Giardetti, i Carabinieri nella storia italiana

di Romano Maria Levante

A quasi tre mesi dalla presentazione dell’11 ottobre 2018 pubblichiamo di nuovo la parte iniziale del primo dei 4 articoli del nostro servizio sul libro di  Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana”, per iniziare il nuovo anno, dopo l’Epifania “che tutte le feste si porta via”, ricordando una  rievocazione in cui la storia dell’Arma è intrecciata a quella del Paese.  La rievocazione mette in rilievo le vicende con gli atti di eroismo dei carabinieri nello scenario nazionale cui l’autore riserva particolare attenzione, con particolare riguardo alle fasi più drammatiche e controverse. La parte iniziale del primo articolo, qui riportata, descrive il  contenuto del libro e le impressioni di lettura, il seguito e i tre articoli successivi  del servizio riguardano i  diversi periodi storici, dal Risorgimento alla 1^ Guerra mondiale, dal fascismo alla 2^ Guerra mondiale con le campagne d’Africa e di Russia, la R.S.I. e l’occupazione di Roma,  la deportazione nei lager nazisti degli ebrei e dei carabinieri, fino alla resistenza e alla Liberazione.  Segnaliamo agli interessati il nostro servizio integrale come sintesi dell’ampia esposizione del libro, di cui consigliamo vivamente la lettura  per l’accuratezza della ricerca e il tono incalzante da romanzo storico che avvince, coinvolgendo in vicende al centro della memoria nazionale  e più direttamente  della memoria  familiare.

La copertina del libro

L’11 ottobre 2018, nella sede della Legione Allievi Carabinieri di Roma,  è stato presentato il libro di Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, edito dall’Associazione Nazionale Carabinieri.  Il libro è dedicato “all’Arma dei carabinieri  per l’inestimabile contributo fornito alla Patria nel consolidamento e nella difesa delle libertà democratiche”, e tratta della loro attività come Arma militare. Nella presentazione a una sala affollata di invitati e di Carabinieri, parecchi con alti gradi ma soprattutto molti giovani, il brillante intervento di Umberto Broccoli, seguito  dall’orazione appassionata del gen. B. Vincenzo Pezzolet, e dalle considerazioni dell’autore Gelasio Giardetti. 

Contenuto del libro e impressioni di lettura

Un libro sui Carabinieri potrebbe sembrare riservato a una cerchia limitata e comunque circoscritta,  anche se non troppo ristretta data la capillare distribuzione delle stazioni di carabinieri in ogni zona del paese.

Questa era almeno la nostra impressione prima di averlo letto, anzi dobbiamo confessare che abbiamo cominciato a scorrerlo con il distacco che si prova dinanzi a temi che sentiamo alquanto estranei, al di là della curiosità per una storia che suscita comunque un certo interesse. Con altrettanta sincerità dobbiamo confidare che invece ne siamo stati presi perché la storia raccontata nel libro è in realtà la storia d’Italia della quale l’Arma benemerita è parte integrante. 

La presentazione del libro, al centro il gen.  B. Vincenzo Pizzolet nel suo intervento, con  l’altro presentatore, Umberto Broccoli (alla sua  dx) e l’autore Gelasio Giardetti (alla sua sin.) 

E se pensavamo che essendo una storia nota nelle linee generali il racconto poteva essere ripetitivo, ci siamo ricreduti pure su questo, tanto siamo stati attratti da una lettura divenuta subito  avvincente: forse perché nella lunga carrellata sulla storia d’Italia vi sono accenti nuovi, o perché è rara una visione congiunta che si snoda come in un film, dei periodi storici che si sono succeduti dal Risorgimento alla 2^ Guerra mondiale passando per le vicende della 1^ Guerra mondiale, poi del regime fascista fino alla  Resistenza e alla Liberazione; o forse perché la rievocazione storica è ravvivata dalla personalizzazione nelle figure fulgide dei carabinieri che si sono segnalati per atti di valore.    

Un particolare della sala, la “platea” 

Non si tratta di individuare quale di questi motivi è alla base dell’attrazione inattesa, forse tutti, perché ricordare eventi così importanti per la vita della nazione è come ripercorrere la propria vita sia per le vicende vissute anche indirettamente dal racconto dei familiari, sia per gli eventi più antichi, appresi sui banchi di scuola e approfonditi con le letture da chi ha voluto saperne di più. Così la lettura del libro crea un magico clima evocativo per il cuore e la mente; ed è anche una lezione di alta coscienza civile in una fase in cui l’immagine dell’Arma è apparsa offuscata per i gravissimi episodi che hanno coinvolto dei semplici militari, e altri che hanno lambito perfino il vertice. 

Ma sono stati episodi isolati, inevitabili in ogni organizzazione, per quanto la fiducia nei Carabinieri è stata sempre tale da lasciare increduli dinanzi a fatti che sembravano impossibili fino a che non di sono avute prove inequivocabili; perciò ci si attende un rigore ancora maggiore. Pur con questo rilievo, con la stessa obiettività si deve dire che tali fatti, che restano gravissimi, non possono lasciare macchie su un tessuto, come quello dell’Arma, la cui integrità ha superato prove ben più impegnative della cronaca attuale, basti pensare alle deportazioni nei lager nazisti alla cui memoria il libro è dedicato.  Anzi, va preso atto che si è messa in campo, per così dire, la linea del Progetto “Tacere non è un dovere”, e  nel tragico caso di Stefano  Cucchi il comandante gen. Nistri ha proclamato solennemente “chi sa parli”; vale a dire che  “parlare è un dovere” per denunciare deviazioni, come quelle inammissibili venute alla luce di recente, dall’etica del corpo oltre che dalla legalità.


L’intervento del presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Carabinieri gen. Libero Lo Sardo

Riguardo al motto “Nei secoli fedele”, l’Arma ha già mostrato nella sua storia che se le istituzioni prendono derive antidemocratiche e autoritarie non dà il proprio supporto alle conseguenti violazioni della  legalità; ne  era consapevole il  fascismo che creò appositamente un corpo speciale, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, con i pretoriani  ai quali affidare le missioni che mai i carabinieri avrebbero svolto perché sarebbero state al servizio del regime contro ogni etica civile e politica. La fedeltà dei Carabinieri è verso il popolo di cui  si sono sentiti sempre tutori e difensori.

E’ un”Arma forte delle sue tradizioni, ma capace di allineare ai tempi il severo motto “Obbedir tacendo e tacendo morir” con il programma in atto “Tacere non è un dovere”.

Del resto, i Carabinieri restano il presidio per l’ordine pubblico più vicino alla gente sia logisticamente sia umanamente, per la tradizione consolidata che vedeva nel maresciallo dei carabinieri e nel medico condotto, nel maestro di scuola e nel parroco, i punti di riferimento che davano sicurezza ai cittadini per la convivenza quotidiana e la cura della salute, l’istruzione e la vita spirituale, cioè i cardini della crescita umana e civile.  Le profonde trasformazioni nell’organizzazione della società hanno modificato in parte questo assetto tradizionale, ma non si può cancellare ciò che resta impresso nella memoria popolare e continua a svolgere un ruolo molto importante, anzi fondamentale.   

Un particolare della sala, la “galleria”

Anche per questo motivo i carabinieri sono al centro delle ben note “barzellette” che pur nell’intento dissacratore della satira all’insegna del “castigat ridendo mores”,  con l’umorismo ne sottolineano indirettamente la popolarità e la presenza nella vita di tutti.  Nell’autunno del 2009, alla  “Biblioteca Nazionale” di Roma, la mostra “In nome della legge”  ha esposto le vignette satiriche sulla  Polizia di Stato, apparse a partire dai primi del ‘900 su tante riviste umoristiche;  l’esposizione è stata promossa dalla stessa Polizia. Non sarebbe sorprendente che “Tacere non è un dovere” possa portare anche i Carabinieri a un “outing” analogo  sulla satira che li ha presi a bersaglio con una dissacrazione in fondo di tono affettuoso.  

Ma il libro non si occupa dell’ immagine “domestica”, per così dire, a tutti familiare dei carabinieri, e non serve sottolineare gli infiniti episodi in cui si sono segnalati nella quotidianità, che coincide con la svolgersi della vita della Nazione. D’altra parte, sono stati costituiti per questo, per assistere oltre che per proteggere le comunità nei momenti difficili della vita di ogni giorno.  E’ una cronaca anch’essa punteggiata da momenti gloriosi, valgano per tutti le copertine della  “Domenica del Corriere” che fissano questi episodi, come l’arresto in corsa del cavallo imbizzarrito per citare una delle più note, scelta anche come conclusione di un film d’epoca.

Dalla sin. i presentatori del libro, Umberto Broccoli e il gen. B. Vincenzo Pizzolet, poi l’autore Gelasio Giardetti e  il presidente dell’Associazione Nazionale Carabinieri  di Monte Porzio Catone, Edoardo Zucca

Il  libro  entra nella Storia, nel  ripercorrere la vicenda dei Carabinieri come parte integrante della storia d’Italia che marca i momenti topici della vita nazionale presenti nella mente di tutti.  La sua non è né la storia cosiddetta “alto mimetica”, dal’angolo di visuale delle istituzioni e dei potenti, né quella “basso mimetica”, dalla parte del popolo sacrificato sull’altare di cause spesso a lui estranee. Nella sua rievocazione appassionata e appassionante, l’Autore ha riconsiderato la storia d’Italia con lo spirito del ricercatore – la sua attività nel mondo dell’industria trasferita anche su altri libri storici –  in una posizione intermedia tra quelle appena citate, fuori dai luoghi comuni ma ponendosi dal punto di vista dei Carabinieri nelle fasi in cui sono stati protagonisti; e va sempre più a fondo nella ricerca penetrando  via via nell’animo dei protagonisti in un crescendo di emozioni.

Basta iniziare la lettura, poi si è portati ad andare avanti presi da vicende di cui normalmente si conoscono solo le linee generali e si è ansiosi di saperne di più; non è facile crederlo, pochi penserebbero che una storia di Carabinieri possa coinvolgere a tal punto, ma è rivelatrice e narrata in modo  avvincente; non ci si può staccare dal libro, ne possiamo dare testimonianza diretta. 

Un’inquadratura ravvicinata della “platea” 

In questo risiede il fascino della rievocazione, la storia avvince perché è la nostra storia, il ritmo del racconto è incalzante senza evitare i passaggi più difficili, anzi l’Autore è portato a concentrarvi l’attenzione maggiormente quanto più sono controversi, è come se accettasse la sfida della ricerca storica;  e nella storia d’Italia che ci appartiene si inserisce naturalmente la storia dell’Arma in modo sempre più penetrante, con i valori morali e civili in evidenza nelle vicende esemplari degli atti di eroismo che avvolgono di una luce vivida squarci di toccante umanità fino a conquistare la scena in un crescendo veramente emozionante. Pur con il rigore di un libro di storia, ha il fascino di un romanzo storico.

Una letttura emozionante, dunque, oltre che istruttiva, perché pur se il tessuto della trama della storia italiana è noto a grandi linee, vengono approfonditi i momenti fondanti e soprattutto viene rivelata quella parte dell’azione dei Carabinieri  meno nota che va oltre la quotidianità ben conosciuta per entrare nella storia in una dimensione diversa ma correlata alla prima.

Ne ripercorriamo i principali momenti per dare un’idea di una storia gloriosa che tutti dovrebbero conoscere.  Per questo il libro, oltre ad essere presumibilmente studiato nelle scuole degli Allievi Carabinieri; potrebbe entrare nelle letture delle nostre scuole, dato il suo alto valore civile e umano.   

L’autore del libro al centro, tra il sindaco di Pietracamela, Michele Petraccia, alla sua dx, e l’autore del servizio alla sua sin., al termine della presentazione 

Info 

Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, Associazione Nazionale Carabinieri Editrice, ottobre 2018, pp. 394. Il primo articolo del nostro servizio – che dopo aver descritto il contenuto del libro e le impressioni di lettura rievoca le vicende dei Carabinieri nel Risorgimento e nella 1^ Guerra mondiale –  è uscito in questo sito il  4 novembre, i successivi tre articoli il  6, 8,  e 10 novembre 2018, con 17 immagini ciascuno. Dello stesso autore, “L’uomo, il virus di Dio”, Arduino Sacco Editore, novembre 2014, pp. 184;  “Dio, fede e inganno”, Arduino Sacco Editore, settembre 2013, pp. 240; “Gesù, l’uomo”, Andromeda Editrice, giugno 2008,  pp. 320. Sui primi due libri ora citati cfr. i nostri articoli in questo sito il 10 e 13 giugno 2015 e il 2 febbraio 2014.  

Una carica storica dei carabinieri: Grenoble, 1815

Ovidio, 2. Venere “callipigia”, con i miti di Apollo e Giove, alle Scuderie del Quirinale

di Romano Maria Levante

Visitiamo la mostra “Ovidio, amori, miti e altre storie”, alle Scuderie del Quirinale, dal 17 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019,  che conclude le celebrazioni del Bimillenario della morte del poeta esponendo  250 opere d’arte ispirate alla sua poesia dedicata all’amore e ai miti. E’ stata organizzata da Ales S.p.A.,  presidente e A.D. Mario De Simoni, curatrice Francesca Ghedini che, con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zagabra ha curato anche il Catalogo edito da Arte,m-L’ERMA.  Un programma di manifestazioni collaterali consente di  approfondire la conoscenza del grande poeta latino e diffonderla anche tra i più giovani.  Per il suo valore spettacolare questa mostra che conclude le celebrazioni del Bimillenario della morte di Ovidio la associamo ai fuochi di artificio che per tradizione sono il momento terminale delle feste paesane, le 250 opere esposte ai crepitii e agli scoppiettii sempre più incalzanti fino al botto finale.  

“Statua di Venere  ‘Callipigia’“, metà II sec. d. C, a sin, “Affresco con pittura di giardino”, 1^metà I sec. d. C, al centro, “Statua di Eros con l’arco”, copia del I sec.  d. C. da originale del IV sec. a. C., a dx 

Alcuni caratteri salienti del suo messaggio poetico

Il  ” poeta dell’amore” è  pedagogico nell’“Ars Amatoria“, vicino alla pene d’amore del  mondo femminile nelle “Heroides”, porta gli dei al livello degli uomini nelle passioni amorose  nelle “Metamorfosi”, ma non si tratta di sdolcinature, tutt’altro: è il “poeta del cambiamento” rispetto ai costumi puritani dell’età augustea, ma nel contempo della trasgressione rispetto alle severe regole che l’imperatore applicava anche nella propria famiglia, punendo duramente le due Giulie, figlia e nipote.  

Trasgressore e dissacrante anche degli dei, perfino di Apollo protettore dell’imperatore sin dalla sua vittoria sugli uccisori di Cesare e rimasto tale per tutta la durata dell’impero, che viene ridicolizzato per i suoi insuccessi amorosi; di Venere, progenitrice della sua stirpe, la “gens Iulia”, e di Marte, padre di Romolo fondatore di Roma, ridicolizzati al cospetto degli altri dei;  e perfino di Giove onnipotente, descritto insaziabile predatore sessuale privandolo di autorità e del valore divino.

Era una sfida all’imperatore e all’intero establishment augusteo, che veniva da chi apparteneva allo stesso ambiente altolocato,  ma aveva lasciato una promettente carriera retorica e legale per il richiamo irresistibile della poesia; fu una sfida che pagò con l’esilio sul Mar Nero, mai revocato dall’imperatore,  durato dieci anni fino alla morte del poeta nel 18 d. C..

Tutto questo va ricordato per meglio apprezzare la  mostra, incentrata sui tre temi salienti del suo itinerario di poeta e “civis romanus”: l’amore, il contrasto con Augusto e il mito. Perché c’è la prova esaltante della sua rivincita, anzi della sua vittoria per l’influenza imperitura sulle generazioni successive, lungo due millenni, ispirando in ogni tempo grandi opere d’arte.  

Rilievo delle Vestali”, ,fine I sec. d.C.

Le opere esposte sono il frutto di una selezione svolta collegando le “figurazioni” dei versi di Ovidio alle trasposizioni “puntuali” e non solamente generiche, con un metodo rigoroso di valutazione dei contenuti basato su soggetti, temi, schemi. 

Codici miniati e  “Ritratto di Ovidio”, “Venere callipigia” e oggetti di bellezza

La galleria espositiva è introdotta all’ingresso da vistose scritte in neon colorato, “Maxima Proposito”,  con frasi significative di Ovidio nel testo latino e nella traduizione inglese. E’ la forma espressiva con cui l’artista concettuale Joseph Kossuth è solito valorizzare l’uso della parola, qui quanto mai appropriata riferendosi a un poeta che con la parola riesce a evocare immagini mitiche. Sono una ventina, si va dalle battaglie d’amore di  “Omnis amans militat (Every lover makes war)” alla forza del desiderio di “Quod cupio mecum est (What I desire I have)”.   

La parola trionfa nella 1^ sala soprattutto  negli incunaboli e nei membranacei, nei codici miniati e nelle prime edizioni a stampa delle sue opere, tramandate dai copisti, prima nell’originale latino, poi anche nelle lingue “volgari”, in qualche caso purgate dalle parti ritenute troppo ardite. I miniaturisti hanno raffigurato spesso, nei frontespizi, l’immagine del poeta mentre scrive o mentre presenta le sue opere poetiche. 

Dalle prime “Metamorphoses”  di fine XI sec. in un miniato di fine ‘300 e in una cinquecentina, alle “Heroides” con “Ars Amatoria” e “Remedia amoris” di fine ‘400, con la cinquecentina per le sole “Heroides“; fino alle ultime opere, i “Fasti” e “Tristia, Epistolae ex Ponto“,, membranacei copiati da Bartolomeo Sanvito.  

“Affresco con Satiro e Menade”, 60-79 d.C.

Ma la mostra non si limita a proporre le immagini del poeta appena delineate nei frontespizi. Il “Ritratto di Ovidio” di Giovan Battista Benvenuti detto l’Ortolano, intorno al 1500,  introduce, quasi fosse il padrone di casa, alla sequenza artistica: ha una lunga barba e un abbigliamento lussuoso con un turbante,  evoca l’Oriente della sede dell’esilio sul Mar Nero. 

Nasce la suggestione, anzi la soggezione ammirando la spettacolare “Statua di Venere ‘Callipigia’“,  II sec. d. C., ispirata alla sensualità della visione ovidiana sottolineata dalla maliziosa denominazione,  l’opposto rispetto all’austera severità di quella augustea; poi altre Veneri in statuette e l'”Affresco con Venere con lo specchio”, in cui la dea si specchia abbinando nudità e vanità femminile. Dello stesso periodo l’intonaco dipinto “Donna che si pettina”, specchiandosi, anch’essa mostra la nudità del busto, dea e donna accomunate dalla comune ricerca della seduzione, che  evoca un mondo gaudente e disinibito senza differenze tra la terra e l’Olimpo.

Fanno parte di questo mondo gli “Anelli con busto femminile su castone”che risalgono alla seconda metà del I sec. a. C., le “Collane con vaghi e amuleti”, lo “Specchio” ed altri oggetti del I sec. d. C., e  oggetti in parte legati alla sua opera “Medicamenta faciei feminae”, come la “Scatolina per trucco con coperchio scorrevole dorato”, le “Spatoline”   e la “Conocchia con Venere pudica”, tre il I e il  II sec. d.C.

“Rilievo paesistico detto  di Polifemo e Galatea”,fine 1° sec. a. C. – inizio  II sec. d.C.

Erotismo esplicito nei reperti d’epoca

Con la 2^ sala,  dopo  l’iniziale espressione poetica dedicata al suo amore per una sconosciuta, Corinna, viene celebrata  la disinibita indagine sulle pene d’amore ma anche sui sotterfugi e  i tradimenti, le emozioni e le gioie degli amanti clandestini, che erano la normalità nella vita gaudente dei ceti altolocati a Roma, in barba alla severità imperiale, tutto esaltato nei tre libri degli “Amores”.  

Il poeta non parla più delle proprie passioni, descrive i preparativi ai convegni amorosi, con l’attenta cura della  persona, dai belletti alle acconciature delle chiome, da parte delle donne in attesa di incontrare amanti o corteggiatori. Ma oltre a questo, nel  3° libro dell’“Ars Amatoria”  parla delle “mille posizioni dell’amore”, in una sorta di Kamasutra romano cui si sono ispirati nella sua stessa epoca in modo più o meno evidente, ma sempre eloquente.

Le opere esposte che riflettono questomondo erotico sono dunque quanto mai esplicite, introdotte dalla “Statua di Eros con l’arco”, copia del I sec. d.C. da un originale del IV sec. a. C.  Il giovinetto simbolo dell’amore è rappresentato nudo ma senza implicazioni erotiche, che troviamo invece negli abbracci languidi e lascivi con generose nudità di un altro simbolo amoroso, nell’ “Affresco di Amore e Psiche”, e in ulteriori reperti chiaramente allusivi: nel marmo bianco del “Rilievo paesistico detto di Polifemo e Galatea”, fine I sec. – inizi II sec. d. C. e nell’intonaco dipinto dell’ “Affresco di Polifemo e Galatea”, tema pastorale  molto sentito nell’antichità, come erano sentite le incursioni dei satiri sulle fanciulle, qui richiamate da due “Affreschi con Satiro e Menade”, IV sec. d. C. nei quali il biancore del corpo nudo della donna sorpresa nel bosco rispetto al corpo scuro del Satiro,  anch’esso nudo, e le mani che toccano i corpi stretti  nell’abbraccio, accentuano la carica sessuale;  in uno dei due  affreschi c’è la tenerezza del bacio con la mano di lei all’indietro che cinge la testa di lui. 

“Affresco con  Amore e Psiche”, 60-79 d. C. 

Immagini simili in una serie di oggetti di abbigliamento, cosa alquanto sorprendente, come i “Cammei con scene erotiche” e il “Cammeo con Fauno e Menade”, e  gli specchi, come lo “Specchio con scena erotica”, un vero e proprio amplesso scolpito nel bronzo e piombo del coperchio, lo “Specchio con Amore e Psiche” e la “Custodia di specchio con Amore e Psiche”.   

Non mancano oggetti di uso comune, come la “Coppa con scena erotica” e la “Lucerna con scena erotica”,  nella seconda addirittura si vede un “rapporto a tergo”; si va anche oltre nella “Lucerna” dell’età augustea con un grosso fallo alato, che troviamo anche nel “Tintinnabulum”, un campanello  in cui il fallo alato è cavalcato da un nano che lo incorona, insidiato a sua volta dalla coda, fallica anch’essa. Una serie di “Ciondoli fallici”,  forati per essere appesi al collo, completa questa carrellata di reperti più che erotici pornografici, tutti tra il I sec. a. C. e il II sec. d.C., quindi di epoca molto antica.

La severità imperiale nelle statue augustee e nella punizione delle due Giulie

La  3^ sala fa entrare  nel mondo ovidiano nel quale all’audacia delle disinibite descrizioni amatorie declinate anche a titolo pedagogico si unisce – come si è ribadito in precedenza – l’aperto contrasto con la severa morale augustea, e il coinvolgimento nelle schermaglie amorose, spesso in modo irridente, delle divinità, in particolare di quelle poste a  protezione dell’imperatore e di Roma. 

“Statua di Livia, 38-40 d. C.

Una sfilata di sculture augustee di marmo particolarmente austere  introduce questa tematica, iniziando dalla Statua di Augusto e dalla “Statua di Livia”, la moglie, entrambi con il capo  velato, il primo come Pontefice massimo, la seconda come Cerere, i corpi totalmente coperti da un pesante panneggio, siamo nella prima metà del I sec. d.C., la stessa epoca della quale abbiamo riportato le raffigurazioni erotiche disinibite esposte nella sala precedente. Anche la “Statua di Antonia Minore”, figlia di Ottavia sorella di Augusto, reca il capo coperto, ma da una corona che la associa, insieme al lungo chitone, alla Venere Genitrice.    

Il rigore morale e la tutela della religione tradizionale sono riassunte nelle statue appena citate, e si era tradotto nelle sanzioni della “lex Iulia” contro chi favoriva l’adulterio anche con il suo silenzio.  E c’è una serie di busti ad evocare la repressione augustea di ogni trasgressione, anche di quelle da parte di propri familiari. Vediamo il raro “Ritratto di Giulia Maggiore”, 12 a. C, .la figlia di Augusto e di Scribonia che fu costretta  a sposare per motivi politici Marcello, Agrippa e Tiberio, per poi finire, per ordine dell’imperatore, dopo l’accusa di adulterio, nell’isola di Pandataria, oggi Ventotene; dove fu relegata nell’8 d.C. anche la figlia che Giulia ebbe con Agrippa, di cui vediamo l’altrettanto raro “Ritratto di Giulia Minore”, , sec. a. C.-I sec. d. C., per un’analoga trasgressione al rigore morale della famiglia imperiale. La rarità di questi due busti è dovuta al fatto che si sarebbero salvati dalla distruzione operata in una sorta di “damnatio memoriae”.  

Seguace giorgionesco, “Apollo e Dafne”,  1515-20 

Per completezza evocativa la serie di busti comprende anche il “Ritratto di Marcello”, 25-10 a. C.,  il “Ritratto di Agrippa”, fine I sec. a. C.,  e la “Testa di Tiberio”, metà I sec. d. C., i tre consorti di Giulia Maggiore, il primo, morto prematuramente, era un altro figlio della sorella di Augusto Ottavia, il secondo compagno di battaglie di Ottaviano, il terzo figlio di Livia destinato a diventare imperatore.  

Nell’alternanza di temi e tipologie di opere, sempre in linea con il “fil rouge” della mostra, seguono l'”Altare dei Lari”, 2 a. C., il “Rilievo delle Vestali”,  I sec. d. C., e  le “Lastre Campana”, 42-46 a. C.. I Lari e le Vestali richiamano i valori tradizionali che Augusto voleva restaurare, le lastre che prendono il nome dal collezionista dell”800 destinate alla residenza di Ottaviano recano, insieme a motivi decorativi e a divinità egizie, gli dei romani Apollo ed Ercole.

Apollo lo troviamo anche nelle 34 monete esposte, “Denario di Ottaviano” e “Denario di Augusto”, in argento, “Aureo di Ottaviano”e “Aureo di Augusto”, “Aureo di Tiberio”  e “Aureo di Gaio (Caligola)” ovviamente d’oro,  dal 32 a. C. al 41 d. C; e vediamo che, oltre alla testa dell’imperatore, in alcune monete ci sono le tre divinità, Venere, Marte e Apollo:  la prima come progenitrice della “gens Iulia”, il secondo come dio vendicatore cui aveva fatto un voto a Filippi, il terzo suo protettore, per accentuare la solennità imperiale con la sacralità divina.     

La dissacrazione mitica delle divinità protettrici di Augusto

Sono proprio Venere, Marte e Apollo, cui si aggiunge Giove e Plutone, le divinità evocate  in modo garbatamente provocatorio nei versi di Ovidio e quindi nelle opere esposte in mostra  che li fanno  rivivere in modo spettacolare.

Per Venere, la “Statua di Afrodite pudica”, II sec. d.C:, descritta maliziosamente da Ovidio nell'”Ars Amatoria”, e  la “Venere pudica” di Sandro Botticelli, 1485-1490, già  danno un’immagine disinibita della ben più austera “Venere genitrice”, in particolare della “gens Iulia”.  

“Statua di Antonia Minore come Venere  Genitrice”, metà I sec. d. C. 

Ma non è ancora nulla rispetto alle due opere intitolate  “Marte e Venere sorpresi da Vulcano”:  la terracotta di età ellenistica con i due amanti seminudi incatenati dal dio tradito,  e Marte che cerca invano di liberarsi con la spada; e il dipinto di Giovanni Battista Carlone, dal verso 185 del III libro delle “Metamorfosi”, in cui Vulcano solleva il telo invisibile che  ha imprigionato gli amanti nell’alcova, per esporli al ludibrio degli dei che assistono alla scena dall’alto quasi fossero a teatro. Invece nei due “Affreschi con Marte e Venere”, del 60-79 d. C. , di Pompei, nulla di tutto questo,  gli Amorini con le carezze di Marte e l’abbandono di Venere sottolineano la passione amorosa. 

Raffigurazioni imbarazzanti anche riguardo ad  Apollo, per motivi diversi, sempre ispirate alle “Metamorfosi” di Ovidio: nei due intonaci dipinti a mano di Pompei, “Affresco con Apollo e Dafne: il corteggiamento” e “Affresco con Apollo e Dafne: la cattura”, i due momenti: il dio che suona la cetra per conquistare la ninfa,ma non ci riesce, lei fugge e viene rincorsa e afferrata da Apollo che supplica di lasciarla, prima di trasformarsi in alloro per sfuggirgli definitivamente; lo vediamo anche nel dipinto “Apollo e Dafne”, di un seguace di Giorgione del 1515-20.   

Non occorre sottolineare come fosse umiliante per l’immagine del  grande Apollo, considerato dall’imperatore, lo ripetiamo, il protettore della sua persona e della città di Roma, che una ninfa piuttosto che  accettarne le profferte amorose con accompagnamento musicale preferisca diventare una pianta, invece di esserne lusingata. Quando il dio ha successo, finalmente, con la bellissima Chione, non ha conquistato una vergine, come credeva, perché è stato preceduto da Mercurio.

 Leonardo da Vinci (copia da), “Leda e il cigno”, 1510-20 

Giove predatore sessuale insaziabile e trasformista

Ce n’è anche e soprattutto per  Giove, l’onnipotente signore dell’Olimpo, che Ovidio tratta  come un insaziabile predatore sessuale  con sotterfugi quali le trasformazioni. Lo vediamo nell’episodio mitico della “Leda con il cigno”,  in cui Giove si trasforma,riprodotto in tante forme artistiche con la fanciulla ignara avvinta dall'”abbraccio” del cigno: nelle diverse raffigurazioni naturalmente cambiano forme e atteggiamenti, per lo più il cigno con il becco cerca di baciarla, lo vediamo nel “Gruppo statuario” del II sec. d.C., copia di un originale ellenistico del 10 a. C.,  e nei due “Affreschi” della prima metà del I sec. d.C., da Ercolano e Stabia, in cui la figura di Leda, sempre nuda,  è impreziosita da un’acconciatura elaborata.  

Anche in uno “Specchio” e in un “Cammeo” c’è  la scena della “Leda con il cigno”, in modi molto diversi. Nel medaglione centrale dello specchio l’immagine di lei che, seduta su una roccia,  offre da bere al cigno, mentre nel cammeo, a differenza delle raffigurazioni precedenti che la mostrano ignara, appare consenziente, semisdraiata sembra offrirsi all’amplesso con il volatile, è del III sec. d.C., periodo ellenistico, l’altra è del I sec, 

L’ultima opera esposta che raffigura la “Leda con il cigno” è  un quadro, copia da Leonardo da Vinci, del 1510-20, ma con delle incertezze, perché non si è sicuri che Leonardo lo abbia effettivamente dipinto mentre sono certi i numerosi disegni del Codice Atlantico in cui la Leda viene proposta sia inginocchiata che in piedi con diverse acconciature, prova che, comunque,  studiò  il tema. Il dipinto esposto la mostra in piedi, nuda, che stringe con le mani il collo del cigno il quale protende il becco verso il volto di lei, la testa è reclinata in modo vezzoso, seduti ai suoi piedi due bimbi, se avessero le ali sembrerebbero amorini, vengono identificati come i figli dell’unione, Castore e Polluce, e nell’uovo vicino si prefigura la nascita di Elena e Clitennestra. 

Giovanni Antonio Figino, “Giove, Giunone e Io”, 1599 

Un’altra trasformazione  per possedere l’oggetto dei suoi desideri è quella nel toro, lo fa  Giove  per rapire Europa. Anche qui una serie di raffigurazioni su diversi supporti, le  più antiche sono del 360 a. C., a figure rosse, in un “Cratere a campana apulo”,  un‘”Anfora apula” e un “Cratere a calice pestano”, quasi in sequenza: nel primo il toro si avvicina alla fanciulla seduta all’aperto, nel secondo lei adorna le corna dell’animale, nel terzo è seduta sulla sua groppa, alcuni dei assistono al rapimento. Europa è seduta sul  toro anche in un “Rilievo” del I sec. a. C.-I  sec. d.C. e in due dipinti, il “Ratto di Europa” del Tintoretto, 1541-42 e di Antonio Carracci, 1602-05, che dimostrano come il fascino dei  versi di Ovidio attraversa il tempo,  lungo un arco di 1500 anni.

E poi vediamo trasformarsi di nuovo, questa volta in un’aquila,  Giove per rapire Ganimede, di cui si è invaghito, non più una fanciulla ma un giovinetto che diventerà coppiere degli dei. E’ riprodotto in marmo in età coeva, I-II sec. d.C., nel “Gruppo scultoreo di Ganimede con l’aquila” e nel “Rilievo con Ganimede”; nel 1550 nel bronzo “Giove e Ganimede”, in pittura nel “Ratto di Ganimede”  di Damiano Mazza, 1575, e di Carlo Saraceni, 1605-08.  

Trasformazione da parte di Giove anche nel mito di Io, ma questa volta non è il dio ad assumere sembianze animali ma la ninfa di cui si è invaghito che lui trasforma in giovenca per nasconderla alla gelosa e vendicativa Giunone. Sono varie le opere esposte, anche del I sec. a. C., il busto marmoreo “Testa di Io”, l’“Anello smaltato con testa di Io” del grande incisore Dioscuride, e i due affreschi, “Io, Argo e Mercurio” e “Io a Canopo”.  

Tintoretto (Jacopo Robusti),  “Ratto di Europa”, 1541-42 

Nella testa di Io dei ritratti, due piccole corna per evocare la giovenca, negli affreschi vari momenti di una odissea che si conclude a Canopo, in Egitto, dalla dea Iside, dopo che la giovenca imprigionata da Giunone  e tormentata  da Argo che la sorvegliava, fu liberata da Ermes, ma la dea continuò a tormentarla con un tafano e lei per liberarsi percorse il Mediterraneo dando il suo nome al Mar Ionio, fino all’Egitto dove riprese le sembianze umane  e diede alla luce il figlio di Giove, Efeso, progenitore della Danaidi, diventando dea egizia. Nel dipinto di Giovanni Antonio Figino,Giove, Giunone e Io”, 1599, la fase iniziale del mito, Giunone che scende dall’alto mentre Giove seduto in basso ha appena trasformato Io in giovenca.

L’apoteosi nella “Spalliera di letto con gli amori di Giove”, di Alessandro Allori, 1572,  un grande dipinto su tavola con al centro “Ganimede rapito da Giove”, ai lati “Leda con il cigno” e il “Ratto di Europa”,  con le trasformazioni di Giove,  e, nelle grottesche,  “Apollo e Dafne” e  “Venere dormiente”, “Nettuno sul cocchio” e “Pan e Siringa”.

Proseguono le “Metamorfosi” ovidiane con tanti altri miti, le ulteriori opere d’arte ad essa ispirate occupano l’intero piano superiore della mostra. Osservano in proposito Antonella Colpo e Giulia Salvo: “Nelle ‘Metamorfosi’ il fuoco della passione non risparmia nessuno: si desiderano mortali ed eroi, ma anche  dèi maggiori, panisci  e ninfe, dando così  vita a un intricato sistema di relazioni affettive, inganni, tradimenti, ossessioni, possessioni”. L’esito è quasi sempre sfortunato, spesso addirittura tragico con la  frequente presenza degli dei che, se non sono protagonisti delle vicende, intervengono in aiuto di chi si è sentito offeso, molte volte vendicandolo in modo anche crudele.

Ne parleremo prossimamente nell’articolo conclusivo sulla mostra, descrivendo le opere esposte, ispirate alle altre immagini mitiche  evocate dai versi immortali di Ovidio. 

Damiano Mazza, “Ratto di Ganimede”, 1575 

Info

Scuderie del Quirinale,via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì,  ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-22,30, ingresso consentito  fino a un’ora dalla chiusura. Ingresso e audioguida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per under 26, insegnanti, gruppi, forze dell’ordine, invalidi parziali, euro 2 per under 18, guide, tessera ICOM, dipendenti MiBAC, gratuito per under 6, invalidi totali. Tel.  06.81100256. www.scuderie.it. Catalogo “Ovidio. Amori, miti e altre storie”, a cura di Francesca Ghedini con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zalabra,  Editore arte,m – L’ERMA  di Bretschnider 2018, pp. 310, formato  24 x 30; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Il primo articolo sulla mostra è uscito, in questo sito, il 1° gennaio 2019, il terzo e ultimo uscirà l’11 gennaio, con altre 13 immagini ciascuno.  Cfr. inoltre i nostri articoli, in questo sito, per la mostra “Augusto”, 9 gennaio 2014; in abruzzo.cultura.it  per “Villa Giulia a Ventotene” (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito). 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nelle Scuderie del Quirinale, si ringrazia Ales S.p.A., con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta; è riportato un campionario di quelle citate in questa prima parte di commento ai miti evocati nell’opera di Ovidio.  In apertura,  “Statua di Venere  ‘Callipigia’“, metà II sec. d. C, a sin, “Affresco con pittura di giardino”, 1^metà I sec. d. C, al centro, “Statua di Eros con l’arco”, copia del I sec.  d. C. da originale del IV sec. a. C., a dx; seguono, “Rilievo delle Vestali”, ,fine I sec. d.C., e  “Affresco con Satiro e Menade”, 60-79 d.C.; poi, “Rilievo paesistico detto  di Polifemo e Galatea”,fine 1° sec. a. C., inizio  II sec. d.C.,  e”Affresco con  Amore e Psiche”, 60-79 d. C,;  quindi,  “Statua di Livia, 38-40 d. C., e  Seguace giorgionesco, “Apollo e Dafne”,  1515-20; inoltre, “Statua di Antonia Minore come Venere  Genitrice”, metà I sec. d. C.,  e  Leonardo da Vinci (copia da), “Leda e il cigno”, 1510-20;  ancora,   Giovanni Antonio Figino, “Giove, Giunone e Io”, 1599, e Tintoretto (Iacopo Robusti), “Ratto di Europa”, 1541-42; infine, Damiano Mazza, “Ratto di Ganimede”, 1575 e, in chiusura, Pietro da Barga, “Plutone e Proserpina”,1587. 

Pietro da Barga, “Plutone e Proserpina”,1587 

Calabria, 2. L’essere e il fatto nel trentennio 1958-1988, a Palazzo Cipolla

di Romano Maria Levante

La mostra a Palazzo Ciipolla, nel Corso di Roma, “Ennio Calabria, verso il  tempo dell’essere. Opere 1958-2018” , aperta dal  20 novembre  2018  al  27 gennaio  2019, espone  80  opere, in maggioranzadi grandi dimensioni – alcune realizzate per l’occasione nel 2018 –  incentrate sull’essere umano  nel succedersi sempre più veloce di eventi. L’antologica è promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presieduta da Emmanuele F. M. Emanuele, organizzata da “Poema” con “Archivi Calabria”, supporto tecnico di “Civita mostre”, curata da Gabriele Simongini, come il catalogo bilingue, italiano-inglese, della Silvana Editoriale. Riportiamo le impressioni dalla visita alla prima parte dell’itinerario artistico, tra il 1958 e il 1988, successivamente seguirà il resoconto dell’ultima fase, dal 1989 al 2018.

La locandina della mostra 

Abbiamo già sottolineato i motivi alla base della mostra e il suo valore speciale, cercando poi di penetrare nel mondo dell’artista, non solo pittorico ma anche filosofico, per  la profondità delle sue riflessioni che non hanno nulla di ideologico, nonostante come cittadino sia politicamente e socialmente schierato, ma molto di ideale, riguardando l’essere umano in un mondo attraversato dall’incessante cambiamento prodotto dalla  tecnologia sempre più dominante.  

Calabria mette in guardia dinanzi al rischio incombente della perdita di ogni riferimento ai valori sotto la spinta del contingente e del conveniente che porta ad agire nell’immediato soltanto seguendo l’intuizione,  in una soggettività che sembra essere l’antitesi del pensiero condiviso con cui si forma la coscienza collettiva.

Dinanzi a questa  involuzione che fa temere per il futuro dell’essere umano – impossibilitato per la velocità della vita ad avvalersi del patrimonio di conoscenze, e quindi di valori, accumulato nella storia – si affida a una speranza basata su una constatazione:  l’individuo resta pur sempre l’unico dotato di autonomia di pensiero e di coscienza, per cui la sua diventa una “soggettività complessa”  da cui si possa “ripartire” prendendo atto della discontinuità che richiede nuovi codici interpretativi.  

E l’artista?  Così si definisce lui stesso: “Un testimone che, per propria genericità, è un testimone sociale, un testimone interessato alla dimensione umana compromessa dentro le vicissitudini della storia”. Per poi precisare: “La pittura per me è sintesi testimoniale di movimenti strutturali della personalità psichica contemporanea”. 

Ida Mitrano  apre la sua accurata ricognizione del percorso dell’artista – cui faremo ampio riferimento – collegandone  le opere all’evoluzione nel sessantennio, con queste parole: “Uno studio sull’opera di Ennio Calabria non può prescindere dalla complessità del rapporto vita-pittura che lo caratterizza come artista, né dalla sua visione della realtà, né dai mutamenti sociali del nostro tempo. In tal senso, pensiero-vita-pittura è un corpus unico, inscindibile. Così come il pittore, l’uomo, l’intellettuale sono espressione unica di un’identità corale, nel tempo lungo attraversato”. 

“La giuria”, 1959

Il “tempo lungo” dell’artista

Di questo “tempo lungo” possiamo dare qualche flash attraverso il percorso dell’artista che ne interpreta  i motivi più pressanti, in una evoluzione stilistica e di contenuti con la stella polare dell’essere umano, sempre  al centro della sua ricerca pittorica, come del suo pensiero profondo.

C’è qualcosa di molto significativo negli anni della formazione, il trasferimento dalla natia Tripoli a Roma, con il conseguente spaesamento,  e la morte del padre,  con la ricerca di evasione nel sogno – il “desiderio di volare”- la vocazione per l’arte con il premio a 14 anni a un concorso per ragazzi, il liceo artistico  e la frequentazione dello studio del docente dell’Accademia Belle Arti  Lorenzo Michele Gigiotti, nonché del Mattatoio romano con il cupo spettacolo del macello degli animali  fino all’incontro con il pittore Paolo Ganna, cui deve la prima personale nella Galleria “La Feluca” di Roma , l’8 novembre 1958, a 21 anni.  

E’  attratto da Goya,Cézanne e Picasso per “l’attenzione verso la costruzione della forma, verso la pittura in quanto essa stessa contenuto e non puro mezzo di rappresentazione”.  In Picasso vede “un livello molto alto di assimilazione, di interiorizzazione dell’esperienza cezanniana. Picasso ha rappresentato per me una forma di semplificazione”.

Incontra i critici e gli artisti del momento, tra cui Renato Guttuso, che  lo definì “un giovane di talento  che merita di essere nostro amico” e vedendo i suoi quadri esclamò: “Questo ragazzo ha uno stile innato”. Lo racconta lui stesso in una conversazione con Marco Bussagli, nella quale aggiunge: “Renato mi sosteneva, ma poi questo sostegno è venuto meno”.

Nella fase iniziale, precisa, “non dipingevo i contenuti, ma le forme”;  lo faceva con segni e macchie di colore senza riconoscersi nelle avanguardie informali anzi – ha ricordato in una intervista del 2007 –  “sono apparso, e forse l’interesse che c’è stato è per questo, come il pittore  che riusciva a dare in qual momento una risposta  in qualche modo competitiva all’egemonia totale dell’astrattismo, senza dimenticare il forte equivoco che si era creato intorno al neorealismo”. 

La città che scende”, 1963 

L’interesse per i contenuti, relativi all’essere umano e alla realtà in cui vive, diventa presto preminente, a questo sacrifica anche il lancio in America dopo il successo della mostra del 1958 presso gli americani che acquistarono tutti i quadri esposti a quotazioni alte, poi ridimensionate per il suo rifiuto di rinunciare all’arte sociale. Dice, invece, con chiarezza e decisione l’anno dopo: “Non si potrà sfuggire alle istanze realistiche che  la vita stessa d’oggi pone… Non si può sfuggire a una precisa responsabilità artistica: dipingere la natura avendo una lucida coscienza storica dell’epoca”. La natura non è un’astrazione “fuori del tempo e dello spazio sociali. Perché il proprio polso batta sul ritmo del nostro tempo è necessario un rapporto con l’uomo e la società”. 

Ma non aderisce alle posizioni ideologiche del neorealismo imposte alla militanza politica nella sinistra, in cui comunque si riconosce, è alla ricerca di “un rapporto organico con la vita e con la storia”, non  vuole raccontare i suoi personali “isterismi, ma ciò che di più oggettivo sono capace di scoprire nei legami con la vita. Voglio farmi, per come posso, interprete del mondo che ribolle, che si modifica”. 

Siamo nel 1960, ha 23 anni,  spiega ulteriormente il suo pensiero nel  1061:  “Quando dico che la pittura è precisazione delle idee intendo dire che essa è ‘conoscenza autonoma’ della realtà”. Autonomia, quindi, ma non solo, perchè aggiunge: “Per essere ancora più preciso, intendo dire che agli artisti non si può attribuire la funzione di illustratori di una realtà già nota e scoperta da altri. Anche la pittura può portare alla scoperta della realtà. Che ai pittori per combattere la battaglia di classe, si deve chiedere prima di tutto di essere buoni pittori, di fare bene il loro mestiere”.  Nulla di precostituito e di improvvisato, l’opposto della visione strumentale oltre che smplicistica dell’arte come mezzo  di lotta politica. 

La pittura  come verifica e non strumento dell’ideologia, dal 1961 al 1968

Con la costituzione, nel 1961, del gruppo “Il pro e il contro”  si pone in contrasto con i gruppi astrattisti e con i neorealisti che allineavano in qualche modo l’arte ai dettami ideologici se non politici, l’impegno è di esplorare la realtà sul piano esistenziale senza  contenuti ideologici precostituiti. Anzi, ritiene “indispensabile con la stessa pittura  verificare la mia ideologia”, e questo mediante  il rifiuto della mera imitazione della realtà per scoprirne gli aspetti  nascosti e non conosciuti.

“Ingrao”, 1966 

Ricordando il contesto estremamente politicizzato che faceva preferire “alla realtà la visione ideologica della realtà”, la Mitrano commenta: “Ma non è il caso di Calabria che, negli anni delle grandi battaglie sociali e culturali, vive la complessità delle cose e scandaglia la realtà in cerca della vita. Non gli interessa ciò che è acquisito ma ciò che è da ricercare, non ciò che è dato, ma ciò che è inedito”. Quindi nessuna denuncia precostituita,  ma per usare le parole di Del Guercio, “una pittura che sia totalmente immersa nella contemporaneità e che, al tempo stesso proietti la contemporaneità  dentro un denso spessore di storia futura consapevole del passato”, in modo che non sia cronaca contingente dominata dall’intuizione, ma rifletta il “pensiero profondo”  sull’essere umano nei suoi rapporti con un mondo in incessante trasformazione.

A Roma, già l’anno dopo l’esordio, nel 1959,  espone alla VIII Quadriennale Nazionale d’Arte, poi nel 1960 alla Galleria “L’Obelisco”, nel 1963  alla Galleria “Il Fante di Spade”, organizza il suo gruppo “Il pro e il contro” che chiuderà nel 1964, l’anno in cui espone  dei ritratti alla Biennale d’Arte Internazionale di Venezia: vediamo  “Stalin”, dall’espressione ambigua e sfuggente, ben lontana sia dalle raffigurazioni apologetiche della sinistra ideologica sia da quelle di segno opposto.

Di questi primi anni la mostra presenta”Imponderabile nel circo”,1958,  “I motociclisti (La strada)” e “La giuria”, 1959, “La città che scende” e “Un’Annunciazione del nostro tempo”, 1963.  Si nota una spiccata autonomia, oltre che dalle ideologie, anche dalle avanguardie e da correnti predeterminate, pur se sono evidenti influssi, in particolare dal futurismo:  “La città che scende” viene accostata a “La città che sale” di Boccioni del 2010, una “citazione” non solo nel titolo. 

Però i suoi modi sono  personalissimi ed ha  motivazioni antitetiche, non c’è in lui il compiacimento dei futuristi per il progresso – portatore del movimento e della velocità che sono al centro delle loro opere all’insegna del dinamismo – al contrario pensa che l’evoluzione tecnologica comprima l’essere e la persona. Lo  si vede in questi dipinti con la figura umana abbozzata,  tranne la nitida raffigurazione della “Giuria” e dell'”Annunciazione”, nell’affollamento oscuro di quest’ultima, presago della tragica fine del Cristo, c’è il presente, passato e futuro. E’ un modo inedito rispetto alle rappresentazioni consuete, che definisce così: “Una pittura che rimetta tutto in discussione; la realtà e le forme per esprimerla e che diventi, scaturendo dalla sua stessa interna logica (di forma, di colore, di ritmo compositivo) pensiero, filosofia, scienza”. 

“L’edile e la luna (Luna lontana n. 1)”, 1965-66  

Nel  1964, come accennato, si chiude  “Il pro e il contro” perché dinanzi ai cambiamenti  il gruppo si sfalda,  Calabria si sente isolato nell’ambiente artistico romano e  si ritiene “scomunicato” da Guttuso per non essersi allineato all’arte militante.  Ma non demorde dalla sua ferma posizione, proprio in quell’anno scrive che la pittura deve essere “forza autonoma, non subordinata all’ideologia”.

Il suo impegno artistico e intellettuale viene stimolato dai mutamenti economici e sociali dovuti soprattutto all’evoluzione tecnologica sempre più accelerata, per cui il rapporto arte-tecnologia diviene centrale. Contro le tendenze in atto – con la Pop Art in crescita dopo  il premio a Rauschenberg alla Biennale di Venezia –  per lui è l’arte che deve “servirsi di tutti i contributi possibili, strumentalizzando il linguaggio tecnologico”, senza farsene condizionare, in modo da collegare “la realtà odierna  e la sfera vitale delle passioni e dei miti popolari”.

L’essere umano resta al centro della sua attenzione, ma ora viene collegato al paesaggio urbano, e c’è molto interesse alla condizione del lavoratore, nella chiave della testimonianza dei problemi inerenti la realtà contemporanea: cioè il “fatto” cui si rivolge la sua arte non in termini cronachistici ma di segni esemplari della condizione umana da esplorare nei suoi valori e significati profondi.  Nel momento in cui viene meno una visione comune, osserva la Mitrano, “la pittura risponderà sempre più alla necessità di  testimoniare il tempo presente, facendo dell’esperienza creativa un processo conoscitivo capace di generare cultura”, in modo da avere una visione lungimirante. 

Tutto ciò considerando l’impatto sempre più forte e persuasivo dell’immagine, anche pubblicitaria, amplificata dalla scena mediatica: “Fatto, questo  – si legge nei suoi “Scritti personali” del 1966 -67 –  di grande importanza per l’ipotesi di una figurazione capace di condensare in sé un momento di certezza; senza rimandi a un ‘poi ideologico’, calarsi nella reale temperatura  delle passioni delle masse, evitando modelli precostituiti”. Ribadisce l’autonomia, ma non sembra asettico, tutt’altro.   

Tre  opere molto diverse nel 1965, “Quando viene l’estate” presenta una  scena aperta e solare con forme  indistinte che nella loro morbida chiarezza danno il senso della vacanza distensiva; invece in “Funerali di Togliatti”  la scena è opprimente, con le figure scure di Amendola e Ingrao a prefigurare  gli scontri politici futuri, l’unica luce è nelle teste e nelle mani che si affollano confuse in primo piano evocando il dolore della classe operaia; precede di sette anni la spettacolare opera di Guttuso, che invece è infiammata dal rosso delle bandiere,  con i fiori che incorniciano il volto di Togliatti, la folla di teste delineate in modo netto, pur nel grigiore senza colori, con riconoscibili i volti dei grandi del comunismo – da Lenin presente più volte, a Stalin, a Gramsci  – insieme ai dirigenti uniti nell’ultimo saluto al leader scomparso.  “Ingrao”  è un ritratto nel 1961, di impronta picassiana.  Nel  “Ricordo lucano”, del 1965, tagliato in due parti, bianca e nera,  si affaccia un’immagine inquietante; mentre  il ben diverso “Un vespaio”, 1967, mostra una figura anch’essa  inquietante perché emerge da un grande  nido di vespe, è il volto con la caratteristica barbetta di Ho Chi Min, vincitore della guerra in Corea.

“Frammenti a parete”, 1978

Dal ’68  al ’74, dalla contestazione alla CGIL

Nell’itinerario dell’artista siamo al 1968, si impegna nel cercare di capire le ragioni della crisi del sistema e le istanze della  contestazione studentesca, poi anche operaia, sempre nella sua visione di calarsi nella realtà senza posizioni precostituite. La sua azione pubblica è diretta, è attivo in manifestazioni di appoggio  alla contestazione  fino all’elezione di sedi di dissenso rispetto a quelle ufficiali,  l’Accademia delle Belle Arti  rispetto alla Biennale di Venezia, le Giornate del cinema rispetto alla Mostra del cinema.  Inoltre  interviene nei dibattiti e negli incontri, come quello sulla situazione delle arti figurative e sulla Biennale di Venezia dal titolo eloquente: “Una nuova Biennale, contestazioni e proposte”. 

Renato  Guttuso aiutò a dipingere  un “tazebao” gli studenti universitari su loro richiesta sebbene appartenesse agli aborriti docenti, ma non lo ritenevano un “barone”, e cercò di  rimuovere l’avversione del Partito comunista scrivendo ad Amendola che poteva spiegare le loro ragioni; inoltre dipinse l’abbraccio tra due giovani “sessantottini” che rompeva un tabù borghese.

Del 1968 sono esposti due ritratti a personaggi emblematici, “Mao pianeta” e “Ipotesi per un monumento equestre a Che Guevara”, in entrambi le figure sono interpretate nell’immaginario collettivo di vaste masse,  il primo con il volto aperto in un sorriso che si allarga in più piani, come per moltiplicarsi, il secondo visto più come totem che come monumento.  Realizza anche un murale per la Casa del popolo nel quartiere romano di Pietralata; nell’anno successivo tiene una mostra personale alla Galleria “La Nuova Pesa”, sempre a Roma, cogliendo l’occasione, anche rispetto alla critica, di  affermare con forza l’esigenza che la pittura ritrovi la propria funzione nella vita reale, per non essere confinata in un museo.

Antonello Trombadori si espresse così: “Calabria non ha avuto bisogno di attendere il crollo dell’informale e il revival tecnologico oggi in atto,  per riproporre con vigore  l’alternativa che l’arte nuova o sarà il frutto di una rivoluzione figurativa o non sarà”. Con questo straordinario  riconoscimento: “Egli su questa strada ha camminato fin dai suoi esordi e la sua capacità d’inventore di immagini è divorata da questa passione”. 

“I giovani”, 1979

Nella ricerca sull’essere umano immerso nella realtà lo interessa sempre più la condizione operaia, nel 1969 incontra i lavoratori del Tiburtino III, predispone grandi sagome dipinte per la Festa dell’Unità nel quartiere,  sarà la base per creare nel 1971  un Centro di produzione e organizzazione culturale, l’ “Alzaia”, che organizzerà mostra collettive di grafica socialmente impegnata. Analoga partecipazione alle Feste dell’Unità a Firenze nel 1970 e nel quartiere Flaminio a Roma nel 1972; nel 1970 aveva partecipato alla  mostra di Arezzo dal titolo eloquente: “Arte contro 1945-70, dal realismo alla contestazione”. Il suo impegno culturale prosegue senza sosta, con l’obiettivo di penetrare nelle comunità mediante strutture di quartiere, collettivi interdisciplinari e altre forme come i manifesti per gli eventi che coinvolgono vaste masse, quindi rappresentano un efficace strumento di comunicazione con le forze che muovono la società: nascono così i Manifesti per la CGIL e i Manifesti per il Tribunale Russell, esposti nella mostra in una suggestiva sfilata nel corridoio che unisce due sale con i grandi dipinti spettacolari; sono secchi, netti e schematici.

L’evoluzione della sua arte – pur nella continuità di fondo della visione dell’essere nella realtà – è continua, nella opere esposte alla mostra personale del  1971  alla Galleria “La Nuova Pesa”  appaiono sempre più gli operai, in specie gli edili, negli scenari urbani,  Non si tratta di denuncia politica di sopraffazioni –  come in Guttuso – ma di esplorazione della nuova condizione personale e umana dinanzi ai mutamenti della realtà e quindi della vita. “L’edile e la luna (Luna lontana  n. 1)”, 1971, esposto in mostra, presenta l’operaio abbattuto e oppresso, ma con una striscia luminosa verso l’alto che  sembra prefigurare una strada in ascesa per la liberazione sulle ali di un sogno.

Altre due opere del 1972, “Edile a Tiburtino” e “Un edile”, non esposte, sono pervase di umanità,  le impalcature, osserva la Mitriano, “sono la sua prigione, ma anche la sua forza, il suo contenuto  umano, etico, politico nel momento in cui acquisisce coscienza storica”. E aggiunge: “Su quelle impalcature suda, rischia, ma  è ancora capace di sognare, di sperare, di essere uomo”. E’ il tema della Biennale Nazionale d’Arte a Milano a cui partecipa nel 1971, “Situazione dell’uomo: contraddizioni a confronto”, sulle nuove tecnologie rispetto alle comunicazioni di massa; nell’anno realizza “Gandhi”, che vediamo esposto, una sorta di ectoplasma carismatico che domina dall’alto un magma  in movimento, la società indiana che ha scosso dopo un’immobilità millenaria. 

Ancora nel 1972, oltre alle opere sugli edili cui abbiamo accennato,  ne realizza altre ispirate al conflitto vietnamita che mobilitava  manifestazioni di protesta della sinistra e dei pacifisti in Italia e nel mondo.  Sono esposte “Lontano dal Vietnam” e “Vittoria del Vietnam in Occidente”  in cui, a differenza  delle opere  finora considerate, per lo più dal cromatismo tenue e sfumato,  vi è una forte dominante rossa e rosa su fondo nero, con  immagini sfuggenti  in squarci chiari e bianchi; fanno eccezione rispetto alla sua costante distanza dagli eventi al centro della polemica politica.  

“Caffè Florian”, 1981

Tra il 1971 e 1974 è impegnato in altre 5 mostre promuovendo la centralità dell’arte figurativa anche se, lo ripetiamo, la sua interpretazione è personalissima, la forma evanescente e aggrovigliata, deformata così da perdere la riconoscibilità che è nella sua mente. Le mostre si svolgono a Napoli e Siena, Anagni e Milano, nonché alla X Quadriennale di Roma  del 1972, i titoli evocano l’aspetto innovativo: “Aspetti della nuova figurazione” e “Ricerche figurative”, “Nuove ricerche della realtà” e “Nuove ricerche d’immagine”, fino a “Presenze e tendenze nella giovane arte”. Nel 1973 realizza una installazione per la mostra a Gualdo Tadino, “Immaginazione e potere. Pittura, scultura e design in una esperienza di gruppo”, con televisori e ombrelli, questi ultimi dal significato allusivo al bisogno di protezione, li  ritroviamo nell’opera esposta dell’aprile 2018. 

Dal 1974 al 1988, il rinnovamento artistico 

Abbiamo  accennato prima ai suoi  manifesti per la CGIL, ebbene a questa sua presenza nel sindacato c’è un seguito:  nel 1974 entra nel consiglio direttivo della Biennale di Venezia proprio in rappresentanza della CGIL, ci resterà fino al 1978, si impegna per il rinnovamento dell’arte coinvolgendo le forze operaie e perciò partecipa solo alle mostre collettive, tornando a una mostra personale a Bologna solo nel 1978, ripetuta nei due anni seguenti in altre sei città, tra cui Roma. E’ l’ultimo impegno diretto in campo sociale e, indirettamente, politico.

La situazione cambia ancora e lui si interroga sugli effetti che può avere nella pittura il profondo mutamento in atto,  la conclusione sembra essere un allontanamento dai temi politicamente impegnati per concentrarsi ancora di più sulla condizione umana, sempre partendo dalla realtà.

Osserva la Mitrano: “Certamente Venezia, città visionaria e decadente, dalle atmosfere misteriose, dai luoghi fantasticamente sospesi tra realtà e sogno, deve aver suscitato in Calabria sensazioni, vissuti, emozioni, che non avevano ancora trovato sistemazione nella pittura”.  La  direttrice con cui ridefinisce  la sua pittura, peraltro già attenta alla condizione umana, è la revisione – sono le sue parole – delle “esperienze fatte con l’immersione nel politico, per riproporle di nuovo in uno sforzo più rigoroso di recupero del ‘sociale’ e del ‘psicologico’, per un ampliamento della funzione conoscitiva dell’opera”. Ciò vuol dire allontanarsi ancora di più dalle “certezze” dell’ideologia – che non ha mai abbracciato, a differenza dei neorealisti orientati  a sinistra come lui, del resto – per concentrarsi maggiormente nella ricerca della condizione umana anche nelle sue forme sociali.   

“Il traghetto per Palermo”, 1984  

Sono esposti dipinti molto significativi che documentano questa evoluzione: “Frammenti a parete” e “Pantheon”, 1978, “I giovani” e “Da una città d’Italia”, 1979, accomunati da toni scuri e da forme indistinte, nel primo e nel terzo si percepiscono appena particolari di figure umane, il quarto merita un’attenzione particolare. Sono tutti di notevoli dimensioni, lunghi oltre 2 metri e alti tra 1 m e 1,70, ma l’ultimo li supera, 2,50 per 2,30; non è il motivo della sua rilevanza, quanto il significato che l’artista attribuisce ai sacchi di plastica  buttati alla rinfusa riprodotti nel dipinto dopo averli visti nella realtà in una strada di periferia: “Ho avuto la sensazione che quella plastica nera nascondesse grandi verità, ma troppo pericolose. Ho pensato che la gente, la sera mettesse dentro quei sacchi l’immaginazione e la creatività, tanto pericolose e dannose ad un soporifero e passivo adattamento alla spietata e vuota  routine del quotidiano”. 

Negli anni ’80 è intensa la sua partecipazione a mostre, nel 1981 la collettiva “Linee della ricerca artistica 1960-80” al Palazzo Esposizioni di Roma e le  personali  al centro Mexico-Italia Adriano Olivetti e a Città del Messico, nel 1982 in Finlandia e a Roma, nel 1984 a Roma alla Galleria “La Gradiva” e a New York, nel 1985 a Milano, nel  1986 alla XI Quadriennale Nazionale d’Arte di  Roma,  nel 1987 sempre a Roma a Castel  Sant’Angelo,  nel 1988 di nuovo a “La Gradiva”.

Di questo periodo di intenso rinnovamento artistico sono esposte 5 opere: la piccola “Caffè Florian”, 1981, e  “La luce del mare”,1984, accomunate dall’oscurità e da immagini evocative; due opere del 1985, “Il traghetto per Palermo” e “Un gioco nel vento”, accomunate da un cromatismo chiaro, con figure riconoscibili, nel primo le auto, nel secondo le due donne e i fogli; il quinto, “La città dentro”, 1987, addirittura 2 m per 4 m, con forme che rappresentano forze contrapposte.  Claudio Crescentini: pone il dipinto  “all’apice” della sua ricerca in quella fase: “Un nuovo  manifesto programmatico di Calabria, una nuova – diversa – prospettiva emergente dell’artista verso il prossimo decennio nel momento in cui si vanno sintetizzando temi e comportamenti pittorici sempre più personali e comunque coerenti con i tre precedenti decenni di sviluppo creativo dell’artista”.

Prossimamente parleremo dei tre decenni successivi, fino al momento attuale. 

La città dentro”, 1987 

Info 

Palazzo Cipolla, Via del Corso 320, Roma. Tutti i giorni, escluso il lunedì, ore 10,00-20,00, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 7, ridotto euro 5 per gli under 26 e over 65, forze dell’ordine e militari, studenti universitari e giornalisti, convenzionati, gratuito under 6 anni, disabili con accompagnatore, membri ICOM e guide turistiche.  Tel. 06.2261260. Il primo articolo sulla mostra è uscito, in questo sito, il 31 dicembre 2018, il terzo e ultimo articolo uscirà il 10 gennaio 2019, con 11 immagini ciascuno. Per quanto citato nel servizio  cfr. i nostri articoli, in questo sito: per Renato Guttuso, “Guttuso rivoluzionario”  14, 26, 30 luglio 2018, “Guttuso innamorato”   16 ottobre 2017, “Guttuso religioso”  27 settembre, 2 e 4 ottobre  2016, “Guttuso antologico”  16 e 30 gennaio 2013;per “Picasso”  5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, “Cèzanne”  24, 31 dicembre 2013, il “Padiglione Italia Regione Lazio” 8 e 9 ottobre 2013; per i”Futuristi”  7 marzo 2018, sui singoli artisti “Marchi” “Deineka” 26 novembre, 1 e 16 dicembre 2012, “Franco Angeli” 31 luglio 2013; per la Pop Art e le altre avanguardie americane“Guggenheim” 23  e 27 novembre, 11 dicembre 2012; per gli “Astrattisti italiani”, 5 e 6 novembre 2012; in abruzzo.cultura.it, per i “Realismi socialisti”  3 articoli il 31 dicembre 2011,gli “Irripetibili anni ’60”, 3 articoli il 28 luglio 2011,  il “Futurismo”  30 aprile, 1° settembre e 2 dicembre 2009, “Picasso” 4 febbraio 2009  (il sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).    

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Cipolla alla presentazione della mostra, si ringrazial a Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, con gli organizzatori e i titolari  dei diritti, in particolare l’artista, per l’opportunità offerta. Le 10 foto dei  dipinti  di Ennio Calabria coprono i primi 30 anni del  sessantennio 1958-2018. In apertura, la locandina della mostra; seguono, “La giuria”, 1959, e “La città che scende”, 1963; poi , “Ingrao”, 1966, e  “L’edile e la luna (Luna lontana n. 1)”, 1965-66 ; quindi, “Frammenti a parete”, 1978,  e “I giovani”, 1979; inoltre, “Caffè Florian”, 1981, e  “Il traghetto per Palermo”, 1984; infine,  “La città dentro”, 1987, e, in chiusura,  i Ritratti, “Ipotesi per  un monumento equestre a Che Guevara”, 1968, a sin – “Gandhi”, a dx.” 

Ritratti, “Ipotesi per  un monumento equestre a Che Guevara”, 1968, a sin – “Gandhi”, a dx. 

Ovidio, 1. Il Bimillenario celebrato con l’arte, alle Scuderie del Quirinale

di Romano Maria Levante

“Ovidio, amori, miti e altre storie” si intitola la mostra aperta alle Scuderie del Quirinale, dal 17 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019,  celebrativa del Bimillenario della morte del poeta. Una grande mostra con 250 opere d’arte per far rivivere l’influenza nel tempo della sua poesia dell’amore con straordinarie figure mitiche. Ben 85 prestatori, 40 collaboratori alla mostra organizzata da Ales S.p.A., la società “in house” del MiBAC che gestisce le Scuderie del Quirinale, presidente e A.D. Mario De Simoni, a cura di Francesca Ghedini che ha curato, con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zagabra anche il monumentale Catalogo, con 20 saggi e altrettanti autori di 200 schede, edito da Arte,m-L’ERMA. Nel periodo della mostra, 11 incontri con studiosi,  7 in luoghi evocativi di Roma e 4 nella Sala didattica e nelle sale espositive, più 2 visite guidate nel Parco archeologico del Colosseo; fino al progetto “Disegna gli amori, i miti e le altre storie di Ovidio” con laboratori per le scuole e un concorso rivolto ai giovani dai 15 anni ai 25 anni per un fumetto in prosecuzione di una” storyboard” già  disegnata sulle “Metamorfosi”.    

“Statua di Afrodite pudica’“, II sec. d. C, al centro, dietro, a sin, “Affresco con Marte e Venere”62-79 d. C., a dx  Giovanni Battista Carlone, “Marte e Venere sorpresi da Vulcano” 1650

Il valore della mostra

La mostra su Ovidio è il coronamento di una serie di iniziative celebrative svoltesi nel Bimillenario della morte, avvenuta intorno al 18 d. C. a Tomi,  remota località sul Mar Nero dove era stato “relegato” da dieci anni per ordine dell’imperatore Augusto, mentre le sue opere venivano fatte oggetto di ostracismo.  L’esposizione  non solo è all’altezza dell’importanza dell’evento, ma riesce a celebrarlo in un modo inaspettato.  

Dopo convegni e seminari, incontri e letture, ora i fuochi d’artificio finali della grande festa con una mostra d’arte spettacolare, ricca di affreschi  e sculture antiche, dipinti rinascimentali e documenti preziosi. E’ inaspettata perché si pensa che un famoso poeta dell’antichità possa essere ricordato solo commentando i suoi poemi e gli altri componimenti in versi, e ciò è avvenuto nel 2018 ad opera di illustri letterati;  ma la caratura di Ovidio è tale che ha reso possibile organizzare l’attuale mostra nella quale  invece sono presentate  250 opere d’arte, tra affreschi e codici miniati, sculture e dipinti. 

Ciò perchè l’eco dei suoi versi è stata tale nei secoli, anzi nei due millenni trascorsi, da ispirare artisti di ogni tempo per opere d’arte dai più diversi soggetti, sempre riferiti alle sue creazioni poetiche che hanno dato vita o celebrato figure mitiche indimenticabili.    Queste opere accompagnano il visitatore negli spazi espositivi delle Scuderie del Quirinale, in una cavalcata nel tempo nel corso della quale si può misurare  la persistenza delle creazioni di  Ovidio e la loro incidenza nelle varie epoche attraversate come un fluido magico. Incidenza che arriva ai tempi nostri, come osserva il realizzatore della mostra come presidente di Ales e delle Scuderie, Mario Di Simoni, affermando che “perdura l’influenza ovidiana in odierni testi letterari, come nelle opere di Ted  Hughes, Yoko Tawada, Jane Alison, Edward Hirsch, Lucien d’Azay e molti altri”.  

Affresco con Meleagro e Atalanta”, fine I sec. a. C.- 1^ metà I sec. d. C.  

Mentre il ministro per i Beni  e le Attività Culturali Alberto Bonisoli, nel sottolineare che senza l’ispirazione di Ovidio non esisterebbero capolavori come il Narciso di Caravaggio e la Dafne del Bernini, nonché il ciclo della Farnesina e i manoscritti illustrati, cita le sue creazioni poetiche che non solo hanno dato vita a personaggi mitici inconfondibili, ma sono entrate nel linguaggio comune per definire figure e caratteri di ogni tempo: é chiamato Narciso il vanitoso ed egoista, Pigmalione lo scopritore di talenti, Adone il giovane bello e affascinante, sono di oggi, ma nati con Ovidio. 

Non basta, De Simoni lo rende ancora più attuale, dopo duemila anni,  affermando, rispetto ai moderni testi letterari da lui influenzati, che “gli scrittori moderni sembrano rivolgersi agli antichi quando sentono qualche analogia con le loro esperienze. Ad esempio, in periodi di stabilità e ordine pare prevalere l’attenzione verso autori come Virgilio e Orazio, ma Ovidio  trionfa più facilmente in periodi  che apprezzano e ricercano i mutamenti, il cambiamento”. E conclude: “Celebriamo dunque Ovidio, il maestro del cambiamento. ‘Tempora mutantur et nos mutamur in illis’“.  

A questo punto l’interesse si acuisce, non si tratta soltanto di  ammirare le opere d’arte a lui ispirate  che fanno rievocare le sue creazioni poetiche, si pensi alle “Metamorfosi” oltre che alla epopea dell’amore popolata di  straordinari protagonisti; ma di approfondirne la modernità nella spinta al cambiamento impressa alla sua epoca e poi proseguita.  

 “Rilievo con Apollo e Marsia”, età adrianea

Una spinta in primo luogo sul piano poetico con le nuove forme letterarie cui ha dato vita anche nella maturità trattando temi epici, cosmologici e religiosi. Poi sul piano del  costume,  con l'”ars amatoria” a dispetto della severità augustea imposta, fino al piano ancora più ampio della libertà e autonomia rispetto al potere con l’esaltazione di figure ribelli, affrontando le conseguenze delle sue posizioni espresse in versi immortali che alla bellezza poetica uniscono coraggio e ispirazione ideale. 

Le trasgressioni del poeta fino all’esilio

Le notizie sulla vita di Ovidio aiutano a comprenderne la visione poetica e l’incidenza sul costume dell’epoca, protrattasi poi nel tempo. Il fatto che le notizie provengano da lui stesso e non siano riportate da storici o cronisti,  come per altri grandi esponenti della latinità, le rende ancora più significative perché sono quelle che ha voluto tramandare dando loro particolare rilievo; altrettanto significativo che le ha fornite nelle opere scritte nei dieci anni finali della sua vita, e in particolare nella decima elegia del quarto libro “Tristia”, il cui il titolo la dice tutta sul suo stato d’animo nell’esilio sul Mar Nero.   

Dall’accurata ricostruzione di Gianluigi Baldo ricaviamo, al di là della semplice biografia,  quanto ci sembra più interessante per conoscere l’uomo e il poeta. I primi elementi che vogliamo sottolineare riguardano  l’appartenenza all’ordine equestre e l’accesso, attraverso uno dei suoi tre matrimoni, ad una famiglia di grande prestigio che lo fece inserire nell’ambiente augusteo; poi la sua iniziale formazione giuridica e retorica, e il fatto che intraprese la carriera di magistrato nel collegio dei “tresviri capitales”, sotto la spinta del padre che ottenne per lui la dignità del laticlavio. Fece viaggi di formazione ad Atene, in Asia minore ad Alessandria, e in Sicilia. Sembrava dunque avviato alla brillante carriera cui il padre teneva molto. 

“Affresco con Polifemo e Galatean”,  60-79 d. C.

Ecco, però,  cosa avveniva in lui mentre cercava di assecondarlo, pur con sofferenza: “Io prediligevo, fin da ragazzo, il sublime culto dell’arte e la musa in segreto mi traeva alle sue opere. Spesso mio padre mi disse: ‘Perché ti dedichi a uno studio inutile? Perfino il Meonide non ha lasciato alcuna ricchezza’. Queste parole mi avevano convinto e, abbandonato completamente l’Elicona, mi cimentavo a scrivere in prosa; ma la poesia veniva da sé al suo ritmo appropriato, e quel che mi provavo a scrivere risultava essere in versi”.  Per questo abbandonò la carriera forense per dedicarsi completamente alla poesia, mentre la  formazione giuridica e la pur breve esperienza maturata in quel campo  lasciarono dei segni positivi in qualche tratto della sua struttura poetica.    

Troviamo in questa nota biografica il primo contrasto, la prima trasgressione.  Una seconda, in parte conseguente,  l’abbiamo riscontrata nel suo itinerario poetico. Divenne “il poeta della Roma galante”, osserva Baldo, quindi apparentemente in linea con  l’appartenenza a una famiglia altolocata e l’inserimento nell’orbita augustea; ma la sua “Ars Amatoria” era in aperto contrasto proprio con la politica augustea. 

Commenta la curatrice Francesca Ghedini:”La sua visione dell’amore come libero piacere della carne che non conosce confini, che il poeta propugnava con forza, non poteva piacere  al reggitore dell’impero, quell’Ottaviano, che divenuto Augusto si era premurato di promulgare a più riprese leggi per la moralizzazione dei costumi”. Erano le “Leges Iuliae” con cui l’imperatore cercava di frenare l’apertura nei costumi con  una severità – di cui era un simbolo il rigore morale della moglie Livia – che lo portò  a punire come colpevole di adulterio la figlia Giulia, nata dalla breve unione con Scribonia,  relegandola all’isola di Ventotene, dove si trovano i resti di Villa Giulia, un esilio come lo fu Tomi per il poeta; la seguì Giulia Minore, figlia di Giulia Maggiore e di Agrippa, condannata come la madre nello stesso 8 d. C. dell’esilio di Ovidio.   

Pompeo Batoni, “Bacco e Arianna”, 1773 

Ebbene, Ovidio  non solo non recedette dalla trasgressiva “Ars Amatoria”, ma proseguì nel completamento e nella diffusione dell’opera aggiungendo ai primi due libri un terzo in cui le lezioni d’amore sono declinate dal punto di vista femminile e, cosa non solo trasgressiva ma in contrasto con le “Leges Iuliae”, con l’invito al silenzio a chi veniva a sapere di tradimenti. Seguì il poemetto “Medicamenta faciei feminae”, sulla cosmesi, e il manuale in versi “Remedia amoris” sull’arte di guarire le pene d’amore, in cui la donna è del tutto  paritaria, cosa altrettanto trasgressiva. 

L’esaltazione della donna emerge anche dalle “Heroides”, in forma di epistole, “lettere delle eroine” dell’amore, come se fossero state scritte agli uomini che le avevano abbandonate, ma non si riferiscono a persone reali del mondo a lui contemporaneo,  bensì a figure mitiche , come Arianna e Didone, Penelope e Fedra, fino a Medea.  In tal modo la psicologia femminile viene esaltata con il fascino del mito; e non si ferma lì, aggiunge coppie di lettere con la risposta dell’uomo.   

Il culmine della sua visione poetica, le “Metamorfosi”, lo raggiunge poco prima dell’esilio dell’8 d.C., allorché  le aveva terminate, vi sono figure anch’esse mitiche, viste spesso nei loro amori impossibili. Inoltre aveva  compiuto la metà dei “Fasti” che completerà a Tomi. Quest’ultima opera, un poeta calendariale, è particolarmente interessante perché in parte scritto o rielaborato in esilio, quindi da un lato riflette la volontà di riaccostarsi al potere per poter riavvicinarsi a Roma, dall’altra la persistenza della sua posizione autonoma e libertaria, pur con toni più moderati.   

“Affresco con Leda e il cigno”, 60-79 d. C.

“Mi preme solo ricordare, in conclusione, afferma Baldo, come il testo dei ‘Fasti’ racchiuda in un certo senso il vero segreto di Ovidio: nella sua natura di opera incompleta, e dunque aperta, si trova la chiave per afferrare il carattere fluido e cangiante della sua visione ideologica”. E lo spiega: “Nei ‘Fasti’ convergono, in certo qual modo, le tensioni contraddittorie della sua vita artistica, contesa tra una vocazione mondana e una vocazione all’affabulazione visionaria e mitica”. Con questo sigillo finale: “Non c’è da stupirsi, insomma, se nella calcolata frivolezza di molte sue scelte si nascondono le ragioni di una libertà pagata a caro prezzo”. Con la segregazione nell’esilio di Tomi.   

D’altra parte,  nell’esaltazione del mito, si possono vedere, come fa la Ghedini, “gli dei di Ovidio contro gli dei di Augusto”, perché sono presentati nei loro amori licenziosi, anzi adulterini, dai quali sembrano ossessionati esponendosi anche a umilianti fallimenti: “L’Apollo di Ovidio  è amante sfortunato, che invano insegue ninfe e fanciulle, ora è gabbato… ora rifiutato”, mentre Giove “è presentato come amante insaziabile, predatore sessuale, protagonista di abusi e stupri, capace di ogni sotterfugio, inganno, travestimento per possedere l’oggetto del suo momentaneo desiderio”.    

E pensare che Apollo era il  protettore di Ottaviano da quando si era scontrato  con gli assassini di Cesare! Divenuto imperatore Augusto  continuò ad affidarsi alla sua protezione, e fece erigere un tempio dopo la vittoria su Pompeo, nelle feste portava una corona di alloro, sempre in omaggio al dio considerato “purificatore e vendicatore, ma anche il dio della pace che porta la guarigione e la conciliazione”. Giove, è inutile ricordarlo, nella severa concezione augustea era al vertice degli dei nell’Olimpo, garante dell’ordine nell’universo.  

“Statua di Ermafrodito”,  copia di II sec. d. C.

Anche Venere, “austera e matronale progenitrice” della stirpe imperiale, la “gens Giulia”, viene travolta in una relazione adulterina con Marte, padre di Romolo fondatore di Roma, e il marito Vulcano li punisce “imprigionandoli nel talamo ed esponendoli nudi al ludibrio degli dei”. Aggiunge la Ghedini: “In tal modo i due capostipiti della casata e della città vengono sbeffeggiati e umiliati”. Ci voleva del coraggio per tale trasgressione!   

La forza dell’eros e i templi di Roma 

L’audacia con cui ha trattato il tema dell’eros sfidando le rigide prescrizioni della severità augustea, per di più con la trasgressione di coinvolgervi gli dei  protettori dell’imperatore, progenitori della sua gente e del fondatore della città, non ha eguali nell’antichità.   Giampiero Rosati osserva al riguardo che mentre Saffo, Catullo e Properzio si erano limitati  alle esperienze individuali, “Ovidio è poeta consapevolmente, orgogliosamente e integralmente (cioè con una globale visione del mondo) erotico” anche se nell’esilio dovette moderarsi per riavvicinarsi all’imperatore sperando di poter tornare a Roma. Pur con questa parziale presa di distanze, “quell’etichetta di ‘tenerorum lusor amorum’, ‘cantore di teneri amori’, definisce la sua identità di poeta e ne riassume la carriera”.      

Anche perché va ben oltre l’aspetto sentimentale ed erotico: “L’amore è la forza vitale  che dà impulso al ciclico rinnovamento della natura ma ispira e alimenta  i rapporti tra gli umani e perfino tra le divinità”.  

“Affresco con Io,  Argo e Mercurio”,  60-79 d. C.

L”eros” celebrato e insegnato nell'”Ars Amatoria”, “opera a tutti gli effetti come una forza civilizzatrice capace di fungere da motore di sviluppo del mondo  e che con la moderna Roma,  nello stile di vita che caratterizza la sua  opulenza imperiale, raggiunge il suo trionfo”; non solo, è anche l’energia che domina nel mondo degli dei. Le vicende amorose sostituiscono le imprese eroiche, l’imperio della forza viene sostituito dall’egemonia del desiderio, che non si limita ai rapporti personali, ma si estende ad altri campi per instaurare il potere.    

Non è l’eroe al centro della sua narrazione, come nei poemi epici, ma l’amore che si incarna nelle semplci persone come negli dei in una concezione antropomorfica in cui le loro passioni sono umane, anche se questo può contraddire il concetto di divinità e minarne l’autorità, dato che sono in preda alle stesse frustrazioni e delusioni dei comuni mortali.  

Gli amori raramente sono corrisposti, anzi danno molta sofferenza. Qualche volta hanno esiti tragici, ma più spesso si traducono in una metamorfosi dove “tutto cambia, nulla muore”, come afferma lui stesso. Questo “attiva il meccanismo motore del mondo: in un mondo senza morte (una delle principali singolarità dell’epica ovidiana, che la differenzia molto dall’epica classica) non ci sono punti fermi, tutto è instabile, in movimento”. Un movimento che porta al cambiamento, per questo, è stato definito “il maestro del cambiamento”, e mostra la sua maggiore attualità nelle fasi di trasformazione piuttosto che in quelle di stabilità, come abbiamo detto nella nostra citazione iniziale di De Simoni.     

“Rilievo con Ganimede”, II sec. d. C. 

L’amore è il tema centrale delle sue opere in assoluto, sovrasta ogni altro, in primo luogo il tema ambientale. Non è di certo il cantore della Roma augustea,  in parte rimodellata dall’imperatore con diffusi restauri degli edifici pubblici e altri interventi  togliendo i riferimenti storici, spesso settari, e omologando tutto  intorno alla propria persona e alla propria famiglia, in una visione edificante.  

Ovidio  ne loda la ricchezza rispetto al passato, ma non si allinea al concetto tradizionale di “familia”  esaltato dal principe anche sublimando la propria. Anzi utilizza monumenti ed edifici, pur identificati con le denominazioni familiari augustee, come luoghi per trasgressivi incontri amorosi.  

 “In questo quadro di riferimento, osserva Eugenio La Rocca, risulta stridente l’uso frivolo dei monumenti pubblici, quelli più affollati di ragazze, imposti dalle schermaglie erotiche  rispetto alle motivazioni delle loro dediche”. E aggiunge: “E’ chiaro che Ovidio non denunci mai il sistema ideologico dominante, né contesti le ‘leges Iuliae’ sulla morale, ma per un poeta alla moda e assai letto, parlare di giochi d’amore tra i porticati degli edifici di Roma maggiormente connessi con la visione etica di Augusto significava essere per lo meno imprudenti”.  E di certo  lui stesso se ne avvede,  tanto che afferma: “I miei versi spinsero Cesare a censurare me e i miei costumi per la mia Ars proibita”, e poi:  “Gli ultimi eventi mi perdono, e dal fondo del mare un’onda sommerge una nave  già spesso salva”.  

Così conclude La Rocca: “Sembra potersi dedurre che i libelli erotici per di più scritti tanto tempo prima della condanna, furono un’ingannevole imputazione per nascondere le vere cause della punizione’ che, probabilmente, non aveva nulla a che fare con l”Ars Amandi’, malgrado il ‘mea culpa’ ritardato di Ovidio”. Ma risiedeva nelle sue irridenti trasgressioni all’ideologia imperiale.    

“Affresco con Narciso”, 60-79 d. C.

La selezione delle opere  per analogie “puntuali” con le “figurazioni” di Ovidio

Il rapporto tra Ovidio e le arti figurative, analizzato dalla curatrice Ghedini con Monica Salvatori, è molto particolare: “Ovidio non scrive d’arte né descrive l’arte. Se cerchiamo infatti nella sua vasta produzione descrizioni intenzionali di manufatti artistici, reali o immaginari, i risultati sono, per certi aspetti, deludenti”. Le descrizioni di opere d’arte sono rare e relative a quelle che hanno una speciale forza evocativa, ma questo “non deve però meravigliare: Ovidio non appartiene alla categoria degli scrittori  o ‘descrittori’ d’arte, Ovidio l’arte la ‘crea’, e non con il pennello e lo scalpello, ma grazie al suo dominio sulla parola e alla musicalità del suo verso, capaci di evocare paesaggi, personaggi, situazioni che si fissano nella mente di chi legge con una forza che è stata l’origine della sua fortuna”.

La sua capacità immaginifica porta ad evocare viaggi, ambienti, contesti favolosi di grande fascino  che restano impressi nel lettore e si trovano riflessi come in uno specchio nell’arte nei secoli. La Ghedini osserva che questo è avvenuto più nelle epoche successive che negli artisti coevi, dato che molte citazioni da parte di Ovidio di personaggi o fatti che si riscontrano nell’arte sono in un certo senso “casuali” perché “presenti nel suo quotidiano” piuttosto che “puntuali”. 

Per confrontare la “narrazione dinamica” della poesia di Ovidio con la “narrazione statica” delle opere d’arte la curatrice spiega che da un lato si è scomposto il testo “separando le descrizioni precipuamente letterarie da quelle dotate di particolare forza figurativa, dall’altro classificato il repertorio iconografico sulla base dei contenuti, distinguendo il livello generico del soggetto da quelli più specifici di tema e schema“.  

Antonio Giomina, “Piramo e Tisbe”, 1719 

Dal confronto tra i “passi ‘figurativi’ ovidiani e la tradizione iconografica”  si sono individuati “diversi livelli di tangenza… a seconda che le analogie fossero  del tutto generiche… o più puntuali”. Sono state prescelte  quelle più puntuali, in cui “la descrizione del poeta corrisponde  a una determinata e riconoscibile iconografia oppure quando testo e immagine condividono uno o più dettagli così significativi e specifici da consentire un rapporto univoco”. 

Questo metodo scientifico su cui si basa la scelta delle opere esposte è stato adottato nel progetto decennale, di cui la mostra è il coronamento, presso l’Università di Padova, ad opera della stessa curatrice Ghedini con Isabella Colpo e Giulia Salvo, insieme a studiosi di diverse discipline, letterati e storici dell’arte e della miniatura, dottorandi e studenti. E’ meritorio  il rigore con cui è declinata la singolarità della  celebrazione in forma artistica del grande poeta della latinità.

La sua è una poesia di rottura, che unisce erotismo a trasgressione  rispetto al moralismo augusteo e alla  severità delle leggi repressive della libertà dei costumi di una società gaudente;  ma anche, e diremmo soprattutto, rispetto alla sacralità degli dei dell’Olimpo, in primis l’onnipotente Giove, e  le due divinità che proteggevano l’imperatore, Apollo come massimo tutore suo e della città di Roma e Venere progenitrice della “gens julia”, come abbiamo sottolineato. 

Sulle opere ispirate ai suoi versi eleganti ed evocativi di miti  e leggende, così si esprime la Ghedini con Monica Salvadori: “L’analisi delle occorrenze ovidiane nel repertorio antico fornisce  un panorama di luci e ombre, di presenze e di assenze, di distanze e di tangenze, dove tuttavia sembra emergere la condivisione di un immaginario comune. La situazione cambia in modo radicale se dall’antichità ci volgiamo al mondo post-antico in cui Ovidio  diventa il testo di riferimento, prima nei manoscritti, e poi via via nelle arti minori e nella grande pittura”.

Ne parleremo prossimamente percorrendo la galleria di opere che riflettono tutto ciò, come se salissimo sulla macchina del tempo sulle ali dei suoi versi immortali.   

Jusepe de Ribeira, “Venere scopre il corpo di Adone”, 1637 

Info

Scuderie del Quirinale,via XXIV Maggio 16, Roma. Da domenica a giovedì,  ore 10,00-20,00, venerdì e sabato ore 10,00-22,30, ingresso consentito  fino a un’ora dalla chiusura. Ingresso e audioguida inclusa: intero euro 15, ridotto euro 13 per under 26, insegnanti, gruppi, forze dell’ordine, invalidi parziali, euro 2 per under 18, guide, tessera ICOM, dipendenti MiBAC, gratuito per under 6, invalidi totali. Tel.  06.81100256. www.scuderie.it. Catalogo “Ovidio. Amori, miti e altre storie”, a cura di Francesca Ghedini con Vincenzo Farinella, Giulia Salvo, Federica Toniolo, Federica Zalabra,  Editore arte,m – L’ERMA  di Bretschnider 2018, pp. 310, formato  24 x 30; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I due successivi articoli sulla mostra usciranno, in questo sito, il  6 e 11  gennaio 2019, con altre 13 immagini ciascuno.  Cfr. inoltre i nostri articoli, in questo sito, per la mostra “Augusto”, 9 gennaio 2014; in abruzzo.cultura.it  per “Villa Giulia a Ventotene” (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito). 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nelle Scuderie del Quirinale, si ringrazia Ales S.p.A., con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta; è riportato un campionario di quelle citate nel commento ai miti evocati nell’opera di Ovidio dei due articoli seguenti sulla visita alla mostra. In apertura,  “Statua di Afrodite pudica’“, II sec. d. C, al centro, dietro, a sin, “Affresco con Marte e Venere”62-79 d. C., a dx  Giovanni Battista Carlone, “Marte e Venere sorpresi da Vulcano” 1650;  seguono, “Affresco con Meleagro e Atalanta”, fine I sec. a. C.- 1^ metà I sec. d. C., e  “Rilievo con Apollo e Marsia”, età adrianea; poi, “Affresco con Polifemo e Galatean”,  60-79 d. C.ePompeo Batoni, “Bacco e Arianna”, 1773; quindi,  “Affresco con Leda e il cigno”, 60-79 d. C., e  “Statua di Ermafrodito”,  copia di II sec. d. C.; inoltre,  “Affresco con Io,  Argo e Mercurio”,  60-79 d. C., e  “Rilievo con Ganimede”, II sec. d. C.; ancora, “Affresco con Narciso”, 60-79 d. C., e  Antonio Giomina, “Piramo e Tisbe”, 1719; infine,  Jusepe de Ribera, “Venere scopre il corpo di Adone”, 1637, e, in chiusura,  “Fronte di sarcofago urbano con il mito di Fetonte”, 2° quarto III sec. d.C. 

“Fronte di sarcofago urbano con il mito di Fetonte”, 2° quarto III sec. d.C.

Calabria, 1. La grande antologica sul tempo dell’essere, a Palazzo Cipolla

di Romano Maria Levante

E’ una spettacolare esposizione di 80 opere, per lo più di grandi dimensioni – alcune appositamente realizzate nel 2018 –  a Palazzo Cipolla, nel Corso di Roma, la mostra “Ennio Calabria, verso  il tempo dell’essere. Opere 1958-2018” , antologica dei sessant’anni della sua  produzione artistica, promossa  dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presidente Emmanuele F. M. Emanuele, organizzata da “Poema” con l’ “Archivio Calabria”, supporto tecnico di “Civita mostre”, curata da Gabriele Simongini, come il catalogo bilingue, italiano-inglese, della Silvana Editoriale.

Il presidente Emanuele nell’intervento di presentazione, alla sua sin. l’artista, alla sua dx il curatore Simongini 

I motivi rilevanti della mostra

La mostra viene trent’anni anni dopo la precedente antologica che dava conto del primo trentennio di attività dell’artista, e sessant’anni dopo la prima personale, e  rievoca oltre mezzo secolo di arte e di vita, periodo percorso da mutamenti epocali. 

Si tratta di un pittore molto attivo sul piano sociale la cui pittura, però, non ha mai avuto connotati  precostituiti,  ma è stata sempre ispirata ai fatti che scuotevano la sua sensibilità e ai quali  si ispirava direttamente senza filtri ideologici. Questo sembrerebbe un processo comune nella vita degli artisti, ma in Ennio  Calabria c’è stata anche una speculazione filosofica – da non intendersi come ideologica, ribadiamo – sull’essere umano  e sui cambiamenti nel tempo della società in cui vive,  sempre mutevole  per via  dell’incessante innovazione tecnologica.   

Di qui il titolo della mostra, “Il tempo dell’essere”, di qui anche la posizione molto personale dell’artista rispetto alle correnti pittoriche che si sono succedute nell’arco del sessantennio: non ha aderito all’informale restando legato alla forma ma non in senso strettamente figurativo, si è ispirato alla realtà ma il suo non è realismo, non è espressionismo pur manifestando le proprie reazioni, ma non come emozioni del momento bensì come sintesi  magmatica del fluido creativo mosso anche dalla sua speculazione filosofica, in una forma “liquida”, deformata ma legata ai contenuti. 

Il valore speciale della mostra

Emmanuele F. M. Emanuele, presidente della  Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, ideatore e promomotore della mostra con la Fondazione, ha confidato  di essere stato colpito dalle opere dell’artista visitandone l'”atelier”, e di aver deciso di rimediare alla sua assenza dalle principali sedi espositive forse dovuta al fatto che si è schierato per lungo tempo con  l’opposizione senza però avere – come avvenne invece per Renato Guttuso – il sostegno del maggiore partito della sinistra. 

Anzi lo stesso Guttuso, dopo aver lodato la creatività del giovane pittore alla mostra che tenne agli esordi,  non mantenne verso di lui l’attenzione iniziale, e Calabria restò praticamente isolato.  D’altra parte, l’artista aveva fondato nel 1961  il gruppo “Il pro e il contro” – con il quale veniva rivendicata l’autonomia rispetto agli orientamenti, in campo artistico-culturale,  del Partito Comunista, in cui militava Guttuso in posizioni di rilievo – con altri artisti tra cui Accardi e Vespignani che erano stati redattori della rivista “Città aperta”  in cui avevano assunto una posizione critica sia verso la politica culturale del PCI soprattutto dopo i tragici “fatti d’Ungheria”, sia verso il “Realismo socialista” sovietico, dovendo per questo chiudere la rivista nel 1958. 

Nei confronti del “Realismo socialista”, sia detto per inciso, Calabria è stato lontano anni luce, e questo anche rispetto ad Aleksandr Deineka, il massimo esponente che esprimeva la personale fiducia nell’uomo nuovo nato con la rivoluzione comunista celebrandone l’eccellenza nella vita, nello sport, nel lavoro, con opere sempre in linea con la mistica di regime sebbene non si facesse strumento della propaganda sovietica ma seguisse le proprie autentiche convinzioni.  Ricordiamo che fu merito di Emanuele la realizzazione delle mostre sui “Realismi socialisti” e “Deineka” al Palazzo Esposizioni nel 2011.

Un’Annunciazione del nostro tempo”, 1963 

Per tornare a Calabria va premesso inoltre che, nonostante la sua esposizione personale sul piano politico-sociale –  ad esempio illustrando una serie di manifesti  delle organizzazioni sindacali di sinistra – non ha neppure prodotto opere di denuncia esplicita delle violenze e delle ingiustizie non essendo dominato dalla visione ideologica, ma opere in cui è la natura umana ad essere messa a nudo nei suoi rapporti con lo sconvolgimento causato dalla tecnologia e non solo. 

Questa sua diversità e, diremmo, complessità,  sul piano dei contenuti,  non poteva non trovare una netta  diversità anche  nella forma, che ha dovuto dare una risposta artistica a una serie di interrogativi così riassunti dal curatore della mostra Gabriele Simongini: “Come afferrare le forze segrete, la mutevole labilità e fluidità della vita umana, delle sensazioni e delle emozioni? Come cogliere in profondità le trasformazioni della società lungo il tempo?  Come sintonizzarsi con la realtà mentre accade? ”  Di qui  la sua “pittura magmatica e metamorfica”,  assolutamente personale e per questo inconfondibile, “la cui ‘materia’ è osmosi immediata fra inconscio, pensiero, mano e azione psicofisica attraverso il lavorio inesauribile dell’invisibile nel visibile”. Tutto ciò perché con le sue opere esprime le pulsioni interiori che nascono come riflesso del mondo che lo circonda con le sue continue trasformazioni, alle quali riserva un’attenzione particolarmente acuta,  sul piano speculativo e filosofico, e in parallelo sul piano artistico nel quale deve rendere la complessità del pensiero che anima e alimenta il suo spirito creativo.

Abbiamo accennato al fatto che non ha seguito le correnti dominanti nel sessantennio del suo itinerario pittorico, e anche per questo, oltre che per una specie di allontanamento ideologico, non ha avuto tutta l’attenzione dovuta al suo straordinario talento;  ma è stata la sorte anche di straordinari maestri ai quali tardivamente è stato riconosciuto il posto che meritano, si pensi a Caravaggio.   

E’ anche una meritata riparazione, dunque, questa mostra,  dovuta alla sensibilità del presidente Emanuele,  che ne ha apprezzato le idee controcorrente, pur senza aderirvi, e ricorda come non facesse parte del gruppo con Testa e Angeli, Schifano e  Mambor, da lui frequentato negli “irripetibili anni ‘60”, cui lo stesso Emanuele ha dedicato qualche anno fa una mostra così intitolata;   ma Calabria era accomunato a loro dalla difesa della forma pittorica rispetto all’informale, all’astrattismo e alle avanguardie iconoclaste, anche se la forma in lui ha un aspetto unico, nel momento in cui dichiara di voler aderire alla realtà, al fatto, però senza  riprodurli in modo figurativo.  

“Funerali di Togliatti”, 1965 

Infatti non osserva la realtà freddamente da cronista, e tanto meno animato da visioni ideologiche, lo fa  per scoprire la vita che la anima, in modo da rivelare ciò che non si conosce, senza limitarsi a riprodurre ciò che si vede e quindi è già noto; e senza esprimere soltanto le emozioni che gli suscitano i fatti della realtà bensì i pensieri profondi della propria riflessione interiore che diventa speculazione filosofica. E’  infinitamente distante dalla sua impostazione artistica la fuga dalla realtà di certa arte contemporanea, per di più con i suoi continui “Senza titolo”, i titoli di Calabria sono sempre corposi e intriganti. 

Un “cane sciolto” nella forma e nei contenuti

Un artista siffatto non poteva che essere un “cane sciolto”, per usare la sua stessa definizione, impegnato, come sottolinea Simongini, in una “pittura di storia” intesa come ricerca nella quale le vicende collettive  sono filtrate dal suo pensiero interiore, dalle intime riflessioni sull’essere nel tempo rispetto ai fatti della vita in un mondo in continuo mutamento. Il suo stile non poteva che essere personalissimo, attingendo alle correnti pittoriche che potevano offrirgli la cifra artistica adatta, anche se tra loro contrastanti, anzi con tale contrasto riflettevano le contraddizioni della vita.

Mario Micacchi, nel 1987 ha scritto a questo proposito che “per lui la realtà. contemporanea e l’io profondo hanno raggiunto una tale complessità che non basta un solo codice interpretativo e una maniera pittorica per dare forma a tutto quello che passa nella città e nell’uomo della città, dove chi sa cercare trova di tutto e sa che può accadere tutto”. Ma che cosa, in particolare? 

Quello che accade si manifesta senza che abbiamo modo di capirlo, neppure se lo vediamo, manca il tempo per riflettere nella velocità in cui si succedono gli eventi, tempo invece riservato all’arte che si apre al mistero e alle contraddizioni presenti nella vita come segno di vitalità.  Il campo dell’arte è, quindi, quello degli avvenimenti spesso carichi di contraddizioni e “l’opera d’arte –  ha scritto Calabria nel 1986 – è simile  a un ‘fatto’, cela nel proprio mistero un groviglio eterogeneo di livelli e di culture come i ‘fatti’ quando accadono. L’opera allorché è, produce nuove associazioni conoscitive, in quanto più che commentare l’esistente, aggiunge a esso appunto ‘un fatto altro'”.

Ecco l’aspetto pittorico per Simongini: “Proprio per questo nei suoi quadri non si afferma mai un punto  di vista frontale, gerarchico, dogmatico, cristallizzato, ‘apollineo’, ma si aggrovigliano come fasci fibrosi, si fondono o entrano in rotta di collisione dionisiaca, senza soluzione di continuità, moti centrifughi e centripeti, allucinate visioni dall’alto e in volo, dal basso, schiacciamenti, torsioni, allungamenti, deflagrazioni delle figure che denunciano con ansia e senso di panico la pressione quasi insostenibile di realtà in fondo insondabili sulle nostre fragili esistenze”.  

“Una vittoria del Vietnam in Occidente”, 1973 

Quindi, se non siamo nell’informale e nell’astrattismo per l’aderenza ai “fatti”, siamo lontani anche dal realismo figurativo per la complessità delle motivazioni che muovono la mano dell’artista portandola alle vertiginose espressioni pittoriche che il curatore ha efficacemente evocato. La forma è sempre dominante, perché deve esprimere il frutto della ricerca anche speculativa per far emergere la verità della vita come la interpreta l’artista che ha potuto scandagliare il “fatto”  per estrarne l’invisibile nel quale si trovano i germi del futuro.  Sin dal 2005 Simongini scriveva: “Ennio Calabria sta dando vita a opere ricche di una complessa e irrequieta vitalità, colme di una forza visionaria che va a braccetto con una lucidissima speculazione filosofica e antropologica”.

 Alla base di ciò ci sono le sue riflessioni sui radicali cambiamenti nella vita dell’uomo portati nella società dalle incessanti innovazioni dando luogo a mutazioni antropologiche che l’artista cerca di percepire e catturare quasi prefigurandone gli sviluppi futuri. Mutazioni – come l’intelligenza artificiale – potenzialmente devastanti perché non sono più il pensiero e la visione filosofica a permeare la tecnologia, ma questa è autonoma,  mentre le motivazioni filosofiche devono solo fornirne una giustificazione ex post.

Per lui, scrive oggi Simongini, “è proprio la pittura a offrire un contributo volto a salvaguardare l’autenticità umana dell’essere nel mondo”. In questa ottica, il curatore accosta Calabria, in particolare,  a Edward Munch, di cui riporta una confessione illuminante: “E’ mia intenzione cercare le forze segrete della vita, per tirarle fuori, riorganizzarle, intensificarle allo scopo di dimostrare  il più chiaramente possibile gli effetti di queste forze sul meccanismo che è conosciuto come vita umana, e nei suoi conflitti con altre vite umane”. E a Francis Bacon,  che con la propria pittura  intendeva “riprodurre non  il fatto nella sua semplicità, ma tenendo conto dei suoi diversi livelli, in modo da toccare nuove aree di sensazioni che conducano a un senso più profondo”. 

Calabria va oltre, dicendo che  per poter penetrare nel profondo della realtà e quindi della vita, “la pittura non è qualcosa di esterno  a te, ma è il tuo liquido biologico, un tessuto, come se ti trasferissi qualcosa del tuo liquido biologico sulla tela…. Io sono e traduco il mio essere nella pittura”. 

Lo manifesta anche nei ritratti, tanto da scrivere il 30 maggio 2012 a papa Giovanni Paolo II: “Santo Padre, ho dipinto alcuni suoi ritratti. Ci sono finito dentro per la necessità di reincontrare la realtà e con essa quel rapporto così indispensabile per qualsiasi progresso della mente, fondamentale per chi fa il mio mestiere”. 

“Un gioco nel vento”, 1985 

E’ una realtà emblematica e metaforica, tanto che nel corpo del papa martoriato dal male e dalla sofferenza vede “una sorgente amniotica della nascita di un soggetto potente, vitale, che cerca un referente alto che consenta di nuovo il senso, dentro la selvaggia relativizzazione di ogni certezza”.   

Paola Di Giammaria così commenta: “Di fronte alla velocità e alla relatività dei tempi odierni Calabria sembra aver trovato uno spazio condivisibile dove il personaggio è solo un pretesto, anzi un’opportunità per costruire  e restituire quell’immagine come materia autonoma della soggettività dell’artista”.  Questo non riguarda soltanto la figura del papa, ma anche gli altri personaggi che, pur senza avere la valenza universale del Santo Padre, “si pongono come contenitori delle paure e delle speranze di milioni di persone e nei quali la storicità si fonde con la presenza individuale, esistenziale, dando vita così  a un’immagine più universale dell’uomo effigiato”.  Un’immagine sempre molto espressiva, “tra guizzi di luce e colore, scomposizioni di forme, costruzioni senza accenti retorici”. 

Dinanzi a questa realtà interiorizzata con una connotazione fortemente personale, ma nel contempo resa esemplare, le sue opere hanno una valenza sociale perché riguardano la testimonianza dell’artista sulla dimensione umana  nelle “vicissitudini della storia”. 

E’ una visione che ha fatto scrivere a .Mario De Micheli, nel 1985, nel commento a una sua mostra: “Forse nessun altro artista della sua generazione ha esplorato come lui tanti volti diversi della nostra condizione contemporanea e, al tempo stesso, nessuno come lui ha mostrato una così ferma e risoluta volontà di trovare una risposta ai nostri problemi, ma, e questo è ciò che più conta, dove non è ancora possibile trovare la risposta, nessuno come lui è stato capace di formulare l’interrogativo giusto a cui prima o poi si dovrà imparare a rispondere”. 

Vedremo dalle sue opere esposte in mostra come questo trovi espressione pittorica, considerando che lui stesso ha detto: “La mia pittura oggi si deve porre come qualcosa che si sente, non come qualcosa che si capisce”, e in essa si sente l’ansia per l’umanità e – per usare ancora le sue parole – per la sua “drammatica gioia del vivere”.

Su questo si esercita il suo pensiero scavando nel tempo e nell’umanità per scoprirne i misteri e poterli rivelare con la sua arte. Cerchiamo di esplorarne alcuni, ricorrendo soprattutto alle sue parole. 

“Inchiesta autobiografica”, 1989

La velocizzazione del tempo e la forma pittorica

Ne riporta un’ampia selezione Tiziana Caroselli, evocandone  “il pensiero nel tempo che muta”.  E il tempo è indubbiamente la dimensione in cui vediamo immersa la produzione di Calabria  non soltanto perché  si estende nell’arco di 60 anni e neppure perché nel tempo sono maturate a velocità crescente le innovazioni tecnologiche che hanno scosso la società, come tutti possono vedere.  C’è qualcosa di più profondo  e riguarda la vita, espressione dell’esistenza, che si manifesta nel tempo e viene colta dall’artista alla ricerca delle verità invisibili da tradurre nella creazione pittorica, considerandosi sin da giovane  un “magnete sensibile” che “rifunzionalizzava mediante sé e intorno a sé”  le esperienze pittoriche per interpretare il mondo in evoluzione da cui far emergere le contraddizioni e soprattutto le verità profonde, senza ideologie precostituite.

Questo vuol dire che, pur essendo ideologicamente impegnato in campo politico e sociale, segnava “una distinzione, una consapevolezza dei due livelli di partecipazione e di conoscenza”. Nel senso che  il suo contributo “politico ” consisteva nell’offrire elementi di conoscenza: “In sostanza, io posso essere un pittore che cerca di interpretare la realtà per gli altri. E  quindi sono al di fuori del servizio di un’ideologia”.

Nel suo sforzo di interpretare la realtà in cui si deve vivere,  pone  al centro l’essere umano, proprio perché la “velocizzazione del tempo”  impedisce di vedere realmente, cioè di capire.  Da questa constatazione, che potrebbe sembrare elementare, derivano importanti considerazioni.  

La considerazione  più immediata riguarda la forma pittorica che non può più essere statica perché non renderebbe la realtà in continuo movimento;  perciò nella  lettera immaginaria del 1987, “Caro Guttuso”, che fu pubblicata in un catalogo, dopo la sua morte gli scrive che avrebbe voluto  approfondire con lui “questo tema della velocità sociale e di come, attraverso uno schiacciamento del modo di recepire, e delle forme della comunicazione, si produca una deformazione nuova”.   

“Giovanni Paolo II. Il vero  e il falso”, 2005 

E’ proprio la deformazione nella sua forma pittorica, che nei ritratti richiama Bacon, ma nelle composizioni è ben più elaborata, quasi sofferta.  Il curatore della mostra, come abbiamo visto, la definisce aggrovigliata in fasci fibrosi, nelle ardite prospettive dall’alto o schiacciata dal basso, con torsioni, allungamenti, deflagrazioni, quasi subisse gli sconvolgimenti indotti dalle mutazioni. 

Le immagini  si producono come se fossero  generate dalla rifrazione della luce sugli scogli, senza  rapporti di causa ed effetto, ma espressione di una casualità, e insieme di una velocità incessante,  in cui risiede l’essenza della realtà. Non è una metafora esemplificativa, è stata propria la vista di questo fenomeno nella realtà  ad aprirgli gli occhi, nelle migliaia di immagini riflesse sulla roccia bagnata dall’acqua del mare vide “fissata una sorta di probabili regole”, eccone una: “Quelle linee che sembravano seguire il caso, sapevano far fluire il senso attraverso vie prive di senso”. E nello stesso tempo riflettevano, commenta la Caroselli, “anche la disgregazione epocale dei  nostri tempi, dove i meccanismi sociali sembrano prodotti da accadimenti  e motivazioni nuove  e imprevedibili, sotto l’effetto stravolgente di una velocità degli scambi estremamente accelerata”. Con questa conseguenza: “Di qui una nuova riflessione ancora sul tempo, il tempo del nostro vivere tecnologico, pragmatico, scientifizzato, contratto e relativizzato dalla velocità”. 

Da “cogito ergo sum” a “sum ergo cogito”

Ma quella che interessa l’artista è la mutazione profonda prodotta nell’essere, a livello della stessa personalità, nel senso che resta attivo “il segmento della psiche utile alla velocità degli scambi”, cioè  la “razionalità intellettuale”,  mentre “il resto della psiche, come le sue zone più complesse ed interiori, vengono rimosse, o comunque disarticolate dai processi reali”.   

“Presentimento d’acqua”, 2008

La spiegazione che segue  collega questa mutazione alla vita concreta, perché l'”inedito divorzio” tra le due componenti della personalità fa sì che non concorrano  alla  valutazione degli accadimenti, ma operi soltanto la parte pragmatica “sui processi  e sui codici già definiti”; mentre  venga esclusa la parte “introspettiva”, spinta dall’inconscio, l’unica che può “rinvenire le cause prime di successivi comportamenti”.  Con la separazione tra le due componenti della psiche, “non hanno più capacità di autonomia e di libera identificazione del valore, né possono più identificare un soddisfacente rapporto di causa-effetto che spieghi i fenomeni”.  

Gli effetti ci sono e si manifestano nel tempo, il pensiero si concentra “nel solo  presente. nell’attimo”, e in tal modo “perde il contatto con il grande patrimonio del pensiero condiviso, che resta nell’orbita di un passato non più collegato”.  Questo vuol dire dover fare a meno di quanto acquisito nel passato sul piano della cultura e dei valori, delle ideologie e della storia, e spostare nel futuro “quel Padre ideale che nel passato era posto alle nostre spalle come sostegno del pensiero, della pratica dei valori e delle regole etiche del vivere”; così nel futuro si proietta il presente data la velocizzazione dei processi indotta dall’incessante innovazione tecnologica.  

La velocità degli scambi comporta “una graduale tendenza a vuotarsi della cultura come dimensione  che esiste all’interno di noi”, e  non solo.  “Ha annullato tutte le polarità in opposizione, per cui, per esempio, vero e falso convivono”, come del resto possiamo constatare quotidianamente, aggiungiamo noi, soprattutto con l’espansione irresistibile dei “social network” nell’era di Internet. Vengono esplicitate anche le conseguenze ultime, e sono certamente allarmanti. Non c’è più tempo per riflettere, bandito il  “pensiero complesso” rimane solo il  “pensiero pragmatico”, del tutto slegato dalle “categorie valoriali”, ed  esposto alle mistificazioni  dell’informazione mass mediale, che ha  come “unico valore di riferimento la convenienza”, per cui “le uniche mete perseguite sono quelle legate al denaro, al potere, al corpo”.

Quale sia la sorte del “pensiero complesso”, bandito dalla vita pratica, è presto detto. Non potendo “muoversi liberamente tra presente, passato e futuro” sorretto dalla cultura, ma costretto temporalmente nell’attimo, assume la  forma della intuizione  e soggettività, che  sostituisce le grandi narrazioni di cui “la collettività condivideva solo quei pensieri che sembravano interpretare la voce della storia”, rispetto alla quale la soggettività era soltanto una posizione personale.  

“Il pensiero nel corpo”, 2010 

L’essere ne è totalmente coinvolto, perché mentre prima l’individualità era sostenuta dal pensiero  condiviso (il “cogito” di Cartesio),  ora, “per l’azzeramento di quel pensiero a causa della velocità degli scambi, è rappresentata esclusivamente dal suo stesso esistere in vita, dal suo essere in sé e per sé, dal suo esprimersi in ‘io sono'”. Uno spaesamento, quindi, causato dallo sradicamento dalle  radici culturali che sono anche la base della coesione sociale, e un arroccamento sul dato biologico della propria esistenza. “Ciò porta, secondo me –  afferma l’artista con una fulminante sintesi finale  –  ad un capovolgimento epocale del ‘cogito ergo sum’ in ‘sum ergo cogito'”.  

Ma la sua conclusione non è pessimistica, perché vede una possibilità di ripresa nella formazione di una “soggettività complessa” indotta dalla vita, anche perché l’individuo resta pur sempre “l’unico possessore della coscienza, l’unico a mantenere la necessaria relazione con il valore”. Quindi sarà la “soggettività complessa” a dare una visione affidabile, come “unica detentrice di una forma di pensiero autonomo e creativo che possa fare da antitesi al pensiero unico: essa quindi costituisce la nuova identità antropomorfica da cui ripartire”,

C’è anche  una significativa ammissione finale che solo apparentemente sembra contraddire il suo assunto, mentre conferma la sua attenzione ai mutamenti, non solo per segnalarne i pericoli, e la sua fiducia nelle “discontinuità”: “Forse il tempo attuale, che ci si presenta come spaesante, deludente e terribile, in realtà segna già una discontinuità, un salto discontinuo che non è più controllabile con i codici  che gestivano la continuità di un pensiero condiviso”. Ed ecco l’apertura alla speranza: “Forse si tratta di un nuovo, seppure sconcertante,  passo evolutivo”.

Dopo l’excursus nel pensiero filosofico dell’artista – reso possibile dalla ricostruzione rivelatrice, ricca di citazioni, della Caroselli – l’interesse per la mostra raggiunge l’acme. Ne parleremo prossimamente, ripercorrendo l’itinerario artistico di 60 anni attraverso la galleria delle sue opere, veramente spettacolare, con l’impatto delle grandi dimensioni dei dipinti unito al fascino delle forme in cui la linea e il colore sono associati in modo personalissimo e suggestivo.   

“Gravido  mistero”, 2018 

Info 

Palazzo Cipolla, Via del Corso 320, Roma. Tutti i giorni, escluso il lunedì, ore 10,00-20,00, la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso intero euro 7, ridotto euro 5 per gli under 26 e over 65, forze dell’ordine e militari, studenti universitari e giornalisti, convenzionati; gratuito under 6 anni, disabili con accompagnatore, membri ICOM e guide turistiche.  Tel. 06.2261260.  Gli altri due articoli sulla mostra usciranno, in questo sito, il 4 e 10 gennaio 2019, con 11 immagini ciascuno. Per quanto citato nel servizio  cfr. i nostri articoli, in questo sito: per Renato Guttuso, “Guttuso rivoluzionario”  14, 26, 30 luglio 2018, “Guttuso innamorato”   16 ottobre 2017, “Guttuso religioso”  27 settembre, 2 e 4 ottobre  2016, “Guttuso antologico”  16 e 30 gennaio 2013;per “Picasso”  5, 25 dicembre 2017, 6 gennaio 2018, “Cèzanne”  24, 31 dicembre 2013; il “Padiglione Italia Regione Lazio” 8 e 9 ottobre 2013; per i “Futuristi”  7 marzo 2018, sui singoli artisti, “Thayaht” 27 febbraio 2018, “Marchi” 24 novembre 2017, “Tato” 19 febbraio 2015, “Dottori”  2 marzo 2014, “Erba” 1° dicembre 2013, “Marinetti” 2 marzo 2013; per “Deineka” 26 novembre, 1 e 16 dicembre 2012, “Franco Angeli” 31 luglio 2013; per la Pop Art e le altre avanguardie americane“Guggenheim” 23  e 27 novembre, 11 dicembre 2012; per gli “Astrattisti italiani”, 5 e 6 novembre 2012; in abruzzo.cultura.it,  per i “Realismi socialisti”  3 articoli il 31 dicembre 2011, gli “Irripetibili anni ’60”, 3 articoli il 28 luglio 2011, il “Futurismo”  30 aprile, 1° settembre e 2 dicembre 2009 , “Picasso” 4 febbraio 2009  (il sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito).

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Cipolla alla presentazione della mostra, si ringrazia la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, con gli organizzatori e i titolari  dei diritti, in particolare l’artista, per l’opportunità offerta. Le 10 foto dei  dipinti  di Ennio Calabria coprono l’intero sessantennio 1958-2018,  le 5 iniziali i primi 30 anni, le 5  che seguono i 30 anni successivi. In apertura, il presidente Emanuele nell’intervento di presentazione della mostra, alla sua sin. l’artista, alla sua dx il curatore Gabriele Simongini; seguono, “Un’Annunciazione del nostro tempo”, 1963, e “Funerali di Togliatti”, 1965; poi,  “Una vittoria del Vietnam in Occidente”, 1973, e  “Un gioco nel vento”, 1985, quindi, “Inchiesta autobiografica”, 1989, e “Giovanni Paolo II. Il vero  e il falso”, 2005; inoltre,   “Presentimento d’acqua”, 2008, e “Il pensiero nel corpo”, 2010; infine,  “Gravido mistero”, 2018, e, in chiusura, i Ritratti  “Un vespaio”, 1967,  a sin. – “Mao Pianeta”, 1968, a dx. 

Ritratti: “Un vespaio”, 1967,  a sin. – “Mao Pianeta”, 1968, a dx.

Pixar, l’animazione diventa arte, al Palazzo Esposizioni

di Romano Maria Levante

La mostra “Pixar. 30 anni di animazione”, al Palazzo Esposizioni dal 9 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019  celebra un percorso fortemente innovativo nel campo dell’animazione coronato da un travolgente successo nel quale,, al di là della qualità tecnica viene valorizzata la qualità narrativa e la creatività che raggiunge livelli artistici. Promossa da Roma Capitale, assessorato alla Crescita Culturale, è prodotta dall’Azienda Speciale Pslexpo, ideata e organizzata da Pixar, a cura di Elyse Klaidman e, per l’edizione italiana, di Maria Grazia Mattei, che hanno curato anche il catalogo edito con Chronicle Books, San Francisco. Nel periodo della mostr, alla Sala Cinema,  5 incontri sull’animazione Pixar, “A regola d’arte”,  dal 18 ottobre al 22 novembre 2018, e il programma “Passione Pixar” con 50 proiezioni dal 19 ottobre 3028 al 13 gennaio 2019. 

Un’altra mostra insolita al Palazzo Esposizioni, anch’essa rientra  nella linea espositiva di presentare la scienza e la modernità nella forma spettacolare delle immagini che ne danno testimonianza. E’ stato così  per   astri e particelle e per i meteoriti, per il  cibo, il dna e il potenziamento umano, oltre che per le mostre fotografiche che hanno documentato la quotidianità e gli eventi del nostro tempo .  Ora viene celebrata la profonda innovazione introdotta nell’animazione e anche nel cinema tout court dalla Pixar che festeggia  trent’anni di un percorso  scandito da salti di qualità sempre più pervasivi.

Storia della Pixar, da divisione grafica a leader dell’animazione

La Pixar è nata nel 1979 come Divisione Grafica  computerizzata all’interno della Divisione computerizzata della Lucasfilm, con l’intento di utilizzare le grandi possibilità offerte dal computer negli effetti speciali cinematografici.  Ma non si è trattato del semplice aggiornamento  operativo dell’organigramma aziendale,dovuto al sempre maggiore uso del Computer, il titolare Luca ha voluto promuovere un’intensa attività di ricerca finalizzata agli effetti speciali  avvalendosi di due noti ricercatori, Edwin Catmull e Alvy Ray Smith i quali crearono un vero laboratorio per sviluppare  software avanzati di grafica computerizzata. 

Lou Romano, “Carl”, Up,2009 

Sempre negli anni ‘80 si aggiunsero altri specialisti  divenuti famosi, come William Reaves e soprattutto John Lasseter,  con i quali si andò oltre le componenti tecniche di  narrazioni che si svolgevano a un altro livello per sviluppare interamente la narrazione attraverso cortometraggi con le regole classiche dell’animazione ma in più  il valore aggiunto del maggiore realismo della tridimensionalità portata dal computer. Già nel 1984 fu realizzato il primo film per sperimentare il software in preparazione, “The Adventures of André and Wally B.”, un breve  film il cui protagonista era un piccolo alieno.

La  Pixar non era l’unica impegnata sul fronte dell’animazione mediante computer, svolgevano attività di ricerca  università come la Ohio State University  e case di produzione private in campo audiovisivo, che però avevano vita breve; ma l’espansione del mercato era inarrestabile, perché si allargavano sempre più i campi di applicazione, dallo spettacolo al cinema, dalla comunicazione alla pubblicità, fino all’architettura e perfino  all’arte.

Alla base di questo sviluppo innanzitutto c’è il livello qualitativo raggiunto dalle immagini come definizione e  luminosità, con la rappresentazione molto accurata dei dettagli e un rilievo prima sconosciuto. La Pixar è su posizioni di eccellenza sul piano tecnico, che  la porta, già nel 1986, due anni dopo il primo breve film, a costituirsi come società indipendente staccandosi dalla casa madre Lucas Film e diventando software house indipendente  con soci nuovi tra cui Steve Jobs che aveva lasciato al Apple e portava una forte spinta innovativa.   

Qualità narrativa qualità tecnica combinazione vincente

Ma non è l’aspetto tecnico, pur vincente,  l’unico fattore propulsivo della sua escalation, come sottolinea la curatrice italiana della mostra Maria Grazia Mattei: “Rispetto a tanti altri demo prodotti da tante società in quegli anni,  quelli della Pixar si distinguono subito non solo per la resa delle immagini, ma per la loro qualità narrativa, sempre avvincente, giocosa e sorprendente”.  Una qualità narrativa consentita anche  dalla qualità tecnica: “L’immagine digitale finisce per irrompere nella stessa struttura narrativa offendo prospettive inedite, esplorabili  per la prima volta grazie all’evoluzione delle tecnologie”.   I due fattori dell’efficacia rappresentativa si rafforzano l’uno con l’altro perché anche le soluzioni tecniche vengono esaltate dalla loro applicazione in contesti narrativi coinvolgenti.

Alla risposta del mercato seguono i riconoscimenti del livello raggiunto, e non tanto sul piano tecnico quanto su quello narrativo: così nello stesso anno in cui la Pixar è divenuta società autonoma, il 1986,  arriva una “nomination” per l’Oscar con “Luxo Junior”, è solo l’inizio, dopo due anni arriva l’Oscar del 1988 per “Tin Toy” premiato come migliore cortometraggio animato. 

Poi un successo dopo l’altro, le creazioni diventano quello che oggi si direbbe “virali”, acquistano una riconoscibilità e una popolarità immediata su scala mondiale. “Toy Story” lancia i giocattoli Buzz Lightyear, “Monsters & Co” i mostri Sulley e Mike, “Ratatouille” il topino Rémy, “Inside Out” Riley, la pre-adolescente.   

James Robertson, effetti del fuoco di Andrew Yimenez,  “Storyboard: Discarica”, Toy Story, 2010

Abbiamo già accennato che la qualità tecnica unita alla qualità narrativa rappresenta la combinazione vincente, ma come si è operato praticamente nel metodo e nei contenuti?

Per il metodo la curatrice spiega: “Proprio come in una bottega rinascimentale, Pixar dà corpo ai personaggi disegnandoli a mano per poi dar loro consistenza fino a – letteralmente – scolpirli, come ben raccontato in mostra – in un continuo rimpallo di riferimenti coltine iconografie interdisciplinari”. Quest’ultimo aggettivo rivela la stretta collaborazione tra creativi delle più diverse discipline, tecniche e umanistiche: “Si realizza la sintesi fra saperi diversissimi e apparentemente distanti come informatica, grafica, pittura, scultura, ingegneria e storytelling”,.

Il lavoro preparatorio  mette  insieme disegni e dipinti in acrilico e “gouche”,  grafiche e calchi, creati artigianalmente con lavori realizzati  con i media digitali.  Si può dire  che il digitale pur evocando  Silicon Valley, diviene un medium narrativo con evidenti basi culturali in grado di  puntare fino alla dignità del cinema hollywoodiano su grande schermo, si può dire anzi come “abbia cambiato il (modo di fare) cinema, dalla produzione alla distribuzione, per non parlare dello storytelling”.

I tre fattori del successo, storia, personaggio e mondo

Di quest’ultimo aspetto parla  Elyse Klaidman, la curatrice americana della mostra, che dirige le mostre e gli archivi di  Pixar Animation Studios, evidenziando tre aspetti  comuni ai film della Pixar: la storia, il personaggio, il mondo.

La creazione della storia è ben più lunga di quanto si possa immaginare, “è un processo iterativo che può perdurare per gran parte dei quattro o cinque anni che occorrono alla produzione di un film”,  crediamo che si riferisca agli affinamenti correlati alle soluzioni tecniche piuttosto che alla vicenda nei suoi elementi portanti. Una caratteristica delle storie narrate è che, pur essendo staccate dalla realtà per far volare la fantasia, sono pervase da sentimenti, sensazioni e quant’altro possa essere riconosciuto e sentito come proprio, nell’immedesimazione dell’osservatore.

Il personaggio è altrettanto importante per rendere la storia avvincente e credibile, deve essere tale da far affezionare e in qualche modo identificare.  Possiamo ritenerlo l’elemento centrale sul quale poggia la storia ed a sua volta è inserito organicamente in un contesto

E’ il mondo in cui si svolge la storia, che deve essere a sua volta  coinvolgente, e perché ciò avvenga deve essere al contempo unico nel suo genere e credibile, un ossimoro intrigante. 

Chris Sasaki, “Bing Bong”, Inside Out, 2015, a dx 

Nel risultato cinematografico, frutto del lavoro di squadra di cui si è detto, è difficile isolare i contributi dei singoli, anche se i momenti di massima creatività sono riconducibili agli ideatori, come avviene per i personaggi. Ed è proprio questo il valore della mostra che nel presentare i capolavori, come ha osservato Innocenzo Cipolletta – Commissario uscente del Palazzo Esposizioni – “in un certo senso li ‘destruttura’ presentandone le immagini come germinano e come gradualmente si configurano attraverso i disegni e le prime fasi della loro lavorazione”.  E consente di apprezzare ancora meglio il  lavoro di squadra, “la sintonia che regna nei Pixar Animation Studios, frutto della fusione, non del tutto scontata, tra un’anima creativa e necessariamente svincolata dalle leggi del mercato e l’esigenza di diffondere il prodotto su scala mondiale”.

La “destrutturazione” nella mostra, la rassegna cinematografica e gli incontri

C’è un altro aspetto che la mostra riesce ad evidenziare, ed è congeniale alla sede espositiva. Si tratta del valore artistico di quanto viene presentato ai visitatori come in una mostra d’arte, del resto già nel 2004 c’è stata un’esposizione al Museum of Modern Art di New York,divenuta  itinerante in America Latina ed Europa, Sud Est Asiatico fino all’Australia.  . 

La possibilità di aver creato opere d’arte non nasce spontanea nella percezione degli stessi autori, anche perché nel lavoro di squadra sembrano perdersi gli apporti dei singoli; ma isolando le fasi realizzative e quindi presentando i  prodotti specifici,si può convenire con la Klaidman che dopo aver parlato della collaborazione degli “artisti Pixar” con il regista e il production designer afferma: “Tuttavia,  considerando questi oggetti,così sapientemente costruiti, separati dal film e osservandoli uno per uno, la prospettiva può cambiare radicalmente. D’altronde, il dibattito su ‘cosa è arte’ è antico quanto l’arte stessa”.

Con la “destrutturazione” operata dalla mostra – per tornare sul  termine usato da Cipolletta – si è agito in modo creativo offrendo un punto di osservazione privilegiato in grado di rivelare ciò che invece potrebbe non risultare dalla sola visione del prodotto industriale altamente tecnologico: “Sono gli artisti a fare i nostri film – rivendica la direttrice degli archivi Pixar – e, come tutti gli altri, anche i nostri artisti scelgono gli strumenti che consentono loro di suscitare un’emozione,  o una reazione nel modo più efficace”.  E aggiunge una notazione che ci sembra molto significativa : “Un artista di formazione tradizionale può anche aver aggiunto la pittura digitale alla propria scatola degli attrezzi per riuscire a esprimere qualcosa che non avrebbe potuto esprimere altrimenti”.

Il  presidente  di Walt Disney e Pixar Animation Studios,  Ed Catmull, e il presidente di Pixar Animation Studios, Jim Morris, hanno sottolineato il carattere estremamente impegnativo di questa attività: “L’animazione digitale è al tempo stesso un mezzo straordinariamente  liberatorio e una grande sfida”.

E’ liberatoria perché non vi sono limiti dato che nella fase di costruzione dell’impianto narrativo “incoraggiamo i nostri  artisti a esplorare il più possibile, dando libero sfogo alla propria immaginazione”

Ma è una grande sfida perché “gli artisti, a loro volta, divengono fonte d’ispirazione per i nostri autori e registi, guidandoli verso nuove vette”.  Possiamo commentare “per aspera ad astra” perché a questo punto occorre “plasmare ogni cosa, anche ogni piccolo dettaglio, dal nulla. L’animazione non fa sconti”.

Di qui il carattere particolarmente  impegnativo: “Quando si lavora al computer non capitano casi fortuiti, ogni vittoria si ottiene con il sudore”. Ma non è il computer a fare il film, altrimenti non potrebbe essere una forma d’arte, e i due Presidenti lo ribadiscono con forza: “Non tutti si rendono conto di quanti siano gli artisti che, adoperando le tecniche più diverse quali il disegno, la pittura, i pastelli e la scultura, contribuiscono alla veste e al design dei nostri film”.  E precisano “la maggior parte del loro lavoro avviene nella fase di sviluppo del progetto, ovvero quando si imbastisce la trama e l’aspetto del film”. Fino all’orgogliosa rivendicazione: “E’ raro riuscire a vedere l’immenso patrimonio di opere d’arte create  per i film al di fuori degli studios. Eppure,senza di esse, il film finito, quello che viene distribuito in tutto il mondo, non sarebbe  possibile”.

Le componenti  isolate dal contesto per evidenziarne l’aspetto artistico formano una grande galleria con circa 400 opere esposte,  alla quale l”Azienda Speciale Expo ha  affiancato, dal 19 ottobre 2018 al 13 gennaio 2019  la Rassegna cinematografica “Passione Pixar” di 20 film Pixar con 30 repliche per un totale di 50  pomeriggi alle ore 17 e serate alle ore 21, in modo da poter verificare visivamente il passaggio tra la fase creativa e la produzione oltre che godere della rappresentazione di storie fantastiche, così vicine alla sensibilità di grandi e piccoli da suscitare allegria e commozione, sorriso e meraviglia, lasciando un senso di appagamento. Autori i più grandi, John Lasseter e Brad Bird,  Pete Docter e Lee Unkrich.

Inoltre gli Incontri sull’animazione Pixar “A regola d’arte”,  “in 5 pomeriggi nell’ottobre e novembre 2018, alle ore 18,30, da “come si guarda un cartone animato” al “sistema Pixar”, dalla creazione iniziale al doppiaggio fino alle “scienza delle emozioni dietro all’universo Pixar”. 

Le opere esposte nelle 4 sezioni

Le opere  in mostra sono per lo più grafiche, schizzi e vignette, disegni e, dipinti,  vi sono anche calchi  e piccole sculture, in un festoso addensamento  nella vasta superficie espositiva. Vanno osservate con attenzione per scoprire l’intensità evocativa dietro la foggia spesso caricaturale, esprimendo un “humor”.e  una caratterizzazione che prenderà corpo nella storia e nell’ambientazione. Ed è  nelle tre ripartizioni prima evocate,  personaggio, storia e mondo che sono articolate le 400 opere esposte con l’aggiunta di una quarta, “colorscript”, funzionale alla storia. .

I  Personaggi vengono delineati dagli artisti in diverse versioni per rivelarne sin dall’inizio le varie possibilità al regista che deve effettuare la scelta dopo la quale gli artisti creano il modello, chiamato “model packet”,  da  passare ai modellatori digitali per la trasposizione nel computer; un aiuto i modellatori digitali viene dato anche dagli scultori che fanno riproduzioni solide, in argilla, dei disegni per rivelarne i dettagli che saranno poi esaltati dalla rappresentazione digitale.

Vediamo una cinquantina di “personaggi”, riprodotti anche in serie di disegni o dipinti,  umani e animali, sempre di forte impatto visivo ed emotivo perché esprimono sentimenti visibili. La molteplicità i schizzi per lo stesso personaggio è volta ad esprimere i diversi stati d’animo. Lo si vede in particolare nei calchi e nelle sculture con diverse espressioni facciali. Nei disegni si va dalla severità della  “Rabbia”  di Albert Lozano, di “Carl” di  Lou Romano e di “Abuelita” di  Zaruhi Galstyan  alla tenerezza di  “Riley” di Chris Sasaki,   “La Luna” di Enrico Casarosa e  di “Boo” di Dan Lee, per non parlare degli  innumerevoli animali, da “L’agnello rimbalzello” di Bud Luckey  ad “Alec” di Teddy Newton.  Tra i calchi, le “Espressioni facciali di Bob”, di Greg Dycstra. 

La  Storia, come abbiamo accennato, prende gran parte del tempo di realizzazione del film, perché  partendo dall’idea iniziale viene definita in due percorsi paralleli, la scrittura della sceneggiatura e la visualizzazione attraverso “storyboard” grafiche. Ne vediamo esposte una diecina  in matita e inchiostro su carta o dipinto digitale,  soprattutto in bianco e nero. Sono sequenze divertenti ma parziali che però danno un’idea della complessità della realizzazione in quanto si tratta di passare dai frammenti alla continuità visiva e rappresentativa, e si può capire come sia continuo il dialogo tra artista, regista e modellatori per portare sul computer le “storyboard” parziali. Oltre alle “storyboard” ci sono le “story reel”, che cercano di comporre un’anteprima virtuale del film unendo le “storyboard” parziali e corredandole di dialoghi e musiche.  Vi ritroviamo, in sequenze multiple, l'”Agnello rimbalzello” di Bud Luckey,  che è coautore con  Joe Ranft della “storyboard” “Soldatini”, ancora in sequenze esilaranti, Teddy Newton con “Karl e Jack Jack”, fino ai “pennuti spennati” di Ralph Eggleston e al “Viaggio di Arlo” di Kelsey Mann

Ha una funzione analoga il Colorscript, che vediamo nell’apposita sezione, si tratta dell’intera storia sviluppata in modo cronologico ed espressa in termini cromatici, definita come “una sorta di visione in bassa risoluzione del film che ne racconta concisamente l’intero sviluppo emozionale” al team di artisti e tecnici in una fase ancora iniziale della produzione, Vediamo una ventina di queste raffigurazioni, ovviamente tutte a colori, con sequenze ricche di oggetti e figure che definiscono cromaticamente il percorso narrativo. Ralph Eggleston lo ritroviamo in “Alla ricerca di Nemo” e “Wall”,  Lou Romano in “Up” e “Gli incredibili”,  vediamo anche l’esilarante “”Flick contro Hopper” e “Cars”di Bill Cone, tutti molto movimentati e dinamici.  

Sono una quarantina le immagini nella sezione Mondi, che definiscono il contesto ambientale ed emozionante in cui si svolge la storia e si muovono i personaggi. Si tratta di mondi immaginari creati dalla fantasia in stretta aderenza con i personaggi che dovranno abitarli e le storie che vi si dovranno svolgere, quindi dovranno essere credibili, evocare sentimenti e creare emozioni. Si va da ambienti tradizionali come la “Casa Rivera” di Nat McLaughlin, il “Rientro a casa”di Noah Klocek, e  “Mike in classe” di Daniela  Strijleva,  ma rivissuti fantasticamente, ad ambienti elaborati e tormentati, come in un Luna Park dove oltre ai divertimenti gioiosi ci sono i percorsi oscuri con le visioni dell’orrore: si va  da “Cascate della fogna” e “Reparto spaventi”di Dominique R. Louis a “Città dei morti”  di Daisuke ‘Dice’ Tsutsumi,  da “Monster City” di   Geefwee Boedoe  ad “Abisso marino” di Sinòn Vladimir Valeda.

Le due installazioni “Artscape” e “Zootrope” 

Le poche opere citate sono una minima parte di quelle esposte e non abbiamo potuto renderne kla straordinaria espressività, Come non potremo rendere quella delle due installazioni che fanno entrare ancora di più nel mondo fantasioso e insieme avveniristico dell’animazione.

“Artscape” è un’installazione multimediale ad alta risoluzione che proietta su un’intera parete “widescreen” sequenze parziali assemblate  a titolo dimostrativo per dare la stressa sensazione dei realizzatori nelle fasi preliminari in cui dalle prime trasposizioni cercavano di avere una idea del tutto, con la tecnica digitale si va dal bidimensionale al tridimensionale in un’immersione nell’opera che consente di percepirne i dettagli mentre una musica avvolgente crea il panorama sonoro.

L’altra installazione, il “Toy Store Zoetrope”  dà ancora di più la visione tridimensionale, unita al movimento reso dall’animazione, un’illusione data da 18 inquadrature ripetute montate su un disco che ruota alla velocità di un giro al secondo, mentre una luce stroboscopica crea l’effetto del “movimento apaprente” sembra di vedere girare una giostra con accelerazioni e varianti spettacolari, si ispira a uno “zootropio” creato in Giappone, ma  l’origine è del 1867 negli Usa.

Nel vedere le due installazioni, al termine della visita alla mostra, ci si sente immersi  nella magia digitale dal contenuto tecnologico particolarmente avanzato, quasi fosse una creazione di macchine intelligenti, del resto non sta facendo passa da gigante l’i”intelligenza artificiale”?  Ebbene, le parole della curatrice americana Klaidman ci riportano a una realtà ben diversa: “Non sono i computer a fare i film; sono le persone, i disegnatori, tecnici de montaggio, animatori, direttori tecnici. Sono queste persone a dare vita a tutto ciò che viene fatto alla Pixar”. Una realtà riassunta da queste  parole conclusive: Sebbene la produzione dei nostri film sia tecnologicamente complessa, ognuno di essi ha inizio con il più semplice dei gesti: un tratto di matita su un foglio di carta”. Anche l’opera d’arte spesso comincia così,  ed è per questo che i due presidenti dei Pixar Animation Studios  possono concludere a loro volta dicendo: “Siamo molto fieri dei nostri tanti artisti di talento  ed è con grande entusiasmo che vi presentiamo il loro lavoro”.

Non si può che apprezzare questa orgogliosa valorizzazione degli artisti e del talento tanto più  nel campo  dell’animazione  totalmente rivoluzionato dall’avvento della  tecnologia digitale.    

Un momento del flusso di immagini di “Artscape”  

Info

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Orari: da domenica a giovedì, tranne il lunedì chiuso, dalle 10,00 alle 20,00, venerdì e sabato dalle 10,00 alle 22,30. Ingresso intero euro 13,50, ridotto euro 10,00.  Catalogo  “Pixar. 30 anni di animazione”, Palazzo delle Esposizioni e Chronicle Books, San Francisco, ottobre 2018, pp. 184, formato 17,5 x 25; dal Catalogo sono  tratte le citazioni del testo. . 

Foto 

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione nel Palazzo Esposizioni, si ringrazia l’Azienda Speciale Palaexpo, con i titolari dei diritti,  per l’opportunità offerta.  Sono un piccolo campionario dell’esposizione relativa alle 4 sezioni, Personaggi e Storia, Colorscript e Mondi, vengono precisati tre  autori con i titoli delle opere: Lou Romano,  “Carl“,Up, 2009,  James Robertson, effetti del fuoco di Andrew Yimenez, “Storyboard: Discarica”, 2010,  Chris Sasaki,   “Bing Bong”;Inside Out, 2015;  le ultime due immagini riguardano le spettacolari  installazioni “Artscape” e “Zoetrope”


Lo spettacolare “Zootrope” fermo, in movimento è come una giostra 

Presepi, la mostra del 2009 in San Carlo al Corso di Roma

di Romano Maria Levante

A 9 anni dalla mostra del Natale 2009  nei sotterranei della basilica romana dei Santi Ambrogio e Carlo a Piazza San Carlo al Corso, pubblichiamo di nuovo il nostro servizio uscito in cultura.inabruzzo.it il 5 gennaio 2010, senza alcuna modifica, con i commenti che furono “postati”  dai lettori nel sito citato che non è più raggiungibile. Gli unici “aggiornamenti” sono le tre immagini finali di presepi nel Natale 2018: le due a chiusura dell’articolo con i presepi di quest’anno nella stessa basilica, l’ultima immagine dopo i  “post”  di commento del 2010, con il presepio nella nostra abitazione. Aggiungiamo, come premessa all’immersione nel mondo dei presepi, le conclusioni cui nell’antivigilia di Natale del 2014 – quindi a metà del nostro  itinerario ideale che inizia nel Natale 2009 e approda al Natale 2018 – giunse la Redazione consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca pubblicando nel proprio sito la dotta nota di Matilde Paoli in merito alla denominazione “presepio” o “presepe”. Conclude che sono equivalenti. ormai entrati nell’uso comune indifferentemente, e si sofferma sull’origine, sull’evoluzione di tali termini e sulla prevalenza nell’uso.

Le origini sono nella definizione latina del recinto, della stalla e relativa mangiatoia, in senso laico, “praesaepe” e “praesaepium”, con delle particolari declinazioni: la 3^ per Virgilio, al maschile “praesaepe-is”, per Plauto al femminile “praesaepes-is”, mentre per Plinio, I sec. d. C. entra in campo con la 2^ declinazione, il neutro “Praesaepium-i”.  In senso religioso troviamo “praesaepium” nella versione latina della Bibbia adottata dalla chiesa, la “Vulgata”, e nelle versioni precedenti incomplete, l'”Itala”. 

Nel ‘300 Petrarca utilizza sia “presepio” che “presepe”, poi nel  nel 400-500, in Tasso, Vasari e l’Aretino troviamo “presepio”, nel ‘600 Giovambattista Marino utilizza “presepio” in senso religioso sia in poesia che in prosa, e “presepe” in senso laico nell'”Adone”. Il Dizionario italiano dell’Accademia della Crusca riporta solo “presepio” nelle prime 3 edizioni del 1612, 1623 e 1691, mentre nella 4^ edizione, del 1729-38, la voce diventa “presepe o presepio”. Nel ‘700 “presepio” è più usato nella simbologia religiosa, “presepe” in senso laico. Del resto, santa Caterina da Siena, aggiungiamo noi, parla di “presepio” e non di “presepe”. 

E questa sarà la tendenza prevalente, anche se l’equivalenza dei due termini trova conferme quanto mai autorevoli: Manzoni, nella poesia “Il Natale” utilizza, nello stesso componimento, i due termini, ai versi 66-67 “e nell’umil presepio/ soavemente il pose”, trenta versi dopo, ai 96-97 si lkegge “videro in panni avvolto/ in un presepe accolto”. E nerl 2014, il titolo del libro di E. S. Storace, “Filosofia del presepe” è seguito dal sottotitolo “Manuale laico per costruire un presepio perfetto”, chissà se in Manzoni e in Storace la compresenza è stata voluta oppure casuale….

L’accurata ricerca linguistica di Matilde Paoli arriva ai tempi recenti, conclude che l’uso di “presepio” sembra prevalere in ambito familiare, l’uso di “presepe” in campo letterario; lo  deduce dai risultati delle frequenze misurate da “RIDIRE” secondo cui, al verbo “visitare” segue indifferentemente “presepio” o “presepe”, mentre ad “ammirare” solo “il presepe”, e così ad “allestire”, mentre a “fare” segue soprattutto “il presepio”. Sono rilevazioni del 2014, ma non crediamo che il quadro sia mutato, ontinueremo a “fare” il nostro “presepio”, quello da noi “fatto” quest’anno è riportato in chiusura, dopo i presepi “allestiti”  e “ammirati” nella mostra e nella basilica che illustrano il testo.  

Ed ora, dopo questa digressione speriamo non pedante, il testo integrale dell’articolo sulla mostra del Natale 2009.

Una Stella cometa a Piazza San Carlo al Corso di Roma guida verso la cripta della basilica dei santi Ambrogio e Carlo a una galleria di presepi artistici delle scuole napoletana, romana, siciliana e altre, per un’immersione nell’arte del presepio che ne fa apprezzare stili e contenuti, simboli e motivazioni facendo compiere un viaggio emozionante nel tempo, nel costume e nella memoria.  Segui la Stella cometa…” è l’invito discreto e allettante a lato della Basilica dei santi Ambrogio e Carlo dove il Corso di Roma si allarga in una piazzetta, “enclave” di tranquillità nell’incessante passeggio. Nelle festività è assediata, c’è la statua vivente di un Babbo Natale argentato, un gruppo di acrobati saltimbanchi fa volteggi su un tappeto. Appena svoltato l’angolo un’insolita orchestrina di strada con fisarmonica, violino e contrabbasso suona “O sole mio”: in effetti il sole c’è, ma così pallido da far pensare a quello di Odessa, che per questo aveva dato l’improvvisa ispirazione. 

Ma non seguiamo il sole, bensì la stella, abbiamo detto. E non ci fa guardare in alto bensì ci porta nella cripta sottostante la basilica, lungo una stretta scalinata, fino a raggiungere una galleria semicircolare, poi una vasta aula centrale dov’è il sarcofago con i resti di San Carlo Borromeo.

Ci immergiamo subito nel mondo dei presepi artistici, che esprimono talento e passione, devozione e memoria. Sono un messaggio d’amore in un caleidoscopio di immagini dove ogni elemento ha il suo preciso significato, legato alla tradizione e al costume. Cominciamo dall’evidenza visiva, scopriremo volta per volta stili e contenuti, simboli e motivazioni. Entriamo subito nel vivo.  

Il presepio siciliano che ferma il tempo come la nascita di Cristo

E lo facciamo cominciando dal presepio che ci è stato mostrato al termine del lungo giro dalla gentile Valentina Aloisio: a lei si devono le notizie che abbiamo appreso, le riporteremo nel racconto filtrandole con lo stupore e l’emozione che i presepi, e soprattutto questi presepi, sanno suscitare in noi, alla ricerca di una chiave di lettura personale da poter verificare e condividere.

Perché mettiamo al primo posto questo presepio di scuola siciliana? Non per lo stile sfavillante di materiali preziosi, dalla madreperla al corallo, con una scala cromatica dal bianco al rosso passando per i colori dell’argento e dell’oro di questa scuola; abbiamo visto mesi fa nella mostra “Antichi telai” gli artistici tessuti dei paliotti d’altare siciliani intessuti di corallo, anche nei presepi c’è stata queste tendenza.   

Ma non è lo stile di questo presepio, che rientra nei canoni più austeri e severi, pur nella plasticità e teatralità delle figure, con le sue tinte delicate e discrete, perfettamente intonate. E neppure per il realismo della creta con particolari resi nella lava dell’Etna come fa Giusy Toscano. 

Lo abbiamo scelto per il suo valore simbolico che sentiamo sovrastare gli altri simboli rappresentati nei presepi. Valentina ci spiega che in Sicilia c’è un detto: “Quando nacque Gesù si fermò il mondo e quindi anche il tempo”. Le figure di Giulietta Cavallo, l’autrice figlia d’arte, sono statiche e ferme, l’assenza di moto negli atteggiamenti e nelle posizioni dà loro una fissità che incarna il detto siciliano, lo rende visibile. 

E se si ferma il tempo anche lo spazio perde la sua identità, svanisce: quindi nessuna collocazione in un determinato ambiente, né paesaggio né ruderi o grotte, neppure presenze umane diverse da quelle canoniche: la Sacra famiglia e lo zampognaro, la levatrice e la lavandaia, i tre Re Magi sono inseriti in una dimensione aspaziale oltre che atemporale, resa da una coltre bianca che non è neve, è mossa come una nuvola. 

Vista così l’opera, si spiegano anche i particolari tecnici: terracotta e sughero dipinti a olio, abiti in tela bianca indurita con colla, colori assimilati a quelli dell’epoca, Giulietta è una delle poche creatrici di queste figure ad usare le tecniche settecentesche con assoluto rigore; il panneggio ci colpisce, esprime lo stesso rigore della tecnica nell’ispirazione artistica, l’autrice è certo di buone letture, d’altra parte doveva esprimere la fissità del tempo, e solo l’arte riesce ad arrestarne il moto incessante, quindi ci si ispira all’arte dei sommi, che sa essere eternatrice, come la poesia. 

Un valore universale è in un presepio concepito da un autore sconosciuto come una cupola celeste dove si svolge la vita quotidiana, con al centro la natività, dietro un piccolo cancello, quasi arrivasse in punta di piedi. Mentre esprime l’universalità della nascita di Cristo, la curvatura e il colore ce lo fanno sentire.

Il viaggio nello spazio dei presepi

Il presepio vicino a quello della fissità del tempo ci riporta nel tempo e nello spazio come non mai. Michele Carpano rappresenta un borgo di Caserta vecchia, con la meticolosità di riprodurre le rugosità della pietra. E se è così curata la costruzione, lo è anche il resto! Una scala dà profondità, fa sentire dell’altro dietro l’edificio. Poi si vedono i piccioni sul tetto e la piccionaia, dei grappoli d’uva e le tendine a uncinetto; addirittura l’arredamento della casa. Non è solo un ritratto in un interno, sembra un profilo interiore di una normale famiglia che vive nella casa scelta dalla Sacra famiglia.  

I contrasti proseguono nel presepio successivo. Non solo siamo rientrati nel tempo e nello spazio ma ci spostiamo sulle loro ali: le ali del tempo perché la grande capanna che sovrasta la grotta ha un telo a rappresentare il nuovo testamento sostituirsi all’antico testamento con la nascita di Gesù; altro contrasto tra la parte destra, un ambiente brullo e misero e la parte sinistra, illuminata e arricchita dalla venuta di Cristo; il viaggio nello spazio è reso dalla tipica casa a cubo palestinese sulla destra. Ed è palestinese lo stile con cui Dario Facchini ha realizzato questo presepio carico di simboli.

In stile palestinese orientale anche il presepio di Gianpiero Marino, in una terra arida e rocciosa, l’abitazione incastrata nel terreno ci fa pensare ai “sassi” di Matera, con la casa nella roccia. 

Dalla Palestina all’Olanda il passo è breve nella galleria di presepi di San Carlo. Ce lo fa fare Ettore Formosa con il suo colorato borgo olandese, un largo arco di ingresso, finestre caratteristiche, l’ambiente ridente da spensierata olandesina; tanto spensierata che c’è totale indifferenza per la nascita del Bambin Gesù, le persone continuano a spettegolare, il pittore porta il suo quadro, l’oste reca due boccali, di birra non di vino, siamo in Olanda! A chi? Non per festeggiare il parto, a una persona qualsiasi che li avrà richiesti. Soltanto due bambini sono tutti presi dall’evento, l’innocenza ha la vista più lunga, come nella favola del bambino, il solo a vedere il re nudo com’era realmente.

Rientriamo in Italia, passando dal confine. Un paesaggio trentino incorpora il presepio di Ernesto Mancuso. Realizzato nella roccia sovrastata da due capanne fatte di radici di abete di quella terra; gli scalini sono scavati nella roccia. Compattezza e solidità nella semplicità ridotta all’essenziale.

L’indifferenza olandese per la natività la ritroviamo in un presepio del romano Fabio Santilli, al centro la nascita e intorno tutto continua come se nulla fosse avvenuto, eppure è un borgo molto animato: sono impegnati nelle proprie faccende, inutilmente gli angeli cercano di attirare l’attenzione sull’evento miracoloso. E’ in stile napoletano, chissà se l’autore ha scelto questo stile per non identificarsi totalmente nell’indifferenza per il Salvatore affidandola a una scuola non sua?  

Il presepio romano


Guardiamo allora un presepio “romano de’ Roma” in tutti i sensi. Riproduce un casale antico sulla Via Appia che esiste realmente, le sue pareti rosso mattone, le tettoie, e soprattutto i gatti che sono tipici dello stile romano; è facile capire perché, sbucano da ogni parte soprattutto nel centro storico vicino e sopra ai monumenti. Il casale è appoggiato a una cisterna, la tipica fusione tra nuovo e antico. Patrizio Turosani ha reso con estremo realismo questo angolo di Roma dove l’ambiente si identifica nel grande casale, una sorta di scena teatrale presa dal vero e riprodotta con molta cura.

D’altra parte, è proprio questa la caratteristica dello stile romano, nobilitato da un illustre precursore, Arnolfo di Cambio che realizzò delle figure di presepio nel 1289, sono nella cripta di Santa Maria Maggiore. Ma è con il ‘600 che la nobiltà scopre il presepio, commissiona opere in stile barocco, addirittura a Bernini, che lo realizzò per i principi Barberini. Dai nobili al clero, nel ‘700 si estende a chiese e monasteri, spiccano le natività di San Lorenzo e Santa Maria in Trastevere.  

Roma è la campagna romana, paesaggio agreste con la povera gente al lavoro, la grotta di sughero e gli angeli in volo in cerchi concentrici nel cielo. Soltanto di recente c’è stata “Roma sparita”, ormai visibile soltanto negli acquerelli di Roescher Franz, perché la modernità ha lasciato soltanto i ruderi, sui quali si costruiscono le scene, come sulle immagini degli acquerelli, con impronta popolare.

Si ha anche l’inserimento spettacolare nei borghi piuttosto che nell’ambiente naturale. Come nel presepio di un esordiente, Giuseppe Liberati, che rappresenta la Tuscia medievale, il piccolo borgo è riprodotto in cartongesso, la Natività è sotto un arco, c’è anche un pastorello dormiente. 

E siamo ad Alessandro Martinis, che presenta un presepio in stile romano, con il passaggio del vino dall’interno all’esterno delle osterie per la liberalizzazione che si dice fosse opera di Pio VII, laddove Leone XII aveva invece imposto di “chiudere i cancelli” per bere soltanto all’interno. 

Questa immagine di festa del vino è inserita in una natività soltanto simbolica, perché non c’è la Sacra famiglia, addirittura si vede uno scriba che scrive una lettera di raccomandazione per l’ammissione di un bambino in seminario, fantasia tutta napoletana. C’è invece una famiglia normale che la impersona, simbolismo rafforzato da un’immagine sacra e dall’osteria.  

Ed è il simbolo più importante congiunto a quello del vino, che richiama al sacrificio dell’ultima cena e del sangue di Cristo. Un simbolo non solo dei presepi romani, ma anche di quelli napoletani. In quest’ultimo stile lo stesso Martinis crea delle figure singole molto espressive: la prima è un oste con i contenuti simbolici di cui si è detto, reca delle fiasche di vino rosso, vicino ha un tacchino. 

Poi c’è la zingara, figura che può essere o vecchia oppure giovane e prosperosa; può portare la buona fortuna come in questo caso con un melograno in mano oppure la cattiva sorte con il ferro, ricordo infausto dei chiodi della croce di Cristo. Segue la lavandaia, presente alla Natività, a stare ai Vangeli apocrifi, fu lei che lavò i primi panni del bambino e le acque restarono limpide e chiare. In primo piano anche la levatrice, altro simbolo di purezza riferito alla Vergine.   

Dopo questi simboli eccone uno molto diverso, il simbolo della napoletanità: è Pulcinella che fa visita a un neonato particolare, completamente solo, sotto un arco di tempio che sta davanti a una grotta. Resta il dubbio sul bambino, troppo solo per essere Gesù, forse è il piccolo San Gennaro.  

Ci sono anche i Re Magi, il loro simbolismo è molteplice: possono essere le tre fasi solari del mattino, giorno sera, date dai colori bianco, rosso, nero. Oppure le tre stirpe terrene nate dalla discendenza di Noè, Gasparre Re armeno figlio di Cam, Baldassarre giovane re arabo di colore scuro figlio di Jafet, Melchiorre, il maraja indiano di nome Ram, vecchio figlio di Sem, chiamato così perché “ha visto Dio” (Cham El Chior).

Quello che colpisce in modo particolare è la fattura di queste opere, viste singolarmente nei loro particolari: terracotta vestita con stoffe, soprattutto sete, pregiate, occhi di vetro: immagini preziose. 

Il presepio napoletano


Siamo in pieno stile napoletano, e qui occorre soffermarsi in modo particolare, non foss’altro in omaggio ai maestri di San Gregorio Armeno, la strada dei presepi, una pittoresca fabbrica diffusa e insieme l’esposizione di quanto sa produrre la fertile fantasia e inventiva partenopea unita al talento e alla tradizione nonché alla vitalità e alla passione. Ma qui non ci troviamo a Napoli, è la cripta di San Carlo al Corso. Raccontiamo quello che vediamo, non ciò che ricordiamo perché ci ha colpito.

Abbiamo già descritto la preziosa fattura in stile napoletano da parte di un maestro romano. Un presepio napoletano verace ci mostra una scena stile ‘700: una comune famiglia che però simboleggia la Sacra famiglia con la madre, il padre somigliante a S. Giuseppe, il bambino in una culletta che sembra la mangiatoia. 

Non manca l’acqua come simbolo del fonte battesimale e il cibo sparso per l’ambiente, ricorda le offerte a Cristo; ci sono anche le mele, a ricordo del peccato originale. La madre tende la mano verso quella del bambino, quasi per giocare, un contatto raro quando è nella culla, ovvero nella mangiatoia della Natività; ma questo bambino è solo terreno. Non si conosce l’autore, si avverte l’estrema cura nel mettere in scena simbologie molto particolari.

Il presepio napoletano, va sottolineato, è fatto di particolari, si sofferma sulla vita quotidiana, non indulge alle rappresentazioni teatrali e ambientali come quello romano. Inoltre unisce sacro a profano, nello spirito devoto e insieme moderatamente dissacratore dello sua gente. In questa impostazione assumono un’importanza particolare le figure, preminenti sull’ambiente. Di qui l’evoluzione della tecnica per realizzarle, che ha puntato sullo snodo e sulle articolazioni in legno. Siamo nel 1600, nasce l’idea che ha dato flessibilità e varietà alle figure: l’applicazione delle teste e degli arti in legno a manichini fatti con stoffa e filo di ferro. 

Non si pensi alle iniziali forme di Calder, lo scultore dell’aria che iniziò con il fil di ferro, ma a qualcosa di ingegnoso ed estremamente funzionale allo scopo: l’adattabilità consentiva di creare molteplici atteggiamenti e posizioni, quindi figure senza dover fare l’intero pezzo “ex novo” ma utilizzando un corpo standard.

L’utilizzazione successiva della terracotta invece del legno per le teste consentiva maggiore duttilità nella materia, rendendo più veloce la fattura, e nell’espressione, rendendola più morbida. Coerenti con l’impostazione legata al particolare e alla realtà della vita quotidiana, i maestri dei presepi napoletani mobilitavano artigiani di una grande varietà di settori, dai vasai agli orafi e agli argentieri; per le brocche e i vasi soprattutto da Cerreto d’Abruzzo oltre che da Vietri. 

Una variante tutta speciale nei materiali la troviamo nel presepio pugliese, la cui storia vede l’inizio a metà del ‘400-500, un declino nel ‘600, la scomparsa nel ‘700 e il rilancio nell’800 con la cartapesta e in parte la creta. Questo si deve soprattutto al Salento e a Lecce, dove nel tempo libero i barbieri ci davano con le mani a premere sulla cartapesta e si aiutavano col bulino a lavorare la creta. Però il presepio non fu ritenuto né arte né arredamento, bensì tradizione popolare; per questo si sono conservate poche testimonianze e le opere riconducibili alla scuola pugliese sono assai rare.

Chiudiamo la parentesi pugliese, è così ricca la storia presepiale che ci risucchia nel didascalico invece di proseguire nel descrittivo; anzi nel narrativo, perché stiamo raccontando un viaggio in un mondo affascinante e favoloso che con la sua naturalezza e il suo simbolismo tocca nel profondo.

Un viaggio che a questo punto ci fa incontrare due diverse espressioni: le campane di vetro di Romolo Di Donato e Angelo Fracassi e i coppi spezzati di Felice Marotta, esordiente salernitano.  

Le campane di vetro sono una peculiarità napoletana sin dal 1700, soprammobili con dentro normalmente una sola grande figura. Qui c’è il presepio con tante piccole figure, addirittura quello della campana di Fracassi è su tre piani.

Ai coppi spezzati di Marotta sono associati diversi elementi. O paesaggi salernitani oppure dei simboli: l’elefante per la solidità del Cristianesimo e la colonna spezzata per la caduta dell’impero romano dopo Cristo interpretabile anche come caduta del paganesimo dopo il Cristianesimo. 

Simboli e particolari, particolari e simboli, ecco il presepio napoletano. Una riprova eloquente nelle opere di Antonio Esposito: il falegname e il focolaio. Nella bottega di falegname troviamo gli attrezzi, una sega particolarmente curata, non solo perfettamente riprodotti ma anche funzionanti; c’è un cancelletto di ferro battuto istoriato e addirittura una mensola con degli oggetti tra i quali una minuscola campana di vetro del tipo di quelle appena descritte di Fracassi e Di Donato.

Abbiamo conosciuto il quadro nel quadro e il teatro nel teatro, ora il presepio nel presepio per così dire. Nel focolaio c’è anche il simbolismo, oltre al particolare, ed è il calore familiare. Gli utensili da cucina in rame appesi con la velatura che sa di antico accrescono il calore, si sentono i lari e i penati della famiglia che vi si raccoglie intorno. E ci sono le bucce d’arancio a rendere l’ambiente odoroso. Valentina ci tiene a sottolinearlo.  

Il grande presepio

Ci avviamo all’uscita, ma Valentina ci dice con gentile fermezza: “C’è il grande presepio nell’aula centrale della cripta, vicino al sepolcro con le ossa di San Carlo Borromeo!” La seguiamo, e veramente ne vale la pena. L’emozione viene nel vedere inginocchiate le grandi figure che riuniscono i simboli della Natività, compresi il pastore che rappresenta i popoli della terra e il pescatore i popoli sul mare o anche le pesca delle anime.

I quattro offerenti riuniti evocano a loro volta altri simboli: i quattro punti cardinali o i quattro continenti allora conosciuti; come se fossero accorsi tutti a Betlemme per adorare Gesù; mentre Giuseppe e Maria con le braccia formano un triangolo, simbolo delle divinità rivolto verso il bambino. Un’ultima preziosa indicazione di Valentina: hanno tutti carnagione scura e occhi castani, non azzurri come di norma rappresentati, perché sono della Palestina.  

Sono nel nudo pavimento, appena qualche filo di paglia, non si vuole sopperire all’ambientazione. Figure singole senza collegamenti ambientali, soltanto ideali, il far parte di quella sacra rappresentazione che è la Natività. Che ferma il tempo. E lo fermano anche queste figure che descriviamo alla fine come lo fermavano quelle descritte all’inizio di Giulietta Cavallo.

Ci accommiatiamo da Valentina che ci ha pilotati con perizia sulla macchina del tempo di questa mostra. E’ stata la nostra Beatrice, perché qui si respira aria di Paradiso.   

Un Paradiso sotterraneo, ci dice che sotto di noi c’è un accumulo d’acqua, come una grande cisterna, che genera un particolare microclima e viene monitorato, i milanesi padroni di casa sono particolarmente attenti a seguire la situazione. Non siamo nell’empireo, possiamo risalire le scale e infine “uscimmo a riveder le stelle”. Due angeli musicanti ci salutano all’uscita come ci avevano accolti all’entrata con un tondo azzurro su cui ne spiccano altri in volo con atteggiamenti birichini.

Ora entriamo nella basilica dalla porta interna. C’è un grande presepio con le “scarabattole” settecentesche e la Natività, parte delle figure sono di scuola napoletana e parte di scuola romana, un’altra bella commistione per trarre il meglio da entrambe; intorno ruderi e muri diroccati, sullo sfondo il Tevere, Roma sparita e il Cupolone.

Usciamo subito, quest’evocazione romana ci porta risalendo via del Corso alla chiesa di San Marcello: l’apoteosi, la natività si appoggia al rudere, dietro si distende nella sua maestosità il Colosseo, di fronte il tempio di Antonino e Faustina, in mezzo un colonnato. Sono illuminati e spiccano nella loro magnificenza.  

E’ bello concludere così le festività, con quest’immagine della Roma monumentale all’interno del presepio, che si aggiunge a quella consueta della “Roma sparita” e della campagna romana.

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante, meno l’ultima da Alberto Levante. Le prime 27 nella basilica romana dei Santi Ambrogio e  Carlo al Corso, ia Piazza San Carlo, di cui 25 nel Natale 2009 nella mostra nei sotterranei,  le 2 successive nel Natale 2018 nell’abside e nella navata destra; l’ultima, ancora del Natale 2018, è nella propria abitazione.  

WeACT, Civita con 12 imprese nei palazzi Barberini e Corsini

di Romano Maria Levante

Il 13 dicembre 2018 a Palazzo Barberini,  nella sala Pietro da Cortona, sono stati illustrati i risultati del progetto WeACT³,  la Tecnologia per Arte, Cultura, Turismo, Territorio”, promosso e coordinato da Civita, con il quale 12 imprese specializzate in diversi campi altamente innovativi  hanno elaborato strumenti avanzati per migliorare la tutela, fruizione e valorizzazione dell’inestimabile patrimonio  custodito nei palazzi Barberini e Corsini, ricchi di storia e  memoria,  d’arte e cultura di cui rendere partecipi i visitatori nel modo più efficace  consentito dalla più moderna tecnologia. Sono intervenuti, fornendo sintesi esplicative del loro contributo, i responsabili delle 12 imprese impegnate nel  progetto, dopo l’introduzione di Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, e la presentazione di Gianni Letta, presidente di Civita. Ha concluso la manifestazione il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli. L’accordo per il progetto di intervento coordinato era stato firmato e illustrato nei suoi contenuti il 31 ottobre 2017 a Palazzo Barberini, dagli stessi partecipanti attuali, il presidente di Civita e i rappresentanti delle 12 imprese, con il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, alla presenza dell’allora ministro del MiBACT.  Dopo un anno di lavoro sono stati presentati gli strumenti innovativi realizzati a un livello tecnologico particolarmente avanzato, di pronta applicazione.   

Il  ministro del MiBAC Alberto Bonisoli conclude la manifestazione sul progetto  “WeACT³”, alla sua sin. il presidente di Civita, Gianni Letta, alla sua dx il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori

L’intervento di presentazione di Gianni Letta, presidente di Civita

Il presidente di Civita,Gianni Letta, ha sottolineato che la realizzazione di un progetto come il “WeACT³”.  La Tecnologia per Arte, Cultura, Turismo, Territorio”  volto alla migliore tutela e valorizzazione dei  beni culturali, conferma l’importanza della collaborazione tra privato e pubblico perseguita da Civita  sin dalla costituzione per un trentennio.

Ha fatto rilevare che, pur in questa continuità, l’iniziativa si può definire unica perché per la prima volta hanno collaborato a realizzare un progetto comune 10 imprese, le quali,  sulla base delle loro  competenze specialistiche hanno messo a disposizione soluzioni tecnologiche altamente innovative per un intervento di interesse pubblico, com’è  quello riguardante le Gallerie Nazionali d’Arte Antica con le loro collezioni  che custodiscono “capolavori assoluti”  e sono “culla di quella cultura europea sei-settecentesca di cui i Barberini e i Corsini e gli omonimi palazzi furono protagonisti”.  Il gruppo di imprese – con il coordinamento di Civita,  cui le imprese sono associate – ha operato dando risposte tecnologicamente avanzate alle  esigenze prospettate dalla direzione delle Gallerie  che ha le competenze per individuare ed evidenziare i problemi e valutare le soluzioni proposte.  

Una “slide” di presentazione dell’intervento del gruppo “DAB” nel progetto  “WeACT³”

“La strada da seguire è, dunque, quella dell’integrazione, sempre più stretta, fra competenze e tecnologie a vantaggio di un’effettiva fruizione dei nostri meravigliosi luoghi di cultura, sempre più accoglienti verso il pubblico e la comunità, oltre che della loro valorizzazione, primo strumento, ricordiamolo, verso un’opportuna e più ampia conoscenza”, sono le parole di Gianni Letta.  Il progetto “WeACT³”, promosso da Civita per le Gallerie Nazionali di Arte Antica, può essere ritenuto dunque un progetto pilota per un’applicazione al sistema museale italiano in modo da portarlo all’avanguardia come merita per la ricchezza inestimabile del suo patrimonio artistico,

“É questa la direzione a cui, nel prossimo futuro, devono volgere lo sguardo i nostri musei per rimanere al passo con i tempi e divenire luoghi sempre più partecipati dal pubblico”.  La collaborazione tra pubblico e privato potrà svolgersi “senza timori o reticenze; la chiave è riuscire a trovare la formula corretta nel pieno rispetto dei ruoli, come avvenuto nel caso del progetto “WeACT³”. E’ stata un’esperienza preziosa, che ha dato avvio a un modello di gestione replicabile su altri siti culturali italiani. “Ci crediamo con fermezza – ha concluso Gianni Letta – perché è in gioco la crescita non solo civile ma anche economica di un Paese, il nostro, che può vantare capolavori artistici di assoluto prestigio a livello internazionale. Senza conservatorismi o posizioni difensive, e con il coraggio di guardare alla Cultura come un pilastro del futuro”. 

Le conclusioni del Ministro dei beni e delle attività culturali Alberto Bonisoli

Al termine delle presentazioni dei risultati ottenuti da ciascuna delle 10 imprese impegnate nel progetto “WeACT³”, ilministro del Beni e delle Attività Culturali Alberto Bonisoli ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra vari soggetti che lavorano insieme per lo stesso obiettivo, pur nella diversità delle loro finalità. E ha aggiunto che “si possono avere ricadute inaspettate al di là delle previsioni iniziali. Nel “WeACT³” c’è stato il coinvolgimento del personale con l’effetto  di una rigenerazione perché così possono mettere del proprio e dare il massimo”.    

Una “slide” di presentazione dell’intervento del “Consorzio Glossa” nel progetto “WeACT³”

E’ importante applicare soluzioni tecnologiche avanzate a un mondo, come quello dei musei, orientato alla conservazione; e ha ricordato che il suo Ministero sta lavorando in questo senso a un sistema per la sicurezza esterna che si avvalga dei satelliti, come il “WeACT³” opera per la  sicurezza interna, inoltre c’è notevole impegno nella digitalizzazione. Un aspetto fondamentale riguarda la capacità di “dare al visitatore gli strumenti per conoscere e capire l’opera, contestualizzarla anche rispetto alla vita degli autori con  un adeguato accesso alle  informazioni”.

Quindi nel progetto “WeACT³” convergono due fattori fondamentali per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale: “Da un lato la collaborazione pubblico-privato, dall’altro le nuove tecnologie”. Il Ministro lo ha definito “un modello virtuoso che accoglie le sfide di un mondo in continua evoluzione, puntando a una maggiore efficienza ed efficacia nella gestione delle risorse e, al contempo, a un nuovo modo di pensare la funzione museale, come un sistema integrato di servizi, ad alto grado di innovazione”. Per i principali musei, come per le città d’arte, si pone anche il problema dell'”eccesso di domanda”  soprattutto in periodi particolari, per cui va disciplinato il flusso di visitatori con gli strumenti disponibili di monitoraggio e regolazione. 

Un momento della presentazione dell’intervento di “Avvenia-Ericsson” nel progetto “WeACT³”

Ha insistito, poi, sul “valore della creatività per trovare soluzioni anche facili che rispondano a precisi obiettivi”. E ha sostenuto l’importanza di “utilizzare la creatività dei giovani, perché possono pensare a soluzioni a cui non si è abituati, ma spesso non lo si fa”. Infine è tornato sulla collaborazione tra pubblico e privato nella quale il privato porta “la maggiore velocità rispetto al pubblico, la propensione al rischio e la flessibilità che il pubblico non ha”. Quindi la collaborazione va perseguita, “basta trovare le forme più opportune, c’è molto spazio  di miglioramento e ammodernamento con le nuove tecnologie”. Siamo dinanzi a un vero e proprio balzo in avanti in campo tecnologico ed “abbiamo le competenze al nostro interno, dobbiamo utilizzarle come si è fatto con il progetto “WeACT³”.

Finalità e contenuto di “WeACT³” secondo Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie

Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, ha detto che “il progetto ci ha entusiasmato sin dall’inizio e ha coinvolto i nostri curatori”, e il rapporto con le imprese impegnate nella realizzazione “si è sviluppato nel corso di un processo di ridefinizione del museo e dei suoi ruoli”.  E’ stato costituito “uno staff  rafforzato dall’innesto di personalità prima assenti o insufficienti” aperte all’innovazione e alla collaborazione di imprese private; e a questo riguardo “di importanza strategica è stato il ruolo di Civita che ha coordinato e facilitato le relazioni tra tutti i soggetti coinvolti e le risorse del museo”. Ha fatto poi due precisazioni non scontate.  

La prima non è scontata perché potrebbe sorprendere che strumenti tecnologicamente così avanzati e innovativi vengano applicati nelle Gallerie d’Arte Antica piuttosto che nelle sedi espositive dell’arte contemporanea, apparentemente meglio predisposte:  “Sono  fermamente convinta che i musei, e in particolare quelli di arte antica situati in edifici storici  di particolare interesse, siano un laboratorio straordinario e imprescindibile  per testare le tecnologie in contesti integrati e complessi”; ebbene, i Palazzi Barberini e Corsini hanno questi requisiti al massimo livello nel valore storico e artistico. Lo stato degli edifici e dei suoi impianti va tenuto sotto controllo per la sicurezza, anche riguardo al controllo del flusso del pubblico. E le condizioni climatiche vanno monitorate costantemente in particolare per il risparmio energetico, le Gallerie Nazionali hanno partecipato con un proprio progetto al bando della Regione Lazio sull’innovazione tecnologica.   

Una “slide” di presentazione dell’intervento di “Mastercard” nel progetto “WeACT³”

Una seconda precisazione riguarda l’adozione di strumenti avanzati per le particolari esigenze del mondo museale: “Le piattaforme per l’interpretazione delle opere, la sperimentazione per una fruizione multimediale delle collezioni e degli spazi, i servizi al visitatore, e il monitoraggio delle strutture e delle opere, sono campi in cui la ricerca digitale e quella museologica si incontrano, e si arricchiscono vicendevolmente. Il museo reale e quello digitale e tutti i prodotti elaborati in questa occasione lo confermano”.  In pratica, mediante le piattaforme digitali – che in Italia sono ancora rare mentre all’estero sempre più diffuse –  vengono centralizzate le informazioni in modo da poterle integrare con i sistemi di fruizione e aggiornate automaticamente per rendere sempre più accessibile al pubblico il patrimonio artistico fornendogli informazioni adeguate nel modo più semplice per una visita personalizzata.      

I risultati ottenuti nei 10 interventi del “WeACT³”  

I risultati  ottenuti sono stati illustrati dai responsabili delle 12 imprese impegnate nel progetto, con  interventi nei quali hanno utilizzato “slides”per sintetizzare tre elementi fondamentali: “Why”, cioè l’obiettivo perseguito,  “What”,  l’intervento da attuare, “How”, il modo come si realizza.  Non possiamo seguire questa articolazione esplicativa ma dobbiamo limitarci a una panoramica del 10 interventi realizzati per dare una idea di come sono stati affrontati e risolti i relativi problemi, con riferimento alle sedi delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini. .

Un primo risultato riguarda l’“Energy management” e fa capo alle imprese Avvenia ed Ericsson che hanno perseguito l’obiettivo di “individuare i margini di miglioramento ed efficientamento  degli edifici e degli impianti delle due sedi del museo”, in modo da qualificare il servizio che viene offerto ai visitatori. L’intervento consiste nell’installazione di un sistema IoT di monitoraggio e diagnostica non invasivo ad un livello tecnologico molto elevato  per raccogliere i dati e poterli elaborare con un apposito modello di calcolo per definire le azioni di miglioramento energetico. Oltre al risparmio energetico, quindi economico, garantisce maggiore sicurezza delle opere esposte.

Alla sicurezza è dedicata la piattaforma software “Security&Safety” a cura del gruppo DAB S.p.A., che gestisce i sistemi di  sicurezza centralizzati per i due palazzi  presso la sala regia di Palazzo Barberini con un monitoraggio costante. Ma, come l'”energy management” ha come risultato secondario la maggiore sicurezza, così “Security& Safety ha come risultato anche la gestione in una sola piattaforma software dei segnali di allarme emessi dai sensori di microclima, cioè temperatura, umidità e luminosità, che riguardano non solo la sicurezza ma anche l’assetto energetico complessivo. Naturalmente, il tutto è coordinato in modo appropriato. 

La “slide” iniziale della presentazione dell’intervento di “Vodafone” e  “Wind-Tre” nel progetto “WeACT³”

Dalla tutela dei due siti museali alla organizzazione  dei contenuti con il “Sistema di gestione delle Collezioni” del Consorzio Glossa, definito rivoluzionario perché raccoglie in un’unica piattaforma integrata “on line”, quindi accessibile via Web,  i principali elementi informativi, dalle immagini al catalogo agli inventari, in modo da fornire una base conoscitiva dell’intero patrimonio museale alle funzioni interessate alla classificazione e movimentazione, restauro e allestimento, documentazione e comunicazione. Le digitalizzazioni preesistenti sono state inserite nel sistema integrato che già conta 2.400 voci di inventario, 12.000 immagini digitali, le planimetrie e gli allestimenti. 

Si passa dall’organizzazione interna alla fruizione dei visitatori con la “Guida digitale della Galleria Corsini”,  sempre a cura del Consorzio Glossa il quale ha “rivoluzionato” il sistema attuale  mediante un “tablet”  – che abbiamo provato personalmente – fornito ai visitatori perché possano orientarsi tra le sale e ricevere  le informazioni – in italiano, inglese e francese – per la migliore conoscenza delle opere e  degli autori, particolarmente utile per opere poste in alto nelle quadrerie. Le informazioni sono estratte automaticamente dal “Sistema di gestione delle Collezioni” sopra descritto, quindi sempre aggiornate nelle collocazioni espositive e negli allestimenti speciali.   

Un momento della presentazione dell’intervento di “Enea” nel progetto  “WeACT³”

Dalla Galleria Corsini con le sue quadrerie a Palazzo Barberini con la “Digitalizzazione della Volta” a cura di Enea. Lo spettacolare affresco di Pietro da Cortona, “Il trionfo della Divina Provvidenza”,  è stato scansionato (con lo scanner Red Green Blue – Imaging Topological Radar) mediante l’utilizzo combinato di 3 fasci per ottenere un modello in 3D colorato ad alta densità di punti, e questo è stato fatto senza inibire l’accesso ai visitatori e senza impalcature. In tal modo si potrà provvedere al monitoraggio della volta per evidenziare lesioni e danni all’affresco e definire eventuali restauri. Possono essere apprezzati dettagli non visibili ad occhio nudo. 

L’Enea ha realizzato anche il sistema chiamato “Ricostruzioni 2D&3D” perché  con la tecnica fotogrammetrica trasforma le immagini digitali 2D in un modello 3D, visibile con gli appositi occhiali che fanno percepire le tre dimensioni. Il sistema è stato applicato a due opere del Palazzo Corsini: la scultura romana del I sec. a. C, “Trono Corsini”, e il busto in terracotta, di cui è autore Gian Lorenzo Bernini, “Ritratto di Alessandro VII Chigi”.  Abbiamo constatato di persona che le opere vengono esplorate in ogni dettaglio, ruotano su se stesse e rivelano particolari inaccessibili nella visione normale. Così può venire monitorata costantemente anche la loro conservazione.  

Ora diamo conto degli interventi meno eclatanti ma molto utili per la gestione amministrativa. Mastercard  ha predisposto uno strumento per “Pagamenti digitali” rapidi e semplici che allarga l’area dei pagamenti digitali e aggiunge le prenotazioni “contactless” . Inoltre ha inserito le Gallerie Nazionali nel sistema di promozione mediante la piattaforma internazionale “PricelessCities”, sistema operante in 40 città del mondo di cui Mastercard  dispone per eventi ed esperienze esclusive non solo culturali, ma anche enogastronomiche, di shopping ed altro,  riservate ai titolari delle sue carte di credito,  che possono  visitarle “priceless”: nel sistema ci sono Roma, Milano e la Sicilia.    

Una “slide” di presentazione degli obiettivi dell’intervento di “DM Cultura-Oracle” nel progetto”WeACT³”

Una significativa collaborazione  tra Vodafone e Wind -Tre  ha portato al “Mobile ticketing”, con il quale si potrà acquistare il biglietto  direttamente mediante lo “smartphone” utilizzando il credito telefonico. In pratica, si potrà aprire il portale a ciò dedicato ed entrare nell’area riservata alle Gallerie Nazionali Barberini e Corsini, selezionare la data della visita, il numero e il tipo di biglietti, poi confermare l’acquisto inviando un SMS al numero telefonico indicato, dal quale verrà trasmesso un SMS all’acquirente con il PIN  da mostrare alla Cassa per entrare nel museo. Ovviamente l’importo del biglietto viene scalato dal credito telefonico o addebitato in fattura.

Con il  “Digital Marketing”  un’altra collaborazione tra DM Cultura e Oracle ha portato a generare un sistema innovativo di comunicazione con il mercato in modo personalizzato, tempestivo e rilevante, che sono i requisiti per la sua efficacia.  Attraverso la piattaforma “Cloud”, dove sono raccolte tutte le informazioni utili ad incrementare l’afflusso di visitatori, vengono creati messaggi personalizzati con  l'”orchestrazione della comunicazione”,  passando cioè dalla comunicazione unidirezionale alla comunicazione relazionale. Si possono poi monitorare e correggere i messaggi. 

Le ultime realizzazioni riguardano la “Comunicazione e Promozione”. Civita, oltre al coordinamento organizzativo del progetto “WeACT”  è impegnata a realizzare una serie di “Eventi promozionali”, incontri e iniziative culturali per accrescere la conoscenza delle due sedi delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica. Con Ericson ha organizzato la “Maratona digitale” , un “hackathon” per stimolare la creatività delle “start up” ,  idee e prototipi  di servizi e prodotti per un museo del futuro, è stato premiato il team vincitore con  3.000 euro in palio da Civita.  Logotel ha realizzato un sito web, un video e un kit di comunicazione sull’intero progetto  “WeACT³”.   

Al termine di questa rapida rassegna possiamo dire che è stata affrontata  un’ampia gamma di problematiche  che riguardano i musei interessati – Palazzo Barberini e Palazzo Corsini – ma, con modalità ovviamente diverse, possono venire estese al sistema museale nazionale. Dovrebbe interessare direttamente il Direttore generale dei Musei del MiBAC, che di recente alla sede di Civita ha esposto il nuovo programma di interventi per porre strutture e organizzazione al passo dei tempi.  

Una “slide” di presentazione delle azioni dell’intervento di “DM Cultura-Oracle” nel progetto “WeACT³” 

Per tutti i problemi affrontati sono state trovate soluzioni  tecnologicamente avanzate,  tradotte in sistemi e dispositivi  altamente innovativi. Si è passati dal miglioramento della sicurezza e dell’efficienza energetica dei siti all’organizzazione e gestione delle collezioni, con la guida digitale per la migliore fruibilità da parte dei visitatori; poi a specifici interventi volti al monitoraggio di opere particolarmente significative,  per la  tutela e l’eventuale restauro e per la conoscenza nei dettagli da parte dei visitatori; fino ai pagamenti digitali  veloci e semplici su carte di credito e su “smartphone”, e a sistemi promozionali basati sulla personalizzazione delle comunicazioni e su eventi appositi con uno sguardo al futuro per apposite iniziative e sistemi promozionali. 

Le imprese impegnate nel “WeACT³”, eccellenze e partnership

E’ d’obbligo a questo punto una rapida rassegna delle imprese impegnate nel progetto integrato promosso e coordinato da Civita che ha mobilitato,  tra le 160 associate, le 12 che si sono dichiarate in grado di fornire i servizi museali richiesti ad un elevato livello di specializzazione e nel contempo disponibili ad operare in stretto coordinamento con altre imprese.  In tal modo la trentennale propensione di Civita a promuovere la collaborazione tra pubblico e privato si è arricchita di un ulteriore elemento di notevole valore: l’intervento progettuale integrato di una serie di imprese private in stretta intesa tre loro, fino alla “partnership”, e nel costante dialogo con il destinatario che ha apportato la propria competenza in un settore particolare come quello museale dove sono presenti esigenze e problemi eterogenei da affrontare e risolvere nel superiore interesse pubblico.  

Una “slide” con le possibilità offerte al visitatore dai nuovi servizi di assistenza del progetto “WeACT³” 

Troviamo dei campioni assoluti  come Avvenia, società del gruppo Terna nata nel 2001, componente della Federazione Italiana per l’uso razionale dell’Energia, divenuta leader mondiale nell’efficienza energetica con un elevato numero di progetti di efficientamento in Italia, mediante  Energy Performance Contracts, anche in collaborazione con altre imprese. Ha fornito i sensori per il monitoraggio continuo della situazione ambientale ed energetica.   

Ha operato in partnership con Ericsson, la società svedese leader mondiale nelle tecnologie e nei servizi per la comunicazione, presente in 180 paesi, il 40% del traffico mobile mondiale passa attraverso le sue reti, nel 2017 ha investito in R&S il 19% del fatturato, possiede 45.000 brevetti di telecomunicazioni, i Italia è presente da un secolo, oggi con 3.000  professionisti. Ha fornito la piattaforma IoT Accelerator per gli interventi sulla  base delle informazioni dei sensori di Avvenia.

Avvenia  ha un dialogo costante con l’Enea, l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, partner del Centro di eccellenza DCT Lazio, che si è segnalata nel trasferire le tecnologie elaborate per campi diversi, al settore dei beni culturali:  in particolare nella progettazione ed esecuzione dei restauri, nel monitoraggio dello stato di conservazione e  nella protezione e fruizione anche in situazioni molto difficili. Nel progetto “WeACT³” la visualizzazione e il  monitoraggio in 3D.   

Un momento della presentazione dell’intervento di “Logotel” nel progetto “WeACT³”  

Livello di eccellenza anche per Oracle,  in Italia da 25 anni con 1.100 dipendenti e 700 Business partner, specializzato nelle metodologie di comunicazione. Le sue applicazioni, definite “Software as a Service”, comprendono processi di “Enterprise Resource Planning” e “Human Capital Management”, “Customer Relatiionship Management” e “Platform – Infrastructure as a Service”. Al “WeACT³” ha portato  la piattaforma per una comunicazione personalizzata  e monitorata

“Mastercard” e “Vodafone” con “Wind-Tre”, partecipanti  al “WeACT³” con innovazioni nei pagamenti, “contactless” e tramite “smartphone”  oltre che con offerte promozionali dedicate, sono ben note, basta ricordare alcune peculiarità.  Mastercard  è il network globale dei pagamenti presente in 210 paesi e partner di 22.000 istituzioni finanziarie,  leader tecnologico mondiale nella  connessione dei consumatori con i diversi mercati e sponsor di importanti manifestazioni sportive. Vodafone è un leader mondiale nelle telecomunicazioni, presente in 90 paesi tra rete mobile, fissa  e partnership.  con oltre 500 milioni di clienti nel mobile e 20 nella rete fissa, in Italia ha 7.000 dipendenti di cui 2.500 per l’assistenza ai clienti. Wind-Tre ha un’importante presenza in Italia soprattutto nella telefonia mobile, con la fusione di “Wind” e “H3G”  che dal settembre 2018 hanno come azionista unico CK Hutchinson; con la “Open Fibre” ha un accordo  per realizzare in Italia la banda ultra larga, con reti di fibra di nuova generazione, ha operato in partnership con Vodaphone.

Dai campioni mondiali a quelli italiani in nicchie specialistiche del mondo culturale. Il gruppo DAB, nato 45 anni  fa, è definito “il primo Polo Tecnologico Sicurezza” , centro di eccellenza per il controllo tecnologico della sicurezza  dei beni, delle persone e del territorio; agisce su tutto il fronte, dalla ricerca e sviluppo all’analisi e progettazione, fino alla realizzazione di sistemi complessi di sicurezza e il relativo tele monitoraggio, vigilanza e formazione. Al “WeACT³” ha portato in concreto la piattaforma software di monitoraggio per la tutela delle opere e dei visitatori. 

I tre componenti il “team” vincitore del concorso con il premio di Civita 

A sua volta il Consorzio Glossa, impegnato nella ricerca orientata all’applicazione delle tecnologie informatiche alle scienze umane, si è specializzato in particolare nella catalogazione, conservazione e fruizione dei beni culturali e ambientali, anche nell’ottica della multimedialità ed editoria elettronica con traduzione assistita dal computer, e questo nell’interazione con Istituzioni universitarie, Enti di Ricerca e Organismi nazionali ed esteri. Di qui la sua partecipazione al progetto “WeACT³” con il Sistema integrato di gestione collezioni e il “Tablet per i visitatori.

Mentre il DM Cultura, sorto  30 anni fa per il settore delle Biblioteche, ha esteso l’attività agli Archivi storici, ai Musei e ai luoghi della cultura, con 5.500 enti pubblici e privati suoi clienti.  Fornisce consulenza strategica e piattaforme tecnologiche, strategia digitale e servizi web e mobile anche per la sicurezza. Specializzata nei modelli di fruizione e valorizzazione interattivi ed immersivi dei luoghi di cultura, in particolare i musei, con l’impiego di tecnologie digitali innovative, è intervenuta nel “WeACT³” per la comunicazione volta alla crescita dei visitatori.

Le imprese citate hanno concorso alla realizzazione del “WeACT³” in modo integrato, non solo mediante il coordinamento dei loro interventi curato da Civita, ma con partnership  come quelle tra Avvenia ed Ericsson, DM Cultura e Oracle, in cui hanno collaborato strettamente leader mondiali e aziende nazionali, e tra Vodafone e Wind-Tre in cui addirittura  hanno lavorato insieme gruppi in diretta  concorrenza nel mercato telefonico italiano in cui la competizione è particolarmente aspra. 

L’altra premiata da Civita nel concorso citato  

Il “WeACT³” ha quindi una storia meritevole di essere raccontata, unendo eccellenze private che concorrono anche con partnership tra leader mondiali e società italiane minori, e tra gruppi concorrenti, coordinate dall’Associazione di cui fanno parte, su un progetto di interesse pubblico dialogando con le Gallerie Nazionali di Arte Antica per avvalersi delle loro competenze. E anche a questo si è pensato, allo “storytelling” dell’iniziativa il cui coordinamento è stato affidato a Logotel, una “service design company”  operante da 25 anni con sede a Milano, che nel 2017 ha realizzato progetti di trasformazione aziendale con  60 clienti coinvolgendo 5.000 persone in progetti formativi.  Nell’apposito sito  Web e nei video realizzati c’è un racconto univoco e integrato che dà al “WeACT³” un’identità ben precisa facendone uno strumento di comunicazione promozionale.

Tecnologia e innovazione, dunque, al servizio dell’arte e della cultura. In fondo questi mondi così diversi hanno in comune un elemento indispensabile, la creatività; quindi è naturale che si siano incontrati.  Ma in un paese come il nostro,  con i suoi individualismi e i suoi pregiudizi,  le sue barriere e i suoi ostracismi, non era facile che ciò avvenisse in concreto, per di più per un museo di arte antica.  A Civita il merito di esserci riuscita, e lo stesso nome del progetto ne riassume il valore, “noi agiamo”: in quel “noi” c’è la collaborazione, nell'”agiamo” la concretezza e la determinazione.  

Il soffitto della sala “Pietro da Cortona”, il grande affresco “Il trionfo della Provvidenza” 

Info 

La manifestazione si è svolta a Palazzo Barberini in Via Quattro Fontane, Roma, nella sala “Pietro da Cortona”. Cfr. i nostri precedenti articoli in questo sito, su incontri e conferenze organizzati da Civita a sostegno di iniziative culturali: nel 2018 per “La cultura come diritto di cittadinanza”, 10 e 25 ottobre, il “Festival europeo dei Cammini sulle vie Francigene”  9 luglio, la ricerca “L’arte di produrre Arte”  14 e 18 febbraio,  la ricerca sul  “Soft Power” l’11 e 15 febbraio.                   . 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Barberini nel corso della manifestazione di Civita, che si ringrazia per l’opportunità offerta. In apertura, l’intervento conclusivo del ministro del MiBAC Alberto Bonisoli, alla sua sin. Gianni Letta, presidente di Civita, alla sua dx il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori; segue una serie di immagini della presentazione dei 10 interventi del progetto “WeACT³”,  gruppo DAB e Avvenia-Ericsson, Mastercard e Vodafone-Tre, Enea e DM Cultura-Oracle obiettivi e azioni, fino alla “slide” sui  nuovi servizi ai visitatori; poi due immagini dei premiati da Civita; infine, la volta della sala con l’affresco di Pietro da Cortona “Il Trionfo della Provvidenza” oggetto di un intervento del progetto; in chiusura, la foto di gruppo finale dopo le presentazioni dei risultati, i rappresentanti delle 12 imprese intervenute nel progetto “WeACT³” intorno al ministro del MiBAC Alberto Bonisoli, al presidente di Civita Gianni Letta e al direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori.

Al termine degli interventi, i rappresentanti delle 12 imprese  patecipanti al “WeACT³”, con il ministro del MiBAC Alberto  Bonisoli, il presidente di Civita Gianni Letta e il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Sartori

di Romano Maria Levante

Il 13 dicembre 2018 a Palazzo Barberini,  nella sala Pietro da Cortona, sono stati illustrati i risultati del progetto WeACT³,  la Tecnologia per Arte, Cultura, Turismo, Territorio”, promosso e coordinato da Civita, con il quale 12 imprese specializzate in diversi campi altamente innovativi  hanno elaborato strumenti avanzati per migliorare la tutela, fruizione e valorizzazione dell’inestimabile patrimonio  custodito nei palazzi Barberini e Corsini, ricchi di storia e  memoria,  d’arte e cultura di cui rendere partecipi i visitatori nel modo più efficace  consentito dalla più moderna tecnologia. Sono intervenuti, fornendo sintesi esplicative del loro contributo, i responsabili delle 12 imprese impegnate nel  progetto, dopo l’introduzione di Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, e la presentazione di Gianni Letta, presidente di Civita. Ha concluso la manifestazione il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli. L’accordo per il progetto di intervento coordinato era stato firmato e illustrato nei suoi contenuti il 31 ottobre 2017 a Palazzo Barberini, dagli stessi partecipanti attuali, il presidente di Civita e i rappresentanti delle 12 imprese, con il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, alla presenza dell’allora ministro del MiBACT.  Dopo un anno di lavoro sono stati presentati gli strumenti innovativi realizzati a un livello tecnologico particolarmente avanzato, di pronta applicazione.   

Il  ministro del MiBAC Alberto Bonisoli conclude la manifestazione sul progetto  “WeACT³”, alla sua sin. il presidente di Civita, Gianni Letta, alla sua dx il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori

L’intervento di presentazione di Gianni Letta, presidente di Civita

Il presidente di Civita,Gianni Letta, ha sottolineato che la realizzazione di un progetto come il “WeACT³”.  La Tecnologia per Arte, Cultura, Turismo, Territorio”  volto alla migliore tutela e valorizzazione dei  beni culturali, conferma l’importanza della collaborazione tra privato e pubblico perseguita da Civita  sin dalla costituzione per un trentennio.

Ha fatto rilevare che, pur in questa continuità, l’iniziativa si può definire unica perché per la prima volta hanno collaborato a realizzare un progetto comune 10 imprese, le quali,  sulla base delle loro  competenze specialistiche hanno messo a disposizione soluzioni tecnologiche altamente innovative per un intervento di interesse pubblico, com’è  quello riguardante le Gallerie Nazionali d’Arte Antica con le loro collezioni  che custodiscono “capolavori assoluti”  e sono “culla di quella cultura europea sei-settecentesca di cui i Barberini e i Corsini e gli omonimi palazzi furono protagonisti”.  Il gruppo di imprese – con il coordinamento di Civita,  cui le imprese sono associate – ha operato dando risposte tecnologicamente avanzate alle  esigenze prospettate dalla direzione delle Gallerie  che ha le competenze per individuare ed evidenziare i problemi e valutare le soluzioni proposte.  

Una “slide” di presentazione dell’intervento del gruppo “DAB” nel progetto  “WeACT³”

“La strada da seguire è, dunque, quella dell’integrazione, sempre più stretta, fra competenze e tecnologie a vantaggio di un’effettiva fruizione dei nostri meravigliosi luoghi di cultura, sempre più accoglienti verso il pubblico e la comunità, oltre che della loro valorizzazione, primo strumento, ricordiamolo, verso un’opportuna e più ampia conoscenza”, sono le parole di Gianni Letta.  Il progetto “WeACT³”, promosso da Civita per le Gallerie Nazionali di Arte Antica, può essere ritenuto dunque un progetto pilota per un’applicazione al sistema museale italiano in modo da portarlo all’avanguardia come merita per la ricchezza inestimabile del suo patrimonio artistico,

“É questa la direzione a cui, nel prossimo futuro, devono volgere lo sguardo i nostri musei per rimanere al passo con i tempi e divenire luoghi sempre più partecipati dal pubblico”.  La collaborazione tra pubblico e privato potrà svolgersi “senza timori o reticenze; la chiave è riuscire a trovare la formula corretta nel pieno rispetto dei ruoli, come avvenuto nel caso del progetto “WeACT³”. E’ stata un’esperienza preziosa, che ha dato avvio a un modello di gestione replicabile su altri siti culturali italiani. “Ci crediamo con fermezza – ha concluso Gianni Letta – perché è in gioco la crescita non solo civile ma anche economica di un Paese, il nostro, che può vantare capolavori artistici di assoluto prestigio a livello internazionale. Senza conservatorismi o posizioni difensive, e con il coraggio di guardare alla Cultura come un pilastro del futuro”. 

Le conclusioni del Ministro dei beni e delle attività culturali Alberto Bonisoli

Al termine delle presentazioni dei risultati ottenuti da ciascuna delle 10 imprese impegnate nel progetto “WeACT³”, ilministro del Beni e delle Attività Culturali Alberto Bonisoli ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra vari soggetti che lavorano insieme per lo stesso obiettivo, pur nella diversità delle loro finalità. E ha aggiunto che “si possono avere ricadute inaspettate al di là delle previsioni iniziali. Nel “WeACT³” c’è stato il coinvolgimento del personale con l’effetto  di una rigenerazione perché così possono mettere del proprio e dare il massimo”.    

Una “slide” di presentazione dell’intervento del “Consorzio Glossa” nel progetto “WeACT³”

E’ importante applicare soluzioni tecnologiche avanzate a un mondo, come quello dei musei, orientato alla conservazione; e ha ricordato che il suo Ministero sta lavorando in questo senso a un sistema per la sicurezza esterna che si avvalga dei satelliti, come il “WeACT³” opera per la  sicurezza interna, inoltre c’è notevole impegno nella digitalizzazione. Un aspetto fondamentale riguarda la capacità di “dare al visitatore gli strumenti per conoscere e capire l’opera, contestualizzarla anche rispetto alla vita degli autori con  un adeguato accesso alle  informazioni”.

Quindi nel progetto “WeACT³” convergono due fattori fondamentali per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale: “Da un lato la collaborazione pubblico-privato, dall’altro le nuove tecnologie”. Il Ministro lo ha definito “un modello virtuoso che accoglie le sfide di un mondo in continua evoluzione, puntando a una maggiore efficienza ed efficacia nella gestione delle risorse e, al contempo, a un nuovo modo di pensare la funzione museale, come un sistema integrato di servizi, ad alto grado di innovazione”. Per i principali musei, come per le città d’arte, si pone anche il problema dell'”eccesso di domanda”  soprattutto in periodi particolari, per cui va disciplinato il flusso di visitatori con gli strumenti disponibili di monitoraggio e regolazione. 

Un momento della presentazione dell’intervento di “Avvenia-Ericsson” nel progetto “WeACT³”

Ha insistito, poi, sul “valore della creatività per trovare soluzioni anche facili che rispondano a precisi obiettivi”. E ha sostenuto l’importanza di “utilizzare la creatività dei giovani, perché possono pensare a soluzioni a cui non si è abituati, ma spesso non lo si fa”. Infine è tornato sulla collaborazione tra pubblico e privato nella quale il privato porta “la maggiore velocità rispetto al pubblico, la propensione al rischio e la flessibilità che il pubblico non ha”. Quindi la collaborazione va perseguita, “basta trovare le forme più opportune, c’è molto spazio  di miglioramento e ammodernamento con le nuove tecnologie”. Siamo dinanzi a un vero e proprio balzo in avanti in campo tecnologico ed “abbiamo le competenze al nostro interno, dobbiamo utilizzarle come si è fatto con il progetto “WeACT³”.

Finalità e contenuto di “WeACT³” secondo Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie

Flaminia Gennari Santori, direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, ha detto che “il progetto ci ha entusiasmato sin dall’inizio e ha coinvolto i nostri curatori”, e il rapporto con le imprese impegnate nella realizzazione “si è sviluppato nel corso di un processo di ridefinizione del museo e dei suoi ruoli”.  E’ stato costituito “uno staff  rafforzato dall’innesto di personalità prima assenti o insufficienti” aperte all’innovazione e alla collaborazione di imprese private; e a questo riguardo “di importanza strategica è stato il ruolo di Civita che ha coordinato e facilitato le relazioni tra tutti i soggetti coinvolti e le risorse del museo”. Ha fatto poi due precisazioni non scontate.  

La prima non è scontata perché potrebbe sorprendere che strumenti tecnologicamente così avanzati e innovativi vengano applicati nelle Gallerie d’Arte Antica piuttosto che nelle sedi espositive dell’arte contemporanea, apparentemente meglio predisposte:  “Sono  fermamente convinta che i musei, e in particolare quelli di arte antica situati in edifici storici  di particolare interesse, siano un laboratorio straordinario e imprescindibile  per testare le tecnologie in contesti integrati e complessi”; ebbene, i Palazzi Barberini e Corsini hanno questi requisiti al massimo livello nel valore storico e artistico. Lo stato degli edifici e dei suoi impianti va tenuto sotto controllo per la sicurezza, anche riguardo al controllo del flusso del pubblico. E le condizioni climatiche vanno monitorate costantemente in particolare per il risparmio energetico, le Gallerie Nazionali hanno partecipato con un proprio progetto al bando della Regione Lazio sull’innovazione tecnologica.   

Una “slide” di presentazione dell’intervento di “Mastercard” nel progetto “WeACT³”

Una seconda precisazione riguarda l’adozione di strumenti avanzati per le particolari esigenze del mondo museale: “Le piattaforme per l’interpretazione delle opere, la sperimentazione per una fruizione multimediale delle collezioni e degli spazi, i servizi al visitatore, e il monitoraggio delle strutture e delle opere, sono campi in cui la ricerca digitale e quella museologica si incontrano, e si arricchiscono vicendevolmente. Il museo reale e quello digitale e tutti i prodotti elaborati in questa occasione lo confermano”.  In pratica, mediante le piattaforme digitali – che in Italia sono ancora rare mentre all’estero sempre più diffuse –  vengono centralizzate le informazioni in modo da poterle integrare con i sistemi di fruizione e aggiornate automaticamente per rendere sempre più accessibile al pubblico il patrimonio artistico fornendogli informazioni adeguate nel modo più semplice per una visita personalizzata.      

I risultati ottenuti nei 10 interventi del “WeACT³”  

I risultati  ottenuti sono stati illustrati dai responsabili delle 12 imprese impegnate nel progetto, con  interventi nei quali hanno utilizzato “slides”per sintetizzare tre elementi fondamentali: “Why”, cioè l’obiettivo perseguito,  “What”,  l’intervento da attuare, “How”, il modo come si realizza.  Non possiamo seguire questa articolazione esplicativa ma dobbiamo limitarci a una panoramica del 10 interventi realizzati per dare una idea di come sono stati affrontati e risolti i relativi problemi, con riferimento alle sedi delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini. .

Un primo risultato riguarda l’“Energy management” e fa capo alle imprese Avvenia ed Ericsson che hanno perseguito l’obiettivo di “individuare i margini di miglioramento ed efficientamento  degli edifici e degli impianti delle due sedi del museo”, in modo da qualificare il servizio che viene offerto ai visitatori. L’intervento consiste nell’installazione di un sistema IoT di monitoraggio e diagnostica non invasivo ad un livello tecnologico molto elevato  per raccogliere i dati e poterli elaborare con un apposito modello di calcolo per definire le azioni di miglioramento energetico. Oltre al risparmio energetico, quindi economico, garantisce maggiore sicurezza delle opere esposte.

Alla sicurezza è dedicata la piattaforma software “Security&Safety” a cura del gruppo DAB S.p.A., che gestisce i sistemi di  sicurezza centralizzati per i due palazzi  presso la sala regia di Palazzo Barberini con un monitoraggio costante. Ma, come l'”energy management” ha come risultato secondario la maggiore sicurezza, così “Security& Safety ha come risultato anche la gestione in una sola piattaforma software dei segnali di allarme emessi dai sensori di microclima, cioè temperatura, umidità e luminosità, che riguardano non solo la sicurezza ma anche l’assetto energetico complessivo. Naturalmente, il tutto è coordinato in modo appropriato. 

La “slide” iniziale della presentazione dell’intervento di “Vodafone” e  “Wind-Tre” nel progetto “WeACT³”

Dalla tutela dei due siti museali alla organizzazione  dei contenuti con il “Sistema di gestione delle Collezioni” del Consorzio Glossa, definito rivoluzionario perché raccoglie in un’unica piattaforma integrata “on line”, quindi accessibile via Web,  i principali elementi informativi, dalle immagini al catalogo agli inventari, in modo da fornire una base conoscitiva dell’intero patrimonio museale alle funzioni interessate alla classificazione e movimentazione, restauro e allestimento, documentazione e comunicazione. Le digitalizzazioni preesistenti sono state inserite nel sistema integrato che già conta 2.400 voci di inventario, 12.000 immagini digitali, le planimetrie e gli allestimenti. 

Si passa dall’organizzazione interna alla fruizione dei visitatori con la “Guida digitale della Galleria Corsini”,  sempre a cura del Consorzio Glossa il quale ha “rivoluzionato” il sistema attuale  mediante un “tablet”  – che abbiamo provato personalmente – fornito ai visitatori perché possano orientarsi tra le sale e ricevere  le informazioni – in italiano, inglese e francese – per la migliore conoscenza delle opere e  degli autori, particolarmente utile per opere poste in alto nelle quadrerie. Le informazioni sono estratte automaticamente dal “Sistema di gestione delle Collezioni” sopra descritto, quindi sempre aggiornate nelle collocazioni espositive e negli allestimenti speciali.   

Un momento della presentazione dell’intervento di “Enea” nel progetto  “WeACT³”

Dalla Galleria Corsini con le sue quadrerie a Palazzo Barberini con la “Digitalizzazione della Volta” a cura di Enea. Lo spettacolare affresco di Pietro da Cortona, “Il trionfo della Divina Provvidenza”,  è stato scansionato (con lo scanner Red Green Blue – Imaging Topological Radar) mediante l’utilizzo combinato di 3 fasci per ottenere un modello in 3D colorato ad alta densità di punti, e questo è stato fatto senza inibire l’accesso ai visitatori e senza impalcature. In tal modo si potrà provvedere al monitoraggio della volta per evidenziare lesioni e danni all’affresco e definire eventuali restauri. Possono essere apprezzati dettagli non visibili ad occhio nudo. 

L’Enea ha realizzato anche il sistema chiamato “Ricostruzioni 2D&3D” perché  con la tecnica fotogrammetrica trasforma le immagini digitali 2D in un modello 3D, visibile con gli appositi occhiali che fanno percepire le tre dimensioni. Il sistema è stato applicato a due opere del Palazzo Corsini: la scultura romana del I sec. a. C, “Trono Corsini”, e il busto in terracotta, di cui è autore Gian Lorenzo Bernini, “Ritratto di Alessandro VII Chigi”.  Abbiamo constatato di persona che le opere vengono esplorate in ogni dettaglio, ruotano su se stesse e rivelano particolari inaccessibili nella visione normale. Così può venire monitorata costantemente anche la loro conservazione.  

Ora diamo conto degli interventi meno eclatanti ma molto utili per la gestione amministrativa. Mastercard  ha predisposto uno strumento per “Pagamenti digitali” rapidi e semplici che allarga l’area dei pagamenti digitali e aggiunge le prenotazioni “contactless” . Inoltre ha inserito le Gallerie Nazionali nel sistema di promozione mediante la piattaforma internazionale “PricelessCities”, sistema operante in 40 città del mondo di cui Mastercard  dispone per eventi ed esperienze esclusive non solo culturali, ma anche enogastronomiche, di shopping ed altro,  riservate ai titolari delle sue carte di credito,  che possono  visitarle “priceless”: nel sistema ci sono Roma, Milano e la Sicilia.    

Una “slide” di presentazione degli obiettivi dell’intervento di “DM Cultura-Oracle” nel progetto”WeACT³”

Una significativa collaborazione  tra Vodafone e Wind -Tre  ha portato al “Mobile ticketing”, con il quale si potrà acquistare il biglietto  direttamente mediante lo “smartphone” utilizzando il credito telefonico. In pratica, si potrà aprire il portale a ciò dedicato ed entrare nell’area riservata alle Gallerie Nazionali Barberini e Corsini, selezionare la data della visita, il numero e il tipo di biglietti, poi confermare l’acquisto inviando un SMS al numero telefonico indicato, dal quale verrà trasmesso un SMS all’acquirente con il PIN  da mostrare alla Cassa per entrare nel museo. Ovviamente l’importo del biglietto viene scalato dal credito telefonico o addebitato in fattura.

Con il  “Digital Marketing”  un’altra collaborazione tra DM Cultura e Oracle ha portato a generare un sistema innovativo di comunicazione con il mercato in modo personalizzato, tempestivo e rilevante, che sono i requisiti per la sua efficacia.  Attraverso la piattaforma “Cloud”, dove sono raccolte tutte le informazioni utili ad incrementare l’afflusso di visitatori, vengono creati messaggi personalizzati con  l'”orchestrazione della comunicazione”,  passando cioè dalla comunicazione unidirezionale alla comunicazione relazionale. Si possono poi monitorare e correggere i messaggi. 

Le ultime realizzazioni riguardano la “Comunicazione e Promozione”. Civita, oltre al coordinamento organizzativo del progetto “WeACT”  è impegnata a realizzare una serie di “Eventi promozionali”, incontri e iniziative culturali per accrescere la conoscenza delle due sedi delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica. Con Ericson ha organizzato la “Maratona digitale” , un “hackathon” per stimolare la creatività delle “start up” ,  idee e prototipi  di servizi e prodotti per un museo del futuro, è stato premiato il team vincitore con  3.000 euro in palio da Civita.  Logotel ha realizzato un sito web, un video e un kit di comunicazione sull’intero progetto  “WeACT³”.   

Al termine di questa rapida rassegna possiamo dire che è stata affrontata  un’ampia gamma di problematiche  che riguardano i musei interessati – Palazzo Barberini e Palazzo Corsini – ma, con modalità ovviamente diverse, possono venire estese al sistema museale nazionale. Dovrebbe interessare direttamente il Direttore generale dei Musei del MiBAC, che di recente alla sede di Civita ha esposto il nuovo programma di interventi per porre strutture e organizzazione al passo dei tempi.  

Una “slide” di presentazione delle azioni dell’intervento di “DM Cultura-Oracle” nel progetto “WeACT³” 

Per tutti i problemi affrontati sono state trovate soluzioni  tecnologicamente avanzate,  tradotte in sistemi e dispositivi  altamente innovativi. Si è passati dal miglioramento della sicurezza e dell’efficienza energetica dei siti all’organizzazione e gestione delle collezioni, con la guida digitale per la migliore fruibilità da parte dei visitatori; poi a specifici interventi volti al monitoraggio di opere particolarmente significative,  per la  tutela e l’eventuale restauro e per la conoscenza nei dettagli da parte dei visitatori; fino ai pagamenti digitali  veloci e semplici su carte di credito e su “smartphone”, e a sistemi promozionali basati sulla personalizzazione delle comunicazioni e su eventi appositi con uno sguardo al futuro per apposite iniziative e sistemi promozionali. 

Le imprese impegnate nel “WeACT³”, eccellenze e partnership

E’ d’obbligo a questo punto una rapida rassegna delle imprese impegnate nel progetto integrato promosso e coordinato da Civita che ha mobilitato,  tra le 160 associate, le 12 che si sono dichiarate in grado di fornire i servizi museali richiesti ad un elevato livello di specializzazione e nel contempo disponibili ad operare in stretto coordinamento con altre imprese.  In tal modo la trentennale propensione di Civita a promuovere la collaborazione tra pubblico e privato si è arricchita di un ulteriore elemento di notevole valore: l’intervento progettuale integrato di una serie di imprese private in stretta intesa tre loro, fino alla “partnership”, e nel costante dialogo con il destinatario che ha apportato la propria competenza in un settore particolare come quello museale dove sono presenti esigenze e problemi eterogenei da affrontare e risolvere nel superiore interesse pubblico.  

Una “slide” con le possibilità offerte al visitatore dai nuovi servizi di assistenza del progetto “WeACT³” 

Troviamo dei campioni assoluti  come Avvenia, società del gruppo Terna nata nel 2001, componente della Federazione Italiana per l’uso razionale dell’Energia, divenuta leader mondiale nell’efficienza energetica con un elevato numero di progetti di efficientamento in Italia, mediante  Energy Performance Contracts, anche in collaborazione con altre imprese. Ha fornito i sensori per il monitoraggio continuo della situazione ambientale ed energetica.   

Ha operato in partnership con Ericsson, la società svedese leader mondiale nelle tecnologie e nei servizi per la comunicazione, presente in 180 paesi, il 40% del traffico mobile mondiale passa attraverso le sue reti, nel 2017 ha investito in R&S il 19% del fatturato, possiede 45.000 brevetti di telecomunicazioni, i Italia è presente da un secolo, oggi con 3.000  professionisti. Ha fornito la piattaforma IoT Accelerator per gli interventi sulla  base delle informazioni dei sensori di Avvenia.

Avvenia  ha un dialogo costante con l’Enea, l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, partner del Centro di eccellenza DCT Lazio, che si è segnalata nel trasferire le tecnologie elaborate per campi diversi, al settore dei beni culturali:  in particolare nella progettazione ed esecuzione dei restauri, nel monitoraggio dello stato di conservazione e  nella protezione e fruizione anche in situazioni molto difficili. Nel progetto “WeACT³” la visualizzazione e il  monitoraggio in 3D.   

Un momento della presentazione dell’intervento di “Logotel” nel progetto “WeACT³”  

Livello di eccellenza anche per Oracle,  in Italia da 25 anni con 1.100 dipendenti e 700 Business partner, specializzato nelle metodologie di comunicazione. Le sue applicazioni, definite “Software as a Service”, comprendono processi di “Enterprise Resource Planning” e “Human Capital Management”, “Customer Relatiionship Management” e “Platform – Infrastructure as a Service”. Al “WeACT³” ha portato  la piattaforma per una comunicazione personalizzata  e monitorata

“Mastercard” e “Vodafone” con “Wind-Tre”, partecipanti  al “WeACT³” con innovazioni nei pagamenti, “contactless” e tramite “smartphone”  oltre che con offerte promozionali dedicate, sono ben note, basta ricordare alcune peculiarità.  Mastercard  è il network globale dei pagamenti presente in 210 paesi e partner di 22.000 istituzioni finanziarie,  leader tecnologico mondiale nella  connessione dei consumatori con i diversi mercati e sponsor di importanti manifestazioni sportive. Vodafone è un leader mondiale nelle telecomunicazioni, presente in 90 paesi tra rete mobile, fissa  e partnership.  con oltre 500 milioni di clienti nel mobile e 20 nella rete fissa, in Italia ha 7.000 dipendenti di cui 2.500 per l’assistenza ai clienti. Wind-Tre ha un’importante presenza in Italia soprattutto nella telefonia mobile, con la fusione di “Wind” e “H3G”  che dal settembre 2018 hanno come azionista unico CK Hutchinson; con la “Open Fibre” ha un accordo  per realizzare in Italia la banda ultra larga, con reti di fibra di nuova generazione, ha operato in partnership con Vodaphone.

Dai campioni mondiali a quelli italiani in nicchie specialistiche del mondo culturale. Il gruppo DAB, nato 45 anni  fa, è definito “il primo Polo Tecnologico Sicurezza” , centro di eccellenza per il controllo tecnologico della sicurezza  dei beni, delle persone e del territorio; agisce su tutto il fronte, dalla ricerca e sviluppo all’analisi e progettazione, fino alla realizzazione di sistemi complessi di sicurezza e il relativo tele monitoraggio, vigilanza e formazione. Al “WeACT³” ha portato in concreto la piattaforma software di monitoraggio per la tutela delle opere e dei visitatori. 

I tre componenti il “team” vincitore del concorso con il premio di Civita 

A sua volta il Consorzio Glossa, impegnato nella ricerca orientata all’applicazione delle tecnologie informatiche alle scienze umane, si è specializzato in particolare nella catalogazione, conservazione e fruizione dei beni culturali e ambientali, anche nell’ottica della multimedialità ed editoria elettronica con traduzione assistita dal computer, e questo nell’interazione con Istituzioni universitarie, Enti di Ricerca e Organismi nazionali ed esteri. Di qui la sua partecipazione al progetto “WeACT³” con il Sistema integrato di gestione collezioni e il “Tablet per i visitatori.

Mentre il DM Cultura, sorto  30 anni fa per il settore delle Biblioteche, ha esteso l’attività agli Archivi storici, ai Musei e ai luoghi della cultura, con 5.500 enti pubblici e privati suoi clienti.  Fornisce consulenza strategica e piattaforme tecnologiche, strategia digitale e servizi web e mobile anche per la sicurezza. Specializzata nei modelli di fruizione e valorizzazione interattivi ed immersivi dei luoghi di cultura, in particolare i musei, con l’impiego di tecnologie digitali innovative, è intervenuta nel “WeACT³” per la comunicazione volta alla crescita dei visitatori.

Le imprese citate hanno concorso alla realizzazione del “WeACT³” in modo integrato, non solo mediante il coordinamento dei loro interventi curato da Civita, ma con partnership  come quelle tra Avvenia ed Ericsson, DM Cultura e Oracle, in cui hanno collaborato strettamente leader mondiali e aziende nazionali, e tra Vodafone e Wind-Tre in cui addirittura  hanno lavorato insieme gruppi in diretta  concorrenza nel mercato telefonico italiano in cui la competizione è particolarmente aspra. 

L’altra premiata da Civita nel concorso citato  

Il “WeACT³” ha quindi una storia meritevole di essere raccontata, unendo eccellenze private che concorrono anche con partnership tra leader mondiali e società italiane minori, e tra gruppi concorrenti, coordinate dall’Associazione di cui fanno parte, su un progetto di interesse pubblico dialogando con le Gallerie Nazionali di Arte Antica per avvalersi delle loro competenze. E anche a questo si è pensato, allo “storytelling” dell’iniziativa il cui coordinamento è stato affidato a Logotel, una “service design company”  operante da 25 anni con sede a Milano, che nel 2017 ha realizzato progetti di trasformazione aziendale con  60 clienti coinvolgendo 5.000 persone in progetti formativi.  Nell’apposito sito  Web e nei video realizzati c’è un racconto univoco e integrato che dà al “WeACT³” un’identità ben precisa facendone uno strumento di comunicazione promozionale.

Tecnologia e innovazione, dunque, al servizio dell’arte e della cultura. In fondo questi mondi così diversi hanno in comune un elemento indispensabile, la creatività; quindi è naturale che si siano incontrati.  Ma in un paese come il nostro,  con i suoi individualismi e i suoi pregiudizi,  le sue barriere e i suoi ostracismi, non era facile che ciò avvenisse in concreto, per di più per un museo di arte antica.  A Civita il merito di esserci riuscita, e lo stesso nome del progetto ne riassume il valore, “noi agiamo”: in quel “noi” c’è la collaborazione, nell'”agiamo” la concretezza e la determinazione.  

Il soffitto della sala “Pietro da Cortona”, il grande affresco “Il trionfo della Provvidenza” 

Info 

La manifestazione si è svolta a Palazzo Barberini in Via Quattro Fontane, Roma, nella sala “Pietro da Cortona”. Cfr. i nostri precedenti articoli in questo sito, su incontri e conferenze organizzati da Civita a sostegno di iniziative culturali: nel 2018 per “La cultura come diritto di cittadinanza”, 10 e 25 ottobre, il “Festival europeo dei Cammini sulle vie Francigene”  9 luglio, la ricerca “L’arte di produrre Arte”  14 e 18 febbraio,  la ricerca sul  “Soft Power” l’11 e 15 febbraio.                   . 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante a Palazzo Barberini nel corso della manifestazione di Civita, che si ringrazia per l’opportunità offerta. In apertura, l’intervento conclusivo del ministro del MiBAC Alberto Bonisoli, alla sua sin. Gianni Letta, presidente di Civita, alla sua dx il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori; segue una serie di immagini della presentazione dei 10 interventi del progetto “WeACT³”,  gruppo DAB e Avvenia-Ericsson, Mastercard e Vodafone-Tre, Enea e DM Cultura-Oracle obiettivi e azioni, fino alla “slide” sui  nuovi servizi ai visitatori; poi due immagini dei premiati da Civita; infine, la volta della sala con l’affresco di Pietro da Cortona “Il Trionfo della Provvidenza” oggetto di un intervento del progetto; in chiusura, la foto di gruppo finale dopo le presentazioni dei risultati, i rappresentanti delle 12 imprese intervenute nel progetto “WeACT³” intorno al ministro del MiBAC Alberto Bonisoli, al presidente di Civita Gianni Letta e al direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Santori.

Al termine degli interventi, i rappresentanti delle 12 imprese  patecipanti al “WeACT³”, con il ministro del MiBAC Alberto  Bonisoli, il presidente di Civita Gianni Letta e il direttore delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, Flaminia Gennari Sartori

Friedller, il colore degli abissi, al Vittoriano

di Romano Maria Levante

Un’esposizione di  20 grandi dipinti molto colorati al Vittoriano, dal 9 novembre al 2 dicembre 2018, nella mostra “Behind the World”, di Julien Friedler, definito “pittore degli abissi”.  La mostra è a cura di Dominique Stella, organizzata da Arthemisia con Spirit of Boz – Julien Friedler, Association of Contempoirary Art.  Catalogo di La Route de la Soie Editions. L’artista belga ha esposto, oltre che in una ventina di mostre collettive,  in una trentina di mostre personali:  in Italia, a Milano e Torino, Genova e Venezia, Spoleto e Arezzo, Abano Terme e Bordighera, prima dell’attuale mostra a Roma; all’estero, a Bruxelles e Ostenda, Parigi e Marsiglia, Berlino e Monaco, Londra e New York. 

Le Totem et les deux chevaliers” , 2014

A prima vista sembra una contraddizione che il “pittore degli abissi”, secondo la definizione del curatore, li rappresenti con una sinfonia di colori invece che con le ombre cupe cui normalmente sono associati. Ma non si tratta di abissi marini, né di gole profonde, bensì dei recessi dell’anima, che l’artista cerca di esplorare calandosi nell’inconscio. E allora i colori esprimono le pulsioni e le sensazioni  che esplodono anche nei sogni spesso colorati e  in toni allucinati.

I viaggi nell’anima dell’artista psicanalista

L’artista va  oltre la rappresentazione di queste pulsioni, è impegnato nell’esplorarle direttamente  per la sua formazione da psicanalista, spinto anche dall’amore per la filosofia e dalla passione per i viaggi che lo ha portato in contatto con  tante diversità etniche e psicologiche.  E’ stato analista allievo di  Lacan convinto che le malattie psichiche nascessero da conflitti che possono essere sciolti con  la parola e l’analisi. Ha condotto delle ricerche in un istituto creato appositamente nel 1990, “Le Maire,  che fu sciolto dopo pochi anni, ma ha portato contributi nella psicanalisi. 

“Ecstasy” , 2014 

Il suo approccio da psicanalista si avverte nel  continuo interrogare l’anima “per tentare di comprendere i meccanismi  del pensiero, di percepire gli stati di coscienza,  e di vigilanza, cercando di decifrare l’impenetrabile enigma della vita”, come afferma il curatore Dominique Stella.

E non si impegna in questa esplorazione  soltanto individualmente, ma anche attraverso la sua associazione  “Spirit of Box” creata “per instaurare – praticando l’espressione orale, letteraria, pittorica  e creativa in generale – scambi e legami, costituendo così una comunità di pensieri e testimonianze su realtà individuali e collettive, provenienti da vari luoghi nel mondo”. Il lato individuale e quello collettivo  sono collegati in questo mondo interiore, l’obiettivo è “riconciliare azione e contemplazione, nell’intento di promuovere un pensiero umanistico e catartico”.  

“Corps & artefice”, 2018   

L’espressione pittorica è il risultato della meditazione individuale; ispirata dai viaggi nell’anima per penetrare i misteri dell’inconscio, e dai viaggi nel mondo per conoscere  culture e civiltà. Una introspezione riferita innanzitutto a se stesso e poi applicata agli altri per scoprire le motivazioni recondite: “Un viaggio per esplorare l’animo umano nella sua complessità atavica e universale”.   Vedere ciò che c’è “behind the World”, dietro al mondo, secondo il titolo della mostra.

Molteplicità, dunqued i motivi e le forme espressive, alla ricerca incessante di stimoli e impulsi. Ne è una prova tangibile l’installazione con una serie di 9 teste poggiate su alte colonne in uno spazio oscuro, è l’embrione iniziale della “Foresta delle anime” che sarà completata sulla base delle risposte a un questionario  preparato dall’artista nell’ambito dell’associazione “Spirit of Box”.  Il collettivo e l’individuale trovano così un modo di esprimersi ad un alto livello di creatività.

“Le Chute du Joker”, 2010 

La pittura della profondità

Abbiamo detto che gli abissi si riferiscono alla profondità della sua esplorazione. E’ una profondità che non fndere in basso, anche se riguarda i recessi dell’inconscio, dove si annidano “le connessioni segrete con l’invisibile”. Proprio perché invisibile e riguarda l’infinito e il divenire, va oltre la percezione e la comprensione, e porta alla trascendenza,a cui tende  l’artista. Il quale, anche nei confronti di ciò che è visibile, l’aspetto esteriore, si esprime così:  “La bellezza aspira certamente al sublime e alla contemplazione, ma la sua forza ci trascende”.

 “Pittura della profondità”, dunque,  i cui requisiti sono  scanditi in 10 punti così indicati: non si ispira al reale (materiale) ed è intuitiva e irrazionale; non obbedisce a canoni prefissati e comporta una parte di bellezza spontanea, a volte inquietante, comunque soggettiva; al di là della forma e della realtà, esprime l’impressione, l’atmosfera attraverso il colore, e rappresenta la visione oltre le apparenze; implica la libertà d’azione ed esplora il subconscio collettivo basandosi sulla meditazione e sul mistero; partecipa alla costruzione di un disegno universale ed entra in una dimensione infinita, in cui ogni opera del microcosmo soggettivo è come la tessera dell’unico mosaico del macrocosmo universale: “Un quadro in grado di ricomporsi  nella mente di tutti coloro che vi si dedicheranno”.

Le Maitre des couleurs”,  2017 

Non ci si affida alla ragione, anche se la pittura nasce dalla meditazione individuale, ci si immerge nel mistero, che supera  forme e convenzioni di qualsiasi tipo. “E’ qui che scopriamo la profondità dell’anima che, riflettendosi, si proietta sulle tele realizzate dall’artista”.  Guardiamole, dunque, queste tele con la base psicologica, filosofica e sociologica sopra delineata.

Figure iconiche e composizioni misteriose

Alcune immagini sono totemiche e nquietanti, una grande figura alta 2 metri che occupa il quadro, in acrilico su tela. Vediamo “Yama Macumba” e “Le Guerrier“, entrambi del 2010, sembrano proiettarsi in avanti rompendo un diaframma, esprimono angoscia ma anche ribellione; dello stesso periodo “Ecce Homo”, un Cristo tormentato, il corpo rosso acceso su un telo bianco.

Le Guerrier”, 2010 

Le “icone” più recenti sono “Le Phoenix”, 2016, la mitica fenice si staglia in un rosso acceso in un ambiente reso inquietante da teste allucinate, e  “L’Autre”, 2018, una sorta di  gigantesco fantasma che incede uscendo dall’ombra.

 “Le Clown Androgyne”, senza data, presenta la figura dall’ambigua sessualità che emerge dal buio; c’è poi un piccolo acrilico su carta, di 50 cm, “L’Aveugle”, il cieco ha le sembianze di Cristo. 

Altri  11 grandi dipinti sono senza una figura dominante chiaramente delineata, composizioni misteriose  che invitano a ricercare motivi comprensibili nel cromatismo estremamente variegato.  

“La Grotte aux resurrections” ,2015

La meno recente è “La Chute du Joker”, 2010, in effetti forse una figura è vagamente tratteggiata, il bianco al posto dell’eventuale volto potrebbe evocare la caduta del pagliaccio. ,  oltre non ci spingiamo.

Dei dipinti del 2014, “Totems” e  “Le Totem e les deux chevaliers”,  presentano delle sagome evocative, rosse il primo, di colore bianco e giallo il secondo, mentre “Ectasy II” è un tripudio di rossi, bianchi  e neri, forse l’efeftto dell’allucinogeno.

Si va sul sacro nel 2015, la trascendenza si esprime a livello religioso,  vediamo “La Grotte aux  résurrections”  e “Le Graal”, molto diversi, il primo intrigante con i suoi toni chiari che sembrano riflettere piccole figure, il secondo invece con forti tinte, tre sagome che richiamano quelle di “Le Totem e les deux chevaliers”. 

Ancora il sacro nel 2016 con “Crucifixion”, che potrebbe rientrare anche tra le figure iconiche, dato che l’immagine del crocifisso si intravede anche se appena delineata, ma non è dominante rispetto al dipinto 2 metri per 3; l’altro dipinto dello stesso anno, “22 marzo 2016”, è dedicato a un altro brutale sacrificio dei giorni nostri,  l’attentato dell’Isis all’aeroporto di Bruxelles e alla stazione della metropolitana nel giorni evocato nel titolo, con 32 morti, il colore rosso che sembra colare sul quadro richiama l’eccidio.    

“Ecce Homo”,  2009-10  

Dopo “Le Maitre des coleurs”, 2017), un intrico dal cromatismo delicato di filamenti con formazioni indistinte, siamo ai 2 più recenti, del 2018: “Corps & artifices” e “Ode sttanique”.  

Il primo con forme rosse al centro, che potrebbero essere corpi inquadrati in una sorta di cornice, intorno un intrico del tipo di quello precedente, forse a evocare gli artifici; il secondo  è quanto mai esplicito, figure sataniche di dimensioni diverse in un contesto nero da oltretomba.

Sono inquietanti le immagini, e in qualche caso anche i contenuti, ci si sente portati a interrogarsi. In psichiatria vengono impiegate le macchie di Rorschach per far emergere l’inconscio, le immagini di Friedler sono molto diverse, ma viene comunque una domanda: che la sua competenza di psicanalista abbia voluto creare dei nuovi test dell’anima moltiplicandone  le misure alla scala 3 metri per 2?  Si tratta di una domanda retorica a risposta negativa, ma abbiamo voluto formularla per esprimere anche questa sensazione procurata dalla vista dei dipinti, e non è poco.  

Le clown androgine”

Info

Complesso del Vittoriano, lato Fori Imperiali, Via San Pietro in carcere, ala Brasini, sala Giubileo, tel. 06.6789664. Tutti i giorni,  lunedì-giovedì ore 9,30-19,30, venerdì-sabato fino alle 22,30, domenica fino alle 20,30, entrata fino a 45 minuti dall’orario di chiusura. Ingresso gratuito. Catalogo  Julien Friedler, “Behind the World”, La Route de la Soie – Editions,  ottobre 2018, pp.  64, trilingue, italiano-francese-inglese, formato  21 x 21,   dal Catalogo  sono tratte le citazioni del testo. 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante nel Vittoriano alla rpesentazione della mostra, si ringrazia la direzione, con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura.”Le Totem et les deux chevaliers” 2014; seguono, “Ecstasy”  2014, e “Corps & artefice” 2018; poi,  “Le Chute du Joker”b2010, e “Le Maitre des couleurs” 2’017; quindi. “Le Guerrier” 2010, e “La Grotte aux resurrections” 2015; inoltre, “Ecce Homo” 2009-10, e Le clown androgine”; in chiusura, “Yama Macumba” 2010.

“Yama Macumba”, 2010
 

Giardetti, 4. I Carabinieri nella deportazione e nella Resistenza fino alla Liberazione

di Riomano Maria Levante

Si conclude la  rievocazione dell’epopea dei Carabinieri nel libro di  Gelasio Giardetti, “I carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, edito dall’Associazione Nazionale Carabinieri e  presentato l’11 ottobre 2018 presso la Legione Allievi Carabinieri di Roma da Umberto Broccoli, il gen. B. Vincenzo Pezzolet e l’autore Gelasio Giardetti. L’excursus storico compiuto fin qui é iniziato con il Risorgimento e la 1^ Guerra mondiale, passando poi alla posizione verso il regime fascista, con la campagna di Grecia, e alla 2^ Guerra mondiale, con le campagne di Russia, Africa Orientale e Settentrionale, fino all’arresto di Mussolini e alla “fuga di Pescara” del Re, alla posizione verso la RSI e all’occupazione tedesca di Roma. La storia termina con le deportazioni dei carabinieri nei lager nazisti, la protezione della popolazione dalle efferatezze nazi-fasciste e la partecipazione armata alla Resistenza fino alla Liberazione con eroi e martiri.  

La presentazione del libro, un particolare della sala, la “galleria”

La deportazione dei carabinieri romani nei lager nazisti

I carabinieri a Roma erano sottoposti al regime della RSI, con tutte le conseguenze del caso, ma di fronte all’imperversare della furia nazista, in particolare contro gli ebrei,  si impegnarono in tutti i modi per arginarla.

La conseguenza di questa azione di contrasto alle persecuzioni fu la loro deportazione, dopo il disarmo ordinato dal ministro della Difesa Graziani e fatto eseguire dal generale Casimiro Delfini il 6 ottobre 1943 con un ordine scritto – riportato in fotostatica nel libro in 100 righe dal contenuto che sembrerebbe incredibile se il documento non fosse sotto i nostri occhi – con disposizioni oltremodo minuziose (perfino l’ordine agli ammogliati di non tornare a casa per i presunti rischi del coprifuoco) per  garantire che fossero tutti  nelle caserme ignari, quindi inoffensivi, e potessero essere bloccati e neutralizzati senza che nessuno potesse sottrarsi alla catttura tornando a casa come di consueto.I paracadutisti tedeschi irruppero in pieno assetto di guerra la mattina del 7 ottobre, dieci giorni prima del rastrellamento e deportazione di 1.024 ebrei romani, come si è ricordato. 

1.  I carabinieri deportati nel trasferimento nel lager tedesco, settembre 1943

Così inizia la deportazione in Germania dei carabinieri sui carri bestiame – le notizie sono tratte dal rapporto del maresciallo Sabatini  trovato dall’Autore nell’Ufficio storico – dopo un viaggio interminabile  in treno di alcuni giorni con scarsissimo cibo e tante soste estenuanti, che terminò il 16 ottobre con l’arrivo nello Stalag VI.I/A”.  

Ma non fu l’unica deportazione dei carabinieri in Germania quella dei carabinieri romani di cui parleremo ancora di seguito. Nella conclusione del libro l’Autore rievoca il trasferimento in Germania il 20 giugno 1944, su treni in partenza da Verona e Milano, di 4.000 di loro, ne arrivarono 2.800, molti riuscirono a fuggire nelle ripetute soste dei treni. Erano stati  catturati nelle caserme con dei blitz simili a quello appena descritto operato a Roma più di otto mesi prima, Mussolini scriverà a Goering di aver trasferito in Germania 7.600 carabinieri, in un cinico consuntivo.  

Torniamo alla deportazione  sul treno con Sabatini, il testimone,  erano 900, in tutto forse 2.000, il forse è dovuto alla perdita delle tracce di altri 1.056 anch’essi deportati. “Le terribili condizioni di vita dei carabinieri durante la loro prigionia” è il titolo del capitolo in cui, sulla base delle testimonianze dei reduci riportate anche testualmente, l’Autore rievoca le loro sofferenze.

2. I carabinieri nel lager tedesco 

Patimenti inenarrabili per l’assoluta carenza di cibo, al limite della sopravvivenza, baracche fatiscenti senza protezione dal freddo che nell’inverno scendeva a 20 gradi sotto zero, turni di 12-13 ore di lavoro duro e pericoloso, che risultavano massacranti, con morti e feriti in incidenti anche a causa degli obiettivi da raggiungere per non subire punizioni e maltrattamenti, con scudisciate e colpi di baionetta spesso mortali; nelle miniere di carbone l’obiettivo giornaliero cui era obbligato ogni internato era di 60 q.li, e il lavoro doveva proseguire durante i bombardamenti senza potersi porre al riparo.

La testimonianza del carabiniere a piedi  Giuseppe Fasolino è più eloquente di qualsiasi descrizione: racconta la morte del commilitone Nobile Fimiani costretto ad andare in fabbrica sebbene fosse malato, ma proprio per questo aveva lavorato lentamente a causa della febbre alta e in infermeria fu ucciso a sangue freddo perchè ritenuto ribelle e poco produttivo.   

3. L’interno di un lager tedesco

E’  precisa e ampiamente documentata la rievocazione di questa tragedia – alla quale del resto è dedicato il libro – l’Autore cita, come sempre, nome e cognome di tanti protagonisti, a partire dal primo deportato ucciso dai tedeschi poco dopo la partenza dalla stazione Ostiense a Roma, il carabiniere Efisio Rosas. Il carabiniere Rinaldi, sposato con 4 figli, fu costretto a percorrere 3 chilometri a piedi nudi sulla neve non potendo calzare gli zoccoli di legno per le ferite ai piedi, poi impazzì per i maltrattamenti che seguirono, fu ricoverato nell’infermeria e di lui non si è avuta più alcuna notizia.

Un altro triste esempio, quello del  maresciallo Giuseppe Alberti, costretto  a stringere tra le mani per punizione il tubo rovente di una stufa, quando non resistette più al dolore fu colpito con la baionetta. Inoltre la feroce bastonatura – raccontata dal maresciallo Alberti – subita dai prigionieri il 5 giugno 1944 come rappresaglia per la liberazione di Roma da parte degli alleati.

4. Carabinieri partigiani

Sono tante le rievocazioni di violenze di ogni tipo sui singoli carabinieri internati, ne parlano le testimonianze di Pier Luigi Pezzati e Giovanni Tardini, Giovanni Ometto, Americo Di Marcotullio e Santo Totaro. Sono solo piccoli accenni rispetto alla drammatica dimensione della deportazione, un’epopea  tragica e gloriosa. Al termine del libro è riportato l’“Albo d’onore dei carabinieri caduti per la resistenza nei campi di prigionia e sterminio nazisti”, un dolente elenco di 602 nomi:  per  368 con i dati anagrafici completi, soprattutto minori di 40 anni, molti giovanissimi, e l’anno di morte, i più nel  1944 e il 1945;  di 234 soltanto il nome, si stanno ricercando i dati anagrafici e l’anno di morte. 

E’ la stessa sorte degli internati militari e civili, anch’essa rievocata dall’Autore, che ricorda pure  l’olocausto degli ebrei romani in un capitolo cui si è già accennato:  nel descrivere una tragedia  che non ha nulla di umano, si pone le angosciose domande di tutti e non manca di dare delle risposte che fanno riflettere.  

5. I carabinieri di Bussolengo respingono un attacco dei nazisti, 8-9 settembre 1943 

La lotta antinazista dei Carabinieri  nelle bande partigiane

Ma i Carabinieri non hanno dovuto soltanto subire, dall’intollerabile pressione dell’illegalità e della violenza fascista e nazista con cui dovevano convivere nei territori della RSI fino alla deportazione. Alla reazione con le armi che abbiamo rievocato ricordando la loro resistenza a Roma e a Napoli nei  drammatici giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, è seguita un’azione alle volte meno visibile ma quanto mai efficace nell’aiuto alla popolazione civile per il costante imperativo di tutelarla, riferendovi il giuramento – non più rivolto al Re e tanto meno al regime –  culminata nel sacrificio supremo di Salvo D’Acquisto e in tanti altri episodi di dedizione e di abnegazione.   

L’Autore li ricorda descrivendo le efferatezze tedesche cui hanno cercato di opporsi in tutti i modi possibili. I carabinieri combatterono armi in pugno sia nell’Italia settentrionale che nell’Italia centrale – rimaste sotto il tallone tedesco, mentre il Sud era stato liberato dagli anglo-americani che con lo sbarco a  Salerno iniziarono a risalire troppo lentamente  nella penisola – non solo subito dopo l’8 settembre ma anche dopo, come rievoca l’Autore nel libro. 

6. L’eroismo del carabiniere Giuseppe Cannata a Monterotondo, 10 settembre 1943;

Si è trattato di piccoli gruppi di carabinieri, a volte il loro eroismo è stato sfortunato, come per gli otto militari della “Compagnia Carabinieri Partigiani”  del maresciallo Tarcisio Ballarini che nell’Italia Settentrionale, in Valsesia,  furono torturati dai nazi-fascisti per conoscere la dislocazioni dei nuclei partigiani e fucilati con altri compagni per non aver voluto dare tali  informazioni.

Sul Monte Grappa le formazioni partigiane di 1.400 uomini comprendevano 150 carabinieri; furono accerchiati da 20.000 nazi fascisti – tra Wermacht ed SS,  Brigate Nere e Guardia Nazionale Repubblicana – 500 partigiani caddero  nel conflitto o furono passati per le armi, i superstiti deportati in Germania. La stessa sorte per 18 carabinieri mentre il loro comandante, tenente Luigi Giarnieri,  catturato ferito dalla Brigate nere e torturato, fu impiccato nella piazza di Crespano sul Grappa per non aver voluto svelare la posizione dei partigiani, come Tarcisio Ballarini.     

7. Il sacrificio del vice-brigadiere Salvo D’Acquisto per salvare 22 ostaggi, 23 settembre 1943

Altrettanto nell’Italia centrale, si citano episodi a Città Ducale, San Severino Marche e Macerata dove il comandante, maggiore Pasquale Infelisi, accusato di sabotaggio e cospirazione, fu  fucilato a Montirozzo il 14 giugno 1944, ha avuto la Medaglia di Bronzo al valor militare. In  provincia di Arezzo furono fucilati, dopo torture cui avevano resistito senza parlare, Vittorio Tassi e un seguace giovanissimo, Renato Magi, che avrebbe voluto arruolarsi nei carabinieri a guerra finita, mentre Tassi aveva lasciato la stazione di Chiavaretto cui era assegnato per formare un gruppo partigiano, la “banda Tassi”. 

La sua storia è toccante, ricorda Salvo D’Acquisto nell’essersi denunciato come unico responsabile delle azioni di guerriglia per salvare i 5 partigiani e altri civili arrestati, non riuscì a salvare soltanto Magi perché il giovane era stato trovato in possesso delle armi. Toccante l’ultima lettera di Tassi alla moglie e di Magi alla mamma, puntualmente riprodotte nel libro.  Anche Carlo Alberto dalla Chiesa – di cui tutti ricordano l’atroce fine, ucciso dalla mafia a Palermo il 3 settembre 1982 con la moglie Elisabetta Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo –  a San Benedetto del Tronto si schierò clandestinamente contro i tedeschi rifornendo i partigiani finché, scoperto, riuscì a sfuggire alla cattura raggiungendo incolume il governo legittimo al Sud.  

8. Il sacrificio dei tre carabinieri di Fiesole, Marandola, Sbarretti e La Rocca per salvare 10 ostaggi, 12 agosto 1944

L’Autore ricostruisce nei particolari le epiche vicende nel Bosco Martese, località nel teramano dove vi furono scontri a fuoco sanguinosi dei tedeschi con i  partigiani di Mario Capuani, Ammazzalorso e Rodomonte, di cui facevano parte i carabinieri, con funzioni di comando al capitano Ettore Bianco, che sconfisse i tedeschi in campo aperto. Poi la formazione si frazionò ed Ettore Bianco radunò una banda di 200 uomini che schierò lungo la Salaria, per ostacolare i movimenti tedeschi sulla via di raccordo tra la  litoranea adriatica e il fronte di Cassino. 

Anche a Firenze i carabinieri parteciparono alla resistenza, il vicebrigadiere Giuseppe Amico, che comandava la stazione di Fiesole, coordinava clandestinamente una delle otto squadre d’azione della V^ Brigata partigiana: viene ricordato che il portaordini Rolando Lunari venne scoperto e arrestato con un carabiniere di scorta, Sebastiano Pandolfi, entrambi furono fucilati. Il comandante Amico, arrestato per complicità, evase e i carabinieri della sua stazione lo seguirono;  intanto, si era nell’agosto 1944, entrarono in città le avanguardie dell’8^ Armata britannica con due compagnie di carabinieri comandate dai capitani Fausto Gradoli e Mariano Piazza.   I tre carabinieri rimasti a presidiare la stazione, quando non fu più necessario la lasciarono per raggiungere il comandante rifugiandosi presso una confraternita e poi nella vicina zona archeologica.     

9. L’eroismo del carabiniere Mazzino Ricci, 1944-45

I tedeschi rastrellarono per ritorsione 10 ostaggi civili chiedendo che i tre tornassero in caserma con il proclama: “O saranno fucilati i carabinieri o saranno fucilati i civili”. Ebbene,  pur essendo vicini alle brigate partigiane con il comandante Amico,  si consegnarono spontaneamente ai tedeschi  per salvare gli ostaggi, in ossequio al giuramento di proteggere il popolo, furono fucilati il 12 agosto 1944, poi decorati di Medaglia d’Oro al valor militare alla memoria. I nomi, Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti, Alberto La Rocca, anche il loro gesto va accostato a quello di Salvo d‘Acquisto.  

Abbiamo accennato alle bande partigiane costituite da carabinieri  e a gruppi d’azione all’interno di bande partigiane coordinati o clandestinamente o direttamente. Il caso più eclatante è quello della “Banda Caruso” fondata dal generale dei carabinieri Filippo Caruso, eroe decorato della 1^guerra mondiale. In realtà il nome della formazione era “Fronte clandestino di resistenza dei carabinieri”, che il generale posto in congedo fondò rientrando nei ranghi a Roma per contribuire alla lotta contro le efferatezze dei nazi-fascisti, l’azione militare si svolse in tutta  l’Italia centrale.     

10. L’eroismo del carabiniere Andrea Marchini, settembre 1944

I carabinieri che ne facevano parte operavano sabotaggi con distruzione di ponti sulle vie consolari e agguati  alle forze nazi-fasciste. Entrarono nella “Banda Caruso” più di 100 carabinieri che a Roma si erano battuti negli scontri di Porta San Paolo;  65 della stazione di Porta Cavalleggeri con il maresciallo Giuseppe Ventrella e il tenente Mario Filippi dopo la deportazione del maresciallo capo Sante Natali; 38 della stazione di Cinecittà con il  maresciallo Vito Di Levo; altri della stazione di San Giovanni con il maresciallo Di Iorio,  e tanti ancora: ben  572 furono i componenti del “Fronte Clandestino di  Resistenza”.  

E qui una sorpresa, che diventerà amara, tra i comandanti ritroviamo il tenente colonnello  Giovanni Frignani e il capitano Raffaele Aversa che avevano arrestato Mussolini a Villa Savoia su ordine del Re, come abbiamo riferito in precedenza; entrarono in clandestinità subito dopo la sua liberazione da parte dei tedeschi, e furono ricercati dai nazi-fascisti come partigiani e come traditori del Duce.  

11. L’eroismo del carabiniere Giotto Ciardi, aprile 1945

La sorpresa diventa amara perché Frignani  e Aversa furono arrestati con il maggiore Ugo De Carolis per una delazione, a casa di una amica tedesca dove erano rifugiati, e portati nella sede della polizia tedesca romana in via Tasso,  museo degli orrori. Frignani fu torturato selvaggiamente davanti alla moglie ma non parlò, per la liberazione sua e degli altri arrestati intervenne inutilmente anche mons. Montini a nome  del Pontefice. Giovanni Frignani, Raffaele Aversa e Ugo De Carolis, con altri 9 carabinieri reclusi in via Tasso, finirono tra i 335 ostaggi trucidati alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, dopo l’attentato di Via Rasella  che aveva ucciso 33 componenti del plotone tedesco di  pattuglia nella zona; nel massacrarne 5 in più dei 330 previsti si andò oltre  le pur spietate leggi di guerra tedesche sulla rappresaglia dopo gli attentati.  

Invece non ebbe una conclusione tragica l’attività di un altro componente del “Fronte Clandestino”, il brigadiere Angelo Joppi, che pure fu catturato, anche lui per una soffiata, dopo aver avuto l’ardire di lanciare bombe  a mano addirittura nel cortile della sede nazista di Via Tasso, oltre a portare altri assalti alle colonne nazi-fasciste nelle vie di Roma.  Joppi fu recluso proprio nelle celle di Via Tasso per tre mesi e torturato ferocemente ma non parlò, il 3 giugno 1944 non fu eseguita la condanna a morte per un guasto al motore del camion che doveva portarlo sul luogo dell’esecuzione.  Il 4 giugno, all’ingresso degli alleati a Roma,  i tedeschi lasciarono cinque guardie che furono sopraffatte dalla “valanga dei morituri”  con lui alla testa al grido  “Tanto siamo condannati  a morire… gettiamoci a basso tutti insieme”; ha avuto la Medaglia d’Oro al valor militare per le azioni belliche e per aver resistito tre mesi “subendo ventotto martorianti interrogatori e le più atroci, massacranti, immense torture per estorcergli rivelazioni sull’organizzazione del fronte militare di resistenza”, così la motivazione.    

12. L’eroismo del carabiniere Lorenzo Gennari,  13 aprile 1945

Altra sorpresa, pure essa con un lieto fine, nelle celle di Via Tasso ritroviamo anche il generale Caruso, che abbiamo visto capo e fondatore del “Fronte Clandestino”, arrestato il 30 maggio 1944 e interrogato  nella caserma di Castro Pretorio dove lo avevano quasi strangolato per recuperare un documento compromettente  da lui ingoiato per salvare i compagni.  Resistette anch’egli alle feroci torture degli aguzzini nazisti e partecipò alla “valanga dei morituri” contro le guardie il 4 giugno 1944, riprendendo poi il comando dei carabinieri di Roma; anche lui ha avuto la Medaglia d’Oro al valor militare. Nell’Italia settentrionale operava un’altra banda, con a capo il maggiore dei carabinieri Ettore Giovannini, la “Banda Gerolamo” di 700 componenti,  impegnata sia in frequenti azioni di sabotaggio e guerriglia  sia in un importante lavoro di collegamento e segnalazione in Lombardia nel 1944 e 1945, 

Oltre al braccio operativo costituito da ufficiali, sottufficiali e carabinieri semplici, la “banda” aveva una rete informativa segreta costituita da quelli che erano rimasti nelle caserme per il lavoro istituzionale su volere di Giovannini, che in tal modo poteva ricevere in incognito da loro informazioni  preziose.  Anche a questo riguardo l’Autore è prodigo di particolari, descrive le azioni di sabotaggio e di contrasto alle colonne nemiche operate dai carabinieri guidati dal brigadiere Antonio Basile e dal sottotenente Franco Alongi, dal maresciallo Antonio Carretto  e dal capitano Silvio Cavanna, definito “il migliore incursore di Giovannini”. Il suo braccio destro, il tenente Antonio Cicerale che curava la rete informativa, arrestato in Svizzera e deportato a Dachau, riuscì a sopravvivere, mentre il sottoposto Giuseppe Andraoni, tradito dall’informatore, fu fucilato.   

13. Carabinieri alla liberazione di Roma

Uno degli ultimi carabinieri caduti nell’estrema resistenza ai tedeschi fu il tenente colonnello Edoardo Alessi, già insignito della Medaglia di Bronzo al valor militare nella 1^ Guerra mondiale e protagonista in Africa settentrionale dell’eroica difesa con 400 uomini e 8 cannoni del caposaldo di Et El Asel attaccato da forze nemiche preponderanti consentendo così ai compagni di ripiegare. Non volle collaborare con la RSI, condannato dal Tribunale di Sondrio a 30 anni di reclusione riparò in Svizzera mantenendo i contatti con le brigate partigiane finché nel febbraio 1945 assunse, con il nome di battaglia di Marcello, il comando della Divisione di Volontari della Libertà della Valtellina.

Il 26 aprile 1945 Alessi cadde in un conflitto a fuoco, insieme a lui il collaboratore Armando Cometti il quale,  già gravemente ferito, fu finito con una pugnalata al cuore da un fascista, gli è stata conferita la Medaglia d’Argento al valor militare.  Il giorno prima c’era stata la Liberazione, i 700 carabinieri della “Banda Gerolamo”, secondo le disposizioni del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, avevano occupato  tutte le caserme di Milano. La morte di Alessi ci ricorda la triste conclusione del romanzo e del film”All’ovest niente di nuovo”, con l’ultimo colpo di fucile che uccide il protagonista ancora nella trincea quando la guerra era già terminata.  

14. Liberazione di Piacenza, il tenente dei carabinieri Fausto Cossu alla testa  dalla divisione partigiana da lui comandata

L’Autore conclude il libro ricordando che il 1° settembre 1944 l’Arma aveva cessato di esistere per disposizione del comandante della Guardia Nazionale Repubblicana della RSI, e aggiunge: “Ma non tutto era perduto poiché, man mano che gli Alleati risalivano la penisola, l’Arma, grazie al radicamento su tutto il suolo italiano, risorgeva come un’araba fenice  ripristinando la sua organizzazione e la sua missione istituzionale. Il tributo di sangue offerto dall’Arma dei carabinieri nei venti mesi di Resistenza e di lotta per la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo ammontò a 2.735 caduti e 6.521 feriti”.

Ci sembra il migliore sigillo alla sua appassionante rievocazione che per quasi 400 pagine celebra l’epopea dei Carabinieri in oltre 130 anni di  storia d’Italia. Da parte nostra ne abbiamo ricordato alcuni momenti, ponendo in evidenza i nomi di tanti  martiri caduti per la patria, consapevoli che soltanto il libro – con le accurate descrizioni degli eventi, le incalzaanti rievocazioni delle azioni militari anche attraverso le testimonianze e le motivazioni delle Medaglie al valore – riesce a far rivivere fatti epici e atti di eroismo pervasi da una umanità che suscita nel lettore una profonda emozione.   

15. Carabinieri e soldati della colonna partigiana Garibaldi decorati dagli jugoslavi

Info

Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, Associazione Nazionale Carabinieri Editrice, ottobre 2018, pp. 394. I primi tre articoli del nostro servizio sono usciti in questo sito il  4, 6, 8 novembre u.s.., con 17 immagini ciascuno.  Dello stesso autore, “L’uomo, il virus di Dio”, Arduino Sacco Editore, novembre 2014, pp. 184;  “Dio, fede e inganno”, Arduino Sacco Editore, settembre 2013, pp.240; “Gesù, l’uomo”, Andromeda Editrice, giugno 2008,  pp. 320; sui primi due libri ora citati cfr. i nostri articoli: in questo sito il 10 e 13 giugno e il 2 febbraio 2014.

Foto

Le immagini – eccettuata quella di apertura ripresa alla presentazione del libro – sono state tratte dal sito  web csrabinieri.it, con le relative didascalie, meno  la  n. 2 da word.press e la n. 3 da toscananovecento.it. Ringraziamo i titolari dei siti e dei diritti dichiarandoci pronti a escludere le immagini il cui inserimento non fosse loro gradito, precisando che sono meramente illustrative e non necessarie, e che manca la benché minima finalità promozionale e tanto meno economico-commerciale. Sono riportate  immagini che vanno dalla sofferenza nei lager tedeschi agli atti di eroismo dei carabinieri fino alla Liberazione. In apertura, la presentazione del libro di Gelasio Giardetti  un particolare della sala conferenze della  Legione Allievi Carabinieri, la galleria; seguono  3 immagini sulla deportazione nei lager tedeschi e 10 immagini  su atti di eroismo, per lo più ndividuali, dei carabinieri, quelle a colori sono da opere di Vittorio Pisani; in chiusura, una carica storica dei carabinieri.  


16. Una carica storica dei carabinieri, cartolina per il Centenario dell’Arma