivelatrice e narrata in modo avvincente; non ci si può staccare dal libro, ne possiamo dare testimonianza diretta.
Un’inquadratura ravvicinata della “platea”
In questo risiede il fascino della rievocazione, la storia avvince perché è la nostra storia, il ritmo del racconto è incalzante senza evitare i passaggi più difficili, anzi l’Autore è portato a concentrarvi l’attenzione maggiormente quanto più sono controversi, è come se accettasse la sfida della ricerca storica; e nella storia d’Italia che ci appartiene si inserisce naturalmente la storia dell’Arma in modo sempre più penetrante, con i valori morali e civili in evidenza nelle vicende esemplari degli atti di eroismo che avvolgono di una luce vivida squarci di toccante umanità fino a conquistare la scena in un crescendo veramente emozionante. Pur con il rigore di un libro di storia, ha il fascino di un romanzo storico.
Una letttura emozionante, dunque, oltre che istruttiva, perché pur se il tessuto della trama della storia italiana è noto a grandi linee, vengono approfonditi i momenti fondanti e soprattutto viene rivelata quella parte dell’azione dei Carabinieri meno nota che va oltre la quotidianità ben conosciuta per entrare nella storia in una dimensione diversa ma correlata alla prima.
Ne ripercorriamo i principali momenti per dare un’idea di una storia gloriosa che tutti dovrebbero conoscere. Per questo il libro, oltre ad essere presumibilmente studiato nelle scuole degli Allievi Carabinieri; potrebbe entrare nelle letture delle nostre scuole, dato il suo alto valore civile e umano.
L’autore del libro al centro, tra il sindaco di Pietracamela, Michele Petraccia, alla sua dx, e l’autore del servizio alla sua sin., al termine della presentazione
Info
Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, Associazione Nazionale Carabinieri Editrice, ottobre 2018, pp. 394. Il primo articolo del nostro servizio – che dopo aver descritto il contenuto del libro e le impressioni di lettura rievoca le vicende dei Carabinieri nel Risorgimento e nella 1^ Guerra mondiale – è uscito in questo sito il 4 novembre, i successivi tre articoli il 6, 8, e 10 novembre 2018, con 17 immagini ciascuno. Dello stesso autore, “L’uomo, il virus di Dio”, Arduino Sacco Editore, novembre 2014, pp. 184; “Dio, fede e inganno”, Arduino Sacco Editore, settembre 2013, pp. 240; “Gesù, l’uomo”, Andromeda Editrice, giugno 2008, pp. 320. Sui primi due libri ora citati cfr. i nostri articoli in questo sito il 10 e 13 giugno 2015 e il 2 febbraio 2014.
Una carica storica dei carabinieri: Grenoble, 1815
Visitiamo la mostra “Ovidio, amori, miti e altre storie”, alle Scuderie del Quirinale, dal 17 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019, che conclude le celebrazioni del Bimillenario della morte del poeta esponendo 250 opere d’arte ispirate alla sua poesia dedicata all’amore e ai miti. E’ stata organizzata da Ales S.p.A., presidente e A.D. Mario De Simoni, curatrice Francesca Ghedini che, con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zagabra ha curato anche il Catalogo edito da Arte,m-L’ERMA. Un programma di manifestazioni collaterali consente di approfondire la conoscenza del grande poeta latino e diffonderla anche tra i più giovani. Per il suo valore spettacolare questa mostra che conclude le celebrazioni del Bimillenario della morte di Ovidio la associamo ai fuochi di artificio che per tradizione sono il momento terminale delle feste paesane, le 250 opere esposte ai crepitii e agli scoppiettii sempre più incalzanti fino al botto finale.
“Statua di Venere ‘Callipigia’“, metà II sec. d. C, a sin, “Affresco con pittura di giardino”, 1^metà I sec. d. C, al centro, “Statua di Eros con l’arco”, copia del I sec. d. C. da originale del IV sec. a. C., a dx
Alcuni caratteri salienti del suo messaggio poetico
Il ” poeta dell’amore” è pedagogico nell’“Ars Amatoria“, vicino alla pene d’amore del mondo femminile nelle “Heroides”, porta gli dei al livello degli uomini nelle passioni amorose nelle “Metamorfosi”, ma non si tratta di sdolcinature, tutt’altro: è il “poeta del cambiamento” rispetto ai costumi puritani dell’età augustea, ma nel contempo della trasgressione rispetto alle severe regole che l’imperatore applicava anche nella propria famiglia, punendo duramente le due Giulie, figlia e nipote.
Trasgressore e dissacrante anche degli dei, perfino di Apollo protettore dell’imperatore sin dalla sua vittoria sugli uccisori di Cesare e rimasto tale per tutta la durata dell’impero, che viene ridicolizzato per i suoi insuccessi amorosi; di Venere, progenitrice della sua stirpe, la “gens Iulia”, e di Marte, padre di Romolo fondatore di Roma, ridicolizzati al cospetto degli altri dei; e perfino di Giove onnipotente, descritto insaziabile predatore sessuale privandolo di autorità e del valore divino.
Era una sfida all’imperatore e all’intero establishment augusteo, che veniva da chi apparteneva allo stesso ambiente altolocato, ma aveva lasciato una promettente carriera retorica e legale per il richiamo irresistibile della poesia; fu una sfida che pagò con l’esilio sul Mar Nero, mai revocato dall’imperatore, durato dieci anni fino alla morte del poeta nel 18 d. C..
Tutto questo va ricordato per meglio apprezzare la mostra, incentrata sui tre temi salienti del suo itinerario di poeta e “civis romanus”: l’amore, il contrasto con Augusto e il mito. Perché c’è la prova esaltante della sua rivincita, anzi della sua vittoria per l’influenza imperitura sulle generazioni successive, lungo due millenni, ispirando in ogni tempo grandi opere d’arte.
“Rilievo delle Vestali”, ,fine I sec. d.C.
Le opere esposte sono il frutto di una selezione svolta collegando le “figurazioni” dei versi di Ovidio alle trasposizioni “puntuali” e non solamente generiche, con un metodo rigoroso di valutazione dei contenuti basato su soggetti, temi, schemi.
Codici miniati e “Ritratto di Ovidio”, “Venere callipigia” e oggetti di bellezza
La galleria espositiva è introdotta all’ingresso da vistose scritte in neon colorato, “Maxima Proposito”, con frasi significative di Ovidio nel testo latino e nella traduizione inglese. E’ la forma espressiva con cui l’artista concettuale Joseph Kossuth è solito valorizzare l’uso della parola, qui quanto mai appropriata riferendosi a un poeta che con la parola riesce a evocare immagini mitiche. Sono una ventina, si va dalle battaglie d’amore di “Omnis amans militat (Every lover makes war)” alla forza del desiderio di “Quod cupio mecum est (What I desire I have)”.
La parola trionfa nella 1^ sala soprattutto negli incunaboli e nei membranacei, nei codici miniati e nelle prime edizioni a stampa delle sue opere, tramandate dai copisti, prima nell’originale latino, poi anche nelle lingue “volgari”, in qualche caso purgate dalle parti ritenute troppo ardite. I miniaturisti hanno raffigurato spesso, nei frontespizi, l’immagine del poeta mentre scrive o mentre presenta le sue opere poetiche.
Dalle prime “Metamorphoses” di fine XI sec. in un miniato di fine ‘300 e in una cinquecentina, alle “Heroides” con “Ars Amatoria” e “Remedia amoris” di fine ‘400, con la cinquecentina per le sole “Heroides“; fino alle ultime opere, i “Fasti” e “Tristia, Epistolae ex Ponto“,, membranacei copiati da Bartolomeo Sanvito.
“Affresco con Satiro e Menade”, 60-79 d.C.
Ma la mostra non si limita a proporre le immagini del poeta appena delineate nei frontespizi. Il “Ritratto di Ovidio” di Giovan Battista Benvenuti detto l’Ortolano, intorno al 1500, introduce, quasi fosse il padrone di casa, alla sequenza artistica: ha una lunga barba e un abbigliamento lussuoso con un turbante, evoca l’Oriente della sede dell’esilio sul Mar Nero.
Nasce la suggestione, anzi la soggezione ammirando la spettacolare “Statua di Venere ‘Callipigia’“, II sec. d. C., ispirata alla sensualità della visione ovidiana sottolineata dalla maliziosa denominazione, l’opposto rispetto all’austera severità di quella augustea; poi altre Veneri in statuette e l'”Affresco con Venere con lo specchio”, in cui la dea si specchia abbinando nudità e vanità femminile. Dello stesso periodo l’intonaco dipinto “Donna che si pettina”, specchiandosi, anch’essa mostra la nudità del busto, dea e donna accomunate dalla comune ricerca della seduzione, che evoca un mondo gaudente e disinibito senza differenze tra la terra e l’Olimpo.
Fanno parte di questo mondo gli “Anelli con busto femminile su castone”che risalgono alla seconda metà del I sec. a. C., le “Collane con vaghi e amuleti”, lo “Specchio” ed altri oggetti del I sec. d. C., e oggetti in parte legati alla sua opera “Medicamenta faciei feminae”, come la “Scatolina per trucco con coperchio scorrevole dorato”, le “Spatoline” e la “Conocchia con Venere pudica”, tre il I e il II sec. d.C.
“Rilievo paesistico detto di Polifemo e Galatea”,fine 1° sec. a. C. – inizio II sec. d.C.
Erotismo esplicito nei reperti d’epoca
Con la 2^ sala, dopo l’iniziale espressione poetica dedicata al suo amore per una sconosciuta, Corinna, viene celebrata la disinibita indagine sulle pene d’amore ma anche sui sotterfugi e i tradimenti, le emozioni e le gioie degli amanti clandestini, che erano la normalità nella vita gaudente dei ceti altolocati a Roma, in barba alla severità imperiale, tutto esaltato nei tre libri degli “Amores”.
Il poeta non parla più delle proprie passioni, descrive i preparativi ai convegni amorosi, con l’attenta cura della persona, dai belletti alle acconciature delle chiome, da parte delle donne in attesa di incontrare amanti o corteggiatori. Ma oltre a questo, nel 3° libro dell’“Ars Amatoria” parla delle “mille posizioni dell’amore”, in una sorta di Kamasutra romano cui si sono ispirati nella sua stessa epoca in modo più o meno evidente, ma sempre eloquente.
Le opere esposte che riflettono questomondo erotico sono dunque quanto mai esplicite, introdotte dalla “Statua di Eros con l’arco”, copia del I sec. d.C. da un originale del IV sec. a. C. Il giovinetto simbolo dell’amore è rappresentato nudo ma senza implicazioni erotiche, che troviamo invece negli abbracci languidi e lascivi con generose nudità di un altro simbolo amoroso, nell’ “Affresco di Amore e Psiche”, e in ulteriori reperti chiaramente allusivi: nel marmo bianco del “Rilievo paesistico detto di Polifemo e Galatea”, fine I sec. – inizi II sec. d. C. e nell’intonaco dipinto dell’ “Affresco di Polifemo e Galatea”, tema pastorale molto sentito nell’antichità, come erano sentite le incursioni dei satiri sulle fanciulle, qui richiamate da due “Affreschi con Satiro e Menade”, IV sec. d. C. nei quali il biancore del corpo nudo della donna sorpresa nel bosco rispetto al corpo scuro del Satiro, anch’esso nudo, e le mani che toccano i corpi stretti nell’abbraccio, accentuano la carica sessuale; in uno dei due affreschi c’è la tenerezza del bacio con la mano di lei all’indietro che cinge la testa di lui.
“Affresco con Amore e Psiche”, 60-79 d. C.
Immagini simili in una serie di oggetti di abbigliamento, cosa alquanto sorprendente, come i “Cammei con scene erotiche” e il “Cammeo con Fauno e Menade”, e gli specchi, come lo “Specchio con scena erotica”, un vero e proprio amplesso scolpito nel bronzo e piombo del coperchio, lo “Specchio con Amore e Psiche” e la “Custodia di specchio con Amore e Psiche”.
Non mancano oggetti di uso comune, come la “Coppa con scena erotica” e la “Lucerna con scena erotica”, nella seconda addirittura si vede un “rapporto a tergo”; si va anche oltre nella “Lucerna” dell’età augustea con un grosso fallo alato, che troviamo anche nel “Tintinnabulum”, un campanello in cui il fallo alato è cavalcato da un nano che lo incorona, insidiato a sua volta dalla coda, fallica anch’essa. Una serie di “Ciondoli fallici”, forati per essere appesi al collo, completa questa carrellata di reperti più che erotici pornografici, tutti tra il I sec. a. C. e il II sec. d.C., quindi di epoca molto antica.
La severità imperiale nelle statue augustee e nella punizione delle due Giulie
La 3^ sala fa entrare nel mondo ovidiano nel quale all’audacia delle disinibite descrizioni amatorie declinate anche a titolo pedagogico si unisce – come si è ribadito in precedenza – l’aperto contrasto con la severa morale augustea, e il coinvolgimento nelle schermaglie amorose, spesso in modo irridente, delle divinità, in particolare di quelle poste a protezione dell’imperatore e di Roma.
“Statua di Livia, 38-40 d. C.
Una sfilata di sculture augustee di marmo particolarmente austere introduce questa tematica, iniziando dalla Statua di Augusto e dalla “Statua di Livia”, la moglie, entrambi con il capo velato, il primo come Pontefice massimo, la seconda come Cerere, i corpi totalmente coperti da un pesante panneggio, siamo nella prima metà del I sec. d.C., la stessa epoca della quale abbiamo riportato le raffigurazioni erotiche disinibite esposte nella sala precedente. Anche la “Statua di Antonia Minore”, figlia di Ottavia sorella di Augusto, reca il capo coperto, ma da una corona che la associa, insieme al lungo chitone, alla Venere Genitrice.
Il rigore morale e la tutela della religione tradizionale sono riassunte nelle statue appena citate, e si era tradotto nelle sanzioni della “lex Iulia” contro chi favoriva l’adulterio anche con il suo silenzio. E c’è una serie di busti ad evocare la repressione augustea di ogni trasgressione, anche di quelle da parte di propri familiari. Vediamo il raro “Ritratto di Giulia Maggiore”, 12 a. C, .la figlia di Augusto e di Scribonia che fu costretta a sposare per motivi politici Marcello, Agrippa e Tiberio, per poi finire, per ordine dell’imperatore, dopo l’accusa di adulterio, nell’isola di Pandataria, oggi Ventotene; dove fu relegata nell’8 d.C. anche la figlia che Giulia ebbe con Agrippa, di cui vediamo l’altrettanto raro “Ritratto di Giulia Minore”, , sec. a. C.-I sec. d. C., per un’analoga trasgressione al rigore morale della famiglia imperiale. La rarità di questi due busti è dovuta al fatto che si sarebbero salvati dalla distruzione operata in una sorta di “damnatio memoriae”.
Seguace giorgionesco, “Apollo e Dafne”, 1515-20
Per completezza evocativa la serie di busti comprende anche il “Ritratto di Marcello”, 25-10 a. C., il “Ritratto di Agrippa”, fine I sec. a. C., e la “Testa di Tiberio”, metà I sec. d. C., i tre consorti di Giulia Maggiore, il primo, morto prematuramente, era un altro figlio della sorella di Augusto Ottavia, il secondo compagno di battaglie di Ottaviano, il terzo figlio di Livia destinato a diventare imperatore.
Nell’alternanza di temi e tipologie di opere, sempre in linea con il “fil rouge” della mostra, seguono l'”Altare dei Lari”, 2 a. C., il “Rilievo delle Vestali”, I sec. d. C., e le “Lastre Campana”, 42-46 a. C.. I Lari e le Vestali richiamano i valori tradizionali che Augusto voleva restaurare, le lastre che prendono il nome dal collezionista dell”800 destinate alla residenza di Ottaviano recano, insieme a motivi decorativi e a divinità egizie, gli dei romani Apollo ed Ercole.
Apollo lo troviamo anche nelle 34 monete esposte, “Denario di Ottaviano” e “Denario di Augusto”, in argento, “Aureo di Ottaviano”e “Aureo di Augusto”, “Aureo di Tiberio” e “Aureo di Gaio (Caligola)” ovviamente d’oro, dal 32 a. C. al 41 d. C; e vediamo che, oltre alla testa dell’imperatore, in alcune monete ci sono le tre divinità, Venere, Marte e Apollo: la prima come progenitrice della “gens Iulia”, il secondo come dio vendicatore cui aveva fatto un voto a Filippi, il terzo suo protettore, per accentuare la solennità imperiale con la sacralità divina.
La dissacrazione mitica delle divinità protettrici di Augusto
Sono proprio Venere, Marte e Apollo, cui si aggiunge Giove e Plutone, le divinità evocate in modo garbatamente provocatorio nei versi di Ovidio e quindi nelle opere esposte in mostra che li fanno rivivere in modo spettacolare.
Per Venere, la “Statua di Afrodite pudica”, II sec. d.C:, descritta maliziosamente da Ovidio nell'”Ars Amatoria”, e la “Venere pudica” di Sandro Botticelli, 1485-1490, già danno un’immagine disinibita della ben più austera “Venere genitrice”, in particolare della “gens Iulia”.
“Statua di Antonia Minore come Venere Genitrice”, metà I sec. d. C.
Ma non è ancora nulla rispetto alle due opere intitolate “Marte e Venere sorpresi da Vulcano”: la terracotta di età ellenistica con i due amanti seminudi incatenati dal dio tradito, e Marte che cerca invano di liberarsi con la spada; e il dipinto di Giovanni Battista Carlone, dal verso 185 del III libro delle “Metamorfosi”, in cui Vulcano solleva il telo invisibile che ha imprigionato gli amanti nell’alcova, per esporli al ludibrio degli dei che assistono alla scena dall’alto quasi fossero a teatro. Invece nei due “Affreschi con Marte e Venere”, del 60-79 d. C. , di Pompei, nulla di tutto questo, gli Amorini con le carezze di Marte e l’abbandono di Venere sottolineano la passione amorosa.
Raffigurazioni imbarazzanti anche riguardo ad Apollo, per motivi diversi, sempre ispirate alle “Metamorfosi” di Ovidio: nei due intonaci dipinti a mano di Pompei, “Affresco con Apollo e Dafne: il corteggiamento” e “Affresco con Apollo e Dafne: la cattura”, i due momenti: il dio che suona la cetra per conquistare la ninfa,ma non ci riesce, lei fugge e viene rincorsa e afferrata da Apollo che supplica di lasciarla, prima di trasformarsi in alloro per sfuggirgli definitivamente; lo vediamo anche nel dipinto “Apollo e Dafne”, di un seguace di Giorgione del 1515-20.
Non occorre sottolineare come fosse umiliante per l’immagine del grande Apollo, considerato dall’imperatore, lo ripetiamo, il protettore della sua persona e della città di Roma, che una ninfa piuttosto che accettarne le profferte amorose con accompagnamento musicale preferisca diventare una pianta, invece di esserne lusingata. Quando il dio ha successo, finalmente, con la bellissima Chione, non ha conquistato una vergine, come credeva, perché è stato preceduto da Mercurio.
Leonardo da Vinci (copia da), “Leda e il cigno”, 1510-20
Giove predatore sessuale insaziabile e trasformista
Ce n’è anche e soprattutto per Giove, l’onnipotente signore dell’Olimpo, che Ovidio tratta come un insaziabile predatore sessuale con sotterfugi quali le trasformazioni. Lo vediamo nell’episodio mitico della “Leda con il cigno”, in cui Giove si trasforma,riprodotto in tante forme artistiche con la fanciulla ignara avvinta dall'”abbraccio” del cigno: nelle diverse raffigurazioni naturalmente cambiano forme e atteggiamenti, per lo più il cigno con il becco cerca di baciarla, lo vediamo nel “Gruppo statuario” del II sec. d.C., copia di un originale ellenistico del 10 a. C., e nei due “Affreschi” della prima metà del I sec. d.C., da Ercolano e Stabia, in cui la figura di Leda, sempre nuda, è impreziosita da un’acconciatura elaborata.
Anche in uno “Specchio” e in un “Cammeo” c’è la scena della “Leda con il cigno”, in modi molto diversi. Nel medaglione centrale dello specchio l’immagine di lei che, seduta su una roccia, offre da bere al cigno, mentre nel cammeo, a differenza delle raffigurazioni precedenti che la mostrano ignara, appare consenziente, semisdraiata sembra offrirsi all’amplesso con il volatile, è del III sec. d.C., periodo ellenistico, l’altra è del I sec,
L’ultima opera esposta che raffigura la “Leda con il cigno” è un quadro, copia da Leonardo da Vinci, del 1510-20, ma con delle incertezze, perché non si è sicuri che Leonardo lo abbia effettivamente dipinto mentre sono certi i numerosi disegni del Codice Atlantico in cui la Leda viene proposta sia inginocchiata che in piedi con diverse acconciature, prova che, comunque, studiò il tema. Il dipinto esposto la mostra in piedi, nuda, che stringe con le mani il collo del cigno il quale protende il becco verso il volto di lei, la testa è reclinata in modo vezzoso, seduti ai suoi piedi due bimbi, se avessero le ali sembrerebbero amorini, vengono identificati come i figli dell’unione, Castore e Polluce, e nell’uovo vicino si prefigura la nascita di Elena e Clitennestra.
Giovanni Antonio Figino, “Giove, Giunone e Io”, 1599
Un’altra trasformazione per possedere l’oggetto dei suoi desideri è quella nel toro, lo fa Giove per rapire Europa. Anche qui una serie di raffigurazioni su diversi supporti, le più antiche sono del 360 a. C., a figure rosse, in un “Cratere a campana apulo”, un‘”Anfora apula” e un “Cratere a calice pestano”, quasi in sequenza: nel primo il toro si avvicina alla fanciulla seduta all’aperto, nel secondo lei adorna le corna dell’animale, nel terzo è seduta sulla sua groppa, alcuni dei assistono al rapimento. Europa è seduta sul toro anche in un “Rilievo” del I sec. a. C.-I sec. d.C. e in due dipinti, il “Ratto di Europa” del Tintoretto, 1541-42 e di Antonio Carracci, 1602-05, che dimostrano come il fascino dei versi di Ovidio attraversa il tempo, lungo un arco di 1500 anni.
E poi vediamo trasformarsi di nuovo, questa volta in un’aquila, Giove per rapire Ganimede, di cui si è invaghito, non più una fanciulla ma un giovinetto che diventerà coppiere degli dei. E’ riprodotto in marmo in età coeva, I-II sec. d.C., nel “Gruppo scultoreo di Ganimede con l’aquila” e nel “Rilievo con Ganimede”; nel 1550 nel bronzo “Giove e Ganimede”, in pittura nel “Ratto di Ganimede” di Damiano Mazza, 1575, e di Carlo Saraceni, 1605-08.
Trasformazione da parte di Gioveanche nel mito di Io, ma questa volta non è il dio ad assumere sembianze animali ma la ninfa di cui si è invaghito che lui trasforma in giovenca per nasconderla alla gelosa e vendicativa Giunone. Sono varie le opere esposte, anche del I sec. a. C., il busto marmoreo “Testa di Io”, l’“Anello smaltato con testa di Io” del grande incisore Dioscuride, e i due affreschi, “Io, Argo e Mercurio” e “Io a Canopo”.
Tintoretto (Jacopo Robusti), “Ratto di Europa”, 1541-42
Nella testa di Io dei ritratti, due piccole corna per evocare la giovenca, negli affreschi vari momenti di una odissea che si conclude a Canopo, in Egitto, dalla dea Iside, dopo che la giovenca imprigionata da Giunone e tormentata da Argo che la sorvegliava, fu liberata da Ermes, ma la dea continuò a tormentarla con un tafano e lei per liberarsi percorse il Mediterraneo dando il suo nome al Mar Ionio, fino all’Egitto dove riprese le sembianze umane e diede alla luce il figlio di Giove, Efeso, progenitore della Danaidi, diventando dea egizia. Nel dipinto di Giovanni Antonio Figino, “Giove, Giunone e Io”, 1599, la fase iniziale del mito, Giunone che scende dall’alto mentre Giove seduto in basso ha appena trasformato Io in giovenca.
L’apoteosi nella “Spalliera di letto con gli amori di Giove”, di Alessandro Allori, 1572, un grande dipinto su tavola con al centro “Ganimede rapito da Giove”, ai lati “Leda con il cigno” e il “Ratto di Europa”, con le trasformazioni di Giove, e, nelle grottesche, “Apollo e Dafne” e “Venere dormiente”, “Nettuno sul cocchio” e “Pan e Siringa”.
Proseguono le “Metamorfosi” ovidiane con tanti altri miti, le ulteriori opere d’arte ad essa ispirate occupano l’intero piano superiore della mostra. Osservano in proposito Antonella Colpo e Giulia Salvo: “Nelle ‘Metamorfosi’ il fuoco della passione non risparmia nessuno: si desiderano mortali ed eroi, ma anche dèi maggiori, panisci e ninfe, dando così vita a un intricato sistema di relazioni affettive, inganni, tradimenti, ossessioni, possessioni”. L’esito è quasi sempre sfortunato, spesso addirittura tragico con la frequente presenza degli dei che, se non sono protagonisti delle vicende, intervengono in aiuto di chi si è sentito offeso, molte volte vendicandolo in modo anche crudele.
Ne parleremo prossimamente nell’articolo conclusivo sulla mostra, descrivendo le opere esposte, ispirate alle altre immagini mitiche evocate dai versi immortali di Ovidio.
Damiano Mazza, “Ratto di Ganimede”, 1575
Info
Scuderie del Quirinale,via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì, ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-22,30, ingresso consentito fino a un’ora dalla chiusura. Ingresso e audioguida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per under 26, insegnanti, gruppi, forze dell’ordine, invalidi parziali, euro 2 per under 18, guide, tessera ICOM, dipendenti MiBAC, gratuito per under 6, invalidi totali. Tel. 06.81100256. www.scuderie.it. Catalogo “Ovidio. Amori, miti e altre storie”, a cura di Francesca Ghedini con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zalabra, Editore arte,m – L’ERMA di Bretschnider 2018, pp. 310, formato 24 x 30; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo sulla mostra è uscito, in questo sito, il 1° gennaio 2019, il terzo e ultimo uscirà l’11 gennaio, con altre 13 immagini ciascuno. Cfr. inoltre i nostri articoli, in questo sito, per la mostra “Augusto”, 9 gennaio 2014; in abruzzo.cultura.it per “Villa Giulia a Ventotene” (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nelle Scuderie del Quirinale, si ringrazia Ales S.p.A., con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta; è riportato un campionario di quelle citate in questa prima parte di commento ai miti evocati nell’opera di Ovidio. In apertura, “Statua di Venere ‘Callipigia’“, metà II sec. d. C, a sin, “Affresco con pittura di giardino”, 1^metà I sec. d. C, al centro, “Statua di Eros con l’arco”, copia del I sec. d. C. da originale del IV sec. a. C., a dx; seguono, “Rilievo delle Vestali”, ,fine I sec. d.C., e “Affresco con Satiro e Menade”, 60-79 d.C.; poi, “Rilievo paesistico detto di Polifemo e Galatea”,fine 1° sec. a. C., inizio II sec. d.C., e”Affresco con Amore e Psiche”, 60-79 d. C,; quindi, “Statua di Livia, 38-40 d. C., e Seguace giorgionesco, “Apollo e Dafne”, 1515-20; inoltre, “Statua di Antonia Minore come Venere Genitrice”, metà I sec. d. C., e Leonardo da Vinci (copia da), “Leda e il cigno”, 1510-20; ancora, Giovanni Antonio Figino, “Giove, Giunone e Io”, 1599, e Tintoretto (Iacopo Robusti), “Ratto di Europa”, 1541-42; infine, Damiano Mazza, “Ratto di Ganimede”, 1575 e, in chiusura, Pietro da Barga, “Plutone e Proserpina”,1587.
La mostra a Palazzo Ciipolla, nel Corso di Roma, “Ennio Calabria, verso il tempo dell’essere. Opere 1958-2018” , aperta dal 20 novembre 2018 al 27 gennaio 2019, espone 80 opere, in maggioranzadi grandi dimensioni – alcune realizzate per l’occasione nel 2018 – incentrate sull’essere umano nel succedersi sempre più veloce di eventi. L’antologica è promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presieduta da Emmanuele F. M. Emanuele, organizzata da “Poema” con “Archivi Calabria”, supporto tecnico di “Civita mostre”, curata da Gabriele Simongini, come il catalogo bilingue, italiano-inglese, della Silvana Editoriale. Riportiamo le impressioni dalla visita alla prima parte dell’itinerario artistico, tra il 1958 e il 1988, successivamente seguirà il resoconto dell’ultima fase, dal 1989 al 2018.
La locandina della mostra
Abbiamo già sottolineato i motivi alla base della mostra e il suo valore speciale, cercando poi di penetrare nel mondo dell’artista, non solo pittorico ma anche filosofico, per la profondità delle sue riflessioni che non hanno nulla di ideologico, nonostante come cittadino sia politicamente e socialmente schierato, ma molto di ideale, riguardando l’essere umano in un mondo attraversato dall’incessante cambiamento prodotto dalla tecnologia sempre più dominante.
Calabria mette in guardia dinanzi al rischio incombente della perdita di ogni riferimento ai valori sotto la spinta del contingente e del conveniente che porta ad agire nell’immediato soltanto seguendo l’intuizione, in una soggettività che sembra essere l’antitesi del pensiero condiviso con cui si forma la coscienza collettiva.
Dinanzi a questa involuzione che fa temere per il futuro dell’essere umano – impossibilitato per la velocità della vita ad avvalersi del patrimonio di conoscenze, e quindi di valori, accumulato nella storia – si affida a una speranza basata su una constatazione: l’individuo resta pur sempre l’unico dotato di autonomia di pensiero e di coscienza, per cui la sua diventa una “soggettività complessa” da cui si possa “ripartire” prendendo atto della discontinuità che richiede nuovi codici interpretativi.
E l’artista? Così si definisce lui stesso: “Un testimone che, per propria genericità, è un testimone sociale, un testimone interessato alla dimensione umana compromessa dentro le vicissitudini della storia”. Per poi precisare: “La pittura per me è sintesi testimoniale di movimenti strutturali della personalità psichica contemporanea”.
Ida Mitrano apre la sua accurata ricognizione del percorso dell’artista – cui faremo ampio riferimento – collegandone le opere all’evoluzione nel sessantennio, con queste parole: “Uno studio sull’opera di Ennio Calabria non può prescindere dalla complessità del rapporto vita-pittura che lo caratterizza come artista, né dalla sua visione della realtà, né dai mutamenti sociali del nostro tempo. In tal senso, pensiero-vita-pittura è un corpus unico, inscindibile. Così come il pittore, l’uomo, l’intellettuale sono espressione unica di un’identità corale, nel tempo lungo attraversato”.
“La giuria”, 1959
Il “tempo lungo” dell’artista
Di questo “tempo lungo” possiamo dare qualche flash attraverso il percorso dell’artista che ne interpreta i motivi più pressanti, in una evoluzione stilistica e di contenuti con la stella polare dell’essere umano, sempre al centro della sua ricerca pittorica, come del suo pensiero profondo.
C’è qualcosa di molto significativo negli anni della formazione, il trasferimento dalla natia Tripoli a Roma, con il conseguente spaesamento, e la morte del padre, con la ricerca di evasione nel sogno – il “desiderio di volare”- la vocazione per l’arte con il premio a 14 anni a un concorso per ragazzi, il liceo artistico e la frequentazione dello studio del docente dell’Accademia Belle Arti Lorenzo Michele Gigiotti, nonché del Mattatoio romano con il cupo spettacolo del macello degli animali fino all’incontro con il pittore Paolo Ganna, cui deve la prima personale nella Galleria “La Feluca” di Roma , l’8 novembre 1958, a 21 anni.
E’ attratto da Goya,Cézanne e Picasso per “l’attenzione verso la costruzione della forma, verso la pittura in quanto essa stessa contenuto e non puro mezzo di rappresentazione”. In Picasso vede “un livello molto alto di assimilazione, di interiorizzazione dell’esperienza cezanniana. Picasso ha rappresentato per me una forma di semplificazione”.
Incontra i critici e gli artisti del momento, tra cui Renato Guttuso, che lo definì “un giovane di talento che merita di essere nostro amico” e vedendo i suoi quadri esclamò: “Questo ragazzo ha uno stile innato”. Lo racconta lui stesso in una conversazione con Marco Bussagli, nella quale aggiunge: “Renato mi sosteneva, ma poi questo sostegno è venuto meno”.
Nella fase iniziale, precisa, “non dipingevo i contenuti, ma le forme”; lo faceva con segni e macchie di colore senza riconoscersi nelle avanguardie informali anzi – ha ricordato in una intervista del 2007 – “sono apparso, e forse l’interesse che c’è stato è per questo, come il pittore che riusciva a dare in qual momento una risposta in qualche modo competitiva all’egemonia totale dell’astrattismo, senza dimenticare il forte equivoco che si era creato intorno al neorealismo”.
“La città che scende”, 1963
L’interesse per i contenuti, relativi all’essere umano e alla realtà in cui vive, diventa presto preminente, a questo sacrifica anche il lancio in America dopo il successo della mostra del 1958 presso gli americani che acquistarono tutti i quadri esposti a quotazioni alte, poi ridimensionate per il suo rifiuto di rinunciare all’arte sociale. Dice, invece, con chiarezza e decisione l’anno dopo: “Non si potrà sfuggire alle istanze realistiche che la vita stessa d’oggi pone… Non si può sfuggire a una precisa responsabilità artistica: dipingere la natura avendo una lucida coscienza storica dell’epoca”. La natura non è un’astrazione “fuori del tempo e dello spazio sociali. Perché il proprio polso batta sul ritmo del nostro tempo è necessario un rapporto con l’uomo e la società”.
Ma non aderisce alle posizioni ideologiche del neorealismo imposte alla militanza politica nella sinistra, in cui comunque si riconosce, è alla ricerca di “un rapporto organico con la vita e con la storia”, non vuole raccontare i suoi personali “isterismi, ma ciò che di più oggettivo sono capace di scoprire nei legami con la vita. Voglio farmi, per come posso, interprete del mondo che ribolle, che si modifica”.
Siamo nel 1960, ha 23 anni, spiega ulteriormente il suo pensiero nel 1061: “Quando dico che la pittura è precisazione delle idee intendo dire che essa è ‘conoscenza autonoma’ della realtà”. Autonomia, quindi, ma non solo, perchè aggiunge: “Per essere ancora più preciso, intendo dire che agli artisti non si può attribuire la funzione di illustratori di una realtà già nota e scoperta da altri. Anche la pittura può portare alla scoperta della realtà. Che ai pittori per combattere la battaglia di classe, si deve chiedere prima di tutto di essere buoni pittori, di fare bene il loro mestiere”. Nulla di precostituito e di improvvisato, l’opposto della visione strumentale oltre che smplicistica dell’arte come mezzo di lotta politica.
La pittura come verifica e non strumento dell’ideologia, dal 1961 al 1968
Con la costituzione, nel 1961, del gruppo “Il pro e il contro” si pone in contrasto con i gruppi astrattisti e con i neorealisti che allineavano in qualche modo l’arte ai dettami ideologici se non politici, l’impegno è di esplorare la realtà sul piano esistenziale senza contenuti ideologici precostituiti. Anzi, ritiene “indispensabile con la stessa pittura verificare la mia ideologia”, e questo mediante il rifiuto della mera imitazione della realtà per scoprirne gli aspetti nascosti e non conosciuti.
“Ingrao”, 1966
Ricordando il contesto estremamente politicizzato che faceva preferire “alla realtà la visione ideologica della realtà”, la Mitrano commenta: “Ma non è il caso di Calabria che, negli anni delle grandi battaglie sociali e culturali, vive la complessità delle cose e scandaglia la realtà in cerca della vita. Non gli interessa ciò che è acquisito ma ciò che è da ricercare, non ciò che è dato, ma ciò che è inedito”. Quindi nessuna denuncia precostituita, ma per usare le parole di Del Guercio, “una pittura che sia totalmente immersa nella contemporaneità e che, al tempo stesso proietti la contemporaneità dentro un denso spessore di storia futura consapevole del passato”, in modo che non sia cronaca contingente dominata dall’intuizione, ma rifletta il “pensiero profondo” sull’essere umano nei suoi rapporti con un mondo in incessante trasformazione.
A Roma, già l’anno dopo l’esordio, nel 1959, espone alla VIII Quadriennale Nazionale d’Arte, poi nel 1960 alla Galleria “L’Obelisco”, nel 1963 alla Galleria “Il Fante di Spade”, organizza il suo gruppo “Il pro e il contro” che chiuderà nel 1964, l’anno in cui espone dei ritratti alla Biennale d’Arte Internazionale di Venezia: vediamo “Stalin”, dall’espressione ambigua e sfuggente, ben lontana sia dalle raffigurazioni apologetiche della sinistra ideologica sia da quelle di segno opposto.
Di questi primi anni la mostra presenta”Imponderabile nel circo”,1958, “I motociclisti (La strada)” e “La giuria”, 1959, “La città che scende” e “Un’Annunciazione del nostro tempo”, 1963. Si nota una spiccata autonomia, oltre che dalle ideologie, anche dalle avanguardie e da correnti predeterminate, pur se sono evidenti influssi, in particolare dal futurismo: “La città che scende” viene accostata a “La città che sale” di Boccioni del 2010, una “citazione” non solo nel titolo.
Però i suoi modi sono personalissimi ed ha motivazioni antitetiche, non c’è in lui il compiacimento dei futuristi per il progresso – portatore del movimento e della velocità che sono al centro delle loro opere all’insegna del dinamismo – al contrario pensa che l’evoluzione tecnologica comprima l’essere e la persona. Lo si vede in questi dipinti con la figura umana abbozzata, tranne la nitida raffigurazione della “Giuria” e dell'”Annunciazione”, nell’affollamento oscuro di quest’ultima, presago della tragica fine del Cristo, c’è il presente, passato e futuro. E’ un modo inedito rispetto alle rappresentazioni consuete, che definisce così: “Una pittura che rimetta tutto in discussione; la realtà e le forme per esprimerla e che diventi, scaturendo dalla sua stessa interna logica (di forma, di colore, di ritmo compositivo) pensiero, filosofia, scienza”.
“L’edile e la luna (Luna lontana n. 1)”, 1965-66
Nel 1964, come accennato, si chiude “Il pro e il contro” perché dinanzi ai cambiamenti il gruppo si sfalda, Calabria si sente isolato nell’ambiente artistico romano e si ritiene “scomunicato” da Guttuso per non essersi allineato all’arte militante. Ma non demorde dalla sua ferma posizione, proprio in quell’anno scrive che la pittura deve essere “forza autonoma, non subordinata all’ideologia”.
Il suo impegno artistico e intellettuale viene stimolato dai mutamenti economici e sociali dovuti soprattutto all’evoluzione tecnologica sempre più accelerata, per cui il rapporto arte-tecnologia diviene centrale. Contro le tendenze in atto – con la Pop Art in crescita dopo il premio a Rauschenberg alla Biennale di Venezia – per lui è l’arte che deve “servirsi di tutti i contributi possibili, strumentalizzando il linguaggio tecnologico”, senza farsene condizionare, in modo da collegare “la realtà odierna e la sfera vitale delle passioni e dei miti popolari”.
L’essere umano resta al centro della sua attenzione, ma ora viene collegato al paesaggio urbano, e c’è molto interesse alla condizione del lavoratore, nella chiave della testimonianza dei problemi inerenti la realtà contemporanea: cioè il “fatto” cui si rivolge la sua arte non in termini cronachistici ma di segni esemplari della condizione umana da esplorare nei suoi valori e significati profondi. Nel momento in cui viene meno una visione comune, osserva la Mitrano, “la pittura risponderà sempre più alla necessità di testimoniare il tempo presente, facendo dell’esperienza creativa un processo conoscitivo capace di generare cultura”, in modo da avere una visione lungimirante.
Tutto ciò considerando l’impatto sempre più forte e persuasivo dell’immagine, anche pubblicitaria, amplificata dalla scena mediatica: “Fatto, questo – si legge nei suoi “Scritti personali” del 1966 -67 – di grande importanza per l’ipotesi di una figurazione capace di condensare in sé un momento di certezza; senza rimandi a un ‘poi ideologico’, calarsi nella reale temperatura delle passioni delle masse, evitando modelli precostituiti”. Ribadisce l’autonomia, ma non sembra asettico, tutt’altro.
Tre opere molto diverse nel 1965, “Quando viene l’estate” presenta una scena aperta e solare con forme indistinte che nella loro morbida chiarezza danno il senso della vacanza distensiva; invece in “Funerali di Togliatti” la scena è opprimente, con le figure scure di Amendola e Ingrao a prefigurare gli scontri politici futuri, l’unica luce è nelle teste e nelle mani che si affollano confuse in primo piano evocando il dolore della classe operaia; precede di sette anni la spettacolare opera di Guttuso, che invece è infiammata dal rosso delle bandiere, con i fiori che incorniciano il volto di Togliatti, la folla di teste delineate in modo netto, pur nel grigiore senza colori, con riconoscibili i volti dei grandi del comunismo – da Lenin presente più volte, a Stalin, a Gramsci – insieme ai dirigenti uniti nell’ultimo saluto al leader scomparso. “Ingrao” è un ritratto nel 1961, di impronta picassiana. Nel “Ricordo lucano”, del 1965, tagliato in due parti, bianca e nera, si affaccia un’immagine inquietante; mentre il ben diverso “Un vespaio”, 1967, mostra una figura anch’essa inquietante perché emerge da un grande nido di vespe, è il volto con la caratteristica barbetta di Ho Chi Min, vincitore della guerra in Corea.
“Frammenti a parete”, 1978
Dal ’68 al ’74, dalla contestazione alla CGIL
Nell’itinerario dell’artista siamo al 1968, si impegna nel cercare di capire le ragioni della crisi del sistema e le istanze della contestazione studentesca, poi anche operaia, sempre nella sua visione di calarsi nella realtà senza posizioni precostituite. La sua azione pubblica è diretta, è attivo in manifestazioni di appoggio alla contestazione fino all’elezione di sedi di dissenso rispetto a quelle ufficiali, l’Accademia delle Belle Arti rispetto alla Biennale di Venezia, le Giornate del cinema rispetto alla Mostra del cinema. Inoltre interviene nei dibattiti e negli incontri, come quello sulla situazione delle arti figurative e sulla Biennale di Venezia dal titolo eloquente: “Una nuova Biennale, contestazioni e proposte”.
Renato Guttuso aiutò a dipingere un “tazebao” gli studenti universitari su loro richiesta sebbene appartenesse agli aborriti docenti, ma non lo ritenevano un “barone”, e cercò di rimuovere l’avversione del Partito comunista scrivendo ad Amendola che poteva spiegare le loro ragioni; inoltre dipinse l’abbraccio tra due giovani “sessantottini” che rompeva un tabù borghese.
Del 1968 sono esposti due ritratti a personaggi emblematici, “Mao pianeta” e “Ipotesi per un monumento equestre a Che Guevara”, in entrambi le figure sono interpretate nell’immaginario collettivo di vaste masse, il primo con il volto aperto in un sorriso che si allarga in più piani, come per moltiplicarsi, il secondo visto più come totem che come monumento. Realizza anche un murale per la Casa del popolo nel quartiere romano di Pietralata; nell’anno successivo tiene una mostra personale alla Galleria “La Nuova Pesa”, sempre a Roma, cogliendo l’occasione, anche rispetto alla critica, di affermare con forza l’esigenza che la pittura ritrovi la propria funzione nella vita reale, per non essere confinata in un museo.
Antonello Trombadori si espresse così: “Calabria non ha avuto bisogno di attendere il crollo dell’informale e il revival tecnologico oggi in atto, per riproporre con vigore l’alternativa che l’arte nuova o sarà il frutto di una rivoluzione figurativa o non sarà”. Con questo straordinario riconoscimento: “Egli su questa strada ha camminato fin dai suoi esordi e la sua capacità d’inventore di immagini è divorata da questa passione”.
“I giovani”, 1979
Nella ricerca sull’essere umano immerso nella realtà lo interessa sempre più la condizione operaia, nel 1969 incontra i lavoratori del Tiburtino III, predispone grandi sagome dipinte per la Festa dell’Unità nel quartiere, sarà la base per creare nel 1971 un Centro di produzione e organizzazione culturale, l’ “Alzaia”, che organizzerà mostra collettive di grafica socialmente impegnata. Analoga partecipazione alle Feste dell’Unità a Firenze nel 1970 e nel quartiere Flaminio a Roma nel 1972; nel 1970 aveva partecipato alla mostra di Arezzo dal titolo eloquente: “Arte contro 1945-70, dal realismo alla contestazione”. Il suo impegno culturale prosegue senza sosta, con l’obiettivo di penetrare nelle comunità mediante strutture di quartiere, collettivi interdisciplinari e altre forme come i manifesti per gli eventi che coinvolgono vaste masse, quindi rappresentano un efficace strumento di comunicazione con le forze che muovono la società: nascono così i Manifesti per la CGIL e i Manifesti per ilTribunale Russell, esposti nella mostra in una suggestiva sfilata nel corridoio che unisce due sale con i grandi dipinti spettacolari; sono secchi, netti e schematici.
L’evoluzione della sua arte – pur nella continuità di fondo della visione dell’essere nella realtà – è continua, nella opere esposte alla mostra personale del 1971 alla Galleria “La Nuova Pesa” appaiono sempre più gli operai, in specie gli edili, negli scenari urbani, Non si tratta di denuncia politica di sopraffazioni – come in Guttuso – ma di esplorazione della nuova condizione personale e umana dinanzi ai mutamenti della realtà e quindi della vita. “L’edile e la luna (Luna lontana n. 1)”, 1971, esposto in mostra, presenta l’operaio abbattuto e oppresso, ma con una striscia luminosa verso l’alto che sembra prefigurare una strada in ascesa per la liberazione sulle ali di un sogno.
Altre due opere del 1972, “Edile a Tiburtino” e “Un edile”, non esposte, sono pervase di umanità, le impalcature, osserva la Mitriano, “sono la sua prigione, ma anche la sua forza, il suo contenuto umano, etico, politico nel momento in cui acquisisce coscienza storica”. E aggiunge: “Su quelle impalcature suda, rischia, ma è ancora capace di sognare, di sperare, di essere uomo”. E’ il tema della Biennale Nazionale d’Arte a Milano a cui partecipa nel 1971, “Situazione dell’uomo: contraddizioni a confronto”, sulle nuove tecnologie rispetto alle comunicazioni di massa; nell’anno realizza “Gandhi”, che vediamo esposto, una sorta di ectoplasma carismatico che domina dall’alto un magma in movimento, la società indiana che ha scosso dopo un’immobilità millenaria.
Ancora nel 1972, oltre alle opere sugli edili cui abbiamo accennato, ne realizza altre ispirate al conflitto vietnamita che mobilitava manifestazioni di protesta della sinistra e dei pacifisti in Italia e nel mondo. Sono esposte “Lontano dal Vietnam” e “Vittoria del Vietnam in Occidente” in cui, a differenza delle opere finora considerate, per lo più dal cromatismo tenue e sfumato, vi è una forte dominante rossa e rosa su fondo nero, con immagini sfuggenti in squarci chiari e bianchi; fanno eccezione rispetto alla sua costante distanza dagli eventi al centro della polemica politica.
“Caffè Florian”, 1981
Tra il 1971 e 1974 è impegnato in altre 5 mostre promuovendo la centralità dell’arte figurativa anche se, lo ripetiamo, la sua interpretazione è personalissima, la forma evanescente e aggrovigliata, deformata così da perdere la riconoscibilità che è nella sua mente. Le mostre si svolgono a Napoli e Siena, Anagni e Milano, nonché alla X Quadriennale di Roma del 1972, i titoli evocano l’aspetto innovativo: “Aspetti della nuova figurazione” e “Ricerche figurative”, “Nuove ricerche della realtà” e “Nuove ricerche d’immagine”, fino a “Presenze e tendenze nella giovane arte”. Nel 1973 realizza una installazione per la mostra a Gualdo Tadino, “Immaginazione e potere. Pittura, scultura e design in una esperienza di gruppo”, con televisori e ombrelli, questi ultimi dal significato allusivo al bisogno di protezione, li ritroviamo nell’opera esposta dell’aprile 2018.
Dal 1974 al 1988, il rinnovamento artistico
Abbiamo accennato prima ai suoi manifesti per la CGIL, ebbene a questa sua presenza nel sindacato c’è un seguito: nel 1974 entra nel consiglio direttivo della Biennale di Venezia proprio in rappresentanza della CGIL, ci resterà fino al 1978, si impegna per il rinnovamento dell’arte coinvolgendo le forze operaie e perciò partecipa solo alle mostre collettive, tornando a una mostra personale a Bologna solo nel 1978, ripetuta nei due anni seguenti in altre sei città, tra cui Roma. E’ l’ultimo impegno diretto in campo sociale e, indirettamente, politico.
La situazione cambia ancora e lui si interroga sugli effetti che può avere nella pittura il profondo mutamento in atto, la conclusione sembra essere un allontanamento dai temi politicamente impegnati per concentrarsi ancora di più sulla condizione umana, sempre partendo dalla realtà.
Osserva la Mitrano: “Certamente Venezia, città visionaria e decadente, dalle atmosfere misteriose, dai luoghi fantasticamente sospesi tra realtà e sogno, deve aver suscitato in Calabria sensazioni, vissuti, emozioni, che non avevano ancora trovato sistemazione nella pittura”. La direttrice con cui ridefinisce la sua pittura, peraltro già attenta alla condizione umana, è la revisione – sono le sue parole – delle “esperienze fatte con l’immersione nel politico, per riproporle di nuovo in uno sforzo più rigoroso di recupero del ‘sociale’ e del ‘psicologico’, per un ampliamento della funzione conoscitiva dell’opera”. Ciò vuol dire allontanarsi ancora di più dalle “certezze” dell’ideologia – che non ha mai abbracciato, a differenza dei neorealisti orientati a sinistra come lui, del resto – per concentrarsi maggiormente nella ricerca della condizione umana anche nelle sue forme sociali.
“Il traghetto per Palermo”, 1984
Sono esposti dipinti molto significativi che documentano questa evoluzione: “Frammenti a parete” e “Pantheon”, 1978, “I giovani” e “Da una città d’Italia”, 1979, accomunati da toni scuri e da forme indistinte, nel primo e nel terzo si percepiscono appena particolari di figure umane, il quarto merita un’attenzione particolare. Sono tutti di notevoli dimensioni, lunghi oltre 2 metri e alti tra 1 m e 1,70, ma l’ultimo li supera, 2,50 per 2,30; non è il motivo della sua rilevanza, quanto il significato che l’artista attribuisce ai sacchi di plastica buttati alla rinfusa riprodotti nel dipinto dopo averli visti nella realtà in una strada di periferia: “Ho avuto la sensazione che quella plastica nera nascondesse grandi verità, ma troppo pericolose. Ho pensato che la gente, la sera mettesse dentro quei sacchi l’immaginazione e la creatività, tanto pericolose e dannose ad un soporifero e passivo adattamento alla spietata e vuota routine del quotidiano”.
Negli anni ’80 è intensa la sua partecipazione a mostre, nel 1981 la collettiva “Linee della ricerca artistica 1960-80” al Palazzo Esposizioni di Roma e le personali al centro Mexico-Italia Adriano Olivetti e a Città del Messico, nel 1982 in Finlandia e a Roma, nel 1984 a Roma alla Galleria “La Gradiva” e a New York, nel 1985 a Milano, nel 1986 alla XI Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, nel 1987 sempre a Roma a Castel Sant’Angelo, nel 1988 di nuovo a “La Gradiva”.
Di questo periodo di intenso rinnovamento artistico sono esposte 5 opere: la piccola “Caffè Florian”, 1981, e “La luce del mare”,1984, accomunate dall’oscurità e da immagini evocative; due opere del 1985, “Il traghetto per Palermo” e “Un gioco nel vento”, accomunate da un cromatismo chiaro, con figure riconoscibili, nel primo le auto, nel secondo le due donne e i fogli; il quinto, “La città dentro”, 1987, addirittura 2 m per 4 m, con forme che rappresentano forze contrapposte. Claudio Crescentini: pone il dipinto “all’apice” della sua ricerca in quella fase: “Un nuovo manifesto programmatico di Calabria, una nuova – diversa – prospettiva emergente dell’artista verso il prossimo decennio nel momento in cui si vanno sintetizzando temi e comportamenti pittorici sempre più personali e comunque coerenti con i tre precedenti decenni di sviluppo creativo dell’artista”.
Prossimamente parleremo dei tre decenni successivi, fino al momento attuale.
“La città dentro”, 1987
Info
Palazzo Cipolla, Via del Corso 320, Roma. Tutti i giorni, escluso il lunedì, ore 10,00-20,00, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 7, ridotto euro 5 per gli under 26 e over 65, forze dell’ordine e militari, studenti universitari e giornalisti, convenzionati, gratuito under 6 anni, disabili con accompagnatore, membri ICOM e guide turistiche. Tel. 06.2261260. Il primo articolo sulla mostra è uscito, in questo sito, il 31 dicembre 2018, il terzo e ultimo articolo uscirà il 10 gennaio 2019, con 11 immagini ciascuno. Per quanto citato nel servizio cfr. i nostri articoli, in questo sito: per Renato Guttuso, “Guttuso rivoluzionario” 14, 26, 30 luglio 2018, “Guttuso innamorato” 16 ottobre 2017, “Guttuso religioso” 27 settembre, 2 e 4 ottobre 2016, “Guttuso antologico” 16 e 30 gennaio 2013;per “Picasso” 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, “Cèzanne” 24, 31 dicembre 2013, il “Padiglione Italia Regione Lazio” 8 e 9 ottobre 2013; per i”Futuristi” 7 marzo 2018, sui singoli artisti “Marchi” “Deineka” 26 novembre, 1 e 16 dicembre 2012, “Franco Angeli” 31 luglio 2013; per la Pop Art e le altre avanguardie americane“Guggenheim” 23 e 27 novembre, 11 dicembre 2012; per gli “Astrattisti italiani”, 5 e 6 novembre 2012; in abruzzo.cultura.it, per i “Realismi socialisti” 3 articoli il 31 dicembre 2011,gli “Irripetibili anni ’60”, 3 articoli il 28 luglio 2011, il “Futurismo” 30 aprile, 1° settembre e 2 dicembre 2009, “Picasso” 4 febbraio 2009 (il sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Cipolla alla presentazione della mostra, si ringrazial a Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, con gli organizzatori e i titolari dei diritti, in particolare l’artista, per l’opportunità offerta. Le 10 foto dei dipinti di Ennio Calabria coprono i primi 30 anni del sessantennio 1958-2018. In apertura, la locandina della mostra; seguono, “La giuria”, 1959, e “La città che scende”, 1963; poi , “Ingrao”, 1966, e “L’edile e la luna (Luna lontana n. 1)”, 1965-66 ; quindi, “Frammenti a parete”, 1978, e “I giovani”, 1979; inoltre, “Caffè Florian”, 1981, e “Il traghetto per Palermo”, 1984; infine, “La città dentro”, 1987, e, in chiusura, i Ritratti, “Ipotesi per un monumento equestre a Che Guevara”, 1968, a sin – “Gandhi”, a dx.”
Ritratti, “Ipotesi per un monumento equestre a Che Guevara”, 1968, a sin – “Gandhi”, a dx.
“Ovidio, amori, miti e altre storie” si intitola la mostra aperta alle Scuderie del Quirinale, dal 17 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019, celebrativa del Bimillenario della morte del poeta. Una grande mostra con 250 opere d’arte per far rivivere l’influenza nel tempo della sua poesia dell’amore con straordinarie figure mitiche. Ben 85 prestatori, 40 collaboratori alla mostra organizzata da Ales S.p.A., la società “in house” del MiBAC che gestisce le Scuderie del Quirinale, presidente e A.D. Mario De Simoni, a cura di Francesca Ghedini che ha curato, con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zagabra anche il monumentale Catalogo, con 20 saggi e altrettanti autori di 200 schede, edito da Arte,m-L’ERMA. Nel periodo della mostra, 11 incontri con studiosi, 7 in luoghi evocativi di Roma e 4 nella Sala didattica e nelle sale espositive, più 2 visite guidate nel Parco archeologico del Colosseo; fino al progetto “Disegna gli amori, i miti e le altre storie di Ovidio” con laboratori per le scuole e un concorso rivolto ai giovani dai 15 anni ai 25 anni per un fumetto in prosecuzione di una” storyboard” già disegnata sulle “Metamorfosi”.
“Statua di Afrodite pudica’“, II sec. d. C, al centro, dietro, a sin, “Affresco con Marte e Venere”62-79 d. C., a dx Giovanni Battista Carlone, “Marte e Venere sorpresi da Vulcano” 1650
Il valore della mostra
La mostra su Ovidio è il coronamento di una serie di iniziative celebrative svoltesi nel Bimillenario della morte, avvenuta intorno al 18 d. C. a Tomi, remota località sul Mar Nero dove era stato “relegato” da dieci anni per ordine dell’imperatore Augusto, mentre le sue opere venivano fatte oggetto di ostracismo. L’esposizione non solo è all’altezza dell’importanza dell’evento, ma riesce a celebrarlo in un modo inaspettato.
Dopo convegni e seminari, incontri e letture, ora i fuochi d’artificio finali della grande festa con una mostra d’arte spettacolare, ricca di affreschi e sculture antiche, dipinti rinascimentali e documenti preziosi. E’ inaspettata perché si pensa che un famoso poeta dell’antichità possa essere ricordato solo commentando i suoi poemi e gli altri componimenti in versi, e ciò è avvenuto nel 2018 ad opera di illustri letterati; ma la caratura di Ovidio è tale che ha reso possibile organizzare l’attuale mostra nella quale invece sono presentate 250 opere d’arte, tra affreschi e codici miniati, sculture e dipinti.
Ciò perchè l’eco dei suoi versi è stata tale nei secoli, anzi nei due millenni trascorsi, da ispirare artisti di ogni tempo per opere d’arte dai più diversi soggetti, sempre riferiti alle sue creazioni poetiche che hanno dato vita o celebrato figure mitiche indimenticabili. Queste opere accompagnano il visitatore negli spazi espositivi delle Scuderie del Quirinale, in una cavalcata nel tempo nel corso della quale si può misurare la persistenza delle creazioni di Ovidio e la loro incidenza nelle varie epoche attraversate come un fluido magico. Incidenza che arriva ai tempi nostri, come osserva il realizzatore della mostra come presidente di Ales e delle Scuderie, Mario Di Simoni, affermando che “perdura l’influenza ovidiana in odierni testi letterari, come nelle opere di Ted Hughes, Yoko Tawada, Jane Alison, Edward Hirsch, Lucien d’Azay e molti altri”.
“Affresco con Meleagro e Atalanta”, fine I sec. a. C.- 1^ metà I sec. d. C.
Mentre il ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli, nel sottolineare che senza l’ispirazione di Ovidio non esisterebbero capolavori come il Narciso di Caravaggio e la Dafne del Bernini, nonché il ciclo della Farnesina e i manoscritti illustrati, cita le sue creazioni poetiche che non solo hanno dato vita a personaggi mitici inconfondibili, ma sono entrate nel linguaggio comune per definire figure e caratteri di ogni tempo: é chiamato Narciso il vanitoso ed egoista, Pigmalione lo scopritore di talenti, Adone il giovane bello e affascinante, sono di oggi, ma nati con Ovidio.
Non basta, De Simoni lo rende ancora più attuale, dopo duemila anni, affermando, rispetto ai moderni testi letterari da lui influenzati, che “gli scrittori moderni sembrano rivolgersi agli antichi quando sentono qualche analogia con le loro esperienze. Ad esempio, in periodi di stabilità e ordine pare prevalere l’attenzione verso autori come Virgilio e Orazio, ma Ovidio trionfa più facilmente in periodi che apprezzano e ricercano i mutamenti, il cambiamento”. E conclude: “Celebriamo dunque Ovidio, il maestro del cambiamento. ‘Tempora mutantur et nos mutamur in illis’“.
A questo punto l’interesse si acuisce, non si tratta soltanto di ammirare le opere d’arte a lui ispirate che fanno rievocare le sue creazioni poetiche, si pensi alle “Metamorfosi” oltre che alla epopea dell’amore popolata di straordinari protagonisti; ma di approfondirne la modernità nella spinta al cambiamento impressa alla sua epoca e poi proseguita.
“Rilievo con Apollo e Marsia”, età adrianea
Una spinta in primo luogo sul piano poetico con le nuove forme letterarie cui ha dato vita anche nella maturità trattando temi epici, cosmologici e religiosi. Poi sul piano del costume, con l'”ars amatoria” a dispetto della severità augustea imposta, fino al piano ancora più ampio della libertà e autonomia rispetto al potere con l’esaltazione di figure ribelli, affrontando le conseguenze delle sue posizioni espresse in versi immortali che alla bellezza poetica uniscono coraggio e ispirazione ideale.
Le trasgressioni del poeta fino all’esilio
Le notizie sulla vita di Ovidio aiutano a comprenderne la visione poetica e l’incidenza sul costume dell’epoca, protrattasi poi nel tempo. Il fatto che le notizie provengano da lui stesso e non siano riportate da storici o cronisti, come per altri grandi esponenti della latinità, le rende ancora più significative perché sono quelle che ha voluto tramandare dando loro particolare rilievo; altrettanto significativo che le ha fornite nelle opere scritte nei dieci anni finali della sua vita, e in particolare nella decima elegia del quarto libro “Tristia”, il cui il titolo la dice tutta sul suo stato d’animo nell’esilio sul Mar Nero.
Dall’accurata ricostruzione di Gianluigi Baldo ricaviamo, al di là della semplice biografia, quanto ci sembra più interessante per conoscere l’uomo e il poeta. I primi elementi che vogliamo sottolineare riguardano l’appartenenza all’ordine equestre e l’accesso, attraverso uno dei suoi tre matrimoni, ad una famiglia di grande prestigio che lo fece inserire nell’ambiente augusteo; poi la sua iniziale formazione giuridica e retorica, e il fatto che intraprese la carriera di magistrato nel collegio dei “tresviri capitales”, sotto la spinta del padre che ottenne per lui la dignità del laticlavio. Fece viaggi di formazione ad Atene, in Asia minore ad Alessandria, e in Sicilia. Sembrava dunque avviato alla brillante carriera cui il padre teneva molto.
“Affresco con Polifemo e Galatean”, 60-79 d. C.
Ecco, però, cosa avveniva in lui mentre cercava di assecondarlo, pur con sofferenza: “Io prediligevo, fin da ragazzo, il sublime culto dell’arte e la musa in segreto mi traeva alle sue opere. Spesso mio padre mi disse: ‘Perché ti dedichi a uno studio inutile? Perfino il Meonide non ha lasciato alcuna ricchezza’. Queste parole mi avevano convinto e, abbandonato completamente l’Elicona, mi cimentavo a scrivere in prosa; ma la poesia veniva da sé al suo ritmo appropriato, e quel che mi provavo a scrivere risultava essere in versi”. Per questo abbandonò la carriera forense per dedicarsi completamente alla poesia, mentre la formazione giuridica e la pur breve esperienza maturata in quel campo lasciarono dei segni positivi in qualche tratto della sua struttura poetica.
Troviamo in questa nota biografica il primo contrasto, la prima trasgressione. Una seconda, in parte conseguente, l’abbiamo riscontrata nel suo itinerario poetico. Divenne “il poeta della Roma galante”, osserva Baldo, quindi apparentemente in linea con l’appartenenza a una famiglia altolocata e l’inserimento nell’orbita augustea; ma la sua “Ars Amatoria” era in aperto contrasto proprio con la politica augustea.
Commenta la curatrice Francesca Ghedini:”La sua visione dell’amore come libero piacere della carne che non conosce confini, che il poeta propugnava con forza, non poteva piacere al reggitore dell’impero, quell’Ottaviano, che divenuto Augusto si era premurato di promulgare a più riprese leggi per la moralizzazione dei costumi”. Erano le “Leges Iuliae” con cui l’imperatore cercava di frenare l’apertura nei costumi con una severità – di cui era un simbolo il rigore morale della moglie Livia – che lo portò a punire come colpevole di adulterio la figlia Giulia, nata dalla breve unione con Scribonia, relegandola all’isola di Ventotene, dove si trovano i resti di Villa Giulia, un esilio come lo fu Tomi per il poeta; la seguì Giulia Minore, figlia di Giulia Maggiore e di Agrippa, condannata come la madre nello stesso 8 d. C. dell’esilio di Ovidio.
Pompeo Batoni, “Bacco e Arianna”, 1773
Ebbene, Ovidio non solo non recedette dalla trasgressiva “Ars Amatoria”, ma proseguì nel completamento e nella diffusione dell’opera aggiungendo ai primi due libri un terzo in cui le lezioni d’amore sono declinate dal punto di vista femminile e, cosa non solo trasgressiva ma in contrasto con le “Leges Iuliae”, con l’invito al silenzio a chi veniva a sapere di tradimenti. Seguì il poemetto “Medicamenta faciei feminae”, sulla cosmesi, e il manuale in versi “Remedia amoris” sull’arte di guarire le pene d’amore, in cui la donna è del tutto paritaria, cosa altrettanto trasgressiva.
L’esaltazione della donna emerge anche dalle “Heroides”, in forma di epistole, “lettere delle eroine” dell’amore, come se fossero state scritte agli uomini che le avevano abbandonate, ma non si riferiscono a persone reali del mondo a lui contemporaneo, bensì a figure mitiche , come Arianna e Didone, Penelope e Fedra, fino a Medea. In tal modo la psicologia femminile viene esaltata con il fascino del mito; e non si ferma lì, aggiunge coppie di lettere con la risposta dell’uomo.
Il culmine della sua visione poetica, le “Metamorfosi”, lo raggiunge poco prima dell’esilio dell’8 d.C., allorché le aveva terminate, vi sono figure anch’esse mitiche, viste spesso nei loro amori impossibili. Inoltre aveva compiuto la metà dei “Fasti” che completerà a Tomi. Quest’ultima opera, un poeta calendariale, è particolarmente interessante perché in parte scritto o rielaborato in esilio, quindi da un lato riflette la volontà di riaccostarsi al potere per poter riavvicinarsi a Roma, dall’altra la persistenza della sua posizione autonoma e libertaria, pur con toni più moderati.
“Affresco con Leda e il cigno”, 60-79 d. C.
“Mi preme solo ricordare, in conclusione, afferma Baldo, come il testo dei ‘Fasti’ racchiuda in un certo senso il vero segreto di Ovidio: nella sua natura di opera incompleta, e dunque aperta, si trova la chiave per afferrare il carattere fluido e cangiante della sua visione ideologica”. E lo spiega: “Nei ‘Fasti’ convergono, in certo qual modo, le tensioni contraddittorie della sua vita artistica, contesa tra una vocazione mondana e una vocazione all’affabulazione visionaria e mitica”. Con questo sigillo finale: “Non c’è da stupirsi, insomma, se nella calcolata frivolezza di molte sue scelte si nascondono le ragioni di una libertà pagata a caro prezzo”. Con la segregazione nell’esilio di Tomi.
D’altra parte, nell’esaltazione del mito, si possono vedere, come fa la Ghedini, “gli dei di Ovidio contro gli dei di Augusto”, perché sono presentati nei loro amori licenziosi, anzi adulterini, dai quali sembrano ossessionati esponendosi anche a umilianti fallimenti: “L’Apollo di Ovidio è amante sfortunato, che invano insegue ninfe e fanciulle, ora è gabbato… ora rifiutato”, mentre Giove “è presentato come amante insaziabile, predatore sessuale, protagonista di abusi e stupri, capace di ogni sotterfugio, inganno, travestimento per possedere l’oggetto del suo momentaneo desiderio”.
E pensare che Apollo era il protettore di Ottaviano da quando si era scontrato con gli assassini di Cesare! Divenuto imperatore Augusto continuò ad affidarsi alla sua protezione, e fece erigere un tempio dopo la vittoria su Pompeo, nelle feste portava una corona di alloro, sempre in omaggio al dio considerato “purificatore e vendicatore, ma anche il dio della pace che porta la guarigione e la conciliazione”. Giove, è inutile ricordarlo, nella severa concezione augustea era al vertice degli dei nell’Olimpo, garante dell’ordine nell’universo.
“Statua di Ermafrodito”, copia di II sec. d. C.
Anche Venere, “austera e matronale progenitrice” della stirpe imperiale, la “gens Giulia”, viene travolta in una relazione adulterina con Marte, padre di Romolo fondatore di Roma, e il marito Vulcano li punisce “imprigionandoli nel talamo ed esponendoli nudi al ludibrio degli dei”. Aggiunge la Ghedini: “In tal modo i due capostipiti della casata e della città vengono sbeffeggiati e umiliati”. Ci voleva del coraggio per tale trasgressione!
La forza dell’eros e i templi di Roma
L’audacia con cui ha trattato il tema dell’eros sfidando le rigide prescrizioni della severità augustea, per di più con la trasgressione di coinvolgervi gli dei protettori dell’imperatore, progenitori della sua gente e del fondatore della città, non ha eguali nell’antichità. Giampiero Rosati osserva al riguardo che mentre Saffo, Catullo e Properzio si erano limitati alle esperienze individuali, “Ovidio è poeta consapevolmente, orgogliosamente e integralmente (cioè con una globale visione del mondo) erotico” anche se nell’esilio dovette moderarsi per riavvicinarsi all’imperatore sperando di poter tornare a Roma. Pur con questa parziale presa di distanze, “quell’etichetta di ‘tenerorum lusor amorum’, ‘cantore di teneri amori’, definisce la sua identità di poeta e ne riassume la carriera”.
Anche perché va ben oltre l’aspetto sentimentale ed erotico: “L’amore è la forza vitale che dà impulso al ciclico rinnovamento della natura ma ispira e alimenta i rapporti tra gli umani e perfino tra le divinità”.
“Affresco con Io, Argo e Mercurio”, 60-79 d. C.
L”eros” celebrato e insegnato nell'”Ars Amatoria”, “opera a tutti gli effetti come una forza civilizzatrice capace di fungere da motore di sviluppo del mondo e che con la moderna Roma, nello stile di vita che caratterizza la sua opulenza imperiale, raggiunge il suo trionfo”; non solo, è anche l’energia che domina nel mondo degli dei. Le vicende amorose sostituiscono le imprese eroiche, l’imperio della forza viene sostituito dall’egemonia del desiderio, che non si limita ai rapporti personali, ma si estende ad altri campi per instaurare il potere.
Non è l’eroe al centro della sua narrazione, come nei poemi epici, ma l’amore che si incarna nelle semplci persone come negli dei in una concezione antropomorfica in cui le loro passioni sono umane, anche se questo può contraddire il concetto di divinità e minarne l’autorità, dato che sono in preda alle stesse frustrazioni e delusioni dei comuni mortali.
Gli amori raramente sono corrisposti, anzi danno molta sofferenza. Qualche volta hanno esiti tragici, ma più spesso si traducono in una metamorfosi dove “tutto cambia, nulla muore”, come afferma lui stesso. Questo “attiva il meccanismo motore del mondo: in un mondo senza morte (una delle principali singolarità dell’epica ovidiana, che la differenzia molto dall’epica classica) non ci sono punti fermi, tutto è instabile, in movimento”. Un movimento che porta al cambiamento, per questo, è stato definito “il maestro del cambiamento”, e mostra la sua maggiore attualità nelle fasi di trasformazione piuttosto che in quelle di stabilità, come abbiamo detto nella nostra citazione iniziale di De Simoni.
“Rilievo con Ganimede”, II sec. d. C.
L’amore è il tema centrale delle sue opere in assoluto, sovrasta ogni altro, in primo luogo il tema ambientale. Non è di certo il cantore della Roma augustea, in parte rimodellata dall’imperatore con diffusi restauri degli edifici pubblici e altri interventi togliendo i riferimenti storici, spesso settari, e omologando tutto intorno alla propria persona e alla propria famiglia, in una visione edificante.
Ovidio ne loda la ricchezza rispetto al passato, ma non si allinea al concetto tradizionale di “familia” esaltato dal principe anche sublimando la propria. Anzi utilizza monumenti ed edifici, pur identificati con le denominazioni familiari augustee, come luoghi per trasgressivi incontri amorosi.
“In questo quadro di riferimento, osserva Eugenio La Rocca, risulta stridente l’uso frivolo dei monumenti pubblici, quelli più affollati di ragazze, imposti dalle schermaglie erotiche rispetto alle motivazioni delle loro dediche”. E aggiunge: “E’ chiaro che Ovidio non denunci mai il sistema ideologico dominante, né contesti le ‘leges Iuliae’ sulla morale, ma per un poeta alla moda e assai letto, parlare di giochi d’amore tra i porticati degli edifici di Roma maggiormente connessi con la visione etica di Augusto significava essere per lo meno imprudenti”. E di certo lui stesso se ne avvede, tanto che afferma: “I miei versi spinsero Cesare a censurare me e i miei costumi per la mia Ars proibita”, e poi: “Gli ultimi eventi mi perdono, e dal fondo del mare un’onda sommerge una nave già spesso salva”.
Così conclude La Rocca: “Sembra potersi dedurre che i libelli erotici per di più scritti tanto tempo prima della condanna, furono un’ingannevole imputazione per nascondere le vere cause della punizione’ che, probabilmente, non aveva nulla a che fare con l”Ars Amandi’, malgrado il ‘mea culpa’ ritardato di Ovidio”. Ma risiedeva nelle sue irridenti trasgressioni all’ideologia imperiale.
“Affresco con Narciso”, 60-79 d. C.
La selezione delle opere per analogie “puntuali” con le “figurazioni” di Ovidio
Il rapporto tra Ovidio e le arti figurative, analizzato dalla curatrice Ghedini con Monica Salvatori, è molto particolare: “Ovidio non scrive d’arte né descrive l’arte. Se cerchiamo infatti nella sua vasta produzione descrizioni intenzionali di manufatti artistici, reali o immaginari, i risultati sono, per certi aspetti, deludenti”. Le descrizioni di opere d’arte sono rare e relative a quelle che hanno una speciale forza evocativa, ma questo “non deve però meravigliare: Ovidio non appartiene alla categoria degli scrittori o ‘descrittori’ d’arte, Ovidio l’arte la ‘crea’, e non con il pennello e lo scalpello, ma grazie al suo dominio sulla parola e alla musicalità del suo verso, capaci di evocare paesaggi, personaggi, situazioni che si fissano nella mente di chi legge con una forza che è stata l’origine della sua fortuna”.
La sua capacità immaginifica porta ad evocare viaggi, ambienti, contesti favolosi di grande fascino che restano impressi nel lettore e si trovano riflessi come in uno specchio nell’arte nei secoli. La Ghedini osserva che questo è avvenuto più nelle epoche successive che negli artisti coevi, dato che molte citazioni da parte di Ovidio di personaggi o fatti che si riscontrano nell’arte sono in un certo senso “casuali” perché “presenti nel suo quotidiano” piuttosto che “puntuali”.
Per confrontare la “narrazione dinamica” della poesia di Ovidio con la “narrazione statica” delle opere d’arte la curatrice spiega che da un lato si è scomposto il testo “separando le descrizioni precipuamente letterarie da quelle dotate di particolare forza figurativa, dall’altro classificato il repertorio iconografico sulla base dei contenuti, distinguendo il livello generico del soggetto da quelli più specifici di tema e schema“.
Antonio Giomina, “Piramo e Tisbe”, 1719
Dal confronto tra i “passi ‘figurativi’ ovidiani e la tradizione iconografica” si sono individuati “diversi livelli di tangenza… a seconda che le analogie fossero del tutto generiche… o più puntuali”. Sono state prescelte quelle più puntuali, in cui “la descrizione del poeta corrisponde a una determinata e riconoscibile iconografia oppure quando testo e immagine condividono uno o più dettagli così significativi e specifici da consentire un rapporto univoco”.
Questo metodo scientifico su cui si basa la scelta delle opere esposte è stato adottato nel progetto decennale, di cui la mostra è il coronamento, presso l’Università di Padova, ad opera della stessa curatrice Ghedini con Isabella Colpo e Giulia Salvo, insieme a studiosi di diverse discipline, letterati e storici dell’arte e della miniatura, dottorandi e studenti. E’ meritorio il rigore con cui è declinata la singolarità della celebrazione in forma artistica del grande poeta della latinità.
La sua è una poesia di rottura, che unisce erotismo a trasgressione rispetto al moralismo augusteo e alla severità delle leggi repressive della libertà dei costumi di una società gaudente; ma anche, e diremmo soprattutto, rispetto alla sacralità degli dei dell’Olimpo, in primis l’onnipotente Giove, e le due divinità che proteggevano l’imperatore, Apollo come massimo tutore suo e della città di Roma e Venere progenitrice della “gens julia”, come abbiamo sottolineato.
Sulle opere ispirate ai suoi versi eleganti ed evocativi di miti e leggende, così si esprime la Ghedini con Monica Salvadori: “L’analisi delle occorrenze ovidiane nel repertorio antico fornisce un panorama di luci e ombre, di presenze e di assenze, di distanze e di tangenze, dove tuttavia sembra emergere la condivisione di un immaginario comune. La situazione cambia in modo radicale se dall’antichità ci volgiamo al mondo post-antico in cui Ovidio diventa il testo di riferimento, prima nei manoscritti, e poi via via nelle arti minori e nella grande pittura”.
Ne parleremo prossimamente percorrendo la galleria di opere che riflettono tutto ciò, come se salissimo sulla macchina del tempo sulle ali dei suoi versi immortali.
Jusepe de Ribeira, “Venere scopre il corpo di Adone”, 1637
Info
Scuderie del Quirinale,via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì, ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-22,30, ingresso consentito fino a un’ora dalla chiusura. Ingresso e audioguida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per under 26, insegnanti, gruppi, forze dell’ordine, invalidi parziali, euro 2 per under 18, guide, tessera ICOM, dipendenti MiBAC, gratuito per under 6, invalidi totali. Tel. 06.81100256. www.scuderie.it. Catalogo “Ovidio. Amori, miti e altre storie”, a cura di Francesca Ghedini con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zalabra, Editore arte,m – L’ERMA di Bretschnider 2018, pp. 310, formato 24 x 30; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I due successivi articoli sulla mostra usciranno, in questo sito, il 6 e 11 gennaio 2019, con altre 13 immagini ciascuno. Cfr. inoltre i nostri articoli, in questo sito, per la mostra “Augusto”, 9 gennaio 2014; in abruzzo.cultura.it per “Villa Giulia a Ventotene” (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nelle Scuderie del Quirinale, si ringrazia Ales S.p.A., con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta; è riportato un campionario di quelle citate nel commento ai miti evocati nell’opera di Ovidio dei due articoli seguenti sulla visita alla mostra. In apertura, “Statua di Afrodite pudica’“, II sec. d. C, al centro, dietro, a sin, “Affresco con Marte e Venere”62-79 d. C., a dx Giovanni Battista Carlone, “Marte e Venere sorpresi da Vulcano” 1650; seguono, “Affresco con Meleagro e Atalanta”, fine I sec. a. C.- 1^ metà I sec. d. C., e “Rilievo con Apollo e Marsia”, età adrianea; poi, “Affresco con Polifemo e Galatean”, 60-79 d. C.ePompeo Batoni, “Bacco e Arianna”, 1773; quindi, “Affresco con Leda e il cigno”, 60-79 d. C., e “Statua di Ermafrodito”, copia di II sec. d. C.; inoltre, “Affresco con Io, Argo e Mercurio”, 60-79 d. C., e “Rilievo con Ganimede”, II sec. d. C.; ancora, “Affresco con Narciso”, 60-79 d. C., e Antonio Giomina, “Piramo e Tisbe”, 1719; infine, Jusepe de Ribera, “Venere scopre il corpo di Adone”, 1637, e, in chiusura, “Fronte di sarcofago urbano con il mito di Fetonte”, 2° quarto III sec. d.C.
“Fronte di sarcofago urbano con il mito di Fetonte”, 2° quarto III sec. d.C.
E’ una spettacolare esposizione di 80 opere, per lo più di grandi dimensioni – alcune appositamente realizzate nel 2018 – a Palazzo Cipolla, nel Corso di Roma, la mostra “Ennio Calabria, verso il tempo dell’essere. Opere 1958-2018” , antologica dei sessant’anni della sua produzione artistica, promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presidente Emmanuele F. M. Emanuele, organizzata da “Poema” con l’ “Archivio Calabria”, supporto tecnico di “Civita mostre”, curata da Gabriele Simongini, come il catalogo bilingue, italiano-inglese, della Silvana Editoriale.
Il presidente Emanuele nell’intervento di presentazione, alla sua sin. l’artista, alla sua dx il curatore Simongini
I motivi rilevanti della mostra
La mostra viene trent’anni anni dopo la precedente antologica che dava conto del primo trentennio di attività dell’artista, e sessant’anni dopo la prima personale, e rievoca oltre mezzo secolo di arte e di vita, periodo percorso da mutamenti epocali.
Si tratta di un pittore molto attivo sul piano sociale la cui pittura, però, non ha mai avuto connotati precostituiti, ma è stata sempre ispirata ai fatti che scuotevano la sua sensibilità e ai quali si ispirava direttamente senza filtri ideologici. Questo sembrerebbe un processo comune nella vita degli artisti, ma in Ennio Calabria c’è stata anche una speculazione filosofica – da non intendersi come ideologica, ribadiamo – sull’essere umano e sui cambiamenti nel tempo della società in cui vive, sempre mutevole per via dell’incessante innovazione tecnologica.
Di qui il titolo della mostra, “Il tempo dell’essere”, di qui anche la posizione molto personale dell’artista rispetto alle correnti pittoriche che si sono succedute nell’arco del sessantennio: non ha aderito all’informale restando legato alla forma ma non in senso strettamente figurativo, si è ispirato alla realtà ma il suo non è realismo, non è espressionismo pur manifestando le proprie reazioni, ma non come emozioni del momento bensì come sintesi magmatica del fluido creativo mosso anche dalla sua speculazione filosofica, in una forma “liquida”, deformata ma legata ai contenuti.
Il valore speciale della mostra
Emmanuele F. M. Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, ideatore e promomotore della mostra con la Fondazione, ha confidato di essere stato colpito dalle opere dell’artista visitandone l'”atelier”, e di aver deciso di rimediare alla sua assenza dalle principali sedi espositive forse dovuta al fatto che si è schierato per lungo tempo con l’opposizione senza però avere – come avvenne invece per Renato Guttuso – il sostegno del maggiore partito della sinistra.
Anzi lo stesso Guttuso, dopo aver lodato la creatività del giovane pittore alla mostra che tenne agli esordi, non mantenne verso di lui l’attenzione iniziale, e Calabria restò praticamente isolato. D’altra parte, l’artista aveva fondato nel 1961 il gruppo “Il pro e il contro” – con il quale veniva rivendicata l’autonomia rispetto agli orientamenti, in campo artistico-culturale, del Partito Comunista, in cui militava Guttuso in posizioni di rilievo – con altri artisti tra cui Accardi e Vespignani che erano stati redattori della rivista “Città aperta” in cui avevano assunto una posizione critica sia verso la politica culturale del PCI soprattutto dopo i tragici “fatti d’Ungheria”, sia verso il “Realismo socialista” sovietico, dovendo per questo chiudere la rivista nel 1958.
Nei confronti del “Realismo socialista”, sia detto per inciso, Calabria è stato lontano anni luce, e questo anche rispetto ad Aleksandr Deineka, il massimo esponente che esprimeva la personale fiducia nell’uomo nuovo nato con la rivoluzione comunista celebrandone l’eccellenza nella vita, nello sport, nel lavoro, con opere sempre in linea con la mistica di regime sebbene non si facesse strumento della propaganda sovietica ma seguisse le proprie autentiche convinzioni. Ricordiamo che fu merito di Emanuele la realizzazione delle mostre sui “Realismi socialisti” e “Deineka” al Palazzo Esposizioni nel 2011.
“Un’Annunciazione del nostro tempo”, 1963
Per tornare a Calabria va premesso inoltre che, nonostante la sua esposizione personale sul piano politico-sociale – ad esempio illustrando una serie di manifesti delle organizzazioni sindacali di sinistra – non ha neppure prodotto opere di denuncia esplicita delle violenze e delle ingiustizie non essendo dominato dalla visione ideologica, ma opere in cui è la natura umana ad essere messa a nudo nei suoi rapporti con lo sconvolgimento causato dalla tecnologia e non solo.
Questa sua diversità e, diremmo, complessità, sul piano dei contenuti, non poteva non trovare una netta diversità anche nella forma, che ha dovuto dare una risposta artistica a una serie di interrogativi così riassunti dal curatore della mostra Gabriele Simongini: “Come afferrare le forze segrete, la mutevole labilità e fluidità della vita umana, delle sensazioni e delle emozioni? Come cogliere in profondità le trasformazioni della società lungo il tempo? Come sintonizzarsi con la realtà mentre accade? ” Di qui la sua “pittura magmatica e metamorfica”, assolutamente personale e per questo inconfondibile, “la cui ‘materia’ è osmosi immediata fra inconscio, pensiero, mano e azione psicofisica attraverso il lavorio inesauribile dell’invisibile nel visibile”. Tutto ciò perché con le sue opere esprime le pulsioni interiori che nascono come riflesso del mondo che lo circonda con le sue continue trasformazioni, alle quali riserva un’attenzione particolarmente acuta, sul piano speculativo e filosofico, e in parallelo sul piano artistico nel quale deve rendere la complessità del pensiero che anima e alimenta il suo spirito creativo.
Abbiamo accennato al fatto che non ha seguito le correnti dominanti nel sessantennio del suo itinerario pittorico, e anche per questo, oltre che per una specie di allontanamento ideologico, non ha avuto tutta l’attenzione dovuta al suo straordinario talento; ma è stata la sorte anche di straordinari maestri ai quali tardivamente è stato riconosciuto il posto che meritano, si pensi a Caravaggio.
E’ anche una meritata riparazione, dunque, questa mostra, dovuta alla sensibilità del presidente Emanuele, che ne ha apprezzato le idee controcorrente, pur senza aderirvi, e ricorda come non facesse parte del gruppo con Testa e Angeli, Schifano e Mambor, da lui frequentato negli “irripetibili anni ‘60”, cui lo stesso Emanuele ha dedicato qualche anno fa una mostra così intitolata; ma Calabria era accomunato a loro dalla difesa della forma pittorica rispetto all’informale, all’astrattismo e alle avanguardie iconoclaste, anche se la forma in lui ha un aspetto unico, nel momento in cui dichiara di voler aderire alla realtà, al fatto, però senza riprodurli in modo figurativo.
“Funerali di Togliatti”, 1965
Infatti non osserva la realtà freddamente da cronista, e tanto meno animato da visioni ideologiche, lo fa per scoprire la vita che la anima, in modo da rivelare ciò che non si conosce, senza limitarsi a riprodurre ciò che si vede e quindi è già noto; e senza esprimere soltanto le emozioni che gli suscitano i fatti della realtà bensì i pensieri profondi della propria riflessione interiore che diventa speculazione filosofica. E’ infinitamente distante dalla sua impostazione artistica la fuga dalla realtà di certa arte contemporanea, per di più con i suoi continui “Senza titolo”, i titoli di Calabria sono sempre corposi e intriganti.
Un “cane sciolto” nella forma e nei contenuti
Un artista siffatto non poteva che essere un “cane sciolto”, per usare la sua stessa definizione, impegnato, come sottolinea Simongini, in una “pittura di storia” intesa come ricerca nella quale le vicende collettive sono filtrate dal suo pensiero interiore, dalle intime riflessioni sull’essere nel tempo rispetto ai fatti della vita in un mondo in continuo mutamento. Il suo stile non poteva che essere personalissimo, attingendo alle correnti pittoriche che potevano offrirgli la cifra artistica adatta, anche se tra loro contrastanti, anzi con tale contrasto riflettevano le contraddizioni della vita.
Mario Micacchi, nel 1987 ha scritto a questo proposito che “per lui la realtà. contemporanea e l’io profondo hanno raggiunto una tale complessità che non basta un solo codice interpretativo e una maniera pittorica per dare forma a tutto quello che passa nella città e nell’uomo della città, dove chi sa cercare trova di tutto e sa che può accadere tutto”. Ma che cosa, in particolare?
Quello che accade si manifesta senza che abbiamo modo di capirlo, neppure se lo vediamo, manca il tempo per riflettere nella velocità in cui si succedono gli eventi, tempo invece riservato all’arte che si apre al mistero e alle contraddizioni presenti nella vita come segno di vitalità. Il campo dell’arte è, quindi, quello degli avvenimenti spesso carichi di contraddizioni e “l’opera d’arte – ha scritto Calabria nel 1986 – è simile a un ‘fatto’, cela nel proprio mistero un groviglio eterogeneo di livelli e di culture come i ‘fatti’ quando accadono. L’opera allorché è, produce nuove associazioni conoscitive, in quanto più che commentare l’esistente, aggiunge a esso appunto ‘un fatto altro'”.
Ecco l’aspetto pittorico per Simongini: “Proprio per questo nei suoi quadri non si afferma mai un punto di vista frontale, gerarchico, dogmatico, cristallizzato, ‘apollineo’, ma si aggrovigliano come fasci fibrosi, si fondono o entrano in rotta di collisione dionisiaca, senza soluzione di continuità, moti centrifughi e centripeti, allucinate visioni dall’alto e in volo, dal basso, schiacciamenti, torsioni, allungamenti, deflagrazioni delle figure che denunciano con ansia e senso di panico la pressione quasi insostenibile di realtà in fondo insondabili sulle nostre fragili esistenze”.
“Una vittoria del Vietnam in Occidente”, 1973
Quindi, se non siamo nell’informale e nell’astrattismo per l’aderenza ai “fatti”, siamo lontani anche dal realismo figurativo per la complessità delle motivazioni che muovono la mano dell’artista portandola alle vertiginose espressioni pittoriche che il curatore ha efficacemente evocato. La forma è sempre dominante, perché deve esprimere il frutto della ricerca anche speculativa per far emergere la verità della vita come la interpreta l’artista che ha potuto scandagliare il “fatto” per estrarne l’invisibile nel quale si trovano i germi del futuro. Sin dal 2005 Simongini scriveva: “Ennio Calabria sta dando vita a opere ricche di una complessa e irrequieta vitalità, colme di una forza visionaria che va a braccetto con una lucidissima speculazione filosofica e antropologica”.
Alla base di ciò ci sono le sue riflessioni sui radicali cambiamenti nella vita dell’uomo portati nella società dalle incessanti innovazioni dando luogo a mutazioni antropologiche che l’artista cerca di percepire e catturare quasi prefigurandone gli sviluppi futuri. Mutazioni – come l’intelligenza artificiale – potenzialmente devastanti perché non sono più il pensiero e la visione filosofica a permeare la tecnologia, ma questa è autonoma, mentre le motivazioni filosofiche devono solo fornirne una giustificazione ex post.
Per lui, scrive oggi Simongini, “è proprio la pittura a offrire un contributo volto a salvaguardare l’autenticità umana dell’essere nel mondo”. In questa ottica, il curatore accosta Calabria, in particolare, a Edward Munch, di cui riporta una confessione illuminante: “E’ mia intenzione cercare le forze segrete della vita, per tirarle fuori, riorganizzarle, intensificarle allo scopo di dimostrare il più chiaramente possibile gli effetti di queste forze sul meccanismo che è conosciuto come vita umana, e nei suoi conflitti con altre vite umane”. E a Francis Bacon, che con la propria pittura intendeva “riprodurre non il fatto nella sua semplicità, ma tenendo conto dei suoi diversi livelli, in modo da toccare nuove aree di sensazioni che conducano a un senso più profondo”.
Calabria va oltre, dicendo che per poter penetrare nel profondo della realtà e quindi della vita, “la pittura non è qualcosa di esterno a te, ma è il tuo liquido biologico, un tessuto, come se ti trasferissi qualcosa del tuo liquido biologico sulla tela…. Io sono e traduco il mio essere nella pittura”.
Lo manifesta anche nei ritratti, tanto da scrivere il 30 maggio 2012 a papa Giovanni Paolo II: “Santo Padre, ho dipinto alcuni suoi ritratti. Ci sono finito dentro per la necessità di reincontrare la realtà e con essa quel rapporto così indispensabile per qualsiasi progresso della mente, fondamentale per chi fa il mio mestiere”.
“Un gioco nel vento”, 1985
E’ una realtà emblematica e metaforica, tanto che nel corpo del papa martoriato dal male e dalla sofferenza vede “una sorgente amniotica della nascita di un soggetto potente, vitale, che cerca un referente alto che consenta di nuovo il senso, dentro la selvaggia relativizzazione di ogni certezza”.
Paola Di Giammaria così commenta: “Di fronte alla velocità e alla relatività dei tempi odierni Calabria sembra aver trovato uno spazio condivisibile dove il personaggio è solo un pretesto, anzi un’opportunità per costruire e restituire quell’immagine come materia autonoma della soggettività dell’artista”. Questo non riguarda soltanto la figura del papa, ma anche gli altri personaggi che, pur senza avere la valenza universale del Santo Padre, “si pongono come contenitori delle paure e delle speranze di milioni di persone e nei quali la storicità si fonde con la presenza individuale, esistenziale, dando vita così a un’immagine più universale dell’uomo effigiato”. Un’immagine sempre molto espressiva, “tra guizzi di luce e colore, scomposizioni di forme, costruzioni senza accenti retorici”.
Dinanzi a questa realtà interiorizzata con una connotazione fortemente personale, ma nel contempo resa esemplare, le sue opere hanno una valenza sociale perché riguardano la testimonianza dell’artista sulla dimensione umana nelle “vicissitudini della storia”.
E’ una visione che ha fatto scrivere a .Mario De Micheli, nel 1985, nel commento a una sua mostra: “Forse nessun altro artista della sua generazione ha esplorato come lui tanti volti diversi della nostra condizione contemporanea e, al tempo stesso, nessuno come lui ha mostrato una così ferma e risoluta volontà di trovare una risposta ai nostri problemi, ma, e questo è ciò che più conta, dove non è ancora possibile trovare la risposta, nessuno come lui è stato capace di formulare l’interrogativo giusto a cui prima o poi si dovrà imparare a rispondere”.
Vedremo dalle sue opere esposte in mostra come questo trovi espressione pittorica, considerando che lui stesso ha detto: “La mia pittura oggi si deve porre come qualcosa che si sente, non come qualcosa che si capisce”, e in essa si sente l’ansia per l’umanità e – per usare ancora le sue parole – per la sua “drammatica gioia del vivere”.
Su questo si esercita il suo pensiero scavando nel tempo e nell’umanità per scoprirne i misteri e poterli rivelare con la sua arte. Cerchiamo di esplorarne alcuni, ricorrendo soprattutto alle sue parole.
“Inchiesta autobiografica”, 1989
La velocizzazione del tempo e la forma pittorica
Ne riporta un’ampia selezione Tiziana Caroselli, evocandone “il pensiero nel tempo che muta”. E il tempo è indubbiamente la dimensione in cui vediamo immersa la produzione di Calabria non soltanto perché si estende nell’arco di 60 anni e neppure perché nel tempo sono maturate a velocità crescente le innovazioni tecnologiche che hanno scosso la società, come tutti possono vedere. C’è qualcosa di più profondo e riguarda la vita, espressione dell’esistenza, che si manifesta nel tempo e viene colta dall’artista alla ricerca delle verità invisibili da tradurre nella creazione pittorica, considerandosi sin da giovane un “magnete sensibile” che “rifunzionalizzava mediante sé e intorno a sé” le esperienze pittoriche per interpretare il mondo in evoluzione da cui far emergere le contraddizioni e soprattutto le verità profonde, senza ideologie precostituite.
Questo vuol dire che, pur essendo ideologicamente impegnato in campo politico e sociale, segnava “una distinzione, una consapevolezza dei due livelli di partecipazione e di conoscenza”. Nel senso che il suo contributo “politico ” consisteva nell’offrire elementi di conoscenza: “In sostanza, io posso essere un pittore che cerca di interpretare la realtà per gli altri. E quindi sono al di fuori del servizio di un’ideologia”.
Nel suo sforzo di interpretare la realtà in cui si deve vivere, pone al centro l’essere umano, proprio perché la “velocizzazione del tempo” impedisce di vedere realmente, cioè di capire. Da questa constatazione, che potrebbe sembrare elementare, derivano importanti considerazioni.
La considerazione più immediata riguarda la forma pittorica che non può più essere statica perché non renderebbe la realtà in continuo movimento; perciò nella lettera immaginaria del 1987, “Caro Guttuso”, che fu pubblicata in un catalogo, dopo la sua morte gli scrive che avrebbe voluto approfondire con lui “questo tema della velocità sociale e di come, attraverso uno schiacciamento del modo di recepire, e delle forme della comunicazione, si produca una deformazione nuova”.
“Giovanni Paolo II. Il vero e il falso”, 2005
E’ proprio la deformazione nella sua forma pittorica, che nei ritratti richiama Bacon, ma nelle composizioni è ben più elaborata, quasi sofferta. Il curatore della mostra, come abbiamo visto, la definisce aggrovigliata in fasci fibrosi, nelle ardite prospettive dall’alto o schiacciata dal basso, con torsioni, allungamenti, deflagrazioni, quasi subisse gli sconvolgimenti indotti dalle mutazioni.
Le immagini si producono come se fossero generate dalla rifrazione della luce sugli scogli, senza rapporti di causa ed effetto, ma espressione di una casualità, e insieme di una velocità incessante, in cui risiede l’essenza della realtà. Non è una metafora esemplificativa, è stata propria la vista di questo fenomeno nella realtà ad aprirgli gli occhi, nelle migliaia di immagini riflesse sulla roccia bagnata dall’acqua del mare vide “fissata una sorta di probabili regole”, eccone una: “Quelle linee che sembravano seguire il caso, sapevano far fluire il senso attraverso vie prive di senso”. E nello stesso tempo riflettevano, commenta la Caroselli, “anche la disgregazione epocale dei nostri tempi, dove i meccanismi sociali sembrano prodotti da accadimenti e motivazioni nuove e imprevedibili, sotto l’effetto stravolgente di una velocità degli scambi estremamente accelerata”. Con questa conseguenza: “Di qui una nuova riflessione ancora sul tempo, il tempo del nostro vivere tecnologico, pragmatico, scientifizzato, contratto e relativizzato dalla velocità”.
Da “cogito ergo sum” a “sum ergo cogito”
Ma quella che interessa l’artista è la mutazione profonda prodotta nell’essere, a livello della stessa personalità, nel senso che resta attivo “il segmento della psiche utile alla velocità degli scambi”, cioè la “razionalità intellettuale”, mentre “il resto della psiche, come le sue zone più complesse ed interiori, vengono rimosse, o comunque disarticolate dai processi reali”.
“Presentimento d’acqua”, 2008
La spiegazione che segue collega questa mutazione alla vita concreta, perché l'”inedito divorzio” tra le due componenti della personalità fa sì che non concorrano alla valutazione degli accadimenti, ma operi soltanto la parte pragmatica “sui processi e sui codici già definiti”; mentre venga esclusa la parte “introspettiva”, spinta dall’inconscio, l’unica che può “rinvenire le cause prime di successivi comportamenti”. Con la separazione tra le due componenti della psiche, “non hanno più capacità di autonomia e di libera identificazione del valore, né possono più identificare un soddisfacente rapporto di causa-effetto che spieghi i fenomeni”.
Gli effetti ci sono e si manifestano nel tempo, il pensiero si concentra “nel solo presente. nell’attimo”, e in tal modo “perde il contatto con il grande patrimonio del pensiero condiviso, che resta nell’orbita di un passato non più collegato”. Questo vuol dire dover fare a meno di quanto acquisito nel passato sul piano della cultura e dei valori, delle ideologie e della storia, e spostare nel futuro “quel Padre ideale che nel passato era posto alle nostre spalle come sostegno del pensiero, della pratica dei valori e delle regole etiche del vivere”; così nel futuro si proietta il presente data la velocizzazione dei processi indotta dall’incessante innovazione tecnologica.
La velocità degli scambi comporta “una graduale tendenza a vuotarsi della cultura come dimensione che esiste all’interno di noi”, e non solo. “Ha annullato tutte le polarità in opposizione, per cui, per esempio, vero e falso convivono”, come del resto possiamo constatare quotidianamente, aggiungiamo noi, soprattutto con l’espansione irresistibile dei “social network” nell’era di Internet. Vengono esplicitate anche le conseguenze ultime, e sono certamente allarmanti. Non c’è più tempo per riflettere, bandito il “pensiero complesso” rimane solo il “pensiero pragmatico”, del tutto slegato dalle “categorie valoriali”, ed esposto alle mistificazioni dell’informazione mass mediale, che ha come “unico valore di riferimento la convenienza”, per cui “le uniche mete perseguite sono quelle legate al denaro, al potere, al corpo”.
Quale sia la sorte del “pensiero complesso”, bandito dalla vita pratica, è presto detto. Non potendo “muoversi liberamente tra presente, passato e futuro” sorretto dalla cultura, ma costretto temporalmente nell’attimo, assume la forma della intuizione e soggettività, che sostituisce le grandi narrazioni di cui “la collettività condivideva solo quei pensieri che sembravano interpretare la voce della storia”, rispetto alla quale la soggettività era soltanto una posizione personale.
“Il pensiero nel corpo”, 2010
L’essere ne è totalmente coinvolto, perché mentre prima l’individualità era sostenuta dal pensiero condiviso (il “cogito” di Cartesio), ora, “per l’azzeramento di quel pensiero a causa della velocità degli scambi, è rappresentata esclusivamente dal suo stesso esistere in vita, dal suo essere in sé e per sé, dal suo esprimersi in ‘io sono'”. Uno spaesamento, quindi, causato dallo sradicamento dalle radici culturali che sono anche la base della coesione sociale, e un arroccamento sul dato biologico della propria esistenza. “Ciò porta, secondo me – afferma l’artista con una fulminante sintesi finale – ad un capovolgimento epocale del ‘cogito ergo sum’ in ‘sum ergo cogito'”.
Ma la sua conclusione non è pessimistica, perché vede una possibilità di ripresa nella formazione di una “soggettività complessa” indotta dalla vita, anche perché l’individuo resta pur sempre “l’unico possessore della coscienza, l’unico a mantenere la necessaria relazione con il valore”. Quindi sarà la “soggettività complessa” a dare una visione affidabile, come “unica detentrice di una forma di pensiero autonomo e creativo che possa fare da antitesi al pensiero unico: essa quindi costituisce la nuova identità antropomorfica da cui ripartire”,
C’è anche una significativa ammissione finale che solo apparentemente sembra contraddire il suo assunto, mentre conferma la sua attenzione ai mutamenti, non solo per segnalarne i pericoli, e la sua fiducia nelle “discontinuità”: “Forse il tempo attuale, che ci si presenta come spaesante, deludente e terribile, in realtà segna già una discontinuità, un salto discontinuo che non è più controllabile con i codici che gestivano la continuità di un pensiero condiviso”. Ed ecco l’apertura alla speranza: “Forse si tratta di un nuovo, seppure sconcertante, passo evolutivo”.
Dopo l’excursus nel pensiero filosofico dell’artista – reso possibile dalla ricostruzione rivelatrice, ricca di citazioni, della Caroselli – l’interesse per la mostra raggiunge l’acme. Ne parleremo prossimamente, ripercorrendo l’itinerario artistico di 60 anni attraverso la galleria delle sue opere, veramente spettacolare, con l’impatto delle grandi dimensioni dei dipinti unito al fascino delle forme in cui la linea e il colore sono associati in modo personalissimo e suggestivo.
“Gravido mistero”, 2018
Info
Palazzo Cipolla, Via del Corso 320, Roma. Tutti i giorni, escluso il lunedì, ore 10,00-20,00, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 7, ridotto euro 5 per gli under 26 e over 65, forze dell’ordine e militari, studenti universitari e giornalisti, convenzionati; gratuito under 6 anni, disabili con accompagnatore, membri ICOM e guide turistiche. Tel. 06.2261260. Gli altri due articoli sulla mostra usciranno, in questo sito, il 4 e 10 gennaio 2019, con 11 immagini ciascuno. Per quanto citato nel servizio cfr. i nostri articoli, in questo sito: per Renato Guttuso, “Guttuso rivoluzionario” 14, 26, 30 luglio 2018, “Guttuso innamorato” 16 ottobre 2017, “Guttuso religioso” 27 settembre, 2 e 4 ottobre 2016, “Guttuso antologico” 16 e 30 gennaio 2013;per “Picasso” 5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, “Cèzanne” 24, 31 dicembre 2013; il “Padiglione Italia Regione Lazio” 8 e 9 ottobre 2013; per i “Futuristi” 7 marzo 2018, sui singoli artisti, “Thayaht” 27 febbraio 2018, “Marchi” 24 novembre 2017, “Tato” 19 febbraio 2015, “Dottori” 2 marzo 2014, “Erba” 1° dicembre 2013, “Marinetti” 2 marzo 2013; per “Deineka” 26 novembre, 1 e 16 dicembre 2012, “Franco Angeli” 31 luglio 2013; per la Pop Art e le altre avanguardie americane“Guggenheim” 23 e 27 novembre, 11 dicembre 2012; per gli “Astrattisti italiani”, 5 e 6 novembre 2012; in abruzzo.cultura.it, per i “Realismi socialisti” 3 articoli il 31 dicembre 2011, gli “Irripetibili anni ’60”, 3 articoli il 28 luglio 2011, il “Futurismo” 30 aprile, 1° settembre e 2 dicembre 2009 , “Picasso” 4 febbraio 2009 (il sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Cipolla alla presentazione della mostra, si ringrazia la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, con gli organizzatori e i titolari dei diritti, in particolare l’artista, per l’opportunità offerta. Le 10 foto dei dipinti di Ennio Calabria coprono l’intero sessantennio 1958-2018, le 5 iniziali i primi 30 anni, le 5 che seguono i 30 anni successivi. In apertura, il presidente Emanuele nell’intervento di presentazione della mostra, alla sua sin. l’artista, alla sua dx il curatore Gabriele Simongini; seguono, “Un’Annunciazione del nostro tempo”, 1963, e “Funerali di Togliatti”, 1965; poi, “Una vittoria del Vietnam in Occidente”, 1973, e “Un gioco nel vento”, 1985, quindi, “Inchiesta autobiografica”, 1989, e “Giovanni Paolo II. Il vero e il falso”, 2005; inoltre, “Presentimento d’acqua”, 2008, e “Il pensiero nel corpo”, 2010; infine, “Gravido mistero”, 2018, e, in chiusura, i Ritratti “Un vespaio”, 1967, a sin. – “Mao Pianeta”, 1968, a dx.
Ritratti: “Un vespaio”, 1967, a sin. – “Mao Pianeta”, 1968, a dx.
La mostra “Pixar. 30 anni di animazione”, al Palazzo Esposizioni dal 9 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019 celebra un percorso fortemente innovativo nel campo dell’animazione coronato da un travolgente successo nel quale,, al di là della qualità tecnica viene valorizzata la qualità narrativa e la creatività che raggiunge livelli artistici. Promossa da Roma Capitale, assessorato alla Crescita Culturale, è prodotta dall’Azienda Speciale Pslexpo, ideata e organizzata da Pixar, a cura di Elyse Klaidman e, per l’edizione italiana, di Maria Grazia Mattei, che hanno curato anche il catalogo edito con Chronicle Books, San Francisco. Nel periodo della mostr, alla Sala Cinema, 5 incontri sull’animazione Pixar, “A regola d’arte”, dal 18 ottobre al 22 novembre 2018, e il programma “Passione Pixar” con 50 proiezioni dal 19 ottobre 3028 al 13 gennaio 2019.
Un’altra mostra insolita al Palazzo Esposizioni, anch’essa rientra nella linea espositiva di presentare la scienza e la modernità nella forma spettacolare delle immagini che ne danno testimonianza. E’ stato così per astri e particelle e per i meteoriti, per il cibo, il dna e il potenziamento umano, oltre che per le mostre fotografiche che hanno documentato la quotidianità e gli eventi del nostro tempo . Ora viene celebrata la profonda innovazione introdotta nell’animazione e anche nel cinema tout court dalla Pixar che festeggia trent’anni di un percorso scandito da salti di qualità sempre più pervasivi.
Storia della Pixar, da divisione grafica a leader dell’animazione
La Pixar è nata nel 1979 come Divisione Grafica computerizzata all’interno della Divisione computerizzata della Lucasfilm, con l’intento di utilizzare le grandi possibilità offerte dal computer negli effetti speciali cinematografici. Ma non si è trattato del semplice aggiornamento operativo dell’organigramma aziendale,dovuto al sempre maggiore uso del Computer, il titolare Luca ha voluto promuovere un’intensa attività di ricerca finalizzata agli effetti speciali avvalendosi di due noti ricercatori, Edwin Catmull e Alvy Ray Smith i quali crearono un vero laboratorio per sviluppare software avanzati di grafica computerizzata.
Lou Romano, “Carl”, Up,2009
Sempre negli anni ‘80 si aggiunsero altri specialisti divenuti famosi, come William Reaves e soprattutto John Lasseter, con i quali si andò oltre le componenti tecniche di narrazioni che si svolgevano a un altro livello per sviluppare interamente la narrazione attraverso cortometraggi con le regole classiche dell’animazione ma in più il valore aggiunto del maggiore realismo della tridimensionalità portata dal computer. Già nel 1984 fu realizzato il primo film per sperimentare il software in preparazione, “The Adventures of André and Wally B.”, un breve film il cui protagonista era un piccolo alieno.
La Pixar non era l’unica impegnata sul fronte dell’animazione mediante computer, svolgevano attività di ricerca università come la Ohio State University e case di produzione private in campo audiovisivo, che però avevano vita breve; ma l’espansione del mercato era inarrestabile, perché si allargavano sempre più i campi di applicazione, dallo spettacolo al cinema, dalla comunicazione alla pubblicità, fino all’architettura e perfino all’arte.
Alla base di questo sviluppo innanzitutto c’è il livello qualitativo raggiunto dalle immagini come definizione e luminosità, con la rappresentazione molto accurata dei dettagli e un rilievo prima sconosciuto. La Pixar è su posizioni di eccellenza sul piano tecnico, che la porta, già nel 1986, due anni dopo il primo breve film, a costituirsi come società indipendente staccandosi dalla casa madre Lucas Film e diventando software house indipendente con soci nuovi tra cui Steve Jobs che aveva lasciato al Apple e portava una forte spinta innovativa.
Ma non è l’aspetto tecnico, pur vincente, l’unico fattore propulsivo della sua escalation, come sottolinea la curatrice italiana della mostra Maria Grazia Mattei: “Rispetto a tanti altri demo prodotti da tante società in quegli anni, quelli della Pixar si distinguono subito non solo per la resa delle immagini, ma per la loro qualità narrativa, sempre avvincente, giocosa e sorprendente”. Una qualità narrativa consentita anche dalla qualità tecnica: “L’immagine digitale finisce per irrompere nella stessa struttura narrativa offendo prospettive inedite, esplorabili per la prima volta grazie all’evoluzione delle tecnologie”. I due fattori dell’efficacia rappresentativa si rafforzano l’uno con l’altro perché anche le soluzioni tecniche vengono esaltate dalla loro applicazione in contesti narrativi coinvolgenti.
Alla risposta del mercato seguono i riconoscimenti del livello raggiunto, e non tanto sul piano tecnico quanto su quello narrativo: così nello stesso anno in cui la Pixar è divenuta società autonoma, il 1986, arriva una “nomination” per l’Oscar con “Luxo Junior”, è solo l’inizio, dopo due anni arriva l’Oscar del 1988 per “Tin Toy” premiato come migliore cortometraggio animato.
Poi un successo dopo l’altro, le creazioni diventano quello che oggi si direbbe “virali”, acquistano una riconoscibilità e una popolarità immediata su scala mondiale. “Toy Story” lancia i giocattoli Buzz Lightyear, “Monsters & Co” i mostri Sulley e Mike, “Ratatouille” il topino Rémy, “Inside Out” Riley, la pre-adolescente.
James Robertson, effetti del fuoco di Andrew Yimenez, “Storyboard: Discarica”, Toy Story, 2010
Abbiamo già accennato che la qualità tecnica unita alla qualità narrativa rappresenta la combinazione vincente, ma come si è operato praticamente nel metodo e nei contenuti?
Per il metodo la curatrice spiega: “Proprio come in una bottega rinascimentale, Pixar dà corpo ai personaggi disegnandoli a mano per poi dar loro consistenza fino a – letteralmente – scolpirli, come ben raccontato in mostra – in un continuo rimpallo di riferimenti coltine iconografie interdisciplinari”. Quest’ultimo aggettivo rivela la stretta collaborazione tra creativi delle più diverse discipline, tecniche e umanistiche: “Si realizza la sintesi fra saperi diversissimi e apparentemente distanti come informatica, grafica, pittura, scultura, ingegneria e storytelling”,.
Il lavoro preparatorio mette insieme disegni e dipinti in acrilico e “gouche”, grafiche e calchi, creati artigianalmente con lavori realizzati con i media digitali. Si può dire che il digitale pur evocando Silicon Valley, diviene un medium narrativo con evidenti basi culturali in grado di puntare fino alla dignità del cinema hollywoodiano su grande schermo, si può dire anzi come “abbia cambiato il (modo di fare) cinema, dalla produzione alla distribuzione, per non parlare dello storytelling”.
I tre fattori del successo, storia, personaggio e mondo
Di quest’ultimo aspetto parla Elyse Klaidman, la curatrice americana della mostra, che dirige le mostre e gli archivi di Pixar Animation Studios, evidenziando tre aspetti comuni ai film della Pixar: la storia, il personaggio, il mondo.
La creazione della storia è ben più lunga di quanto si possa immaginare, “è un processo iterativo che può perdurare per gran parte dei quattro o cinque anni che occorrono alla produzione di un film”, crediamo che si riferisca agli affinamenti correlati alle soluzioni tecniche piuttosto che alla vicenda nei suoi elementi portanti. Una caratteristica delle storie narrate è che, pur essendo staccate dalla realtà per far volare la fantasia, sono pervase da sentimenti, sensazioni e quant’altro possa essere riconosciuto e sentito come proprio, nell’immedesimazione dell’osservatore.
Il personaggio è altrettanto importante per rendere la storia avvincente e credibile, deve essere tale da far affezionare e in qualche modo identificare. Possiamo ritenerlo l’elemento centrale sul quale poggia la storia ed a sua volta è inserito organicamente in un contesto
E’ il mondo in cui si svolge la storia, che deve essere a sua volta coinvolgente, e perché ciò avvenga deve essere al contempo unico nel suo genere e credibile, un ossimoro intrigante.
Chris Sasaki, “Bing Bong”, Inside Out, 2015, a dx
Nel risultato cinematografico, frutto del lavoro di squadra di cui si è detto, è difficile isolare i contributi dei singoli, anche se i momenti di massima creatività sono riconducibili agli ideatori, come avviene per i personaggi. Ed è proprio questo il valore della mostra che nel presentare i capolavori, come ha osservato Innocenzo Cipolletta – Commissario uscente del Palazzo Esposizioni – “in un certo senso li ‘destruttura’ presentandone le immagini come germinano e come gradualmente si configurano attraverso i disegni e le prime fasi della loro lavorazione”. E consente di apprezzare ancora meglio il lavoro di squadra, “la sintonia che regna nei Pixar Animation Studios, frutto della fusione, non del tutto scontata, tra un’anima creativa e necessariamente svincolata dalle leggi del mercato e l’esigenza di diffondere il prodotto su scala mondiale”.
La “destrutturazione” nella mostra, la rassegna cinematografica e gli incontri
C’è un altro aspetto che la mostra riesce ad evidenziare, ed è congeniale alla sede espositiva. Si tratta del valore artistico di quanto viene presentato ai visitatori come in una mostra d’arte, del resto già nel 2004 c’è stata un’esposizione al Museum of Modern Art di New York,divenuta itinerante in America Latina ed Europa, Sud Est Asiatico fino all’Australia. .
La possibilità di aver creato opere d’arte non nasce spontanea nella percezione degli stessi autori, anche perché nel lavoro di squadra sembrano perdersi gli apporti dei singoli; ma isolando le fasi realizzative e quindi presentando i prodotti specifici,si può convenire con la Klaidman che dopo aver parlato della collaborazione degli “artisti Pixar” con il regista e il production designer afferma: “Tuttavia, considerando questi oggetti,così sapientemente costruiti, separati dal film e osservandoli uno per uno, la prospettiva può cambiare radicalmente. D’altronde, il dibattito su ‘cosa è arte’ è antico quanto l’arte stessa”.
Con la “destrutturazione” operata dalla mostra – per tornare sul termine usato da Cipolletta – si è agito in modo creativo offrendo un punto di osservazione privilegiato in grado di rivelare ciò che invece potrebbe non risultare dalla sola visione del prodotto industriale altamente tecnologico: “Sono gli artisti a fare i nostri film – rivendica la direttrice degli archivi Pixar – e, come tutti gli altri, anche i nostri artisti scelgono gli strumenti che consentono loro di suscitare un’emozione, o una reazione nel modo più efficace”. E aggiunge una notazione che ci sembra molto significativa : “Un artista di formazione tradizionale può anche aver aggiunto la pittura digitale alla propria scatola degli attrezzi per riuscire a esprimere qualcosa che non avrebbe potuto esprimere altrimenti”.
Il presidente di Walt Disney e Pixar Animation Studios, Ed Catmull, e il presidente di Pixar Animation Studios, Jim Morris, hanno sottolineato il carattere estremamente impegnativo di questa attività: “L’animazione digitale è al tempo stesso un mezzo straordinariamente liberatorio e una grande sfida”.
E’ liberatoria perché non vi sono limiti dato che nella fase di costruzione dell’impianto narrativo “incoraggiamo i nostri artisti a esplorare il più possibile, dando libero sfogo alla propria immaginazione”
Ma è una grande sfida perché “gli artisti, a loro volta, divengono fonte d’ispirazione per i nostri autori e registi, guidandoli verso nuove vette”. Possiamo commentare “per aspera ad astra” perché a questo punto occorre “plasmare ogni cosa, anche ogni piccolo dettaglio, dal nulla. L’animazione non fa sconti”.
Di qui il carattere particolarmente impegnativo: “Quando si lavora al computer non capitano casi fortuiti, ogni vittoria si ottiene con il sudore”. Ma non è il computer a fare il film, altrimenti non potrebbe essere una forma d’arte, e i due Presidenti lo ribadiscono con forza: “Non tutti si rendono conto di quanti siano gli artisti che, adoperando le tecniche più diverse quali il disegno, la pittura, i pastelli e la scultura, contribuiscono alla veste e al design dei nostri film”. E precisano “la maggior parte del loro lavoro avviene nella fase di sviluppo del progetto, ovvero quando si imbastisce la trama e l’aspetto del film”. Fino all’orgogliosa rivendicazione: “E’ raro riuscire a vedere l’immenso patrimonio di opere d’arte create per i film al di fuori degli studios. Eppure,senza di esse, il film finito, quello che viene distribuito in tutto il mondo, non sarebbe possibile”.
Le componenti isolate dal contesto per evidenziarne l’aspetto artistico formano una grande galleria con circa 400 opere esposte, alla quale l”Azienda Speciale Expo ha affiancato, dal 19 ottobre 2018 al 13 gennaio 2019 la Rassegna cinematografica “Passione Pixar” di 20 film Pixar con 30 repliche per un totale di 50 pomeriggi alle ore 17 e serate alle ore 21, in modo da poter verificare visivamente il passaggio tra la fase creativa e la produzione oltre che godere della rappresentazione di storie fantastiche, così vicine alla sensibilità di grandi e piccoli da suscitare allegria e commozione, sorriso e meraviglia, lasciando un senso di appagamento. Autori i più grandi, John Lasseter e Brad Bird, Pete Docter e Lee Unkrich.
Inoltre gli Incontri sull’animazione Pixar“A regola d’arte”, “in 5 pomeriggi nell’ottobre e novembre 2018, alle ore 18,30, da “come si guarda un cartone animato” al “sistema Pixar”, dalla creazione iniziale al doppiaggio fino alle “scienza delle emozioni dietro all’universo Pixar”.
Le opere esposte nelle 4 sezioni
Le opere in mostra sono per lo più grafiche, schizzi e vignette, disegni e, dipinti, vi sono anche calchi e piccole sculture, in un festoso addensamento nella vasta superficie espositiva. Vanno osservate con attenzione per scoprire l’intensità evocativa dietro la foggia spesso caricaturale, esprimendo un “humor”.e una caratterizzazione che prenderà corpo nella storia e nell’ambientazione. Ed è nelle tre ripartizioni prima evocate, personaggio, storia e mondo che sono articolate le 400 opere esposte con l’aggiunta di una quarta, “colorscript”, funzionale alla storia. .
I Personaggi vengono delineati dagli artisti in diverse versioni per rivelarne sin dall’inizio le varie possibilità al regista che deve effettuare la scelta dopo la quale gli artisti creano il modello, chiamato “model packet”, da passare ai modellatori digitali per la trasposizione nel computer; un aiuto i modellatori digitali viene dato anche dagli scultori che fanno riproduzioni solide, in argilla, dei disegni per rivelarne i dettagli che saranno poi esaltati dalla rappresentazione digitale.
Vediamo una cinquantina di “personaggi”, riprodotti anche in serie di disegni o dipinti, umani e animali, sempre di forte impatto visivo ed emotivo perché esprimono sentimenti visibili. La molteplicità i schizzi per lo stesso personaggio è volta ad esprimere i diversi stati d’animo. Lo si vede in particolare nei calchi e nelle sculture con diverse espressioni facciali. Nei disegni si va dalla severità della “Rabbia” di Albert Lozano, di “Carl” di Lou Romano e di “Abuelita” di Zaruhi Galstyan alla tenerezza di “Riley” di Chris Sasaki, “La Luna” di Enrico Casarosa e di “Boo” di Dan Lee, per non parlare degli innumerevoli animali, da “L’agnello rimbalzello” di Bud Luckey ad “Alec” di Teddy Newton. Tra i calchi, le “Espressioni facciali di Bob”, di Greg Dycstra.
La Storia, come abbiamo accennato, prende gran parte del tempo di realizzazione del film, perché partendo dall’idea iniziale viene definita in due percorsi paralleli, la scrittura della sceneggiatura e la visualizzazione attraverso “storyboard” grafiche. Ne vediamo esposte una diecina in matita e inchiostro su carta o dipinto digitale, soprattutto in bianco e nero. Sono sequenze divertenti ma parziali che però danno un’idea della complessità della realizzazione in quanto si tratta di passare dai frammenti alla continuità visiva e rappresentativa, e si può capire come sia continuo il dialogo tra artista, regista e modellatori per portare sul computer le “storyboard” parziali. Oltre alle “storyboard” ci sono le “story reel”, che cercano di comporre un’anteprima virtuale del film unendo le “storyboard” parziali e corredandole di dialoghi e musiche. Vi ritroviamo, in sequenze multiple, l'”Agnello rimbalzello” di Bud Luckey, che è coautore con Joe Ranft della “storyboard” “Soldatini”, ancora in sequenze esilaranti, Teddy Newton con “Karl e Jack Jack”, fino ai “pennuti spennati” di Ralph Eggleston e al “Viaggio di Arlo” di Kelsey Mann
Ha una funzione analoga il Colorscript, che vediamo nell’apposita sezione, si tratta dell’intera storia sviluppata in modo cronologico ed espressa in termini cromatici, definita come “una sorta di visione in bassa risoluzione del film che ne racconta concisamente l’intero sviluppo emozionale” al team di artisti e tecnici in una fase ancora iniziale della produzione, Vediamo una ventina di queste raffigurazioni, ovviamente tutte a colori, con sequenze ricche di oggetti e figure che definiscono cromaticamente il percorso narrativo. Ralph Eggleston lo ritroviamo in “Alla ricerca di Nemo” e “Wall”, Lou Romano in “Up” e “Gli incredibili”, vediamo anche l’esilarante “”Flick contro Hopper” e “Cars”di Bill Cone, tutti molto movimentati e dinamici.
Sono una quarantina le immagini nella sezione Mondi, che definiscono il contesto ambientale ed emozionante in cui si svolge la storia e si muovono i personaggi. Si tratta di mondi immaginari creati dalla fantasia in stretta aderenza con i personaggi che dovranno abitarli e le storie che vi si dovranno svolgere, quindi dovranno essere credibili, evocare sentimenti e creare emozioni. Si va da ambienti tradizionali come la “Casa Rivera” di Nat McLaughlin, il “Rientro a casa”di Noah Klocek, e “Mike in classe” di Daniela Strijleva, ma rivissuti fantasticamente, ad ambienti elaborati e tormentati, come in un Luna Park dove oltre ai divertimenti gioiosi ci sono i percorsi oscuri con le visioni dell’orrore: si va da “Cascate della fogna” e “Reparto spaventi”di Dominique R. Louis a “Città dei morti” di Daisuke ‘Dice’ Tsutsumi, da “Monster City” di Geefwee Boedoe ad “Abisso marino” di Sinòn Vladimir Valeda.
Le due installazioni “Artscape” e “Zootrope”
Le poche opere citate sono una minima parte di quelle esposte e non abbiamo potuto renderne kla straordinaria espressività, Come non potremo rendere quella delle due installazioni che fanno entrare ancora di più nel mondo fantasioso e insieme avveniristico dell’animazione.
“Artscape” è un’installazione multimediale ad alta risoluzione che proietta su un’intera parete “widescreen” sequenze parziali assemblate a titolo dimostrativo per dare la stressa sensazione dei realizzatori nelle fasi preliminari in cui dalle prime trasposizioni cercavano di avere una idea del tutto, con la tecnica digitale si va dal bidimensionale al tridimensionale in un’immersione nell’opera che consente di percepirne i dettagli mentre una musica avvolgente crea il panorama sonoro.
L’altra installazione, il “Toy Store Zoetrope” dà ancora di più la visione tridimensionale, unita al movimento reso dall’animazione, un’illusione data da 18 inquadrature ripetute montate su un disco che ruota alla velocità di un giro al secondo, mentre una luce stroboscopica crea l’effetto del “movimento apaprente” sembra di vedere girare una giostra con accelerazioni e varianti spettacolari, si ispira a uno “zootropio” creato in Giappone, ma l’origine è del 1867 negli Usa.
Nel vedere le due installazioni, al termine della visita alla mostra, ci si sente immersi nella magia digitale dal contenuto tecnologico particolarmente avanzato, quasi fosse una creazione di macchine intelligenti, del resto non sta facendo passa da gigante l’i”intelligenza artificiale”? Ebbene, le parole della curatrice americana Klaidman ci riportano a una realtà ben diversa: “Non sono i computer a fare i film; sono le persone, i disegnatori, tecnici de montaggio, animatori, direttori tecnici. Sono queste persone a dare vita a tutto ciò che viene fatto alla Pixar”. Una realtà riassunta da queste parole conclusive: Sebbene la produzione dei nostri film sia tecnologicamente complessa, ognuno di essi ha inizio con il più semplice dei gesti: un tratto di matita su un foglio di carta”. Anche l’opera d’arte spesso comincia così, ed è per questo che i due presidenti dei Pixar Animation Studios possono concludere a loro volta dicendo: “Siamo molto fieri dei nostri tanti artisti di talento ed è con grande entusiasmo che vi presentiamo il loro lavoro”.
Non si può che apprezzare questa orgogliosa valorizzazione degli artisti e del talento tanto più nel campo dell’animazione totalmente rivoluzionato dall’avvento della tecnologia digitale.
Un momento del flusso di immagini di “Artscape”
Info
Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Orari: da domenica a giovedì, tranne il lunedì chiuso, dalle 10,00 alle 20,00, venerdì e sabato dalle 10,00 alle 22,30. Ingresso intero euro 13,50, ridotto euro 10,00. Catalogo “Pixar. 30 anni di animazione”, Palazzo delle Esposizioni e Chronicle Books, San Francisco, ottobre 2018, pp. 184, formato 17,5 x 25; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. .
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione nel Palazzo Esposizioni, si ringrazia l’Azienda Speciale Palaexpo, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. Sono un piccolo campionario dell’esposizione relativa alle 4 sezioni, Personaggi e Storia, Colorscript e Mondi, vengono precisati tre autori con i titoli delle opere: Lou Romano, “Carl“,Up, 2009, James Robertson, effetti del fuoco di Andrew Yimenez, “Storyboard: Discarica”, 2010, Chris Sasaki, “Bing Bong”;Inside Out, 2015; le ultime due immagini riguardano le spettacolari installazioni “Artscape” e “Zoetrope”.
Lo spettacolare “Zootrope” fermo, in movimento è come una giostra
A 9 anni dalla mostra del Natale 2009 nei sotterranei della basilica romana dei Santi Ambrogio e Carlo a Piazza San Carlo al Corso, pubblichiamo di nuovo il nostro servizio uscito in cultura.inabruzzo.it il 5 gennaio 2010, senza alcuna modifica, con i commenti che furono “postati” dai lettori nel sito citato che non è più raggiungibile. Gli unici “aggiornamenti” sono le tre immagini finali di presepi nel Natale 2018: le due a chiusura dell’articolo con i presepi di quest’anno nella stessa basilica, l’ultima immagine dopo i “post” di commento del 2010, con il presepio nella nostra abitazione. Aggiungiamo, come premessa all’immersione nel mondo dei presepi, le conclusioni cui nell’antivigilia di Natale del 2014 – quindi a metà del nostro itinerario ideale che inizia nel Natale 2009 e approda al Natale 2018 – giunse la Redazione consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca pubblicando nel proprio sito la dotta nota di Matilde Paoli in merito alla denominazione “presepio” o “presepe”. Conclude che sono equivalenti. ormai entrati nell’uso comune indifferentemente, e si sofferma sull’origine, sull’evoluzione di tali termini e sulla prevalenza nell’uso.
Le origini sono nella definizione latina del recinto, della stalla e relativa mangiatoia, in senso laico, “praesaepe” e “praesaepium”, con delle particolari declinazioni: la 3^ per Virgilio, al maschile “praesaepe-is”, per Plauto al femminile “praesaepes-is”, mentre per Plinio, I sec. d. C. entra in campo con la 2^ declinazione, il neutro “Praesaepium-i”. In senso religioso troviamo “praesaepium” nella versione latina della Bibbia adottata dalla chiesa, la “Vulgata”, e nelle versioni precedenti incomplete, l'”Itala”.
Nel ‘300 Petrarca utilizza sia “presepio” che “presepe”, poi nel nel 400-500, in Tasso, Vasari e l’Aretino troviamo “presepio”, nel ‘600 Giovambattista Marino utilizza “presepio” in senso religioso sia in poesia che in prosa, e “presepe” in senso laico nell'”Adone”. Il Dizionario italiano dell’Accademia della Crusca riporta solo “presepio” nelle prime 3 edizioni del 1612, 1623 e 1691, mentre nella 4^ edizione, del 1729-38, la voce diventa “presepe o presepio”. Nel ‘700 “presepio” è più usato nella simbologia religiosa, “presepe” in senso laico. Del resto, santa Caterina da Siena, aggiungiamo noi, parla di “presepio” e non di “presepe”.
E questa sarà la tendenza prevalente, anche se l’equivalenza dei due termini trova conferme quanto mai autorevoli: Manzoni, nella poesia “Il Natale” utilizza, nello stesso componimento, i due termini, ai versi 66-67 “e nell’umil presepio/ soavemente il pose”, trenta versi dopo, ai 96-97 si lkegge “videro in panni avvolto/ in un presepe accolto”. E nerl 2014, il titolo del libro di E. S. Storace, “Filosofia del presepe” è seguito dal sottotitolo “Manuale laico per costruire un presepio perfetto”, chissà se in Manzoni e in Storace la compresenza è stata voluta oppure casuale….
L’accurata ricerca linguistica di Matilde Paoli arriva ai tempi recenti, conclude che l’uso di “presepio” sembra prevalere in ambito familiare, l’uso di “presepe” in campo letterario; lo deduce dai risultati delle frequenze misurate da “RIDIRE” secondo cui, al verbo “visitare” segue indifferentemente “presepio” o “presepe”, mentre ad “ammirare” solo “il presepe”, e così ad “allestire”, mentre a “fare” segue soprattutto “il presepio”. Sono rilevazioni del 2014, ma non crediamo che il quadro sia mutato, ontinueremo a “fare” il nostro “presepio”, quello da noi “fatto” quest’anno è riportato in chiusura, dopo i presepi “allestiti” e “ammirati” nella mostra e nella basilica che illustrano il testo.
Ed ora, dopo questa digressione speriamo non pedante, il testo integrale dell’articolo sulla mostra del Natale 2009.
Una Stella cometa a Piazza San Carlo al Corso di Roma guida verso la cripta della basilica dei santi Ambrogio e Carlo a una galleria di presepi artistici delle scuole napoletana, romana, siciliana e altre, per un’immersione nell’arte del presepio che ne fa apprezzare stili e contenuti, simboli e motivazioni facendo compiere un viaggio emozionante nel tempo, nel costume e nella memoria. Segui la Stella cometa…” è l’invito discreto e allettante a lato della Basilica dei santi Ambrogio e Carlo dove il Corso di Roma si allarga in una piazzetta, “enclave” di tranquillità nell’incessante passeggio. Nelle festività è assediata, c’è la statua vivente di un Babbo Natale argentato, un gruppo di acrobati saltimbanchi fa volteggi su un tappeto. Appena svoltato l’angolo un’insolita orchestrina di strada con fisarmonica, violino e contrabbasso suona “O sole mio”: in effetti il sole c’è, ma così pallido da far pensare a quello di Odessa, che per questo aveva dato l’improvvisa ispirazione.
Ma non seguiamo il sole, bensì la stella, abbiamo detto. E non ci fa guardare in alto bensì ci porta nella cripta sottostante la basilica, lungo una stretta scalinata, fino a raggiungere una galleria semicircolare, poi una vasta aula centrale dov’è il sarcofago con i resti di San Carlo Borromeo.
Ci immergiamo subito nel mondo dei presepi artistici, che esprimono talento e passione, devozione e memoria. Sono un messaggio d’amore in un caleidoscopio di immagini dove ogni elemento ha il suo preciso significato, legato alla tradizione e al costume. Cominciamo dall’evidenza visiva, scopriremo volta per volta stili e contenuti, simboli e motivazioni. Entriamo subito nel vivo.
Il presepio siciliano che ferma il tempo come la nascita di Cristo
E lo facciamo cominciando dal presepio che ci è stato mostrato al termine del lungo giro dalla gentile Valentina Aloisio: a lei si devono le notizie che abbiamo appreso, le riporteremo nel racconto filtrandole con lo stupore e l’emozione che i presepi, e soprattutto questi presepi, sanno suscitare in noi, alla ricerca di una chiave di lettura personale da poter verificare e condividere.
Perché mettiamo al primo posto questo presepio di scuola siciliana? Non per lo stile sfavillante di materiali preziosi, dalla madreperla al corallo, con una scala cromatica dal bianco al rosso passando per i colori dell’argento e dell’oro di questa scuola; abbiamo visto mesi fa nella mostra “Antichi telai” gli artistici tessuti dei paliotti d’altare siciliani intessuti di corallo, anche nei presepi c’è stata queste tendenza.
Ma non è lo stile di questo presepio, che rientra nei canoni più austeri e severi, pur nella plasticità e teatralità delle figure, con le sue tinte delicate e discrete, perfettamente intonate. E neppure per il realismo della creta con particolari resi nella lava dell’Etna come fa Giusy Toscano.
Lo abbiamo scelto per il suo valore simbolico che sentiamo sovrastare gli altri simboli rappresentati nei presepi. Valentina ci spiega che in Sicilia c’è un detto: “Quando nacque Gesù si fermò il mondo e quindi anche il tempo”. Le figure di Giulietta Cavallo, l’autrice figlia d’arte, sono statiche e ferme, l’assenza di moto negli atteggiamenti e nelle posizioni dà loro una fissità che incarna il detto siciliano, lo rende visibile.
E se si ferma il tempo anche lo spazio perde la sua identità, svanisce: quindi nessuna collocazione in un determinato ambiente, né paesaggio né ruderi o grotte, neppure presenze umane diverse da quelle canoniche: la Sacra famiglia e lo zampognaro, la levatrice e la lavandaia, i tre Re Magi sono inseriti in una dimensione aspaziale oltre che atemporale, resa da una coltre bianca che non è neve, è mossa come una nuvola.
Vista così l’opera, si spiegano anche i particolari tecnici: terracotta e sughero dipinti a olio, abiti in tela bianca indurita con colla, colori assimilati a quelli dell’epoca, Giulietta è una delle poche creatrici di queste figure ad usare le tecniche settecentesche con assoluto rigore; il panneggio ci colpisce, esprime lo stesso rigore della tecnica nell’ispirazione artistica, l’autrice è certo di buone letture, d’altra parte doveva esprimere la fissità del tempo, e solo l’arte riesce ad arrestarne il moto incessante, quindi ci si ispira all’arte dei sommi, che sa essere eternatrice, come la poesia.
Un valore universale è in un presepio concepito da un autore sconosciuto come una cupola celeste dove si svolge la vita quotidiana, con al centro la natività, dietro un piccolo cancello, quasi arrivasse in punta di piedi. Mentre esprime l’universalità della nascita di Cristo, la curvatura e il colore ce lo fanno sentire.
Il viaggio nello spazio dei presepi
Il presepio vicino a quello della fissità del tempo ci riporta nel tempo e nello spazio come non mai. Michele Carpano rappresenta un borgo di Caserta vecchia, con la meticolosità di riprodurre le rugosità della pietra. E se è così curata la costruzione, lo è anche il resto! Una scala dà profondità, fa sentire dell’altro dietro l’edificio. Poi si vedono i piccioni sul tetto e la piccionaia, dei grappoli d’uva e le tendine a uncinetto; addirittura l’arredamento della casa. Non è solo un ritratto in un interno, sembra un profilo interiore di una normale famiglia che vive nella casa scelta dalla Sacra famiglia.
I contrasti proseguono nel presepio successivo. Non solo siamo rientrati nel tempo e nello spazio ma ci spostiamo sulle loro ali: le ali del tempo perché la grande capanna che sovrasta la grotta ha un telo a rappresentare il nuovo testamento sostituirsi all’antico testamento con la nascita di Gesù; altro contrasto tra la parte destra, un ambiente brullo e misero e la parte sinistra, illuminata e arricchita dalla venuta di Cristo; il viaggio nello spazio è reso dalla tipica casa a cubo palestinese sulla destra. Ed è palestinese lo stile con cui Dario Facchini ha realizzato questo presepio carico di simboli.
In stile palestinese orientale anche il presepio di Gianpiero Marino, in una terra arida e rocciosa, l’abitazione incastrata nel terreno ci fa pensare ai “sassi” di Matera, con la casa nella roccia.
Dalla Palestina all’Olanda il passo è breve nella galleria di presepi di San Carlo. Ce lo fa fare Ettore Formosa con il suo colorato borgo olandese, un largo arco di ingresso, finestre caratteristiche, l’ambiente ridente da spensierata olandesina; tanto spensierata che c’è totale indifferenza per la nascita del Bambin Gesù, le persone continuano a spettegolare, il pittore porta il suo quadro, l’oste reca due boccali, di birra non di vino, siamo in Olanda! A chi? Non per festeggiare il parto, a una persona qualsiasi che li avrà richiesti. Soltanto due bambini sono tutti presi dall’evento, l’innocenza ha la vista più lunga, come nella favola del bambino, il solo a vedere il re nudo com’era realmente.
Rientriamo in Italia, passando dal confine. Un paesaggio trentino incorpora il presepio di Ernesto Mancuso. Realizzato nella roccia sovrastata da due capanne fatte di radici di abete di quella terra; gli scalini sono scavati nella roccia. Compattezza e solidità nella semplicità ridotta all’essenziale.
L’indifferenza olandese per la natività la ritroviamo in un presepio del romano Fabio Santilli, al centro la nascita e intorno tutto continua come se nulla fosse avvenuto, eppure è un borgo molto animato: sono impegnati nelle proprie faccende, inutilmente gli angeli cercano di attirare l’attenzione sull’evento miracoloso. E’ in stile napoletano, chissà se l’autore ha scelto questo stile per non identificarsi totalmente nell’indifferenza per il Salvatore affidandola a una scuola non sua?
Il presepio romano
Guardiamo allora un presepio “romano de’ Roma” in tutti i sensi. Riproduce un casale antico sulla Via Appia che esiste realmente, le sue pareti rosso mattone, le tettoie, e soprattutto i gatti che sono tipici dello stile romano; è facile capire perché, sbucano da ogni parte soprattutto nel centro storico vicino e sopra ai monumenti. Il casale è appoggiato a una cisterna, la tipica fusione tra nuovo e antico. Patrizio Turosani ha reso con estremo realismo questo angolo di Roma dove l’ambiente si identifica nel grande casale, una sorta di scena teatrale presa dal vero e riprodotta con molta cura.
D’altra parte, è proprio questa la caratteristica dello stile romano, nobilitato da un illustre precursore, Arnolfo di Cambio che realizzò delle figure di presepio nel 1289, sono nella cripta di Santa Maria Maggiore. Ma è con il ‘600 che la nobiltà scopre il presepio, commissiona opere in stile barocco, addirittura a Bernini, che lo realizzò per i principi Barberini. Dai nobili al clero, nel ‘700 si estende a chiese e monasteri, spiccano le natività di San Lorenzo e Santa Maria in Trastevere.
Roma è la campagna romana, paesaggio agreste con la povera gente al lavoro, la grotta di sughero e gli angeli in volo in cerchi concentrici nel cielo. Soltanto di recente c’è stata “Roma sparita”, ormai visibile soltanto negli acquerelli di Roescher Franz, perché la modernità ha lasciato soltanto i ruderi, sui quali si costruiscono le scene, come sulle immagini degli acquerelli, con impronta popolare.
Si ha anche l’inserimento spettacolare nei borghi piuttosto che nell’ambiente naturale. Come nel presepio di un esordiente, Giuseppe Liberati, che rappresenta la Tuscia medievale, il piccolo borgo è riprodotto in cartongesso, la Natività è sotto un arco, c’è anche un pastorello dormiente.
E siamo ad Alessandro Martinis, che presenta un presepio in stile romano, con il passaggio del vino dall’interno all’esterno delle osterie per la liberalizzazione che si dice fosse opera di Pio VII, laddove Leone XII aveva invece imposto di “chiudere i cancelli” per bere soltanto all’interno.
Questa immagine di festa del vino è inserita in una natività soltanto simbolica, perché non c’è la Sacra famiglia, addirittura si vede uno scriba che scrive una lettera di raccomandazione per l’ammissione di un bambino in seminario, fantasia tutta napoletana. C’è invece una famiglia normale che la impersona, simbolismo rafforzato da un’immagine sacra e dall’osteria.
Ed è il simbolo più importante congiunto a quello del vino, che richiama al sacrificio dell’ultima cena e del sangue di Cristo. Un simbolo non solo dei presepi romani, ma anche di quelli napoletani. In quest’ultimo stile lo stesso Martinis crea delle figure singole molto espressive: la prima è un oste con i contenuti simbolici di cui si è detto, reca delle fiasche di vino rosso, vicino ha un tacchino.
Poi c’è la zingara, figura che può essere o vecchia oppure giovane e prosperosa; può portare la buona fortuna come in questo caso con un melograno in mano oppure la cattiva sorte con il ferro, ricordo infausto dei chiodi della croce di Cristo. Segue la lavandaia, presente alla Natività, a stare ai Vangeli apocrifi, fu lei che lavò i primi panni del bambino e le acque restarono limpide e chiare. In primo piano anche la levatrice, altro simbolo di purezza riferito alla Vergine.
Dopo questi simboli eccone uno molto diverso, il simbolo della napoletanità: è Pulcinella che fa visita a un neonato particolare, completamente solo, sotto un arco di tempio che sta davanti a una grotta. Resta il dubbio sul bambino, troppo solo per essere Gesù, forse è il piccolo San Gennaro.
Ci sono anche i Re Magi, il loro simbolismo è molteplice: possono essere le tre fasi solari del mattino, giorno sera, date dai colori bianco, rosso, nero. Oppure le tre stirpe terrene nate dalla discendenza di Noè, Gasparre Re armeno figlio di Cam, Baldassarre giovane re arabo di colore scuro figlio di Jafet, Melchiorre, il maraja indiano di nome Ram, vecchio figlio di Sem, chiamato così perché “ha visto Dio” (Cham El Chior).
Quello che colpisce in modo particolare è la fattura di queste opere, viste singolarmente nei loro particolari: terracotta vestita con stoffe, soprattutto sete, pregiate, occhi di vetro: immagini preziose.
Il presepio napoletano
Siamo in pieno stile napoletano, e qui occorre soffermarsi in modo particolare, non foss’altro in omaggio ai maestri di San Gregorio Armeno, la strada dei presepi, una pittoresca fabbrica diffusa e insieme l’esposizione di quanto sa produrre la fertile fantasia e inventiva partenopea unita al talento e alla tradizione nonché alla vitalità e alla passione. Ma qui non ci troviamo a Napoli, è la cripta di San Carlo al Corso. Raccontiamo quello che vediamo, non ciò che ricordiamo perché ci ha colpito.
Abbiamo già descritto la preziosa fattura in stile napoletano da parte di un maestro romano. Un presepio napoletano verace ci mostra una scena stile ‘700: una comune famiglia che però simboleggia la Sacra famiglia con la madre, il padre somigliante a S. Giuseppe, il bambino in una culletta che sembra la mangiatoia.
Non manca l’acqua come simbolo del fonte battesimale e il cibo sparso per l’ambiente, ricorda le offerte a Cristo; ci sono anche le mele, a ricordo del peccato originale. La madre tende la mano verso quella del bambino, quasi per giocare, un contatto raro quando è nella culla, ovvero nella mangiatoia della Natività; ma questo bambino è solo terreno. Non si conosce l’autore, si avverte l’estrema cura nel mettere in scena simbologie molto particolari.
Il presepio napoletano, va sottolineato, è fatto di particolari, si sofferma sulla vita quotidiana, non indulge alle rappresentazioni teatrali e ambientali come quello romano. Inoltre unisce sacro a profano, nello spirito devoto e insieme moderatamente dissacratore dello sua gente. In questa impostazione assumono un’importanza particolare le figure, preminenti sull’ambiente. Di qui l’evoluzione della tecnica per realizzarle, che ha puntato sullo snodo e sulle articolazioni in legno. Siamo nel 1600, nasce l’idea che ha dato flessibilità e varietà alle figure: l’applicazione delle teste e degli arti in legno a manichini fatti con stoffa e filo di ferro.
Non si pensi alle iniziali forme di Calder, lo scultore dell’aria che iniziò con il fil di ferro, ma a qualcosa di ingegnoso ed estremamente funzionale allo scopo: l’adattabilità consentiva di creare molteplici atteggiamenti e posizioni, quindi figure senza dover fare l’intero pezzo “ex novo” ma utilizzando un corpo standard.
L’utilizzazione successiva della terracotta invece del legno per le teste consentiva maggiore duttilità nella materia, rendendo più veloce la fattura, e nell’espressione, rendendola più morbida. Coerenti con l’impostazione legata al particolare e alla realtà della vita quotidiana, i maestri dei presepi napoletani mobilitavano artigiani di una grande varietà di settori, dai vasai agli orafi e agli argentieri; per le brocche e i vasi soprattutto da Cerreto d’Abruzzo oltre che da Vietri.
Una variante tutta speciale nei materiali la troviamo nel presepio pugliese, la cui storia vede l’inizio a metà del ‘400-500, un declino nel ‘600, la scomparsa nel ‘700 e il rilancio nell’800 con la cartapesta e in parte la creta. Questo si deve soprattutto al Salento e a Lecce, dove nel tempo libero i barbieri ci davano con le mani a premere sulla cartapesta e si aiutavano col bulino a lavorare la creta. Però il presepio non fu ritenuto né arte né arredamento, bensì tradizione popolare; per questo si sono conservate poche testimonianze e le opere riconducibili alla scuola pugliese sono assai rare.
Chiudiamo la parentesi pugliese, è così ricca la storia presepiale che ci risucchia nel didascalico invece di proseguire nel descrittivo; anzi nel narrativo, perché stiamo raccontando un viaggio in un mondo affascinante e favoloso che con la sua naturalezza e il suo simbolismo tocca nel profondo.
Un viaggio che a questo punto ci fa incontrare due diverse espressioni: le campane di vetro di Romolo Di Donato e Angelo Fracassi e i coppi spezzati di Felice Marotta, esordiente salernitano.
Le campane di vetro sono una peculiarità napoletana sin dal 1700, soprammobili con dentro normalmente una sola grande figura. Qui c’è il presepio con tante piccole figure, addirittura quello della campana di Fracassi è su tre piani.
Ai coppi spezzati di Marotta sono associati diversi elementi. O paesaggi salernitani oppure dei simboli: l’elefante per la solidità del Cristianesimo e la colonna spezzata per la caduta dell’impero romano dopo Cristo interpretabile anche come caduta del paganesimo dopo il Cristianesimo.
Simboli e particolari, particolari e simboli, ecco il presepio napoletano. Una riprova eloquente nelle opere di Antonio Esposito: il falegname e il focolaio. Nella bottega di falegname troviamo gli attrezzi, una sega particolarmente curata, non solo perfettamente riprodotti ma anche funzionanti; c’è un cancelletto di ferro battuto istoriato e addirittura una mensola con degli oggetti tra i quali una minuscola campana di vetro del tipo di quelle appena descritte di Fracassi e Di Donato.
Abbiamo conosciuto il quadro nel quadro e il teatro nel teatro, ora il presepio nel presepio per così dire. Nel focolaio c’è anche il simbolismo, oltre al particolare, ed è il calore familiare. Gli utensili da cucina in rame appesi con la velatura che sa di antico accrescono il calore, si sentono i lari e i penati della famiglia che vi si raccoglie intorno. E ci sono le bucce d’arancio a rendere l’ambiente odoroso. Valentina ci tiene a sottolinearlo.
Il grande presepio
Ci avviamo all’uscita, ma Valentina ci dice con gentile fermezza: “C’è il grande presepio nell’aula centrale della cripta, vicino al sepolcro con le ossa di San Carlo Borromeo!” La seguiamo, e veramente ne vale la pena. L’emozione viene nel vedere inginocchiate le grandi figure che riuniscono i simboli della Natività, compresi il pastore che rappresenta i popoli della terra e il pescatore i popoli sul mare o anche le pesca delle anime.
I quattro offerenti riuniti evocano a loro volta altri simboli: i quattro punti cardinali o i quattro continenti allora conosciuti; come se fossero accorsi tutti a Betlemme per adorare Gesù; mentre Giuseppe e Maria con le braccia formano un triangolo, simbolo delle divinità rivolto verso il bambino. Un’ultima preziosa indicazione di Valentina: hanno tutti carnagione scura e occhi castani, non azzurri come di norma rappresentati, perché sono della Palestina.
Sono nel nudo pavimento, appena qualche filo di paglia, non si vuole sopperire all’ambientazione. Figure singole senza collegamenti ambientali, soltanto ideali, il far parte di quella sacra rappresentazione che è la Natività. Che ferma il tempo. E lo fermano anche queste figure che descriviamo alla fine come lo fermavano quelle descritte all’inizio di Giulietta Cavallo.
Ci accommiatiamo da Valentina che ci ha pilotati con perizia sulla macchina del tempo di questa mostra. E’ stata la nostra Beatrice, perché qui si respira aria di Paradiso.
Un Paradiso sotterraneo, ci dice che sotto di noi c’è un accumulo d’acqua, come una grande cisterna, che genera un particolare microclima e viene monitorato, i milanesi padroni di casa sono particolarmente attenti a seguire la situazione. Non siamo nell’empireo, possiamo risalire le scale e infine “uscimmo a riveder le stelle”. Due angeli musicanti ci salutano all’uscita come ci avevano accolti all’entrata con un tondo azzurro su cui ne spiccano altri in volo con atteggiamenti birichini.
Ora entriamo nella basilica dalla porta interna. C’è un grande presepio con le “scarabattole” settecentesche e la Natività, parte delle figure sono di scuola napoletana e parte di scuola romana, un’altra bella commistione per trarre il meglio da entrambe; intorno ruderi e muri diroccati, sullo sfondo il Tevere, Roma sparita e il Cupolone.
Usciamo subito, quest’evocazione romana ci porta risalendo via del Corso alla chiesa di San Marcello: l’apoteosi, la natività si appoggia al rudere, dietro si distende nella sua maestosità il Colosseo, di fronte il tempio di Antonino e Faustina, in mezzo un colonnato. Sono illuminati e spiccano nella loro magnificenza.
E’ bello concludere così le festività, con quest’immagine della Roma monumentale all’interno del presepio, che si aggiunge a quella consueta della “Roma sparita” e della campagna romana.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante, meno l’ultima da Alberto Levante. Le prime 27 nella basilica romana dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso, ia Piazza San Carlo, di cui 25 nel Natale 2009 nella mostra nei sotterranei, le 2 successive nel Natale 2018 nell’abside e nella navata destra; l’ultima, ancora del Natale 2018, è nella propria abitazione.
Il 13 dicembre 2018 a Palazzo Barberini, nella sala Pietro da Cortona, sono stati illustrati i risultati del progetto WeACT³, la Tecnologia per Arte, Cultura, Turismo, Territorio”, promosso e coordinato da Civita, con il quale 12 imprese specializzate in diversi campi altamente innovativi hanno elaborato strumenti avanzati per migliorare la tutela, fruizione e valorizzazione dell’inestimabile patrimonio custodito nei palazzi Barberini e Corsini, ricchi di storia e memoria, d’arte e cultura di cui rendere partecipi i visitatori nel modo più efficace consentito dalla più moderna tecnologia. Sono intervenuti, fornendo sintesi esplicative del loro contributo, i responsabili delle 12 imprese impegnate nel progetto, dopo l’introduzione di Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, e la presentazione di Gianni Letta, presidente di Civita. Ha concluso la manifestazione il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli. L’accordo per il progetto di intervento coordinato era stato firmato e illustrato nei suoi contenuti il 31 ottobre 2017 a Palazzo Barberini, dagli stessi partecipanti attuali, il presidente di Civita e i rappresentanti delle 12 imprese, con il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, alla presenza dell’allora ministro del MiBACT. Dopo un anno di lavoro sono stati presentati gli strumenti innovativi realizzati a un livello tecnologico particolarmente avanzato, di pronta applicazione.
Il ministro del MiBAC Alberto Bonisoli conclude la manifestazione sul progetto “WeACT³”, alla sua sin. il presidente di Civita, Gianni Letta, alla sua dx il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori
L’intervento di presentazione di Gianni Letta, presidente di Civita
Il presidente di Civita,Gianni Letta, ha sottolineato che la realizzazione di un progetto come il “WeACT³”. La Tecnologia per Arte, Cultura, Turismo, Territorio” volto alla migliore tutela e valorizzazione dei beni culturali, conferma l’importanza della collaborazione tra privato e pubblico perseguita da Civita sin dalla costituzione per un trentennio.
Ha fatto rilevare che, pur in questa continuità, l’iniziativa si può definire unica perché per la prima volta hanno collaborato a realizzare un progetto comune 10 imprese, le quali, sulla base delle loro competenze specialistiche hanno messo a disposizione soluzioni tecnologiche altamente innovative per un intervento di interesse pubblico, com’è quello riguardante le Gallerie Nazionali d’Arte Antica con le loro collezioni che custodiscono “capolavori assoluti” e sono “culla di quella cultura europea sei-settecentesca di cui i Barberini e i Corsini e gli omonimi palazzi furono protagonisti”. Il gruppo di imprese – con il coordinamento di Civita, cui le imprese sono associate – ha operato dando risposte tecnologicamente avanzate alle esigenze prospettate dalla direzione delle Gallerie che ha le competenze per individuare ed evidenziare i problemi e valutare le soluzioni proposte.
Una “slide” di presentazione dell’intervento del gruppo “DAB” nel progetto “WeACT³”
“La strada da seguire è, dunque, quella dell’integrazione, sempre più stretta, fra competenze e tecnologie a vantaggio di un’effettiva fruizione dei nostri meravigliosi luoghi di cultura, sempre più accoglienti verso il pubblico e la comunità, oltre che della loro valorizzazione, primo strumento, ricordiamolo, verso un’opportuna e più ampia conoscenza”, sono le parole di Gianni Letta. Il progetto “WeACT³”, promosso da Civita per le Gallerie Nazionali di Arte Antica, può essere ritenuto dunque un progetto pilota per un’applicazione al sistema museale italiano in modo da portarlo all’avanguardia come merita per la ricchezza inestimabile del suo patrimonio artistico,
“É questa la direzione a cui, nel prossimo futuro, devono volgere lo sguardo i nostri musei per rimanere al passo con i tempi e divenire luoghi sempre più partecipati dal pubblico”. La collaborazione tra pubblico e privato potrà svolgersi “senza timori o reticenze; la chiave è riuscire a trovare la formula corretta nel pieno rispetto dei ruoli, come avvenuto nel caso del progetto “WeACT³”. E’ stata un’esperienza preziosa, che ha dato avvio a un modello di gestione replicabile su altri siti culturali italiani. “Ci crediamo con fermezza – ha concluso Gianni Letta – perché è in gioco la crescita non solo civile ma anche economica di un Paese, il nostro, che può vantare capolavori artistici di assoluto prestigio a livello internazionale. Senza conservatorismi o posizioni difensive, e con il coraggio di guardare alla Cultura come un pilastro del futuro”.
Le conclusioni del Ministro dei beni e delle attività culturali Alberto Bonisoli
Al termine delle presentazioni dei risultati ottenuti da ciascuna delle 10 imprese impegnate nel progetto “WeACT³”, ilministro del Beni e delle Attività Culturali Alberto Bonisoli ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra vari soggetti che lavorano insieme per lo stesso obiettivo, pur nella diversità delle loro finalità. E ha aggiunto che “si possono avere ricadute inaspettate al di là delle previsioni iniziali. Nel “WeACT³” c’è stato il coinvolgimento del personale con l’effetto di una rigenerazione perché così possono mettere del proprio e dare il massimo”.
Una “slide” di presentazione dell’intervento del “Consorzio Glossa” nel progetto“WeACT³”
E’ importante applicare soluzioni tecnologiche avanzate a un mondo, come quello dei musei, orientato alla conservazione; e ha ricordato che il suo Ministero sta lavorando in questo senso a un sistema per la sicurezza esterna che si avvalga dei satelliti, come il “WeACT³” opera per la sicurezza interna, inoltre c’è notevole impegno nella digitalizzazione. Un aspetto fondamentale riguarda la capacità di “dare al visitatore gli strumenti per conoscere e capire l’opera, contestualizzarla anche rispetto alla vita degli autori con un adeguato accesso alle informazioni”.
Quindi nel progetto “WeACT³” convergono due fattori fondamentali per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale: “Da un lato la collaborazione pubblico-privato, dall’altro le nuove tecnologie”. Il Ministro lo ha definito “un modello virtuoso che accoglie le sfide di un mondo in continua evoluzione, puntando a una maggiore efficienza ed efficacia nella gestione delle risorse e, al contempo, a un nuovo modo di pensare la funzione museale, come un sistema integrato di servizi, ad alto grado di innovazione”. Per i principali musei, come per le città d’arte, si pone anche il problema dell'”eccesso di domanda” soprattutto in periodi particolari, per cui va disciplinato il flusso di visitatori con gli strumenti disponibili di monitoraggio e regolazione.
Un momento della presentazione dell’intervento di “Avvenia-Ericsson” nel progetto“WeACT³”
Ha insistito, poi, sul “valore della creatività per trovare soluzioni anche facili che rispondano a precisi obiettivi”. E ha sostenuto l’importanza di “utilizzare la creatività dei giovani, perché possono pensare a soluzioni a cui non si è abituati, ma spesso non lo si fa”. Infine è tornato sulla collaborazione tra pubblico e privato nella quale il privato porta “la maggiore velocità rispetto al pubblico, la propensione al rischio e la flessibilità che il pubblico non ha”. Quindi la collaborazione va perseguita, “basta trovare le forme più opportune, c’è molto spazio di miglioramento e ammodernamento con le nuove tecnologie”. Siamo dinanzi a un vero e proprio balzo in avanti in campo tecnologico ed “abbiamo le competenze al nostro interno, dobbiamo utilizzarle come si è fatto con il progetto “WeACT³”.
Finalità e contenuto di “WeACT³” secondo Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie
Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, ha detto che “il progetto ci ha entusiasmato sin dall’inizio e ha coinvolto i nostri curatori”, e il rapporto con le imprese impegnate nella realizzazione “si è sviluppato nel corso di un processo di ridefinizione del museo e dei suoi ruoli”. E’ stato costituito “uno staff rafforzato dall’innesto di personalità prima assenti o insufficienti” aperte all’innovazione e alla collaborazione di imprese private; e a questo riguardo “di importanza strategica è stato il ruolo di Civita che ha coordinato e facilitato le relazioni tra tutti i soggetti coinvolti e le risorse del museo”. Ha fatto poi due precisazioni non scontate.
La prima non è scontata perché potrebbe sorprendere che strumenti tecnologicamente così avanzati e innovativi vengano applicati nelle Gallerie d’Arte Antica piuttosto che nelle sedi espositive dell’arte contemporanea, apparentemente meglio predisposte: “Sono fermamente convinta che i musei, e in particolare quelli di arte antica situati in edifici storici di particolare interesse, siano un laboratorio straordinario e imprescindibile per testare le tecnologie in contesti integrati e complessi”; ebbene, i Palazzi Barberini e Corsini hanno questi requisiti al massimo livello nel valore storico e artistico. Lo stato degli edifici e dei suoi impianti va tenuto sotto controllo per la sicurezza, anche riguardo al controllo del flusso del pubblico. E le condizioni climatiche vanno monitorate costantemente in particolare per il risparmio energetico, le Gallerie Nazionali hanno partecipato con un proprio progetto al bando della Regione Lazio sull’innovazione tecnologica.
Una “slide” di presentazione dell’intervento di “Mastercard” nel progetto“WeACT³”
Una seconda precisazione riguarda l’adozione di strumenti avanzati per le particolari esigenze del mondo museale: “Le piattaforme per l’interpretazione delle opere, la sperimentazione per una fruizione multimediale delle collezioni e degli spazi, i servizi al visitatore, e il monitoraggio delle strutture e delle opere, sono campi in cui la ricerca digitale e quella museologica si incontrano, e si arricchiscono vicendevolmente. Il museo reale e quello digitale e tutti i prodotti elaborati in questa occasione lo confermano”. In pratica, mediante le piattaforme digitali – che in Italia sono ancora rare mentre all’estero sempre più diffuse – vengono centralizzate le informazioni in modo da poterle integrare con i sistemi di fruizione e aggiornate automaticamente per rendere sempre più accessibile al pubblico il patrimonio artistico fornendogli informazioni adeguate nel modo più semplice per una visita personalizzata.
I risultati ottenuti nei 10 interventi del “WeACT³”
I risultati ottenuti sono stati illustrati dai responsabili delle 12 imprese impegnate nel progetto, con interventi nei quali hanno utilizzato “slides”per sintetizzare tre elementi fondamentali: “Why”, cioè l’obiettivo perseguito, “What”, l’intervento da attuare, “How”, il modo come si realizza. Non possiamo seguire questa articolazione esplicativa ma dobbiamo limitarci a una panoramica del 10 interventi realizzati per dare una idea di come sono stati affrontati e risolti i relativi problemi, con riferimento alle sedi delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini. .
Un primo risultato riguarda l’“Energy management” e fa capo alle imprese Avvenia ed Ericsson che hanno perseguito l’obiettivo di “individuare i margini di miglioramento ed efficientamento degli edifici e degli impianti delle due sedi del museo”, in modo da qualificare il servizio che viene offerto ai visitatori. L’intervento consiste nell’installazione di un sistema IoT di monitoraggio e diagnostica non invasivo ad un livello tecnologico molto elevato per raccogliere i dati e poterli elaborare con un apposito modello di calcolo per definire le azioni di miglioramento energetico. Oltre al risparmio energetico, quindi economico, garantisce maggiore sicurezza delle opere esposte.
Alla sicurezza è dedicata la piattaforma software “Security&Safety” a cura del gruppo DAB S.p.A., che gestisce i sistemi di sicurezza centralizzati per i due palazzi presso la sala regia di Palazzo Barberini con un monitoraggio costante. Ma, come l'”energy management” ha come risultato secondario la maggiore sicurezza, così “Security& Safety ha come risultato anche la gestione in una sola piattaforma software dei segnali di allarme emessi dai sensori di microclima, cioè temperatura, umidità e luminosità, che riguardano non solo la sicurezza ma anche l’assetto energetico complessivo. Naturalmente, il tutto è coordinato in modo appropriato.
La “slide” iniziale della presentazione dell’intervento di “Vodafone” e “Wind-Tre” nel progetto “WeACT³”
Dalla tutela dei due siti museali alla organizzazione dei contenuti con il “Sistema di gestione delle Collezioni” del Consorzio Glossa, definito rivoluzionario perché raccoglie in un’unica piattaforma integrata “on line”, quindi accessibile via Web, i principali elementi informativi, dalle immagini al catalogo agli inventari, in modo da fornire una base conoscitiva dell’intero patrimonio museale alle funzioni interessate alla classificazione e movimentazione, restauro e allestimento, documentazione e comunicazione. Le digitalizzazioni preesistenti sono state inserite nel sistema integrato che già conta 2.400 voci di inventario, 12.000 immagini digitali, le planimetrie e gli allestimenti.
Si passa dall’organizzazione interna alla fruizione dei visitatori con la “Guida digitale della Galleria Corsini”, sempre a cura del Consorzio Glossa il quale ha “rivoluzionato” il sistema attuale mediante un “tablet” – che abbiamo provato personalmente – fornito ai visitatori perché possano orientarsi tra le sale e ricevere le informazioni – in italiano, inglese e francese – per la migliore conoscenza delle opere e degli autori, particolarmente utile per opere poste in alto nelle quadrerie. Le informazioni sono estratte automaticamente dal “Sistema di gestione delle Collezioni” sopra descritto, quindi sempre aggiornate nelle collocazioni espositive e negli allestimenti speciali.
Un momento della presentazione dell’intervento di “Enea” nel progetto “WeACT³”
Dalla Galleria Corsini con le sue quadrerie a Palazzo Barberini con la “Digitalizzazione della Volta” a cura di Enea. Lo spettacolare affresco di Pietro da Cortona, “Il trionfo della Divina Provvidenza”, è stato scansionato (con lo scanner Red Green Blue – Imaging Topological Radar) mediante l’utilizzo combinato di 3 fasci per ottenere un modello in 3D colorato ad alta densità di punti, e questo è stato fatto senza inibire l’accesso ai visitatori e senza impalcature. In tal modo si potrà provvedere al monitoraggio della volta per evidenziare lesioni e danni all’affresco e definire eventuali restauri. Possono essere apprezzati dettagli non visibili ad occhio nudo.
L’Enea ha realizzato anche il sistema chiamato “Ricostruzioni 2D&3D” perché con la tecnica fotogrammetrica trasforma le immagini digitali 2D in un modello 3D, visibile con gli appositi occhiali che fanno percepire le tre dimensioni. Il sistema è stato applicato a due opere del Palazzo Corsini: la scultura romana del I sec. a. C, “Trono Corsini”, e il busto in terracotta, di cui è autore Gian Lorenzo Bernini, “Ritratto di Alessandro VII Chigi”. Abbiamo constatato di persona che le opere vengono esplorate in ogni dettaglio, ruotano su se stesse e rivelano particolari inaccessibili nella visione normale. Così può venire monitorata costantemente anche la loro conservazione.
Ora diamo conto degli interventi meno eclatanti ma molto utili per la gestione amministrativa. Mastercard ha predisposto uno strumento per “Pagamenti digitali” rapidi e semplici che allarga l’area dei pagamenti digitali e aggiunge le prenotazioni “contactless” . Inoltre ha inserito le Gallerie Nazionali nel sistema di promozione mediante la piattaforma internazionale “PricelessCities”, sistema operante in 40 città del mondo di cui Mastercard dispone per eventi ed esperienze esclusive non solo culturali, ma anche enogastronomiche, di shopping ed altro, riservate ai titolari delle sue carte di credito, che possono visitarle “priceless”: nel sistema ci sono Roma, Milano e la Sicilia.
Una “slide” di presentazione degli obiettivi dell’intervento di “DM Cultura-Oracle” nel progetto”WeACT³”
Una significativa collaborazione tra Vodafone e Wind -Tre ha portato al “Mobile ticketing”, con il quale si potrà acquistare il biglietto direttamente mediante lo “smartphone” utilizzando il credito telefonico. In pratica, si potrà aprire il portale a ciò dedicato ed entrare nell’area riservata alle Gallerie Nazionali Barberini e Corsini, selezionare la data della visita, il numero e il tipo di biglietti, poi confermare l’acquisto inviando un SMS al numero telefonico indicato, dal quale verrà trasmesso un SMS all’acquirente con il PIN da mostrare alla Cassa per entrare nel museo. Ovviamente l’importo del biglietto viene scalato dal credito telefonico o addebitato in fattura.
Con il “Digital Marketing” un’altra collaborazione tra DM Cultura e Oracle ha portato a generare un sistema innovativo di comunicazione con il mercato in modo personalizzato, tempestivo e rilevante, che sono i requisiti per la sua efficacia. Attraverso la piattaforma “Cloud”, dove sono raccolte tutte le informazioni utili ad incrementare l’afflusso di visitatori, vengono creati messaggi personalizzati con l'”orchestrazione della comunicazione”, passando cioè dalla comunicazione unidirezionale alla comunicazione relazionale. Si possono poi monitorare e correggere i messaggi.
Le ultime realizzazioni riguardano la “Comunicazione e Promozione”. Civita, oltre al coordinamento organizzativo del progetto “WeACT” è impegnata a realizzare una serie di “Eventi promozionali”, incontri e iniziative culturali per accrescere la conoscenza delle due sedi delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica. Con Ericson ha organizzato la “Maratona digitale”, un “hackathon” per stimolare la creatività delle “start up” , idee e prototipi di servizi e prodotti per un museo del futuro, è stato premiato il team vincitore con 3.000 euro in palio da Civita. Logotel ha realizzato un sito web, un video e un kit di comunicazione sull’intero progetto “WeACT³”.
Al termine di questa rapida rassegna possiamo dire che è stata affrontata un’ampia gamma di problematiche che riguardano i musei interessati – Palazzo Barberini e Palazzo Corsini – ma, con modalità ovviamente diverse, possono venire estese al sistema museale nazionale. Dovrebbe interessare direttamente il Direttore generale dei Musei del MiBAC, che di recente alla sede di Civita ha esposto il nuovo programma di interventi per porre strutture e organizzazione al passo dei tempi.
Una “slide” di presentazione delle azioni dell’intervento di “DM Cultura-Oracle” nel progetto “WeACT³”
Per tutti i problemi affrontati sono state trovate soluzioni tecnologicamente avanzate, tradotte in sistemi e dispositivi altamente innovativi. Si è passati dal miglioramento della sicurezza e dell’efficienza energetica dei siti all’organizzazione e gestione delle collezioni, con la guida digitale per la migliore fruibilità da parte dei visitatori; poi a specifici interventi volti al monitoraggio di opere particolarmente significative, per la tutela e l’eventuale restauro e per la conoscenza nei dettagli da parte dei visitatori; fino ai pagamenti digitali veloci e semplici su carte di credito e su “smartphone”, e a sistemi promozionali basati sulla personalizzazione delle comunicazioni e su eventi appositi con uno sguardo al futuro per apposite iniziative e sistemi promozionali.
Le imprese impegnate nel “WeACT³”, eccellenze e partnership
E’ d’obbligo a questo punto una rapida rassegna delle imprese impegnate nel progetto integrato promosso e coordinato da Civita che ha mobilitato, tra le 160 associate, le 12 che si sono dichiarate in grado di fornire i servizi museali richiesti ad un elevato livello di specializzazione e nel contempo disponibili ad operare in stretto coordinamento con altre imprese. In tal modo la trentennale propensione di Civita a promuovere la collaborazione tra pubblico e privato si è arricchita di un ulteriore elemento di notevole valore: l’intervento progettuale integrato di una serie di imprese private in stretta intesa tre loro, fino alla “partnership”, e nel costante dialogo con il destinatario che ha apportato la propria competenza in un settore particolare come quello museale dove sono presenti esigenze e problemi eterogenei da affrontare e risolvere nel superiore interesse pubblico.
Una “slide” con le possibilità offerte al visitatore dai nuovi servizi di assistenza del progetto “WeACT³”
Troviamo dei campioni assoluti come Avvenia, società del gruppo Terna nata nel 2001, componente della Federazione Italiana per l’uso razionale dell’Energia, divenuta leader mondiale nell’efficienza energetica con un elevato numero di progetti di efficientamento in Italia, mediante Energy Performance Contracts, anche in collaborazione con altre imprese. Ha fornito i sensori per il monitoraggio continuo della situazione ambientale ed energetica.
Ha operato in partnership con Ericsson, la società svedese leader mondiale nelle tecnologie e nei servizi per la comunicazione, presente in 180 paesi, il 40% del traffico mobile mondiale passa attraverso le sue reti, nel 2017 ha investito in R&S il 19% del fatturato, possiede 45.000 brevetti di telecomunicazioni, i Italia è presente da un secolo, oggi con 3.000 professionisti. Ha fornito la piattaforma IoT Accelerator per gli interventi sulla base delle informazioni dei sensori di Avvenia.
Avvenia ha un dialogo costante con l’Enea, l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, partner del Centro di eccellenza DCT Lazio, che si è segnalata nel trasferire le tecnologie elaborate per campi diversi, al settore dei beni culturali: in particolare nella progettazione ed esecuzione dei restauri, nel monitoraggio dello stato di conservazione e nella protezione e fruizione anche in situazioni molto difficili. Nel progetto “WeACT³” la visualizzazione e il monitoraggio in 3D.
Un momento della presentazione dell’intervento di “Logotel” nel progetto “WeACT³”
Livello di eccellenza anche perOracle, in Italia da 25 anni con 1.100 dipendenti e 700 Business partner, specializzato nelle metodologie di comunicazione. Le sue applicazioni, definite “Software as a Service”, comprendono processi di “Enterprise Resource Planning” e “Human Capital Management”, “Customer Relatiionship Management” e “Platform – Infrastructure as a Service”. Al “WeACT³” ha portato la piattaforma per una comunicazione personalizzata e monitorata
“Mastercard” e “Vodafone” con “Wind-Tre”, partecipantial “WeACT³” con innovazioni nei pagamenti, “contactless” e tramite “smartphone” oltre che con offerte promozionali dedicate, sono ben note, basta ricordare alcune peculiarità. Mastercard è il network globale dei pagamenti presente in 210 paesi e partner di 22.000 istituzioni finanziarie, leader tecnologico mondiale nella connessione dei consumatori con i diversi mercati e sponsor di importanti manifestazioni sportive. Vodafone è un leader mondiale nelle telecomunicazioni, presente in 90 paesi tra rete mobile, fissa e partnership. con oltre 500 milioni di clienti nel mobile e 20 nella rete fissa, in Italia ha 7.000 dipendenti di cui 2.500 per l’assistenza ai clienti. Wind-Tre ha un’importante presenza in Italia soprattutto nella telefonia mobile, con la fusione di “Wind” e “H3G” che dal settembre 2018 hanno come azionista unico CK Hutchinson; con la “Open Fibre” ha un accordo per realizzare in Italia la banda ultra larga, con reti di fibra di nuova generazione, ha operato in partnership con Vodaphone.
Dai campioni mondiali a quelli italiani in nicchie specialistiche del mondo culturale. Il gruppo DAB, nato 45 annifa, è definito “il primo Polo Tecnologico Sicurezza” , centro di eccellenza per il controllo tecnologico della sicurezza dei beni, delle persone e del territorio; agisce su tutto il fronte, dalla ricerca e sviluppo all’analisi e progettazione, fino alla realizzazione di sistemi complessi di sicurezza e il relativo tele monitoraggio, vigilanza e formazione. Al “WeACT³” ha portato in concreto la piattaforma software di monitoraggio per la tutela delle opere e dei visitatori.
I tre componenti il “team” vincitore del concorso con il premio di Civita
A sua volta il Consorzio Glossa, impegnato nella ricerca orientata all’applicazione delle tecnologie informatiche alle scienze umane, si è specializzato in particolare nella catalogazione, conservazione e fruizione dei beni culturali e ambientali, anche nell’ottica della multimedialità ed editoria elettronica con traduzione assistita dal computer, e questo nell’interazione con Istituzioni universitarie, Enti di Ricerca e Organismi nazionali ed esteri. Di qui la sua partecipazione al progetto “WeACT³” con il Sistema integrato di gestione collezioni e il “Tablet per i visitatori.
Mentre il DM Cultura, sorto 30 anni fa per il settore delle Biblioteche, ha esteso l’attività agli Archivi storici, ai Musei e ai luoghi della cultura, con 5.500 enti pubblici e privati suoi clienti. Fornisce consulenza strategica e piattaforme tecnologiche, strategia digitale e servizi web e mobile anche per la sicurezza. Specializzata nei modelli di fruizione e valorizzazione interattivi ed immersivi dei luoghi di cultura, in particolare i musei, con l’impiego di tecnologie digitali innovative, è intervenuta nel “WeACT³” per la comunicazione volta alla crescita dei visitatori.
Le imprese citate hanno concorso alla realizzazione del “WeACT³” in modo integrato, non solo mediante il coordinamento dei loro interventi curato da Civita, ma con partnership come quelle tra Avvenia ed Ericsson, DM Cultura e Oracle, in cui hanno collaborato strettamente leader mondiali e aziende nazionali, e tra Vodafone e Wind-Tre in cui addirittura hanno lavorato insieme gruppi in diretta concorrenza nel mercato telefonico italiano in cui la competizione è particolarmente aspra.
L’altra premiata da Civita nel concorso citato
Il “WeACT³” ha quindi una storia meritevole di essere raccontata, unendo eccellenze private che concorrono anche con partnership tra leader mondiali e società italiane minori, e tra gruppi concorrenti, coordinate dall’Associazione di cui fanno parte, su un progetto di interesse pubblico dialogando con le Gallerie Nazionali di Arte Antica per avvalersi delle loro competenze. E anche a questo si è pensato, allo “storytelling” dell’iniziativa il cui coordinamento è stato affidato a Logotel, una “service design company” operante da 25 anni con sede a Milano, che nel 2017 ha realizzato progetti di trasformazione aziendale con 60 clienti coinvolgendo 5.000 persone in progetti formativi. Nell’apposito sito Web e nei video realizzati c’è un racconto univoco e integrato che dà al “WeACT³” un’identità ben precisa facendone uno strumento di comunicazione promozionale.
Tecnologia e innovazione, dunque, al servizio dell’arte e della cultura. In fondo questi mondi così diversi hanno in comune un elemento indispensabile, la creatività; quindi è naturale che si siano incontrati. Ma in un paese come il nostro, con i suoi individualismi e i suoi pregiudizi, le sue barriere e i suoi ostracismi, non era facile che ciò avvenisse in concreto, per di più per un museo di arte antica. A Civita il merito di esserci riuscita, e lo stesso nome del progetto ne riassume il valore, “noi agiamo”: in quel “noi” c’è la collaborazione, nell'”agiamo” la concretezza e la determinazione.
Il soffitto della sala “Pietro da Cortona”, il grande affresco “Il trionfo della Provvidenza”
Info
La manifestazione si è svolta a Palazzo Barberini in Via Quattro Fontane, Roma, nella sala “Pietro da Cortona”. Cfr. i nostri precedenti articoli in questo sito, su incontri e conferenze organizzati da Civita a sostegno di iniziative culturali: nel 2018 per “La cultura come diritto di cittadinanza”, 10 e 25 ottobre, il “Festival europeo dei Cammini sulle vie Francigene” 9 luglio, la ricerca “L’arte di produrre Arte” 14 e 18 febbraio, la ricerca sul “Soft Power” l’11 e 15 febbraio. .
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Barberini nel corso della manifestazione di Civita, che si ringrazia per l’opportunità offerta. In apertura, l’intervento conclusivo del ministro del MiBAC Alberto Bonisoli, alla sua sin. Gianni Letta, presidente di Civita, alla sua dx il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori; segue una serie di immagini della presentazione dei 10 interventi del progetto “WeACT³”, gruppo DAB e Avvenia-Ericsson, Mastercard e Vodafone-Tre, Enea e DM Cultura-Oracle obiettivi e azioni, fino alla “slide” sui nuovi servizi ai visitatori; poi due immagini dei premiati da Civita; infine, la volta della sala con l’affresco di Pietro da Cortona “Il Trionfo della Provvidenza” oggetto di un intervento del progetto; in chiusura, la foto di gruppo finale dopo le presentazioni dei risultati, i rappresentanti delle 12 imprese intervenute nel progetto “WeACT³” intorno al ministro del MiBAC Alberto Bonisoli, al presidente di Civita Gianni Letta e al direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori.
Al termine degli interventi, i rappresentanti delle 12 imprese patecipanti al “WeACT³”, con il ministro del MiBAC Alberto Bonisoli, il presidente di Civita Gianni Letta e il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Sartori
di Romano Maria Levante
Il 13 dicembre 2018 a Palazzo Barberini, nella sala Pietro da Cortona, sono stati illustrati i risultati del progetto WeACT³, la Tecnologia per Arte, Cultura, Turismo, Territorio”, promosso e coordinato da Civita, con il quale 12 imprese specializzate in diversi campi altamente innovativi hanno elaborato strumenti avanzati per migliorare la tutela, fruizione e valorizzazione dell’inestimabile patrimonio custodito nei palazzi Barberini e Corsini, ricchi di storia e memoria, d’arte e cultura di cui rendere partecipi i visitatori nel modo più efficace consentito dalla più moderna tecnologia. Sono intervenuti, fornendo sintesi esplicative del loro contributo, i responsabili delle 12 imprese impegnate nel progetto, dopo l’introduzione di Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, e la presentazione di Gianni Letta, presidente di Civita. Ha concluso la manifestazione il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli. L’accordo per il progetto di intervento coordinato era stato firmato e illustrato nei suoi contenuti il 31 ottobre 2017 a Palazzo Barberini, dagli stessi partecipanti attuali, il presidente di Civita e i rappresentanti delle 12 imprese, con il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, alla presenza dell’allora ministro del MiBACT. Dopo un anno di lavoro sono stati presentati gli strumenti innovativi realizzati a un livello tecnologico particolarmente avanzato, di pronta applicazione.
Il ministro del MiBAC Alberto Bonisoli conclude la manifestazione sul progetto “WeACT³”, alla sua sin. il presidente di Civita, Gianni Letta, alla sua dx il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori
L’intervento di presentazione di Gianni Letta, presidente di Civita
Il presidente di Civita,Gianni Letta, ha sottolineato che la realizzazione di un progetto come il “WeACT³”. La Tecnologia per Arte, Cultura, Turismo, Territorio” volto alla migliore tutela e valorizzazione dei beni culturali, conferma l’importanza della collaborazione tra privato e pubblico perseguita da Civita sin dalla costituzione per un trentennio.
Ha fatto rilevare che, pur in questa continuità, l’iniziativa si può definire unica perché per la prima volta hanno collaborato a realizzare un progetto comune 10 imprese, le quali, sulla base delle loro competenze specialistiche hanno messo a disposizione soluzioni tecnologiche altamente innovative per un intervento di interesse pubblico, com’è quello riguardante le Gallerie Nazionali d’Arte Antica con le loro collezioni che custodiscono “capolavori assoluti” e sono “culla di quella cultura europea sei-settecentesca di cui i Barberini e i Corsini e gli omonimi palazzi furono protagonisti”. Il gruppo di imprese – con il coordinamento di Civita, cui le imprese sono associate – ha operato dando risposte tecnologicamente avanzate alle esigenze prospettate dalla direzione delle Gallerie che ha le competenze per individuare ed evidenziare i problemi e valutare le soluzioni proposte.
Una “slide” di presentazione dell’intervento del gruppo “DAB” nel progetto “WeACT³”
“La strada da seguire è, dunque, quella dell’integrazione, sempre più stretta, fra competenze e tecnologie a vantaggio di un’effettiva fruizione dei nostri meravigliosi luoghi di cultura, sempre più accoglienti verso il pubblico e la comunità, oltre che della loro valorizzazione, primo strumento, ricordiamolo, verso un’opportuna e più ampia conoscenza”, sono le parole di Gianni Letta. Il progetto “WeACT³”, promosso da Civita per le Gallerie Nazionali di Arte Antica, può essere ritenuto dunque un progetto pilota per un’applicazione al sistema museale italiano in modo da portarlo all’avanguardia come merita per la ricchezza inestimabile del suo patrimonio artistico,
“É questa la direzione a cui, nel prossimo futuro, devono volgere lo sguardo i nostri musei per rimanere al passo con i tempi e divenire luoghi sempre più partecipati dal pubblico”. La collaborazione tra pubblico e privato potrà svolgersi “senza timori o reticenze; la chiave è riuscire a trovare la formula corretta nel pieno rispetto dei ruoli, come avvenuto nel caso del progetto “WeACT³”. E’ stata un’esperienza preziosa, che ha dato avvio a un modello di gestione replicabile su altri siti culturali italiani. “Ci crediamo con fermezza – ha concluso Gianni Letta – perché è in gioco la crescita non solo civile ma anche economica di un Paese, il nostro, che può vantare capolavori artistici di assoluto prestigio a livello internazionale. Senza conservatorismi o posizioni difensive, e con il coraggio di guardare alla Cultura come un pilastro del futuro”.
Le conclusioni del Ministro dei beni e delle attività culturali Alberto Bonisoli
Al termine delle presentazioni dei risultati ottenuti da ciascuna delle 10 imprese impegnate nel progetto “WeACT³”, ilministro del Beni e delle Attività Culturali Alberto Bonisoli ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra vari soggetti che lavorano insieme per lo stesso obiettivo, pur nella diversità delle loro finalità. E ha aggiunto che “si possono avere ricadute inaspettate al di là delle previsioni iniziali. Nel “WeACT³” c’è stato il coinvolgimento del personale con l’effetto di una rigenerazione perché così possono mettere del proprio e dare il massimo”.
Una “slide” di presentazione dell’intervento del “Consorzio Glossa” nel progetto“WeACT³”
E’ importante applicare soluzioni tecnologiche avanzate a un mondo, come quello dei musei, orientato alla conservazione; e ha ricordato che il suo Ministero sta lavorando in questo senso a un sistema per la sicurezza esterna che si avvalga dei satelliti, come il “WeACT³” opera per la sicurezza interna, inoltre c’è notevole impegno nella digitalizzazione. Un aspetto fondamentale riguarda la capacità di “dare al visitatore gli strumenti per conoscere e capire l’opera, contestualizzarla anche rispetto alla vita degli autori con un adeguato accesso alle informazioni”.
Quindi nel progetto “WeACT³” convergono due fattori fondamentali per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale: “Da un lato la collaborazione pubblico-privato, dall’altro le nuove tecnologie”. Il Ministro lo ha definito “un modello virtuoso che accoglie le sfide di un mondo in continua evoluzione, puntando a una maggiore efficienza ed efficacia nella gestione delle risorse e, al contempo, a un nuovo modo di pensare la funzione museale, come un sistema integrato di servizi, ad alto grado di innovazione”. Per i principali musei, come per le città d’arte, si pone anche il problema dell'”eccesso di domanda” soprattutto in periodi particolari, per cui va disciplinato il flusso di visitatori con gli strumenti disponibili di monitoraggio e regolazione.
Un momento della presentazione dell’intervento di “Avvenia-Ericsson” nel progetto“WeACT³”
Ha insistito, poi, sul “valore della creatività per trovare soluzioni anche facili che rispondano a precisi obiettivi”. E ha sostenuto l’importanza di “utilizzare la creatività dei giovani, perché possono pensare a soluzioni a cui non si è abituati, ma spesso non lo si fa”. Infine è tornato sulla collaborazione tra pubblico e privato nella quale il privato porta “la maggiore velocità rispetto al pubblico, la propensione al rischio e la flessibilità che il pubblico non ha”. Quindi la collaborazione va perseguita, “basta trovare le forme più opportune, c’è molto spazio di miglioramento e ammodernamento con le nuove tecnologie”. Siamo dinanzi a un vero e proprio balzo in avanti in campo tecnologico ed “abbiamo le competenze al nostro interno, dobbiamo utilizzarle come si è fatto con il progetto “WeACT³”.
Finalità e contenuto di “WeACT³” secondo Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie
Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, ha detto che “il progetto ci ha entusiasmato sin dall’inizio e ha coinvolto i nostri curatori”, e il rapporto con le imprese impegnate nella realizzazione “si è sviluppato nel corso di un processo di ridefinizione del museo e dei suoi ruoli”. E’ stato costituito “uno staff rafforzato dall’innesto di personalità prima assenti o insufficienti” aperte all’innovazione e alla collaborazione di imprese private; e a questo riguardo “di importanza strategica è stato il ruolo di Civita che ha coordinato e facilitato le relazioni tra tutti i soggetti coinvolti e le risorse del museo”. Ha fatto poi due precisazioni non scontate.
La prima non è scontata perché potrebbe sorprendere che strumenti tecnologicamente così avanzati e innovativi vengano applicati nelle Gallerie d’Arte Antica piuttosto che nelle sedi espositive dell’arte contemporanea, apparentemente meglio predisposte: “Sono fermamente convinta che i musei, e in particolare quelli di arte antica situati in edifici storici di particolare interesse, siano un laboratorio straordinario e imprescindibile per testare le tecnologie in contesti integrati e complessi”; ebbene, i Palazzi Barberini e Corsini hanno questi requisiti al massimo livello nel valore storico e artistico. Lo stato degli edifici e dei suoi impianti va tenuto sotto controllo per la sicurezza, anche riguardo al controllo del flusso del pubblico. E le condizioni climatiche vanno monitorate costantemente in particolare per il risparmio energetico, le Gallerie Nazionali hanno partecipato con un proprio progetto al bando della Regione Lazio sull’innovazione tecnologica.
Una “slide” di presentazione dell’intervento di “Mastercard” nel progetto“WeACT³”
Una seconda precisazione riguarda l’adozione di strumenti avanzati per le particolari esigenze del mondo museale: “Le piattaforme per l’interpretazione delle opere, la sperimentazione per una fruizione multimediale delle collezioni e degli spazi, i servizi al visitatore, e il monitoraggio delle strutture e delle opere, sono campi in cui la ricerca digitale e quella museologica si incontrano, e si arricchiscono vicendevolmente. Il museo reale e quello digitale e tutti i prodotti elaborati in questa occasione lo confermano”. In pratica, mediante le piattaforme digitali – che in Italia sono ancora rare mentre all’estero sempre più diffuse – vengono centralizzate le informazioni in modo da poterle integrare con i sistemi di fruizione e aggiornate automaticamente per rendere sempre più accessibile al pubblico il patrimonio artistico fornendogli informazioni adeguate nel modo più semplice per una visita personalizzata.
I risultati ottenuti nei 10 interventi del “WeACT³”
I risultati ottenuti sono stati illustrati dai responsabili delle 12 imprese impegnate nel progetto, con interventi nei quali hanno utilizzato “slides”per sintetizzare tre elementi fondamentali: “Why”, cioè l’obiettivo perseguito, “What”, l’intervento da attuare, “How”, il modo come si realizza. Non possiamo seguire questa articolazione esplicativa ma dobbiamo limitarci a una panoramica del 10 interventi realizzati per dare una idea di come sono stati affrontati e risolti i relativi problemi, con riferimento alle sedi delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini. .
Un primo risultato riguarda l’“Energy management” e fa capo alle imprese Avvenia ed Ericsson che hanno perseguito l’obiettivo di “individuare i margini di miglioramento ed efficientamento degli edifici e degli impianti delle due sedi del museo”, in modo da qualificare il servizio che viene offerto ai visitatori. L’intervento consiste nell’installazione di un sistema IoT di monitoraggio e diagnostica non invasivo ad un livello tecnologico molto elevato per raccogliere i dati e poterli elaborare con un apposito modello di calcolo per definire le azioni di miglioramento energetico. Oltre al risparmio energetico, quindi economico, garantisce maggiore sicurezza delle opere esposte.
Alla sicurezza è dedicata la piattaforma software “Security&Safety” a cura del gruppo DAB S.p.A., che gestisce i sistemi di sicurezza centralizzati per i due palazzi presso la sala regia di Palazzo Barberini con un monitoraggio costante. Ma, come l'”energy management” ha come risultato secondario la maggiore sicurezza, così “Security& Safety ha come risultato anche la gestione in una sola piattaforma software dei segnali di allarme emessi dai sensori di microclima, cioè temperatura, umidità e luminosità, che riguardano non solo la sicurezza ma anche l’assetto energetico complessivo. Naturalmente, il tutto è coordinato in modo appropriato.
La “slide” iniziale della presentazione dell’intervento di “Vodafone” e “Wind-Tre” nel progetto “WeACT³”
Dalla tutela dei due siti museali alla organizzazione dei contenuti con il “Sistema di gestione delle Collezioni” del Consorzio Glossa, definito rivoluzionario perché raccoglie in un’unica piattaforma integrata “on line”, quindi accessibile via Web, i principali elementi informativi, dalle immagini al catalogo agli inventari, in modo da fornire una base conoscitiva dell’intero patrimonio museale alle funzioni interessate alla classificazione e movimentazione, restauro e allestimento, documentazione e comunicazione. Le digitalizzazioni preesistenti sono state inserite nel sistema integrato che già conta 2.400 voci di inventario, 12.000 immagini digitali, le planimetrie e gli allestimenti.
Si passa dall’organizzazione interna alla fruizione dei visitatori con la “Guida digitale della Galleria Corsini”, sempre a cura del Consorzio Glossa il quale ha “rivoluzionato” il sistema attuale mediante un “tablet” – che abbiamo provato personalmente – fornito ai visitatori perché possano orientarsi tra le sale e ricevere le informazioni – in italiano, inglese e francese – per la migliore conoscenza delle opere e degli autori, particolarmente utile per opere poste in alto nelle quadrerie. Le informazioni sono estratte automaticamente dal “Sistema di gestione delle Collezioni” sopra descritto, quindi sempre aggiornate nelle collocazioni espositive e negli allestimenti speciali.
Un momento della presentazione dell’intervento di “Enea” nel progetto “WeACT³”
Dalla Galleria Corsini con le sue quadrerie a Palazzo Barberini con la “Digitalizzazione della Volta” a cura di Enea. Lo spettacolare affresco di Pietro da Cortona, “Il trionfo della Divina Provvidenza”, è stato scansionato (con lo scanner Red Green Blue – Imaging Topological Radar) mediante l’utilizzo combinato di 3 fasci per ottenere un modello in 3D colorato ad alta densità di punti, e questo è stato fatto senza inibire l’accesso ai visitatori e senza impalcature. In tal modo si potrà provvedere al monitoraggio della volta per evidenziare lesioni e danni all’affresco e definire eventuali restauri. Possono essere apprezzati dettagli non visibili ad occhio nudo.
L’Enea ha realizzato anche il sistema chiamato “Ricostruzioni 2D&3D” perché con la tecnica fotogrammetrica trasforma le immagini digitali 2D in un modello 3D, visibile con gli appositi occhiali che fanno percepire le tre dimensioni. Il sistema è stato applicato a due opere del Palazzo Corsini: la scultura romana del I sec. a. C, “Trono Corsini”, e il busto in terracotta, di cui è autore Gian Lorenzo Bernini, “Ritratto di Alessandro VII Chigi”. Abbiamo constatato di persona che le opere vengono esplorate in ogni dettaglio, ruotano su se stesse e rivelano particolari inaccessibili nella visione normale. Così può venire monitorata costantemente anche la loro conservazione.
Ora diamo conto degli interventi meno eclatanti ma molto utili per la gestione amministrativa. Mastercard ha predisposto uno strumento per “Pagamenti digitali” rapidi e semplici che allarga l’area dei pagamenti digitali e aggiunge le prenotazioni “contactless” . Inoltre ha inserito le Gallerie Nazionali nel sistema di promozione mediante la piattaforma internazionale “PricelessCities”, sistema operante in 40 città del mondo di cui Mastercard dispone per eventi ed esperienze esclusive non solo culturali, ma anche enogastronomiche, di shopping ed altro, riservate ai titolari delle sue carte di credito, che possono visitarle “priceless”: nel sistema ci sono Roma, Milano e la Sicilia.
Una “slide” di presentazione degli obiettivi dell’intervento di “DM Cultura-Oracle” nel progetto”WeACT³”
Una significativa collaborazione tra Vodafone e Wind -Tre ha portato al “Mobile ticketing”, con il quale si potrà acquistare il biglietto direttamente mediante lo “smartphone” utilizzando il credito telefonico. In pratica, si potrà aprire il portale a ciò dedicato ed entrare nell’area riservata alle Gallerie Nazionali Barberini e Corsini, selezionare la data della visita, il numero e il tipo di biglietti, poi confermare l’acquisto inviando un SMS al numero telefonico indicato, dal quale verrà trasmesso un SMS all’acquirente con il PIN da mostrare alla Cassa per entrare nel museo. Ovviamente l’importo del biglietto viene scalato dal credito telefonico o addebitato in fattura.
Con il “Digital Marketing” un’altra collaborazione tra DM Cultura e Oracle ha portato a generare un sistema innovativo di comunicazione con il mercato in modo personalizzato, tempestivo e rilevante, che sono i requisiti per la sua efficacia. Attraverso la piattaforma “Cloud”, dove sono raccolte tutte le informazioni utili ad incrementare l’afflusso di visitatori, vengono creati messaggi personalizzati con l'”orchestrazione della comunicazione”, passando cioè dalla comunicazione unidirezionale alla comunicazione relazionale. Si possono poi monitorare e correggere i messaggi.
Le ultime realizzazioni riguardano la “Comunicazione e Promozione”. Civita, oltre al coordinamento organizzativo del progetto “WeACT” è impegnata a realizzare una serie di “Eventi promozionali”, incontri e iniziative culturali per accrescere la conoscenza delle due sedi delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica. Con Ericson ha organizzato la “Maratona digitale”, un “hackathon” per stimolare la creatività delle “start up” , idee e prototipi di servizi e prodotti per un museo del futuro, è stato premiato il team vincitore con 3.000 euro in palio da Civita. Logotel ha realizzato un sito web, un video e un kit di comunicazione sull’intero progetto “WeACT³”.
Al termine di questa rapida rassegna possiamo dire che è stata affrontata un’ampia gamma di problematiche che riguardano i musei interessati – Palazzo Barberini e Palazzo Corsini – ma, con modalità ovviamente diverse, possono venire estese al sistema museale nazionale. Dovrebbe interessare direttamente il Direttore generale dei Musei del MiBAC, che di recente alla sede di Civita ha esposto il nuovo programma di interventi per porre strutture e organizzazione al passo dei tempi.
Una “slide” di presentazione delle azioni dell’intervento di “DM Cultura-Oracle” nel progetto “WeACT³”
Per tutti i problemi affrontati sono state trovate soluzioni tecnologicamente avanzate, tradotte in sistemi e dispositivi altamente innovativi. Si è passati dal miglioramento della sicurezza e dell’efficienza energetica dei siti all’organizzazione e gestione delle collezioni, con la guida digitale per la migliore fruibilità da parte dei visitatori; poi a specifici interventi volti al monitoraggio di opere particolarmente significative, per la tutela e l’eventuale restauro e per la conoscenza nei dettagli da parte dei visitatori; fino ai pagamenti digitali veloci e semplici su carte di credito e su “smartphone”, e a sistemi promozionali basati sulla personalizzazione delle comunicazioni e su eventi appositi con uno sguardo al futuro per apposite iniziative e sistemi promozionali.
Le imprese impegnate nel “WeACT³”, eccellenze e partnership
E’ d’obbligo a questo punto una rapida rassegna delle imprese impegnate nel progetto integrato promosso e coordinato da Civita che ha mobilitato, tra le 160 associate, le 12 che si sono dichiarate in grado di fornire i servizi museali richiesti ad un elevato livello di specializzazione e nel contempo disponibili ad operare in stretto coordinamento con altre imprese. In tal modo la trentennale propensione di Civita a promuovere la collaborazione tra pubblico e privato si è arricchita di un ulteriore elemento di notevole valore: l’intervento progettuale integrato di una serie di imprese private in stretta intesa tre loro, fino alla “partnership”, e nel costante dialogo con il destinatario che ha apportato la propria competenza in un settore particolare come quello museale dove sono presenti esigenze e problemi eterogenei da affrontare e risolvere nel superiore interesse pubblico.
Una “slide” con le possibilità offerte al visitatore dai nuovi servizi di assistenza del progetto “WeACT³”
Troviamo dei campioni assoluti come Avvenia, società del gruppo Terna nata nel 2001, componente della Federazione Italiana per l’uso razionale dell’Energia, divenuta leader mondiale nell’efficienza energetica con un elevato numero di progetti di efficientamento in Italia, mediante Energy Performance Contracts, anche in collaborazione con altre imprese. Ha fornito i sensori per il monitoraggio continuo della situazione ambientale ed energetica.
Ha operato in partnership con Ericsson, la società svedese leader mondiale nelle tecnologie e nei servizi per la comunicazione, presente in 180 paesi, il 40% del traffico mobile mondiale passa attraverso le sue reti, nel 2017 ha investito in R&S il 19% del fatturato, possiede 45.000 brevetti di telecomunicazioni, i Italia è presente da un secolo, oggi con 3.000 professionisti. Ha fornito la piattaforma IoT Accelerator per gli interventi sulla base delle informazioni dei sensori di Avvenia.
Avvenia ha un dialogo costante con l’Enea, l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, partner del Centro di eccellenza DCT Lazio, che si è segnalata nel trasferire le tecnologie elaborate per campi diversi, al settore dei beni culturali: in particolare nella progettazione ed esecuzione dei restauri, nel monitoraggio dello stato di conservazione e nella protezione e fruizione anche in situazioni molto difficili. Nel progetto “WeACT³” la visualizzazione e il monitoraggio in 3D.
Un momento della presentazione dell’intervento di “Logotel” nel progetto “WeACT³”
Livello di eccellenza anche perOracle, in Italia da 25 anni con 1.100 dipendenti e 700 Business partner, specializzato nelle metodologie di comunicazione. Le sue applicazioni, definite “Software as a Service”, comprendono processi di “Enterprise Resource Planning” e “Human Capital Management”, “Customer Relatiionship Management” e “Platform – Infrastructure as a Service”. Al “WeACT³” ha portato la piattaforma per una comunicazione personalizzata e monitorata
“Mastercard” e “Vodafone” con “Wind-Tre”, partecipantial “WeACT³” con innovazioni nei pagamenti, “contactless” e tramite “smartphone” oltre che con offerte promozionali dedicate, sono ben note, basta ricordare alcune peculiarità. Mastercard è il network globale dei pagamenti presente in 210 paesi e partner di 22.000 istituzioni finanziarie, leader tecnologico mondiale nella connessione dei consumatori con i diversi mercati e sponsor di importanti manifestazioni sportive. Vodafone è un leader mondiale nelle telecomunicazioni, presente in 90 paesi tra rete mobile, fissa e partnership. con oltre 500 milioni di clienti nel mobile e 20 nella rete fissa, in Italia ha 7.000 dipendenti di cui 2.500 per l’assistenza ai clienti. Wind-Tre ha un’importante presenza in Italia soprattutto nella telefonia mobile, con la fusione di “Wind” e “H3G” che dal settembre 2018 hanno come azionista unico CK Hutchinson; con la “Open Fibre” ha un accordo per realizzare in Italia la banda ultra larga, con reti di fibra di nuova generazione, ha operato in partnership con Vodaphone.
Dai campioni mondiali a quelli italiani in nicchie specialistiche del mondo culturale. Il gruppo DAB, nato 45 annifa, è definito “il primo Polo Tecnologico Sicurezza” , centro di eccellenza per il controllo tecnologico della sicurezza dei beni, delle persone e del territorio; agisce su tutto il fronte, dalla ricerca e sviluppo all’analisi e progettazione, fino alla realizzazione di sistemi complessi di sicurezza e il relativo tele monitoraggio, vigilanza e formazione. Al “WeACT³” ha portato in concreto la piattaforma software di monitoraggio per la tutela delle opere e dei visitatori.
I tre componenti il “team” vincitore del concorso con il premio di Civita
A sua volta il Consorzio Glossa, impegnato nella ricerca orientata all’applicazione delle tecnologie informatiche alle scienze umane, si è specializzato in particolare nella catalogazione, conservazione e fruizione dei beni culturali e ambientali, anche nell’ottica della multimedialità ed editoria elettronica con traduzione assistita dal computer, e questo nell’interazione con Istituzioni universitarie, Enti di Ricerca e Organismi nazionali ed esteri. Di qui la sua partecipazione al progetto “WeACT³” con il Sistema integrato di gestione collezioni e il “Tablet per i visitatori.
Mentre il DM Cultura, sorto 30 anni fa per il settore delle Biblioteche, ha esteso l’attività agli Archivi storici, ai Musei e ai luoghi della cultura, con 5.500 enti pubblici e privati suoi clienti. Fornisce consulenza strategica e piattaforme tecnologiche, strategia digitale e servizi web e mobile anche per la sicurezza. Specializzata nei modelli di fruizione e valorizzazione interattivi ed immersivi dei luoghi di cultura, in particolare i musei, con l’impiego di tecnologie digitali innovative, è intervenuta nel “WeACT³” per la comunicazione volta alla crescita dei visitatori.
Le imprese citate hanno concorso alla realizzazione del “WeACT³” in modo integrato, non solo mediante il coordinamento dei loro interventi curato da Civita, ma con partnership come quelle tra Avvenia ed Ericsson, DM Cultura e Oracle, in cui hanno collaborato strettamente leader mondiali e aziende nazionali, e tra Vodafone e Wind-Tre in cui addirittura hanno lavorato insieme gruppi in diretta concorrenza nel mercato telefonico italiano in cui la competizione è particolarmente aspra.
L’altra premiata da Civita nel concorso citato
Il “WeACT³” ha quindi una storia meritevole di essere raccontata, unendo eccellenze private che concorrono anche con partnership tra leader mondiali e società italiane minori, e tra gruppi concorrenti, coordinate dall’Associazione di cui fanno parte, su un progetto di interesse pubblico dialogando con le Gallerie Nazionali di Arte Antica per avvalersi delle loro competenze. E anche a questo si è pensato, allo “storytelling” dell’iniziativa il cui coordinamento è stato affidato a Logotel, una “service design company” operante da 25 anni con sede a Milano, che nel 2017 ha realizzato progetti di trasformazione aziendale con 60 clienti coinvolgendo 5.000 persone in progetti formativi. Nell’apposito sito Web e nei video realizzati c’è un racconto univoco e integrato che dà al “WeACT³” un’identità ben precisa facendone uno strumento di comunicazione promozionale.
Tecnologia e innovazione, dunque, al servizio dell’arte e della cultura. In fondo questi mondi così diversi hanno in comune un elemento indispensabile, la creatività; quindi è naturale che si siano incontrati. Ma in un paese come il nostro, con i suoi individualismi e i suoi pregiudizi, le sue barriere e i suoi ostracismi, non era facile che ciò avvenisse in concreto, per di più per un museo di arte antica. A Civita il merito di esserci riuscita, e lo stesso nome del progetto ne riassume il valore, “noi agiamo”: in quel “noi” c’è la collaborazione, nell'”agiamo” la concretezza e la determinazione.
Il soffitto della sala “Pietro da Cortona”, il grande affresco “Il trionfo della Provvidenza”
Info
La manifestazione si è svolta a Palazzo Barberini in Via Quattro Fontane, Roma, nella sala “Pietro da Cortona”. Cfr. i nostri precedenti articoli in questo sito, su incontri e conferenze organizzati da Civita a sostegno di iniziative culturali: nel 2018 per “La cultura come diritto di cittadinanza”, 10 e 25 ottobre, il “Festival europeo dei Cammini sulle vie Francigene” 9 luglio, la ricerca “L’arte di produrre Arte” 14 e 18 febbraio, la ricerca sul “Soft Power” l’11 e 15 febbraio. .
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Barberini nel corso della manifestazione di Civita, che si ringrazia per l’opportunità offerta. In apertura, l’intervento conclusivo del ministro del MiBAC Alberto Bonisoli, alla sua sin. Gianni Letta, presidente di Civita, alla sua dx il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori; segue una serie di immagini della presentazione dei 10 interventi del progetto “WeACT³”, gruppo DAB e Avvenia-Ericsson, Mastercard e Vodafone-Tre, Enea e DM Cultura-Oracle obiettivi e azioni, fino alla “slide” sui nuovi servizi ai visitatori; poi due immagini dei premiati da Civita; infine, la volta della sala con l’affresco di Pietro da Cortona “Il Trionfo della Provvidenza” oggetto di un intervento del progetto; in chiusura, la foto di gruppo finale dopo le presentazioni dei risultati, i rappresentanti delle 12 imprese intervenute nel progetto “WeACT³” intorno al ministro del MiBAC Alberto Bonisoli, al presidente di Civita Gianni Letta e al direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori.
Al termine degli interventi, i rappresentanti delle 12 imprese patecipanti al “WeACT³”, con il ministro del MiBAC Alberto Bonisoli, il presidente di Civita Gianni Letta e il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Sartori