Giardetti, 3. I Carabinieri dopo l’8 settembre ’43, nella difesa di Roma e nella RSI

di Romano Maria Levante

Entra sempre più nel vivo la rievocazione della vicenda dei Carabinieri nell’accurata ricerca di Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, libro edito dall’Associazione Nazionale Carabinieri e presentato a Roma l’11 ottobre 2018 presso la Legione Allievi Carabinieri da Umberto Broccoli, il gen. B. Vincenzo Pezzolet e l’autore Gelasio Giardetti. Ricordato il contributo dei Carabinieri al Risorgimento e l’impegno nella 1^ Guerra mondiale, la posizione verso il regime fascista e la  partecipazione alla 2^ Guerra Mondiale, con le spedizioni in Grecia e Russia, Africa Orientale e Settentrionale, consideriamo ora la partecipazione all’arresto di Mussolini seguito dalla sua liberazione per mano tedesca, la “fuga di Pescara” del Re fino alla posizione dell’Arma  verso la RSI e all’occupazione tedesca di Roma culminata nella deportazione degli ebrei, preceduta da quella dei carabinieri romani.

La presentazione del libro, un particolare della sala

 Il  libro cambia passo, i Carabinieri diventano protagonisti assoluti dopo essere stati meno in evidenza dato che nelle guerre  erano utilizzati soprattutto come supporto di sicurezza in numero relativamente modesto rispetto ai militari delle tre armi, esercito, marina, aeronautica; purtuttavia come arma combattente è stata sempre presente in  prima linea e il numero ridotto di forze schierate – in Russia meno di 5.000 carabinieri rispetto ai 250.000 dell’Armir –  ne fa risaltare il valore in campo.  

Perché protagonisti? La risposta appare evidente considerando le vicende che vengono rievocate nel libro, dall’arresto di Mussolini a Villa Savoia alla liberazione a Campo Imperatore sul Gran Sasso, dall’uccisione di Ettore Muti alla partenza del Re da Roma per Brindisi passando per Pescara, dalla resistenza ai tedeschi a Roma e a Napoli, all’internamento di migliaia di loro nei lager per non aver aderito alla RSI, fino alla loro lotta partigiana. Sono tutte storie che li riguardano direttamente, le figure meno in evidenza questa volta sono altre,  inoltre l’Autore dà sempre maggiore spazio alla ricostruzione puntuale dei fatti che fa rivivere in modo tanto suggestivo da tenere avvinti alla lettura.  

1. Rivista al Campo di Marte, di Giovanni Fattori

La morte di Ettore Muti, eroe del fascismo, nella pineta di Fregene, dopo essere stato preso  con un pretesto nella sua casa per il timore che tramasse per liberare Mussolini, è un giallo rimasto aperto: con i carabinieri c’era un misterioso personaggio, forse un agente segreto che aveva l’ordine di eliminarlo, fu inscenata una sparatoria come se avesse cercato di fuggire, sembra che Badoglio in persona avesse voluto questo, prevalse la ragion di Stato contro il ritorno della dittatura. 

I Carabinieri nell’arresto di Mussolini  e nella liberazione da parte tedesca

Cominciamo con l’arresto di Mussolini il pomeriggio del 25 luglio 1943 dopo che era stato sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo.  Furono  50 i carabinieri – con tre sottufficiali e due capitani, e il comandante del gruppo interno carabinieri di Roma Giovanni Frignani a capo dell’operazione insieme al questore Morazzini –  che si presentarono a Villa Savoia per l’arresto; e fu il capitano Vigneri a far salire il Duce sull’ambulanza replicando al suo primo rifiuto che doveva eseguire gli ordini del Re. La ricostruzione è particolareggiata tanto da riportare perfino le parole di Mussolini preoccupato per la forte velocità dell’automezzo su cui erano saliti anche i tre ufficiali in borghese e tre carabinieri armati di mitra: “Qui finiremo con l’investire qualche disgraziato o con lo sfasciarsi contro un muro”.   

2. Combattimento di carabinieri a La Cava (Pavia), 1849, di Wilfred Constant Beauquesne 

Il ritmo diviene incalzante, viene portato alle caserme romane  “Pastrengo” e “Vittorio Emanuele”, poi  all’isola di Ponza fino al 7 agosto, quindi alla Maddalena fino al 27 agosto, infine nell’albergo di Campo Imperatore sul Gran Sasso fino alla liberazione del 12 settembre da parte di reparti tedeschi su 10 alianti comandati dal maggiore Harold Mors e dal tenente colonnello Otto Skorzeny senza incontrare resistenza. Perché i carabinieri che custodivano il prigioniero ed erano dotati anche di mitragliatrici che avrebbero potuto avere ragione facilmente degli alianti tedeschi non si opposero al blitz nazista?  

Lo ha rivelato, in una relazione del 26 febbraio 1969 che l’Autore ha scovato tra i documenti dell’Ufficio Storico dei Carabinieri, il maresciallo Osvaldo Antichi componente del reparto adibito alla custodia di Mussolini: “Due giorni prima della liberazione di Mussolini, e cioè il 10 settembre del 1943, giunse alla base del Gran Sasso il prefetto dell’Aquila, com. Biancorosso, il quale ci informò che gli ordini che avevamo – cioè impedire la fuga del prigioniero – si dovevano considerare aboliti e che nel caso giungessero i tedeschi per liberare Mussolini dovevamo usare prudenza, il che significava rimanere a braccia incrociate…”. Testuale, nulla da aggiungere. 

3. La breccia di Porta Pia, 1870,stampa popolare

E fu così  che Mussolini liberato salì su una “Cicogna”, aereo così piccolo che a stento riuscì a sopportare anche il peso del grosso Skorzeny, in direzione Monaco dove lo attendeva Hitler, dopo che un generale italiano – Soleti  capo delle Guardie metropolitane di Roma – era sceso da un aliante alla testa dei paracadutisti tedeschi gridando agli italiani di guarnigione “Non sparate! Non sparate!”  Qualche colpo scappò ai tedeschi al posto di blocco dei carabinieri a valle ad Assergi, caddero il carabiniere Giovanni Natale e la guardia forestale Pasquale Vitocco, l’Autore cita pure i nomi dei due feriti.

Svelato il perché i carabinieri non opposero resistenza alla liberazione di Mussolini che pure era stato portato nel luogo ritenuto più sicuro, l’Autore spiega anche perché fu dato quell’ordine dall’alto. E qui entra in scena il Re con la repentina partenza da Roma, destinazione Brindisi dove erano giunti gli anglo-americani, per sfuggire alla possibile cattura da parte dei tedeschi  se fosse rimasto a Roma. 

4. Carabinieri a cavallo entrano per primi a Gorizia, 1916, di Alfonso Artioli

La “fuga di Pescara” del Re, con il governo e lo Stato maggiore dell’esercito

La partenza fu un “trasferimento” per non interrompere la continuità dello Stato come avvenuto anche in altri paesi, oppure  una “fuga”, tanto che è passata alla storia come “fuga di Pescara”? Dopo aver riportato le  ragioni di ciascuna delle due tesi, l’Autore propende per la seconda, non fosse altro che per la cessazione di qualsiasi presenza delle autorità civili e militari dovuta all’assenza totale di direttive che portò al disfacimento dell’esercito lasciato in balia degli eventi, il “tutti  a casa” che conosciamo,  esito evidente di una vera e propria fuga e non di un trasferimento organizzato; del resto venivano chiamate “ritirate strategiche” le vere e proprie rotte in caso di sconfitta sul campo, quindi non sorprenderebbe una simile copertura.

Non soltanto il Re, la famiglia reale e la corte con molti bagagli, ministri e nobili, ma anche l’intero Stato Maggiore dell’esercito prese posto alle 5 del mattino del 9 settembre 1943 su un convoglio di parecchie automobili, scortato da due autoblindo che attraverso la via Tiburtina, passando per Sulmona e Chieti, in sei ore raggiunse Pescara;  il Re e il governo furono ospitati per la notte nel castello di Crecchio dai duchi di Bovino, mentre lo Stato Maggiore, ministri e nobili nel Palazzo Mezzanotte a Chieti 

5. Il Gran Consiglio del fascismo, 1943

L’indomani mattina, il 10 settembre, i reali si imbarcarono a Ortona, mentre Badoglio li precedette sulla corvetta “Baionetta”  salpata da Pescara. Ad Ortona poterono imbarcarsi solo 57 persone tra le oltre 200 che volevano farlo, la corvetta non ne conteneva di più, restarono a terra “fra urla e insulti agli imbarcati” con il molo cosparso dei loro bagagli, di valige e scatole di documenti. Il Re, con la famiglia reale e il seguito, arrivò al porto di Brindisi alle ore 16, mentre Ortona patì le conseguenza di aver fatto imbarcare i “traditori” con una violenta rappresaglia dell’esercito tedesco il giorno dopo. 

Ma che cosa la fa definire all’Autore “fuga” e non “trasferimento”, mentre il presidente emerito della repubblica Carlo Azeglio Ciampi e lo storico Lucio Villari propendono per il “mantenimento della continuità dello Stato”?  Oltre a quanto già accennato, indica le circostanze che fanno pensare a un baratto con i tedeschi, molto grave perché imperniato non solo sulla mancata difesa di Roma con il Corpo d’Armata Motorizzato addirittura dirottato  su Tivoli, e qui la responsabilità del gen. Roatta appare palese  avendo scritto di suo pugno l’ordine; ma anche sull’annullamento del piano americano “Giant II” per la difesa di Roma, lo sbarco a Salerno e non a nord della capitale, fino alla mancata resistenza alla liberazione di Mussolini.  

6. L’arresto di Mussolini, da “La Domenica del Corriere”, 25 luglio 1943

Tutto questo per salvare Re, governo, e vertici militari abbandonando la capitale alla mercè dei tedeschi oltremodo incattiviti dall’armistizio! Gravissimo. D’altra parte, se non fosse così, come si spiegherebbe che il convoglio in cui la presenza del Re era ben riconoscibile, pur sorvolato da ricognitori tedeschi superò tre posti di blocco dei tedeschi senza essere controllato e bloccato? I tedeschi ebbero così via libera, anche perché il nostro esercito non esisteva più lasciato in abbandono senza ordini né comandanti. E Roma fu subito presa di mira, ma se l’esercito si era dissolto i carabinieri opposero strenua difesa. 

I Carabinieri nella difesa di Roma e di Napoli

L’Autore dedica particolare attenzione a queste vicende riportando anche cartine e documenti sulle forze in campo, in particolare  nella difesa di Roma e di Monterotondo, nei sobborghi della capitale. Il racconto è così preciso e dettagliato che vengono indicati anche i nomi dei comandanti della 4^, 5^ e 6^ compagnia, e dei 9 plotoni che ne facevano parte, nonché le armi in dotazione.   . 

7. Mussolini liberato  a Campo Imperatore da un  reparto tedesco con Otto Skorzeny, alla sua dx, 12 settembre 1943

Ci limitiamo a segnalare che un battaglione di Allievi carabinieri, quindi giovanissimi, e lo squadrone carabinieri  “Pastrengo”  furono impegnati sin dalle ore seguenti l’armistizio, per un totale di 600 uomini,  contro una divisione di paracadutisti tedeschi, quindi forze scelte, con loro la Divisione Granatieri di Sardegna e il Reggimento corazzato Lancieri di Montebello.

E questo per iniziativa spontanea dei quadri militari intermedi  e “non su ordine dello Stato Maggiore Italiano che, in fuga verso Brindisi, alle 5,15 del 9 settembre aveva già deciso di lasciare la Capitale alle armate di Hitler”, denuncia l’Autore come risultato della sua accurata ricerca negli archivi dell’Ufficio storico dell’Arma. Insieme ai soldati e ai carabinieri si sono battuti anche i civili, ne rimasero uccisi parecchi. La battaglia si svolse vicino alla basilica di San Paolo, poi si spostò sulle colline “Volpi” e “Montagnola”  – all’epica vicenda sarà dedicato un sacrario a “Piazza Caduti della Montagnola” – e alla Magliana.  

Nel libro,  l’Autore  ricostruisce gli scontri in dettaglio rievocando le tattiche adottate e le azioni svolte dalle singole compagnie,  e soprattutto le prove di eroismo intorno al caposaldo  difeso dai carabinieri, non mancano i nomi dei caduti e  dei feriti, è un racconto coinvolgente di grande forza epica che si conclude con il bilancio delle perdite: 17 carabinieri morti e 48 feriti, con la Medaglia d’Oro al valor militare alla memoria al capitano De Tommaso Orlando, caduto al grido “Avanti!!!! Viva l’Italia”  e 2 Medaglie d’Argento  al carabiniere Colagrossi Antonio, alla memoria, e al vicebrigadiere Cerini Giuseppe.   

8 la “Cicogna”, l’aereo  con cui fu portato dal Gran Sasso in Germania, a Monaco, 12 settembre 1943

Fu eroica la difesa da parte di 70 carabinieri di Palazzo Orsini a Monterotondo, dall’assedio di 800 paracadutisti tedeschi mandati a bordo di 60 aerei Junkers-52, per catturare lo Stato Maggiore del Regio Esercito che vi si era trasferito dopo aver lasciato la capitale, come abbiamo ricordato. L’impari lotta durò dieci ore, dopo che anche alcuni aerei tedeschi erano stati abbattuti, poi i paracadutisti riuscirono a conquistare il palazzo. Il comandante dei carabinieri, tenente Vessichelli, commentò: “E’ innegabile, però, il successo morale che coronò la resistenza al termine della quale il nemico non strinse altro che un pugno di mosche”, perchè il gen. Roatta con l’intero Stato Maggiore aveva lasciato per tempo Palazzo Orsini. 

Anche a Napoli piccoli reparti di carabinieri si trovarono a combattere per difendere la prefettura, la stazione e singole caserme, dopo che l’esercito aveva abbandonato il campo in balia della divisione corazzata “Goering”. I comandanti furono il sottotenente Cavacini alla prefettura, il Col. Minniti alla caserma “Pastrengo”; il palazzo dei telefoni fu difeso con 150 militari del 40° Reggimento  di fanteria, e i  tedeschi furono respinti.    

9. il Re a Brindisi in un hangar dell’Idroscalo, dopo la “fuga di Pescara” del 9-10 settembre 1943

Ma alla stazione di Napoli Porto la vicenda diviene tragica, 14 carabinieri che si batterono fino ad esaurimento delle munizioni furono presi come  prigionieri di guerra, poi barbaramente uccisi per rappresaglia, saranno decorati con la Medaglia d’Argento al valor militare alla memoria, l’Autore riporta tutti i nomi di questi eroi e la motivazione delle medaglie: ciascuno “affrontava  con ammirevole stoicismo il plotone di esecuzione. Nobile esempio di virtù militare e di consapevole sacrificio”

Li  indichiamo anche noi, come abbiamo fatto per tutti gli altri caduti citati nel libro: Egidio Lombardi ed Emilio Ammaturo, Giuseppe Covino e Michele Corvino, Martino Manzo e Nicola Cusatis,  Antonio Carbone e Giuseppe Pagliuca, Giuseppe Ricca e Giovanni Russo,  Ciro Albino e Domenico Franco,  Domenico Dubini ed Emilio Scola..    

10. Il capitano dei carabinieri Antonio Penna guida un gruppo di insorti nelle 4 giornate di Napoli, 27-30 settembre 194

I Carabinieri rispetto alla RSI e all’occupazione tedesca di Roma

Un altro capitolo della storia dei carabinieri riguarda la loro posizione nella Repubblica Sociale Italiana annunciata da Mussolini a Radio Monaco il 18 settembre 1943 e costituita prontamente; la prima riunione del governo  della RSI – nel quale tenne per sé anche il ministero degli Esteri affidando a Buffarini Guidi gli Interni e a Graziani la Difesa – si tenne il 27 settembre, con l’impegno a “continuare la guerra a fianco all’alleato tedesco”.

Fu formato un esercito nazionale costituito da giovani di leva, non una “milizia”, ma gli fu affiancato un corpo  politicizzato, la Guardia Nazionale Repubblicana con i reparti sciolti dal governo Badoglio della MSVN,  la PAI e, grande sorpresa, con l’Arma dei Carabinieri che da apolitica  istituzionale si trovò a dipendere in qualche modo da direttive del Partito Fascista, più o meno mascherate. 

11. Alla stazione di Milano una pattuglia di carabinieri fa prigionieri 60 tedeschi,  10 settembre 1943, di Guseppe Di Stefano;

Ma i carabinieri, ogni volta che si trovavano dinanzi alle efferatezze dei tedeschi – con le SS naziste che esasperavano le leggi di guerra – si prodigavano in difesa del popolo fino all’estremo sacrificio: viene rievocato quello del vice-brigadiere Salvo D’Acquisto, comandante ad interim della stazione di carabinieri di Torrimpietra, il quale offrendo la propria vita riuscì a salvare  i 22 ostaggi innocenti dall’atroce rappresaglia nazista scatenata per un’esplosione accidentale che aveva ucciso due SS, mentre  fu considerato un atto terroristico degli incolpevoli locali. 

L’Autore ne parla a lungo, mettendo in rilievo da un lato la sfiducia dei fascisti che diffidavano dall’Arma per il suo carattere legalitario, dall’altro l’insofferenza dei carabinieri per motivi speculari che portò a continue diserzioni e al passaggio ai primi nuclei di resistenza partigiana. Ma anche quelli che restarono inquadrati nell’Arma, diedero al loro giuramento un significato ben preciso: fedeltà al popolo italiano e non più fedeltà al Re e neppure, a maggior ragione, al regime che non poteva servirsene per le sue vendette politiche, operavano soltanto a tutela dei cittadini e per applicare la legge. 

12.  Il rastrellamento in via Quattro Fontane dopo l’attentato di Via Rasella, 23 marzo 1944

Quella di Salvo D’Acquisto è stata  una “nuova pagina indelebile di purissimo eroismo” insignita della Medaglia d’Oro al valor militare alla memoria, aggiungiamo che dai cappellani militari fu  avviato a suo tempo il processo di beatificazione del “servo di Dio”.  L’Autore ricorda altri eroici carabinieri caduti nell’occupazione di Roma combattendo contro i tedeschi, Giuseppe Crocco e Venerando Leonardi alla Garbatella il 10 settembre del 1943, mentre   Tommaso Troilo, Giuseppe Caringi e Vincenzo Barone furono catturati  e passati per le armi dopo un violento scontro a fuoco vicino al Porto fluviale.   

Gruppi di carabinieri resistettero alle preponderanti forze tedesche, a Forte Antenne, in 20 contro 80, mentre altri a diecine entrarono nella Resistenza, come i 60 carabinieri comandati dal tenente Mario Filippi e dal maresciallo Giuseppe Ventrella che insieme a 38 carabinieri di Cinecittà si unirono alla banda  Caruso; a Tor Sapienza il maresciallo Estevane Carosi rese inutilizzabili 40 carri armati tedeschi con un’azione di sabotaggio nella quale portò via anche armi e munizioni. 

Ci  furono  carabinieri fucilati – vengono citati Augusto Ronzini, Francesco Lipartiti e il brigadiere Carlo Macchi – altri deportati in Germania. Si apre un nuovo capitolo di eroismo e sofferenza.  

13.  L’eccidio delle Fosse Ardeatine con il massacro di 12 carabinieri, 24 marzo 1944, di Vittorio Pisani

La deportazione degli ebrei romani

Queste prime deportazioni individuali furono seguite dalle deportazioni di massa, cominciarono con i carabinieri romani prelevati nelle caserme l’8 ottobre 1943, un mese dopo l’armistizio, come vedremo in seguito; una settimana dopo, sempre a Roma, il rastrellamento di 1.024 ebrei prelevati alle 5 del mattino del 16 ottobre 1943 nel ghetto. Tenuti  per quattro giorni nel Collegio Militare, gli ebrei furono  poi rinchiusi nei vagoni piombati dei treni che, tra  inaudite sofferenze per le condizioni inumane del viaggio, ricordate nel libro,  li portarono nei campi di sterminio nazisti. 

Viene sottolineato che dopo la “grande razzia” del 16 ottobre vi furono, negli 8  mesi successivi, rastrellamenti con la deportazione di altri 1.086 ebrei. E’ noto come la “razzia” fu preceduta dall’ignobile ricatto di consegnare 50 Kg di oro, cosa che gli ebrei fecero per avere l’incolumità, ma la loro sorte rientrava nello sciagurato,  piano nazista di procedere alla “Soluzione finale”, un crimine contro l’umanità che prevedeva l’eliminazione fisica da tutti i paesi europei degli ebrei, considerati “razza nemica”  fatta segno da una propaganda ossessiva seguita da una violenta persecuzione.  

14. La deportazione degli ebrei romani,  16 ottobre 1943

I fascisti assecondarono il piano tedesco volto a neutralizzare i carabinieri romani “nel timore, del tutto fondato, che sarebbero accorsi  in difesa dei cittadini italiani ebraici e avrebbero ostacolato il rastrellamento fino  a poter far fallire l’intera operazione di deportazione”, osserva l’Autore.  Oltre ad evitare questo rischio, in tal modo i fascisti  si sarebbero liberati nella capitale dei carabinieri considerati ostili ai tedeschi e non allineati al regime.   

Ne parleremo prossimamente, concludendo con la partecipazione dei carabinieri alla Resistenza anche con l’azione armata in bande partigiane alcune delle quali da loro stessi costituite  e comandate, ricordando i loro fulgidi esempi di eroismo. 


15. L’immagine simbolo dell’olocausto degli ebrei nei lager tedeschi 

Info

Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, Associazione Nazionale Carabinieri Editrice, ottobre 2018, pp. 394. I primi due articoli del nostro servizio sono usciti in questo sito il   4 e   6   novembre u.s., il terzo e ultimo uscirà il 10 novembre p. v., con 17   immagini ciascuno. Dello stesso autore, “L’uomo, il virus di Dio”, Arduino Sacco Editore, novembre 2014, pp. 184;  “Dio, fede e inganno”, Arduino Sacco Editore, settembre 2013, pp.240; “Gesù, l’uomo”, Andromeda Editrice, giugno 2008,  pp. 320; sui primi due libri ora citati cfr. i nostri articoli in questo sito il 10 e 13 giugno e il 2 febbraio 2014. Per la 2^ Guerra mondiale e la persecuzione degli ebrei cfr. i nostri articoli: in  questo sito, “Vite spezzate” 17 ottobre 2018,  “Razza nemica” 19 aprile, “Le leggi razziali” 28 ottobre, “L’escalation”  2 novembre,  tutti e tre del 2017,  “I lager nazisti” 20 febbraio 2015,  “La grande razzia” 24 novembre 2013; in cultura.inabruzzo.it  “Auschwitz” 27 gennaio 2010;   in fotografia.guidaconsumatore “I ghetti nazisti” 27 gennaio 2012 (i due ultimi siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, intanto sono disponibili su richiesta).

Foto

Le immagini – eccettuata quella di apertura ripresa alla presentazione del libro – sono state tratte dal sito  web csrabinieri.it, con le relative didascalie, meno la n.3 da wilkipedia.org e la n. 8 da anpibrindisi.it,  la n. 14 da inlibertà.it e la n. 15 da ilmessaggero.it. Ringraziamo i titolari dei siti e dei diritti dichiarandoci pronti a escludere le immagini il cui inserimento non fosse loro gradito, precisando che sono meramente illustrative e non necessarie, e che manca la benché minima finalità promozionale e tanto meno economico-commerciale.  Sono riportate immagini che vanno dal Risorgimento e  l’Unità d’Italia,  al collasso del regime fascista, fino ai drammatici scontri ed eventi dopo l’8 settembre 1943.  In apertura, la presentazione del libro di Gelasio Giardetti, un particolare della sala conferenze nella  Legione Allievi Carabinieri, la platea; seguono  4 immagini del periodo risorgimentale e unitario;  poi, 11 immagini con  l’arresto e liberazione di Mussolini, la “fuga” del re e la difesa di Napoli e Roma,  fino alla persecuzione degli ebrei; in chiusura, una carica storica dei carabinieri.

16. I carabinieri a cavallo nel fatto d’arme di Santa Lucia,1848

Giardetti, 2. I Carabinieri nel regime fascista e nella 2^ Guerra mondiale

di  Romano Maria Levante

Abbiamo rievocato in precedenza per sommi capi la vicenda dei Carabinieri nel Risorgimento e nella 1^ Guerra mondiale, dopo aver accennato al contenuto e alle impressioni di lettura del libro di Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti” edito dall’Associazione Nazionale Carabinieri. Il libro è stato presentato l’11 ottobre 2018 presso la Legione Allievi Carabinieri con gli interventi di Umberto Broccoli e del gen. B. Vincenzo Pezzolet, e le considerazioni dell’autore Gelasio Giardetti. Dopo aver tratteggiato la fase iniziale, passiamo ora alla posizione dei Carabinieri rispetto al fascismo, dall’avvento del regime tra tensioni politiche e sociali e violenze squadriste alla dittatura e alla “guerra d’Africa” del 1935-36, fino alla 2^ Guerra mondiale, e le campagne di Grecia,  Russia, Africa.   

La presentazione del libro, al centro il gen.  B. Vincenzo Pizzolet nel suo intervento, tra  l’altro presentatore, Umberto Broccoli (alla sua  dx) e l’autore Gelasio Giardetti (alla sua sin.)

I Carabinieri e il fascismo

Nei disordini con gli anarchici del 23 giugno 1920 morì il vicebrigadiere Giuseppe Ugolini  insignito della Medaglia d’Oro al valor militare. La violenza fascista  dilagava nell’impunità per le vaste connivenze, ma “in questo clima di difficile gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza – scrive l’Autore –  l’Arma dei carabinieri fu sempre pronta, in prima istanza, a non intervenire per dare modo alle parti in causa di risolvere le divergenze con un dialogo aperto  e democratico ma, laddove veniva meno il rispetto della legge, non usava mezzi termini nell’utilizzare tutta la sua autorità per bloccare e reprimere la violenza e l’illegalità da qualsiasi parte provenissero”.

Vengono rievocati episodi di particolare gravità, emblematici sull’azione dei carabinieri.  A Cittadella, l’8 marzo 1921,  dopo l’assalto fascista alla Camera del lavoro per vendicare il ferimento del segretario locale dei Fasci cui seguì l’arresto di alcuni squadristi, la caserma dei carabinieri che li avevano arrestati  fu assalita da oltre 150 squadristi per liberare i camerati.  Nello scontro  a fuoco furono uccisi tre squadristi e morì il comandante della caserma, maresciallo Federico Facchetti. 

1. Combattimento al bastione di Makalchov, 1855, di Adolphe Yvon

Un’altra azione violenta di una squadra d’assalto fascista per liberare i camerati detenuti nella fortezza di Firmafede e prendere in ostaggio chi li aveva arrestati si verificò il 21 luglio 1921 a Sarzana con 300 squadristi comandati da Amerigo Dumini. che in seguito si renderà responsabile dell’assassinio di Giacomo Matteotti. Dopo un ultimatum respinto dal capitano dei carabinieri Guido Jurgens, attaccarono la fortezza e furono sconfitti con 6 morti, altri 9 li uccisero i contadini nelle campagne di Sarzana e soltanto l’intervento dei carabinieri riuscì a salvare gli sbandati superstiti pur se loro ostili, dimostrando di avere un “intransigente spirito legalitario”.  

Con la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, l’incarico a Mussolini di formare il governo, e il voto di fiducia della Camera del 15 novembre con 306 voti a favore e 116 contrari, nasce il regime fascista. Allo scioglimento del Corpo della Regia Guardia di P.S. incorporato nel Corpo dei Carabinieri Reali seguì l’istituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, le “camicie nere” della M.V.S.N. perché le azioni di difesa della legalità contro lo squadrismo fascista da parte dei carabinieri “convinsero il Duce – ricorda l’Autore – ad istituire un corpo di pretoriani, cioè un’organizzazione armata a lui fedele per difendere la rivoluzione fascista  e per arginare, con il terrore dello squadrismo legalizzato, le ostilità delle opposizioni ancora molto forti nel paese”.  

2. Battaglia della Cernaia, 1855, di Gerolamo Induno

L’assassinio di Matteotti da parte della squadraccia comandata da Dumini dopo il suo coraggioso “j’accuse” del 30 maggio 1924 fece precipitare la situazione, fino al discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 che  poneva fine alla democrazia parlamentare e segnava l’avvento della dittatura.   

“In  questo periodo – sono sempre parole dell’Autore – caratterizzato da accese passioni politiche, da organizzazioni e istituzioni che facevano ricorso sistematico non solo alla violenza fisica per intimorire e terrorizzare gli oppositori politici, ma anche all’assassinio pur di raggiungere la conquista del potere, l’Arma dei carabinieri continua  a svolgere, con alto senso del dovere e con alto spirito di abnegazione, il suo ruolo di controllo e di repressione della delinquenza comune e organizzata su tutto il territorio  nazionale al fine di garantire la legalità e la sicurezza  dei cittadini secondo una tradizione derivante da oltre un secolo di storia”.  La repressione della delinquenza ebbe momenti di particolare rilevanza nella lotta contro la mafia condotta con efficacia dal prefetto Mori, 10 carabinieri furono uccisi, 350 feriti,  l’eroico comportamento fu premiato con 14 Medaglie d’Argento e 47 di Bronzo al valor militare,  6 Medaglie al valor civile, 50 Encomi solenni e 14 Attestati di pubblica benemerenza. 

3. L’armata piemontese, 1950, di  Quinto Cenni

Si impegnarono contro il banditismo,  nel 1926  eliminarono nel settentrione le bande  Pollastro-Massaro  con 5 carabinieri caduti e 7 feriti, nel meridione la banda di Giovanni Sacco; in Sardegna nel 1928 uccisero il feroce bandito Samuele Stocchino, nel 1929  contro la banda Succu , Liandru, Corrias e Floris, che aveva ucciso il comandante della stazione di carabinieri di Orgosolo.  Un carabiniere era stato ucciso in Istria dalla banda  di Giovanni Collarich, cui si unì Giugovaz, furono arrestati dai carabinieri nonostante le difficoltà  date dai continui sconfinamenti in Jugoslavia. 

Naturalmente i Carabinieri parteciparono alle nostre avventure coloniali, al motto del regime di “vendicare Adua” dove nel 1896 erano morti 6.000 soldati italiani nella sfortunata spedizione africana. Nel 1935  l’esercito italiano con 465.000 uomini più 60.000 ascari e 25.000 dubat attaccò l’Etiopia su due fronti, il Fronte Sud con a capo il quadrunviro Emilio De Bono, il Fronte Nord con a capo il generale Rodolfo Graziani.  

4. Incontro militare, di Alberto Issel.

L’Autore ricostruisce accuratamente anche questa azione militare, cui l’Arma dei carabinieri partecipò con 55 sezioni di montagna, 6  a cavallo e  6 miste, 3 sezioni zaptiè  e 23 nuclei, più 3.143 zaptié e 2.250 dubat somali inquadrati da ufficiali e sottufficiali.  

Nelle vicende belliche che vengono rievocate,  i carabinieri combattono valorosamente, nella battaglia del Ganale Doria  muore battendosi con eroismo il brigadiere Salvatore Pietrocola insignito della Medaglia d’Oro al valor militare il 30 dicembre 1937. 

La controffensiva dell’esercito etiopico vide i carabinieri impegnati alla testa di bande indigene appositamente organizzate, muoiono i brigadieri Meloni e Giovanni Amorelli, i carabinieri Domenico Palazzo e Angelo Alaimo; sono statidecorati con la Medaglia d’Argento alla memoria. Poi la battaglia di Gumu Gadu,  cui parteciparono 4 bande di carabinieri volontari su autocarri, ciascuna di 250 uomini.   

5. I carabinieri eliminano la banda di Albertini, Menichetti, Ranucci, 1891, da “La Tribuna Illustrata”

Si combattè tra le grotte, con gli etiopi che aprivano un fuoco infernale, morì il capitano Antonio Bonsignore, che ebbe la Medaglia d’Oro al valor militare per aver continuato a guidare i suoi uomini gravemente ferito, era il 24 aprile 1936.   Gli scontri continuarono, 6 carabinieri caddero uccisi, 12 furono feriti, Mario Ghisleni e Vittoriano Cimmarusti ebbero la Medaglia d’Oro al valor militare alla memoria.  Si concluse con la piena vittoria dei carabinieri, alla fine 36 furono i caduti, il 5 maggio il maresciallo Badoglio entrava in Addis Abeba,  l’imperatore d’Etiopia Hailé Selassiè era fuggito il 2 maggio e il 5 si era imbarcato a Gibuti per l’Inghilterra.  

Non soltanto guerre, ma anche missioni internazionali di pace in questi anni così inquieti, viene ricordata  la missione iniziata nel dicembre 1934 su mandato della Società delle Nazioni per assicurare l’ordine nella Saar e la regolarità del plebiscito del 13 febbraio1935 con 365 carabinieri in un corpo di spedizione di 1.300 militari italiani, oltre a 1.500 inglesi e 500 olandesi. 

6. L’eroismo del carabiniere Vittoriano Cimarrusti, 1936, Etiopia

Il plebiscito si svolse regolarmente con un voto totalitario di annessione alla Germania della ricca regione carbonifera, per i carabinieri si trattò di “missione compiuta”, anzi con alcune importanti acquisizioni dell’ “intelligence”  sulle manovre clandestine di riarmo della  Germania nazista. 

Un anno dopo inizia la follia egemonica di Hitler con l’improvvisa occupazione della Renania il 7 marzo 1936, poi scoppia la guerra civile in Spagna dopo il colpo di stato del generale  Franco del 29 luglio. Segue l’occupazione hitleriana dell’Austria del marzo 1938, quindi il 15 marzo 1939 l’invasione della Cecoslovacchia, Mussolini per non essere da meno il 7 aprile invade l’Albania, il 22 maggio firma il “patto d’acciaio” con Hitler, il 1° settembre  Hitler invade la Polonia, il 9 aprile del 1940 la Danimarca e la Norvegia, il 10 maggio la Francia. Intanto Francia e Gran Bretagna il 3 settembre 1939 avevano dichiarato guerra alla Germania. E’ scoppiata la 2^ guerra mondiale.   

7. Carabinieri in marcia di trasferimento sul  fronte greco-albanese 1940

L’invasione della Grecia e la ritirata di Russia

Mussolini, come aveva fatto invadendo l’Albania dopo che Hitler aveva invaso la Cecoslovacchia, attacca la Francia il 10 giugno 1940, un mese dopo di Hitler;  poi proclama “spezzeremo le reni alla Grecia” e la attacca il 28 ottobre  dopo l’occupazione tedesca dei pozzi petroliferi romeni.

L’Autore, dopo aver  ricordato come  tale azione fosse incauta e si trasformò presto da offensiva in difensiva, rievoca la strenua difesa, da parte del III Battaglione carabinieri con 600 uomini, di quota 1117 di Shesh Mal, presidiata per 25 giorni; poi la resistenza a quota 287 sulla mulattiera di Klisura contro le preponderanti forze nemiche per  due mesi, in modo da consentire agli alpini della Divisione Julia di sganciarsi. Il battaglione perse un quinto degli effettivi, l’Arma e il tenente Maggio Ronchey, che cadde al comando di una compagnia, ebbero la Medaglia d’Oro.  La rievocazione dell’Autore diviene altamente drammatica quando descrive le vicende belliche sul fronte russo, nel quale l’Italia impegnò prima il CSIR,  “Corpo di spedizione italiano in Russia”, con 61.000 uomini, aggiunsgendo dopo l’ARMIR, “Armata italiana in Russia” di 250.000 uomini,  era il luglio 1942.   

8. 2^ Guerra mondiale, Sul fronte del Don,  1943

Fallito rovinosamente l’assedio a Stalingrado delle truppe tedesche, cui quelle italiane schierate sul Don proteggevano il fianco, il 17 gennaio 1943 iniziò la terribile ritirata, nel  gelo del territorio sterminato sotto bufere di neve e incursioni nemiche con un equipaggiamento del tutto inadeguato; il 31 gennaio  il comandante tedesco a Stalingrado Von Paulus, definitivamente sconfitto, si arrese ai russi, la campagna di Hitler era fallita miseramente.    

Fu limitato rispetto alla consistenza numerica dell”ARMIR  il contingente di carabinieri impegnato nella spedizione – 4.150 uomini in due battaglioni, 5 sezioni più altri reparti – ma non mancarono episodi di valore nei 25 giorni di azioni belliche prima della ritirata.  Alcune si svolsero nell’abitato  di Danilowka,  difeso dai sovietici casa per casa, fino all’intervento di carri armati.Sono citati alcuni nomi dei carabinieri caduti  – Marzo G. Battista e Loberto Edmo, Cuzzupè Vincebnzo e Stigliani Nazzareno, Tuttavilla Savino e il maresciallo maggiore Attolini Carlo – e l’eroismo del carabiniere Ciacchini Settimio che con indomito altruismo si fermò a soccorrere i compagni feriti rischiando di cadere sotto il fuoco nemico.  

9. 2^ Guerra mondiale. La ritirata dell’Armir sul fronte del Don, 1943

Il resoconto dei combattimenti corpo a corpo è emozionante, come in una sequenza cinematografica,  i superstiti si fermano per seppellire nella neve i compagni uccisi, nonostante il freddo atroce e i piedi avvolti negli stracci perché le scarpe non hanno retto, l’ausiliario Giovanni Battista Invernizzi si lega il mitragliatore sulle spalle con lo spago, il senso del dovere gli impedisce di abbandonarlo sulla neve per alleggerirsi;  ha visto morire Armando Cavaglieri, il più giovane, diciottenne.    

E che dire  del carabiniere Giuseppe Plado Mosca che mentre i resti della Divisione Torino prostrati dal freddo e dalle ferite erano alla mercè dei sovietici che li accerchiavano, si lanciò da solo a cavallo con il tricolore in mano contro i nemici? Il gesto eroico in cui cadde, per il quale ebbe la Medaglia d’Oro, rianimò i suoi compagni che radunarono le ultime forze e all’arma bianca spezzarono l’accerchiamento riprendendo la ritirata  conclusa il 26 dicembre 1942 a Chertkovo.     

10. 2^ Guerra mondiale. Due carabinieri dell’Armir nella ritirata sul fronte del Don, 1943

La nuova campagna d’Africa

Dalla neve gelida dell’inverno russo alla sabbia ardente dell’estate africana in cui divampò la nostra nuova campagna d’Africa, disastrosa come tutte le guerre combattute in modo velleitario dal Fascismo.  In Africa Orientale inizialmente non c’era una strategia offensiva ma difensiva, si dovevano proteggere i nostri possedimenti, ma Amedeo di Savoia, governatore dell”Etiopia, pensò di farlo allargando i confini, di qui l’attacco agli inglesi in Kenia, in Sudan e nella Somalia britannica di cui fu occupata la capitale;  poi fu la volta della Libia e dell’Egitto.  

Il folle sogno di riunirli in un grande impero si infranse presto per l’insufficienza delle nostre forze di fronte a quelle preponderanti britanniche, condizione aggravata dalle difficoltà di rifornimenti, per il blocco inglese del canale di Suez. Da attaccanti diventammo accerchiati, come all’Amba Alagi dove il Duca d’Aosta con 7.000 uomini resistette agli attacchi del nemico forte di 41.000  uomini, fino alla resa dopo un mese di eroica resistenza con l’onore delle armi. Ne seguì la perdita dell’Etiopia dopo 5 anni dalla proclamazione dell’impero, il Negus Hailé Selassié rientrò ad Addis Abeba il 5 maggio 1941. 

11. 2^ Guerra mondiale. La Partenza per l’Africa, 1940-42

C’era ora da difendere il ridotto di Gondar dove si era attestato il nostro esercito, con il caposaldo di Culquaber, siamo nell’agosto 1941.E qui vediamo in campo i carabinieri, con due compagnie e una di zaptiè, 500 uomini comandati dal maggiore Alfredo Serranti,  il comandante del caposaldo, ten. Col. Augusto Ugolini ha apprezzato di averli avuti come rinforzo considerandoli una truppa scelta.

L’accerchiamento degli inglesi impediva l’accesso ai corsi d’acqua e scarseggiavano i viveri, ma i carabinieri non si persero d’animo: si pulivano con l’umidità di asciugamani e tessuti stesi nella notte sui massi, si cibavano anche di biade triturate con pietre, poi mescolate, impastate e cotte. Inoltre operavono sortite nel campo inglese ricavandone un bottino di viveri e munizioni.  Morirono 36 italiani e 216 inglesi, i carabinieri meritarono la Menzione onorevole per il loro valore.  Ma la sorte del caposaldo era segnata per le preponderanti forze nemiche, 22.000 uomini rispetto ai 2.600 italiani e indigeni,  che si difesero fino all’ultimo combattendo all’arma bianca.  

 12. 2^ Guerra mondiale. Dispiegamento nella campagna d’Africa, 1940-42

 La scena che viene descritta dall’Autore è altamente drammatica, gli italiani su un’unica trincea con baionette e bombe  a mano ormai sono sopraffatti, viene sventolata la bandiera bianca. Ciononostante il comandante maggiore Serranti, “animato dal proprio impeto si fa innanzi pur barcollando perché stordito dalle ferite alla nuca” – così la relazione sull’episodio – e viene trafitto con la baionetta da un ascaro britannico.

Nella confusione del momento, in diverse postazioni continuano i combattimenti,  i carabinieri si segnalano per gli atti di valore, cadono il comandante maresciallo Pellegrini Maurizio,  il brigadiere Baldo Giuseppe e tutti i carabinieri della postazione n. 3 sul Costone dei Roccioni.  

Il capitano inglese Leonard Mallory racconta come cercasse fino all’ultimo di convincerli alla resa gridando loro che non avevano scampo, continuavano ad avanzare incontro alla morte certa al grido di “Savoia”. Nella battaglia di Culqualser morirono oltre 1.000 soldati di parte italiana dei 2.600 impegnati, tra i caduti 80 carabinieri, l’Arma fu insignita della Medaglia d’Oro al valor militare, la seconda ottenuta.       

13. 2^ Guerra mondiale. I  carabinieri nella battaglia di Culqualber, 1941, di Arnaldo Bartoli

Altrettanto eroica, e sfortunata, la vicenda militare dei Carabinieri in Africa Settentrionale, dove gli italiani cercavano di prendere il controllo del canale di Suez attaccando l’Egitto. Il 14 dicembre 1941 il 1° Battaglione di carabinieri paracadutisti si impegnava nella difesa a oltranza di una posizione strategica dove confluivano due piste nel deserto, su cui  transitavano le truppe italiane  e tedesche in ritirata. Nella mattina del 19 dicembre i carabinieri fermarono un primo attacco degli inglesi, poi alle 16 contrattaccarono  tenendo la posizione e permettendo alle truppe di proseguire nel ripiegamento.     

Quando venne il momento anche il battaglione si ritirò lasciando 40 carabinieri paracadutisti a presidiare la postazione di Eluet El Asel per proteggere la ritirata, ma la piccola guarnigione fu sopraffatta dal nemico preponderante: 23 morirono, i superstiti si ricongiunsero alle forze italo-tedesche nel gennaio 1942 dopo eroiche azioni di sabotaggio e di difesa dei coloni italiani dai banditi arabi.   Furono conferite 5 Medaglie d’Argento, 6 di Bronzo e 4 Croci al valor militare, e nel 1964 il Presidente della Repubblica Antonio Segni  ha decorato l’Arma con la Medaglia d’Argento al valor militare. 

14. 2^ Guerra mondiale. Mezzi cingolati italiani nel deserto africano, 1942

Tra l’ottobre 1942 e il marzo 1943 la situazione precipitò, l’epica  ritirata di El Alamein segnò la sconfitta definitiva delle forze italo-tedesche in Africa Settentrionale, agli anglo-americani si aprivano le porte per lo sbarco in Sicilia. 

Ai Carabinieri nella storia italiana si aprono nuovi capitoli, dall’arresto di Mussolini  alla sua liberazione dal Gran Sasso da parte dei tedeschi,  dalla “fuga di Pescara” del Re all’occupazione tedesca di Roma, dalla  deportazione nei lager nazisti alla partecipazione alla Resistenza anche con formazioni militari di propria creazione.

Ne parleremo prossimamente, seguendo la ricostruzione del libro di Gelasio Giardetti fino alla conclusione. 

15. Uniformi dei carabinieri dalle origini alla  2^ Guerra mondiale, a sn. le più antiche, a dx quelle dell’Africa Orientale

Info

Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, Associazione Nazionale Carabinieri Editrice, ottobre 2018, pp. 394. Il primo articolo del nostro servizio è uscito in questo sito il 4 novembre u.s., gli ultimi due usciranno l’8 e 10 novembre p. v., con 17 immagini ciascuno  Dello stesso autore, “L’uomo, il virus di Dio”, Arduino Sacco Editore, novembre 2014, pp. 184;  “Dio, fede e inganno”, Arduino Sacco Editore, settembre 2013, pp.240; “Gesù, l’uomo”, Andromeda Editrice, giugno 2008,  pp. 320; sui primi due libri ora citati cfr. i nostri articoli in questo sito il 10 e 13 giugno 2015 e il 2 febbraio 2014. Per i temi trattati, cfr. il nostro articolo in cultura.inabruzzo.it sulla 2^ Guerra mondiale, “Scatti di guerra” 8 agosto 2009 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, intanto sono disponibili su richiesta).

Foto

Le immagini – eccettuata quella di apertura ripresa alla presentazione del libro – sono state tratte  dal sito web csrabinieri.it, con le relative didascalie, meno le n. 1, 8 e 9 da wilkipedia.org, la n. 11 da raistoria.it e la n. 12 da storiaxxisecolo.it. Ringraziamo i titolari dei siti e dei diritti dichiarandoci pronti ad escludere le immagini il cui inserimento non fosse loro gradito, precisando che sono meramente illustrative e non necessarie, e che manca la benché minima finalità promozionale e tanto meno economico-commerciale.. Sono riportate immagini dal periodo risorgimentale fino alla 2^ Guerra mondiale. In apertura,  la presentazione del libro di Gelasio Giardetti  nella sala conferenze della Legione Allievi Carabinieri, parla il gen. B. Vincenzo Pezzolet, alla sua dx Umberto Broccoli, alla sua sin. l’autore; seguono,  4  immagini del periodo risorgimentale, poi 3 immagini su eventi successivi, lotta al brigantaggio, attacco alla Grecia e spedizione in Etiopia; quindi 7 immagini sulla  2^ Guerra mondiale, con la campagna di Russia e la guerra d’Africa; infine un’immagine sulle divise dei carabinieri e, in   chiusura, una carica storica dei carabinieri

16. I carabinieri nella battaglia di Staffalo, 1848, di Alberto Spagnoli.

Felisi, Gli alberi e il tempo, alla Galleria Russo

di Romano Maria Levante

La mostra “Manuel Felisi. Presente del passato” espone alla Galleria Russo, dal  25 ottobre al 15 novembre 2018,  opere che raffigurano “Alberi” visti svettare nel cielo dal basso in un mare di luce. Ritroviamo l’artista e i suoi “Alberi” che avevamo conosciuto  al Museo Bilotti nel 2015 alla mostra “Linea di confine. La natura, il corpo, le città”  e nella stessa Galleria Russo  nel 2016 alla mostra  “Shakespeare in Rome”, celebrativa del quarto centenario della morte del grande drammaturgo. 

Introduzione all’artista e ai suoi “Alberi”  

 Dopo la formazione al Liceo artistico e all’Accademia delle Belle Arti di Brera, ha esposto le sue opere – per lo più  pitture, “collage” e fotografie, m anche sculture e installazioni con accompagnamento musicale  –  in mostre d’arte dal 2002, con la prima personale “Biografie” seguita da  molte altre per lo più a Milano,  da “Felisi” nel 2006 a “Nato a Milano Lambrate”, “Cuoriquadrifiori” e “Visioni urbane”nel 2008, da “Flowers” e “Letteralmente” del 2010   a “Menoventi” nel 2013 e “Di – Vento” nel 2015. Alla Galleria Russo, la personale “Griglie” nel  2014 a Roma e “Su – Acqua” ad Istanbul.  Inoltre abbiamo contato la partecipazione a una quarantina di mostre collettive e a più di venti fiere d’arte nazionali e internazionali.  

Dopo questa sommaria presentazione dell’artista a prima vista sembra ci sia poco da dire riguardo all’oggetto monotematico presentato nella mostra, “Alberi”,  perché è difficile esprimere a parole il fascino esercitato dalle molteplici figurazioni  dell’elemento naturale che si eleva verso il cielo esprimendo forza e vitalità.  

Ricordiamo ancora le parole di ammirazione per il grande albero sotto il quale sostava con la donna verso la quale stava nascendo l’amore, del protagonista della “Battaglia di Alamo”, John Wayne, la sera prima della morte certa dato il numero soverchiante di messicani che circondavano il forte assediato.  E la carrellata di alberi che scorrevano veloci, le betulle di un vecchio film russo, quelli della steppa innevata nel Dottor Zivago, e tanti altri, come dei veri protagonisti.   

Per questo siamo stati fortemente colpiti dalle tante visioni, alcune particolarmente spettacolari per gli effetti di luce che portano in alto, in un moto ascensionale che va ben oltre l’aspetto materiale.  

Ma il titolo della mostra fa pensare a qualcosa di più, al tempo e non solo allo spazio, anzi ad un tempo virtuale e intrigante, “il presente del passato”, incorporato proprio negli alberi. E come?  

 Il tempo, passato e futuro nel presente 

Ne parla diffusamente Maurizio Valli nel Catalogo della mostra, precisando innanzitutto che si tratta di una visione diversa da quella consueta per gli artisti, che sono testimoni del proprio tempo. Per Manuel Felisi “le testimonianze che ci sta lasciando non intendono essere sintesi in progress del qui e ora, piuttosto narrazioni di un presente che trova nel passato le chiavi per scoprire il futuro”. 

Il concetto di tempo è più complesso di come sembra, perché pur essendo la percezione temporale comune a tutti, è difficile darne spiegazioni altrettanto accessibili. Ma più che spiegarlo occorre viverlo nelle sue declinazioni – presente, passato, futuro – le quali appartengono all’essere umano, quindi hanno carattere soggettivo e non oggettivo. “Il tempo vive solo nell’uomo,  manifestandosi, come scrive sant’Agostino, nel presente del passato, presente del futuro  e presente del presente”.

Eccoci, dunque, al titolo della mostra, anche se per la piena comprensione occorrono dei passaggi  successivi. Il presente del passato risiede nella memoria, che conserva le esperienze passate e le fa tornare alla mente nel presente; il presente del futuro corrisponde alle nostra attese e  alle nostre speranze che portano il futuro nel presente; il presente del  presente, che sembrerebbe il più evidente e indiscutibile, invece non esiste perché nel momento in cui si percepisce è già passato.  

 “Molti dei lavori di Felisi – è sempre Valli ad affermarlo – sono legati alla scelta di ciò che l’artista desidera riportare in superficie (presente del passato), ma il filtro sui propri ricordi collima con ciò che ritiene funzionale al presente del futuro per progettare la propria esistenza, manifestando il proprio essere attraverso il fare”. Ciò che riguarda il nostro futuro è condizionato  dai ricordi del passato, le esperienze istruttive che tornano alla memoria, ritenuta fondamentale per la vita, per questo “senza passato non può esseri futuro”. 

Ma torna la domanda, come può “il presente del passato” essere incorporato nei suoi alberi? Un modo in cui questo avviene è nei motivi fantasiosi e nei materiali usati, che appartengono al suo passato e vengono riportati al presente; un altro modo è nel suo progettare accumulando forme e materiali in un “caos quieto” che prende forma a poco a poco secondo un ordine ben preciso, quello che nella dimensione temporale traduce in  azione del presente le memorie confuse del passato.  

Per Valli,  con le sovrapposizioni materiche, “la divisione del palinsesto in forme geometriche regolari, in tessere di un mosaico concluso, seppure aperto scandisce il ritmo del tempo come un vecchio metronomo”. E precisa,  sulla dimensione temporale: ” Felisi ci suggerisce un tema esistenziale e soggettivo che trova nel passato e nel presente le orme del proprio passaggio”.

 Non finisce qui l’azione del tempo, scandisce anche la realizzazione dell’opera in modo diverso dalla normale composizione artistica. Perché al tempo necessario per la preparazione si aggiunge “il tempo brevissimo, quasi immobilizzato, dello scatto fotografico”, un’ulteriore peculiarità su cui vogliamo soffermarci.  

Il processo alchemico dell’artista  

Ed ecco come agisce in pratica l’artista nella preparazione delle sue opere. Prima sceglie i materiali con cura, e si tratta di tessuti colorati e di seta grezza, perfino di resina e di cenere, poi procede alle sovrapposizioni e ai “collage” con strisce su pannelli di legno, al termine  interviene la fotografia. il colore, la cenere e non solo, agiscono come catalizzatori in un processo alchemico che trasmuta i materiali iniziali dando  una nobiltà in un processo alchemico paragonato a quello che porta all’oro.  

La fotografia conclusiva “è come un sigillo in grado di Racchiudere dentro l’opera tutti i ‘tempi’ che è in grado di raccontare; un foto che cessa così di essere un semplice scatto a persone, luoghi, oggetti, e diventa memoria collettiva”. Scopriamo così un altro modo di vedere la fotografia, dopo Rodcenko e Doisneau, Cartier Bresson e  Berengo Gardin, Abate e Giacomelli, Lagerfield e Ghergo, Lachapelle e Mc Curry fino alla fotografia astratta di De Antoniis.  L’ effetto è sorprendente, quasi intraducibile,  i suoi alberi protesi nell’infinito hanno una forza e insieme un’armonia date dalla combinazione della luce sui rami che sembrano ruotare nell’aria. Si avvertono sensazioni impressioniste nella visione  dell’insieme, mentre il gioco delle prospettive conferisce un dinamismo tutto particolare.  Tutto ciò crea nell’osservatore uno stato di abbandono  onirico,  per l’emozione che si prova dinanzi a immagini  che portano in alto, sempre più su.  Anche nelle sue installazioni la dimensione temporale sovrasta quella spaziale. 

Utilizza  l’acqua come elemento vitale  sorgente di rigenerazione, svolge la funzione che nelle altre opere esercitano la cenere e i colori.  “Per l’artista milanese, il luogo diventa una dimensione temporale da indagare, un’apertura dimensionale che, al di fuori del concetto tradizionale di tempo, deve trovare un legame esteriore ed interiore con l’opera che nasce site-specific”. Il tutto viene visto in chiave simbolica.  

Valli conclude così: “”Il più delle volte non è l’artista milanese a creare il simbolo, ma è il simbolo, tramandato di generazione in generazione, che gli s’impone. Lui non fa altro che convertire la materia in forma che incontra il colore  e  la superficie per poi unirsi alla luce e alla raffinatezza suprema dello scatto fotografico, raggiungendo l’obiettivo di trasformare la realtà nella sua espressione più alta”. Lo vediamo nell’altezza vertiginosa dei suoi alberi, e nell’altezza includiamo anche e soprattutto quella non misurata dai metri svettanti, ma nell’intensità emotiva suscitata.Al titolo “Alberi” che torna  invariato nella gran parte delle opere, pur se sono rappresentati nelle forme più diverse, in qualche caso è aggiunta una qualificazione: “Alberi vertigine” e “Alberi vertigine nera”, “Latitudine 45,7397”  e “Longitudine 8,6278”. Sono visioni dal basso, in cui la luce ha un ruolo fondamentale,  abbiamo la divisione nelle forme geometriche regolari cui si è accennato, fino a 40 rettangoli  ricomposti in una  visione unitaria come erano i grandi schermi televisivi per esterno del passato.

La maggior parte degli “Alberi” , compresi quelli con la “vertigine” sono recentissimi, realizzati nel 2018 nel quale troviamo anche dei “Ritratti di Maura”, il volto ripreso frontalmente e di profilo, destro e sinistro,  con motivi vegetali sia tutt’intorno,  sia sulla fronte, il mento  e le guance, ci sembra di sentire l’eco della immedesimazione panica della “Pioggia nel pineto” di Gabriele d’Annunzio, “piove sui nostri volti silvani”:ebbene, l’artista è riuscito a rappresentarli.  

Info

Galleria Russo, via Alibert  20, Roma. Aperta il lunedì dalle ore 16,30 alle 19,30, dal martedì al sabato dalle ore 10 alle 19,30, domenica chiuso. Tel. 06.6789949, 06.60020692 www.galleriaarusso.com,  Catalogo  “Manuel Felisi. Presente del passato”, a cura di Maurizio Vanni,  Manfredi Edizioni, ottobre 2018, pp. 98, formato 22,5 x 22; 5, dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Cfr., i nostri articoli, in questo sito: per le due mostre citate con Felisi, “Shakespeare in Rome” 25 aprile 2016, “Linea di confine” 11 maggio 2015; per i  fotografi citati, su  De  Antonis 19 e 29 dicembre2016, Lachapelle 12 luglio 2015, Abate 2 gennaio 2013, Gardin-Giacomelli 7 novembre 2912, Doisneau 2 novembre 2012; inoltre cfr. i nostri articoli in  fotografia.guidaconsumatore.it, su Berengo Gardin 10 maggio 2012, Ghergo 11 aprile 2012, Cartier Bresson 24 gennaio 2012, McCurry 2 articoli il 7 gennaio 2012 e uno il 17 marzo, Rodcenko 27 novembre 2011, Lagerfeld 27 aprile 2011 (tale sito non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito). .

Foto

Le immagini sono state tratte dal sito galleriarusso.it che si ringrazia, con i titolari dei diritti. Sono intitolate “Alberi”, a

parte l’immagine n. 3, “Vertigine”, tutte tra  il 2016 e il 2018, e quella di chiusura, “Gabriele e Medea” , 2015. 

 “Gabriele e Medea”, 2015

Giardetti, 1. I Carabinieri nel Risorgimento e nella 1^ Guerra mondiale

di Romano Maria Levante

L’11 ottobre 2018, nella sede della Legione Allievi Carabinieri di Roma,  è stato presentato il libro di Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, edito dall’Associazione Nazionale Carabinieri.  Il libro è dedicato “all’Arma dei carabinieri  per l’inestimabile contributo fornito alla Patria nel consolidamento e nella difesa delle libertà democratiche”, e tratta della loro attività come Arma militare. Nella presentazione a una sala affollata di invitati e di Carabinieri, parecchi con alti gradi ma soprattutto molti giovani, il brillante intervento di Umberto Broccoli, seguito  dall’orazione appassionata del gen. B. Vincenzo Pezzolet, e dalle considerazioni dell’autore Gelasio Giardetti.

La copertina del libro

Contenuto del libro e impressioni di lettura

Un libro sui Carabinieri potrebbe sembrare riservato a una cerchia limitata e comunque circoscritta,  anche se non troppo ristretta data la capillare distribuzione delle stazioni di carabinieri in ogni zona del paese.

Questa era almeno la nostra impressione prima di averlo letto, anzi dobbiamo confessare che abbiamo cominciato a scorrerlo con il distacco che si prova dinanzi a temi che sentiamo alquanto estranei, al di là della curiosità per una storia che suscita comunque un certo interesse. Con altrettanta sincerità dobbiamo confidare che invece ne siamo stati presi perché la storia raccontata nel libro è in realtà la storia d’Italia della quale l’Arma benemerita è parte integrante.

E se pensavamo che essendo una storia nota nelle linee generali il racconto poteva essere ripetitivo, ci siamo ricreduti pure su questo, tanto siamo stati attratti da una lettura divenuta subito  avvincente: forse perché nella lunga carrellata sulla storia d’Italia vi sono accenti nuovi, o perché è rara una visione congiunta che si snoda come in un film, dei periodi storici che si sono succeduti dal Risorgimento alla 2^ Guerra mondiale passando per le vicende della 1^ Guerra mondiale, poi del regime fascista fino alla  Resistenza e alla Liberazione; o forse perché la rievocazione storica è ravvivata dalla personalizzazione nelle figure fulgide dei carabinieri che si sono segnalati per atti di valore.   

1. Carica dei carabinieri a Pastrengo, 1848,  di Sebastiano De Albertis

Non si tratta di individuare quale di questi motivi è alla base dell’attrazione inattesa, forse tutti, perché ricordare eventi così importanti per la vita della nazione è come ripercorrere la propria vita sia per le vicende vissute anche indirettamente dal racconto dei familiari, sia per gli eventi più antichi, appresi sui banchi di scuola e approfonditi con le letture da chi ha voluto saperne di più. Così la lettura del libro crea un magico clima evocativo per il cuore e la mente; ed è anche una lezione di alta coscienza civile in una fase in cui l’immagine dell’Arma è apparsa offuscata per i gravissimi episodi che hanno coinvolto dei semplici militari, e altri che hanno lambito perfino il vertice. 

Ma sono stati episodi isolati, inevitabili in ogni organizzazione, per quanto la fiducia nei Carabinieri è stata sempre tale da lasciare increduli dinanzi a fatti che sembravano impossibili fino a che non di sono avute prove inequivocabili; perciò ci si attende un rigore ancora maggiore. Pur con questo rilievo, con la stessa obiettività si deve dire che tali fatti, che restano gravissimi, non possono lasciare macchie su un tessuto, come quello dell’Arma, la cui integrità ha superato prove ben più impegnative della cronaca attuale, basti pensare alle deportazioni nei lager nazisti alla cui memoria il libro è dedicato.  Anzi, va preso atto che si è messa in campo, per così dire, la linea del Progetto “Tacere non è un dovere”, e  nel tragico caso di Stefano  Cucchi il comandante gen. Nistri ha proclamato solennemente “chi sa parli”; vale a dire che  “parlare è un dovere” per denunciare deviazioni, come quelle inammissibili venute alla luce di recente, dall’etica del corpo oltre che dalla legalità. 

2. I carabinieri nella battaglia di Novara, 1849 

Riguardo al motto “Nei secoli fedele”, l’Arma ha già mostrato nella sua storia che se le istituzioni prendono derive antidemocratiche e autoritarie non dà il proprio supporto alle conseguenti violazioni della  legalità; ne  era consapevole il  fascismo che creò appositamente un corpo speciale, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, con i pretoriani  ai quali affidare le missioni che mai i carabinieri avrebbero svolto perché sarebbero state al servizio del regime contro ogni etica civile e politica. La fedeltà dei Carabinieri è verso il popolo di cui  si sono sentiti sempre tutori e difensori.

E’ un”Arma forte delle sue tradizioni, ma capace di allineare ai tempi il severo motto “Obbedir tacendo e tacendo morir” con il programma in atto “Tacere non è un dovere”.

Del resto, i Carabinieri restano il presidio per l’ordine pubblico più vicino alla gente sia logisticamente sia umanamente, per la tradizione consolidata che vedeva nel maresciallo dei carabinieri e nel medico condotto, nel maestro di scuola e nel parroco, i punti di riferimento che davano sicurezza ai cittadini per la convivenza quotidiana e la cura della salute, l’istruzione e la vita spirituale, cioè i cardini della crescita umana e civile.  Le profonde trasformazioni nell’organizzazione della società hanno modificato in parte questo assetto tradizionale, ma non si può cancellare ciò che resta impresso nella memoria popolare e continua a svolgere un ruolo molto importante, anzi fondamentale. 

3. L’assedio di Sebastopoli, 1854, di Franz Roubaud

Anche per questo motivo i carabinieri sono al centro delle ben note “barzellette” che pur nell’intento dissacratore della satira all’insegna del “castigat ridendo mores”,  con l’umorismo ne sottolineano indirettamente la popolarità e la presenza nella vita di tutti.  Nell’autunno del 2009, alla  “Biblioteca Nazionale” di Roma, la mostra “In nome della legge”  ha esposto le vignette satiriche sulla  Polizia di Stato, apparse a partire dai primi del ‘900 su tante riviste umoristiche;  l’esposizione è stata promossa dalla stessa Polizia. Non sarebbe sorprendente che “Tacere non è un dovere” possa portare anche i Carabinieri a un “outing” analogo  sulla satira che li ha presi a bersaglio con una dissacrazione in fondo di tono affettuoso.  

Ma il libro non si occupa dell’ immagine “domestica”, per così dire, a tutti familiare dei carabinieri, e non serve sottolineare gli infiniti episodi in cui si sono segnalati nella quotidianità, che coincide con la svolgersi della vita della Nazione. D’altra parte, sono stati costituiti per questo, per assistere oltre che per proteggere le comunità nei momenti difficili della vita di ogni giorno.  E’ una cronaca anch’essa punteggiata da momenti gloriosi, valgano per tutti le copertine della  “Domenica del Corriere” che fissano questi episodi, come l’arresto in corsa del cavallo imbizzarrito per citare una delle più note, scelta anche come conclusione di un film d’epoca.

4.  I carabinieri difendono la roccia dei piemontesi, di Silvano Campeggi 

Il  libro, però,  entra nella Storia, nel  ripercorrere la vicenda dei Carabinieri come parte integrante della storia d’Italia che marca i momenti topici della vita nazionale presenti nella mente di tutti.  La sua non è né la storia cosiddetta “alto mimetica”, dal’angolo di visuale delle istituzioni e dei potenti, né quella “basso mimetica”, dalla parte del popolo sacrificato sull’altare di cause spesso a lui estranee. Nella sua rievocazione appassionata e appassionante, l’Autore ha riconsiderato la storia d’Italia con lo spirito del ricercatore – la sua attività nel mondo dell’industria trasferita anche su altri libri storici –  in una posizione intermedia tra quelle appena citate, fuori dai luoghi comuni ma ponendosi dal punto di vista dei Carabinieri nelle fasi in cui sono stati protagonisti; e va sempre più a fondo nella ricerca penetrando  via via nell’animo dei protagonisti in un crescendo di emozioni.

Basta iniziare la lettura, poi si è portati ad andare avanti presi da vicende di cui normalmente si conoscono solo le linee generali e si è ansiosi di saperne di più; non è facile crederlo, pochi penserebbero che una storia di Carabinieri possa coinvolgere a tal punto, ma è rivelatrice e narrata in modo  avvincente; non ci si può staccare dal libro, ne possiamo dare testimonianza diretta.  

5. I carabinieri nella battaglia di Magenta, 1859

In questo risiede il fascino della rievocazione, la storia avvince perché è la nostra storia, il ritmo del racconto è incalzante senza evitare i passaggi più difficili, anzi l’Autore è portato a concentrarvi l’attenzione maggiormente quanto più sono controversi, è come se accettasse la sfida della ricerca storica;  e nella storia d’Italia che ci appartiene si inserisce naturalmente la storia dell’Arma in modo sempre più penetrante, con i valori morali e civili in evidenza nelle vicende esemplari degli atti di eroismo che avvolgono di una luce vivida squarci di toccante umanità fino a conquistare la scena in un crescendo veramente emozionante. Pur con il rigore di un libro di storia, ha il fascino di un romanzo storico.

Una letttura emozionante, dunque, oltre che istruttiva, perché pur se il tessuto della trama della storia italiana è noto a grandi linee, vengono approfonditi i momenti fondanti e soprattutto viene rivelata quella parte dell’azione dei Carabinieri  meno nota che va oltre la quotidianità ben conosciuta per entrare nella storia in una dimensione diversa ma correlata alla prima.

Ne ripercorriamo i principali momenti per dare un’idea di una storia gloriosa che tutti dovrebbero conoscere.  Per questo il libro, oltre ad essere presumibilmente studiato nelle scuole degli Allievi Carabinieri; potrebbe entrare nelle letture delle nostre scuole, dato il suo alto valore civile e umano.  

6. Un carabiniere indica la strada del bosco con nascosti i banditi, 1863, di Quinto Cenni

I Carabinieri nel Risorgimento

Il libro, com’è implicito da quanto abbiamo detto sulle impressioni di lettura, si libera rapidamente dai pur necessari passaggi burocratici; la storia dei Carabinieri  viene vista attraverso le azioni, non i documenti,  a parte quelli utilizzati per ricostruirle, l’Ufficio storico è stata una miniera di notizie per il ricercatore. 

Lo si vede fin dall’inizio quando dalla doverosa ricostruzione della nascita del corpo dei Carabinieri Reali con le “Regie Patenti”  del 1814  si passa  all’azione sia sul piano dell’ordine pubblico, con la ricerca di 9 evasi dal carcere di Cuneo allorché muore il primo carabiniere in servizio, Giovanni Boccaccio, è il 23 aprile 1815;  sia come Arma militare  che, sia pure con pochi uomini, combatte a fianco dell’esercito piemontese contro le truppe di Napoleone con “valore, intrepidatezza, ordine e maestria”, secondo l’elogio del gen. Latour alla cavalleria italiana, di cui facevano parte i carabineri.   

Dopo le Regie Patenti del 1816  incalzano i moti rivoluzionari del 1821, con l’abdicazione di Vittorio Emanuele I, le speranze suscitate dal reggente Carlo Alberto, la restaurazione di Carlo Felice in un contesto particolarmente confuso sotto l’aspetto istituzionale. Anche qui si parla dei carabinieri, per la carica di 50 di loro verso i costituzionalisti in  rivolta non per reprimerli, ma per creare un diversivo che consentisse ai 300 carabinieri di stanza a Torino di ripiegare su Novara.  

7. I carabinieri nella carica di Monte Croce, 1866

Un carabiniere cadde sotto il fuoco dei rivoltosi “non distinguendo forse il grido da loro innalzato di ‘Viva la Costituzione’, poi con l’aiuto degli austriaci   i moti furono repressi, la Costituzione che era stata concessa abolita, il ruolo e l’impiego dei carabinieri ampliato”.Tornano in scena le Patenti, questa volta le Regie Patenti del 1822, cui seguono quelle del 1832,  in presenza dei nuovi moti rivoluzionari del 1831-34.  

I Carabinieri sono sempre dalla parte delle istituzioni, e non mancano gesti di coraggio,  da quello del carabiniere Carlo Gandino, portaordini catturato che non accetta di passare con i rivoltosi e riesce a fuggire completando la sua missione, al gesto eroico del carabiniere Giovanni Battista Scapaccino, anch’egli portaordini, che fu abbattuto mentre cercava di rompere l’accerchiamento dopo aver rifiutato di tradire la fedeltà alle istituzioni. 

8. I carabinieri in un episodio della terza guerra d’indipendenza, 1866, di Sebastiano De Albertis

I moti rivoluzionari sono accuratamente ricostruiti dall’Autore che  mette in rilievo come i tentativi mazziniani fossero destinati all’insuccesso perché la popolazione non aderiva, fino  a che le sue idee “rivoluzionarie” non furono sostituite dalle idee “moderate” liberali; entrano in scena Vincenzo Gioberti e Silvio Pellico nel sensibilizzare ambienti sempre più vasti. I Carabinieri li troviamo impegnati a Pastrengo, in una battaglia di cui viene ricostruito lo svolgimento, con le strategie e le tattiche, la disposizione delle truppe e la carica finale.   

Poi irrompe sulla scena Garibaldi, e con lui il processo di unificazione dell’Italia che, sottolinea l’Autore, si lega “strettamente e  indissolubilmente” all’Arma dei carabinieri.  e lo dimostra rievocando  le loro azioni in quella fase cruciale della storia italiana.  

9. La battaglia di Mentana, 1867, di T. Rodella

I Carabinieri si  segnalarono in particolare nella lotta al brigantaggio, fenomeno nato dalle degenerazioni  delle iniziali ribellioni  contro gli invasori piemontesi  e le prevaricazioni dei proprietari terrieri che si trasformarono in azioni criminali;  viene avanzata anche l’ipotesi che vi si possono trovare le origini della mafia.

Un racconto coinvolgente descrive  gli scontri con  i malviventi come sequenze cinematografiche, dalle tattiche per bloccarli al corpo a corpo per catturarli: spicca la figura del carabiniere Chioffredo Bergia, protagonista di  brillanti operazioni  in varie località, insignito prima della Medaglia d’Argento, poi della Medaglia d’Oro al valor militare.   

La lotta al brigantaggio si protrasse per un decennio, vi persero la vita più di 100 carabinieri, con  centinaia di feriti. per debellare  le bande di Schiavone e Caruso, Stramenga e Crocco, Ciarullo e Pizzichicchio, Tamburrino e Pomponio, Di Nardo e D’Alena  e tante altre, si concluse nel 1870. Intanto c’è la partecipazione dei carabinieri alla Terza guerra d’indipendenza, un migliaio si unirono  all’esercito e ai volontari di Garibaldi nella funzione tradizionale di polizia militare, difesa dei confini, dei valichi e dei passi.    

10. Sommossa scoppiata a Pietraperzia, 1894.

Si è avuta anche la partecipazione a missioni internazionali per azioni militari e di soccorso: i Carabinieri fecero parte del Corpo di spedizione sardo in Oriente guidato da Alfonso La Marmora, che nel maggio 1855 sbarcò a Balaclava, ci furono scontri alla baionetta fino alla conquista di Sebastopoli; si segnalarono nelle operazioni di soccorso alle popolazioni, in particolare ai colpiti dalla pestilenza, morirono due di loro contagiati dal morbo.   

Quindi la missione a Creta nel 1896 per ricostituire la Gendarmeria internazionale cretese ed evitare il conflitto tra Grecia e Impero ottomano:  dopo un primo insuccesso, nel 1898 fu istituita una gendarmeria unica con le polizie delle quattro zone di influenza delle potenze europee in cui venne divisa l’isola, con al comando il capitano dei carabinieri Federico Craveri, cui seguì Balduino Caprini  fino a Eugenio Monaco, il comando finì quando terminò la missione il 31 dicembre 1906 con la pacificazione dell’isola dopo libere elezioni. Fu un bel riconoscimento internazionale per l’Arma!.   

11. 1^ Guerra mondiale. In trincea pronti alla difesa

Un drappello di carabinieri partecipò alla spedizione europea in Cina per sedare la rivoluzione dei Boxer che avevano assalito e assediato  le legazioni di 8 paesi tra cui quella italiana, erano in numero  modesto ma stanno a dimostrare l’importanza della loro presenza per i servizi di polizia militare.   

All’interno, oltre alle normali operazioni di ordine pubblico, nei primi anni del ‘900 si segnalarono nelle operazioni di soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali, la più spaventosa fu il terremoto con il conseguente maremoto che devastò Messina e Reggio Calabria  provocando  un’ecatombe di vittime, 120.000, con decine di migliaia di feriti e centinaia di migliaia di senza tetto.  Perirono 21 carabinieri, 1 appuntato, 5 sottufficiali e un ufficiale.  

12. 1^ Guerra mondiale. L’attacco

Fu conferita all’Arma, per la sua efficace azione di soccorso e di contrasto allo sciacallaggio, la Medaglia d’Oro di benemerenza con questa motivazione: “Si segnalò per operosità, coraggio, filantropia e abnegazione nel portare soccorso alle popolazioni funestate dal terremoto del 28 dicembre del 1908”.  A singoli carabinieri furono assegnate altre 2 Medaglie d’Oro.

I  Carabinieri nella 1^ Guerra mondiale

L’esercito italiano impegnato nella Grande guerra era composto di 1.300.000 soldati, e di fronte a questa mobilitazione risultava insufficiente il primo contingente di 2.500 carabinieri destinato alle operazioni militari, per cui fu portato a circa 20.000 uomini con 500 ufficiali,  impegnati nelle azioni belliche, nei servizi di polizia militare, difesa e ripristino dei ponti e in nuovi servizi di “intelligence”.  

13. 1^ Guerra mondiale. Sosta in trincea

Parteciparono al conflitto sui fronti del Carso, dell’Isonzo e del monte Sabotino, e si segnalarono nel 2015 nella battaglia di Podgora con 1.600 uomini che diedero il cambio al Reggimento di fanteria, mentre i nemici austriaci erano almeno il doppio dei carabinieri. E’ appassionante la descrizione della strategia, della tattica e degli scontri sanguinosi alla baionetta tra i reticolati della guerra di trincea, morirono 52 carabinieri e il comandante della 7^ compagnia, cap. Eugenio Losco, 11 dispersi, furono assegnate 9 Medaglie d’Argento, 33 di Bronzo e 13 Croci al valor militare, per i tanti atti di coraggio, un eroismo  sfortunato perchè “quota 250” non fu conquistata.  

Nel maggio 1917 i Carabinieri fecero parte del “Distaccamento italiano in Palestina”, erano 100 insieme a 300 Bersaglieri. Avevano soprattutto compiti  di polizia e presidio della linea ferroviaria, ma parteciparono all’offensiva del 7 novembre 1917;  poi si aggiunse una squadrone di carabinieri a cavallo  fino al rimpatrio definitivo nel 1921. E’ soltanto un piccolo tassello delle missioni internazionali dovute al prestigio e all’efficienza raggiunta fin da allora dall’Arma.   

14. 1^ Guerra mondiale. La battaglia del Podgora, 1915, di Vittorio Pisani

Un aulico riconoscimento nella definizione di Gabriele d’Annunzio:  “E’ l’Arma della fedeltà immobile e dell’abnegazione silenziosa; l’Arma che nel folto della battaglia e al di qua della battaglia, nella trincea e nella strada, nella città distrutta e nel camminamento sconvolto dà ogni giorno uguali prove di valore, tanto più gloriosa quanto più avara le è la gloria”. 

Con queste parole concludiamo la rievocazione della prima parte dell’epopea dei Carabinieri nella storia italiana, dalla nascita del corpo al Risorgimento e alla 1^ Guerra mondiale, sempre seguendo l’accurata ricostruzione del libro di Gelasio Giardetti. Prossimamente rievocheremo la loro posizione rispetto al fascismo e l’intervento nelle guerre in Grecia e Russia, Africa Orientale e Settentrionale; per poi passare alla difesa di Roma e alla loro posizione verso la RSI, e concludere con il dramma della deportazione nei lager nazisti fino al loro contributo alla Resistenza, clandestino o palese con  l’azione militare fino a creare e comandare apposite formazioni partigiane.   

15.1^ Guerra mondiale. Vittorio Veneto, la vittoria, 1918

Info

Gelasio Giardetti, “I Carabinieri nella storia italiana. In memoria della loro deportazione nei lager nazisti”, Associazione Nazionale Carabinieri Editrice, ottobre 2018, pp. 394. I prossimi tre articoli del nostro servizio usciranno in questo sito il   6, 8,  e 10 novembre p. v., con altre 17 immagini ciascuno.  Dello stesso autore, “L’uomo, il virus di Dio”, Arduino Sacco Editore, novembre 2014, pp. 184;  “Dio, fede e inganno”, Arduino Sacco Editore, settembre 2013, pp.240; “Gesù, l’uomo”, Andromeda Editrice, giugno 2008,  pp. 320; sui primi due libri ora citati cfr. i nostri articoli in questo sito il 10 e 13 giugno 2015 e il 2 febbraio 2014. Per il Risorgimento e la 1^ Guerra mondiale cfr. i nostri articoli: in questo sito, “Il centenario  della Grande guerra” 2 giugno 2014 e “Verso la Grande guerra” 15 dicembre 2012; in cultura.inabruzzo.it “Pittori del Risotgimento”  29 dicembre 2010, 6 e 9 gennaio 2011, la “Grande guerra a colori” 18 dicembre 2009; in fotografia.guidaconsumatore.it  “Immagini verso la Grande guerra” dicembre 2012, “150° dell’Unità d’Italia” 10 marzo 2012, “Ombre di guerra” 2 febbraio 2012, “Il Milite ignoto” 2 novembre 2011. Inoltre, per le vignette di satira sulla polizia citate, in  cultura.inabruzzo.itl’articolo “In nome della legge” 11 novembre  2009  (gli ultimi due siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, intanto sono disponibili su richiesta).  

Foto 

Le immagini, eccettuata quella di apertura, sono state tratte dal sito web csrabinieri.it, con le relative didascalie, meno la  n. . 11 da gentecomune.it e la n. 12 da riviera24, la n. 13 da cronache.ancona.it e la n. 15 da ilgiornale.it. Ringraziamo i titolari dei siti e dei diritti dichiarandoci pronti a escludere le immagini il cui inserimento non fosse loro gradito, precisando che sono meramente illustrative e non necessarie, e che manca la benché minima finalità promozionale e tanto meno economico-commerciale. Sono riportate immagini dal Risorgimento alla 1^ Guerra mondiale. In apertura, la copertina del libro di Gelasio Giardetti; seguono  10 immagini con riproduzioni di quadri d’autore sulle vicende epiche dell’Arma soprattutto nel  Risorgimento; poi, 5 immagini sulla 1^ Guerra mondiale; in chiusura, una carica storica dei carabinieri.

16. Carica dei carabinieri a Grenoble, 1815.

Floreani, 35 opere a ricordo di Boccioni, alla Galleria Russo

di Romano Maria Levante

Nella meritoria attenzione della Galleria Russo al Futurismo, il movimento italianissimo che ha scosso il mondo dell’arte e la vita stessa nella prima metà del ‘900, si inserisce una mostra molto particolare: “Roberto Floreani, Ricordare Boccioni. Opere su carta”. Sono esposte 35 opere,  realizzate nel triennio 2015-18, con materiali ottenuti sulla base di una accurata ricerca materica. La mostra resta  aperta nella galleria vicino a Piazza di Spagna dal 26 settembre al 6 ottobre 2018.   

Le  35 opere su carta di Floreani 

Perché è molto particolare la terza mostra dal 2012 dedicata a Floreani dalla galleria?  La risposta è duplice: per l’originalità dell’omaggio ad uno dei maggiori protagonisti del Futurismo, e per la qualità delle opere, su carta, con innesti speciali,  in cornici appositamente ideate e realizzate, che sono state definite “scatole della memoria”.  

Sul primo aspetto non sorprende l’omaggio di Floreani a Boccioni, al quale aveva già dedicato un progetto artistico ai Musei Civici di Padova nel 2016; inoltre nel 2015 era stato uno dei relatori al Congresso internazionale sul Futurismo a Lisbona, ed è autore del saggio “I Futuristi e la Grande guerra” e del saggio  “Umberto Boccioni. Arte-vita”  pubblicato da Electa. Il  tutto rientra nel progetto del 2015 “Ricordare”, ne fa parte anche la serata teatrale a Vicenza “Zang Tumb Tumb”. 

Per il secondo aspetto la particolarità delle opere su carta appare rilevante, considerando che è la prima mostra soltanto con opere di questo tipo nel corso della lunga storia espositiva dell’artista, con una settantina di mostre personali. Ma la carta non è l’unico elemento distintivo  in quanto non è utilizzata tal quale, ma trasformata in carta-tessuto dalla superficie cannettata su cui l’artista ha applicato materiali quali vetro e carbone, legno e ferro di risulta, e impresso una notevole vivacità cromatica, che va dalle accese tonalità di rosso e arancio, all’intenso Klein Blue, mentre non mancano i forti contrasti bianco-nero. Le cornici delle opere .sono in betulla bianca, a cassetta.  

Non stiamo a descrivere le opere, siamo nel campo dell’astrazione con la libera manifestazione  dei sentimenti che nell’artista suscita la figura celebrata, nelle impenetrabili espressioni astratte che in Floreani si coniugano ad elementi geometrici; in più, in quest’occasione, a dei chiari riferimenti a Boccioni, con inserimento di immagini ed  elementi che rimandano alla sua vita artistica e non solo. 

I progetti tematici nel percorso artistico di Floreani 

Riteniamo a questo punto di dover accennare al percorso artistico di Floreani, che già nell’anno successivo alla sua prima mostra del 1985 vinse il primo premio alla Biennale Veneta per artisti sotto i trent’anni.  Le sue opere spesso sono state inserite in progetti più ampi come “Itinerari della memoria” nel 1989 a Genova, e “Sogno d’Acqua” inizio anni ’90 a Milano, “La casa e il tempo” nel 1994 a Ravenna-Zagabria e  “L’Età della conoscenza” nel 1996 a Parma,  “Regno di Mezzo” nel 1997 a Bolzano, e “Vedute” nel 1999 a Milano. Numerose mostre personali e antologiche, e nel 2008 il progetto “Aurora Occidentale alla Biennale di Venezia” con una mostra al Padiglione Italia, seguito nel 2011 dal progetto “Alchemica” a Gallarate, poi dal progetto “Roma” per la Galleria Russo.  

Insieme ai progetti espositivi le “performances” con poeti e musicisti, ricordiamo alcuni temi: nel 2000 “Yule” con il poeta Giuseppe Conte a Faenza  e “Hagakure” a San Benedetto Po,  quest’ultimo progetto teatrale nel 2001 a Trieste; Vicenza, Verona, “Ritorno all’Angelo nel 2002 e “Una parte (di tutte le parti)” nel 2004 a Tolmezzo, “Ogni viaggio è un ritorno” nel  2005 a Udine, “Ottantuno” nel 2005 a Milano, e “Gerarchie Spirituali (passaggio in Ticino” nel  2008 a  Chiasso, “Risvegli” nel 2009 a  Buonanno e “Paesaggi Immaginari” con il poeta Tomaso Kemeny nel 2010 a Milano. Non si contano le collettive, anch’esse incentrate su tematiche particolarmente intriganti.

Sul futurismo abbiamo già citato alcuni suoi interventi che ci sono apparsi molto significativi; ma ce ne sono parecchi altri: il Progetto Manifesto per una personale nel 2008 a Prato, e la realizzazione dello spettacolo pirotecnico “TracciantiVette Tricolori” nel 2009, la relazione “Futurista-progettista”al 40° dell’AIPI a Vicenza, a Padova il Progetto “Arte-vita futurista” e la “Grande Serata futurista in guanti di daino”, il saggio”Futurismo Antineutrale” pubblicato da Silvana Editoriale e la postfazione al libro sullo scultore futurista Quirino de Giorgio nel 2010.

Un artista così impegnato nei progetti tematici e così interessato ad approfondire il movimento futurista non poteva non essere fortemente colpito dalla personalità di Umberto Boccioni. che, per mettere in pratica l”equazione arte-vita si arruolò volontario e andò al fronte per sperimentare “la guerra sola igiene del mondo”; la vita di trincea, nella Grande guerra, gli fece toccare con mano una realtà ben diversa, fu una tremenda doccia gelata, morì nel 2016 in una esercitazione militare.  

Umberto  Boccioni, arte-vita secondo Floreani 

Sotto il profilo artistico, a Boccioni va riconosciuto un processo evolutivo che lo ha portato dalle iniziali espressioni tributarie dell’arte antica e rinascimentale, a quelle successive con apporti dell’arte barocca e dell’impressionismo, del simbolismo e dell”espressionismo, fino all’approdo al Futurismo. La  svolta si è avuta quando sulle forme più evolute dell’arte ai primi del ‘900, come il cubismo, ha innestato un fattore fino ad allora ignorato, il movimento; e non come mero fatto artistico, ma come espressione di una società e di un mondo in cui la modernizzazione spazzava via le incrostazioni del passato:  nella vita, con le città in forte espansione, nel lavoro con l’industrializzazione e la conseguente meccanizzazione – viene introdotta anche l’elettricità –  tutti sconvolgimenti con un fattore comune:  alla lentezza si sostituisce  la velocità,  il dinamismo.   

Ecco come lo considera Floreani nel saggio che abbiamo citato “Umberto Boccioni. Arte- vita”. Vede in lui la stretta relazione  tra la visione del mondo nella sua prorompente modernità e la cesura con le perduranti concezioni ottocentesche, il tutto tradotto nell’arte. Ma anche la sua complessità nei rapporti privati e con se stesso, movimentista e tormentato, che diventa  artista-monaco e poi anche guerriero.

La sua esplorazione va sempre più in profondità, l’incontro con gli altri protagonisti del Futurismo, Marinetti e Balla, Russolo e Carrà ne rafforza le convinzioni essendo tutti “esteti dell’eccesso”. Sente l’esigenza di una “ricostruzione mistica dell’universo”, con al centro l’energia di cui tutti sono trasmettitori e ricettori, quindi legati  all’insieme che li circonda.   “L’Arte deve divenire una funzione della vita… se non si riesce a rimettere l’Arte nella vita i posteri rideranno di noi”, scrive Floreani, incentrando su questo assioma la sua ricostruzione della vita e dell’arte di Boccioni. E aggiunge: “Senza Boccioni il Futurismo non avrebbe probabilmente intrapreso quella multidisciplinarietà con tale slancio e qualità intrinseca, in modo così convincente e rivoluzionario”.  

In definitiva ha dato un forte impulso nell’introdurre la rivoluzione della  modernità, che  esprime nella  pittura come nella scultura, tanto che la sua opera  viene considerata come il passaggio all’arte contemporanea, e lui come anticipatore di  tematiche ancora attuali nella sua tensione verso il futuro: è visto precursore, per certi aspetti, di  Fontana e dell’arte povera, di Schifano e di Warhol.    

Luca Siniscalco, che lo definisce “un contemporaneo dello spirito, un autore postumo a se stesso, per dirla con l’amato Nietsche, una cartina di tornasole della modernità e delle sue contraddizioni”,  parla della ” potenza dissacrante di un dinamitardo del Novecento” e cita questa sua “precisa raffigurazione dello scenario  artistico moderno”, che si rivela quanto mai profetica: “Verrà il tempo in cui il quadro non basterà più: la sua immobilità sarà un  anacronismo col movimento vertiginoso della vita umana. L’occhio dell’uomo percepirà i colori come sentimenti in sé: i  colori moltiplicati non avranno bisogno di forme per essere compresi, e  le opere pittoriche daranno emanazioni luminose e gas colorati, che sulla scena di un libero orizzonte commuoveranno ed elettrizzeranno l’anima con la forza di una favola che non possiamo ancora concepire”. 

Forse anche per questa sua straordinaria visione del futuro, come un Giulio Verne dell’arte, i riconoscimenti a Boccioni sono  molto diffusi: lo dimostrano, tra gli altri, gli articoli celebrativi  nella rivista “Futurismo – Oggi” negli anni ’70 e ’80 e nel “periodico mensile per i giovani futuristi italiani diretto da Enzo  Benedetto”, fino ai “Comitati  W Boccioni”. 

Quindi anche noi diciamo “W Boccioni”  nello scorrere le 35 opere di Floreani che lo celebra nelle sue composizioni su carta e materiali vari come nei suoi scritti che ne approfondiscono il valore artistico e umano. Un impegno meritorio, come quello della Galleria Russo sugli artisti futuristi.

Info

Galleria Russo, via Alibert  20, Roma. Aperta il lunedì dalle ore 16,30 alle 19,30, dal martedì al sabato dalle ore 10 alle 19,30, domenica chiuso. Tel. 06.6789949, 06.60020692 www.galleriaarusso.com  Cfr. i nostri articoli in questo sito, sulle mostre di futuristi alla galleria Russo: “La ricerca della modernità, dal Divisionismo al Futurismo”, 7 marzo 2018, Marchi, 24 novembre 2017, Thayhat 27 febbraio 2017, Tato 19 febbraio 2015, Dottori 2 marzo 2014, Erba 1° dicembre 2013, Marinetti 2 marzo 2013.

Foto 

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra nella Galleria Russo, ai ringrazia il titolare con i proprietari dei diritti per l’opportunità offerta. Sono tutte opere esposte di Floreani celebrative di Boccioni.

Cultura, 2. La rivoluzione museale nel diritto di cittadinanza, da Civita

di Romano Maria Levante

Si conclude il nostro resoconto del Convegno tenuto nella sede di Civita  il 17 ottobre 2018  sul tema Cultura come diritto di cittadinanza: radici costituzionali, politiche e  servizi”, con al centro l’attuazione dell’art. 9 della Costituzione sulla tutela e valorizzazione della cultura e del paesaggio nell’interpretazione allargata alla fruizione. Dopo la presentazione del Segretario Generale di Civita Nicola Maccanico, e dei managing partner  di “A & A” che ha collaborato con Civita all’organizzazione del Convegno, Gianluca Albè e Francesco Caroleo, che ha moderato l’incontro, c’è stata l’esposizione del Giudice Emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese, poi dei due  Assessori alla cultura a livello locale, Gian Paolo Mnnzella per la Regione Lazio e Antonella Agnoli  per la città di Lecce. Ne abbiamo dato conto nell’articolo precedente, ora riferiamo dell’intervento del  Direttore generale dei Musei al Ministero dei Beni e le Attività Culturali Antonio Lampis  e terminiamo con l’intervento del presidente di Icon-s International Society of Public Law, Lorenzo Casini  e con le parole conclusive di Sabino Cassese.  

Galleria degli Uffizi di Firenze 

La visione dell’istituzione centrale che coordina l’intero sistema museale

All’intervento del  Direttore generale Musei del Ministero dei Beni e le Attività culturali Antonio Lampis   diamo un’ampiezza e un rilievo del tutto particolari  per il ruolo decisivo che svolge nell’attuazione della riforma dei “luoghi della cultura” primarii, una radicale innovazione nel sistema museale e per questo al centro del tema del Convegno sul diritto alla cultura.

Ricopre l’importante incarico da un anno che è stato molto intenso –  soprattutto a livello normativo con l’emissione di molti decreti, e a livello di incontri e manifestazioni – ed è  impegnato nell’attuare l’ambizioso  programma che ha rivoluzionato il sistema museale italiano. I risultati non si sono fatti attendere, l’afflusso ai musei si è intensificato, con delle vere e proprie code, per un incremento nell’anno del 7,8%  negli ingressi, non dovuto di certo alle gratuità dato che gli introiti sono cresciuti del 23,4%, mentre il turismo ha segnato un aumento inferiore, + 4%. Altro che la profezia del 2004 del “Museo invisibile”, ricordata dallo stesso Lampis! 

Galleria Borghese di Roma 

Il suo non è soltanto un punto privilegiato di osservazione, ma il motore della rivoluzione nel sistema basilare della diffusione della cultura tra il pubblico nel territorio, oltre che nei turisti nell’intero paese. Nella sua impostazione c’è in primo luogo un intento di notevole rilievo:   inserire la cultura nel “welfare”  considerandola un diritto di tutte le persone che vivono nel territori, e collegarla  a casa, scuola  e agli altri diritti fondamentali. Questa intenzione ha un riferimento ben  preciso, gli indicatori internazionali di benessere che includono la cultura tra i fattori determinanti, e benessere vuol dire anche salute;  è legata inoltre al progresso spirituale oltre che materiale della società di cui all’art. 4 della Costituzione. Del resto i musei,  nei quali si esprime maggiormente l’accesso popolare alla cultura, sono inseriti nei “servizi pubblici essenziali”,  quindi su questa base si può operare perchè la cultura non venga sacrificata nei tagli alla spesa dovuti alle ristrettezze finanziarie.

Il “Sistema unico dei musei” è stata la grande innovazione da mettere in pratica,  a due anni dalla riforma che da semplici uffici delle Soprintendenze li ha trasformati in istituzioni autonome con un proprio bilancio e precise responsabilità nell’attuare una riorganizzazione veramente copernicana. Con dei direttori che, per i principali poli museali sono stati scelti medaiante selezione operata dopo un bando internazionale. 

E’ uno strumento primario per dare forma concreta al concetto di “cultura come diritto di cittadinanza”, perciò riserviamo al  coordinatore del sistema museale italiano uno spazio adeguato per fornire gli elementi principale dell’azione che sta svolgendo.

Museo Archeologico Nazionale di Napoli 

La sua missione è di coordinare “le politiche di gestione, fruizione e comunicazione dei musei statali, per garantire lo sviluppo del sistema museale italiano e un’offerta culturale accessibile a tutti e di qualità”.  Si è dovuta assicurare l’introduzione dei criteri innovativi nell’impostazione e nella gestione museale con il necessario coordinamento mentre occorreva anche sbloccare le gare per i “servizi aggiuntivi”, cosa che si è fatta mediante un cronoprogramma con un bando quasi ogni settimana. 

Il termine “Sistema unico dei musei” non deve far pensare a un monolite, al contrario deve essere “flessibile, leggero e veloce”,  e sono stati già fissati per decreto nel giugno scorso “i livelli minimi uniformi di qualità dei musei e dei luoghi della cultura” ponendo anche degli “obiettivi di miglioramento”. La definizione, frutto di lunghi studi anche con gli enti territoriali, ha valore internazionale perché  si tende a migliorare la posizione competitiva dell’Italia nel turismo, oltre che a stimolare il processo di crescita culturale dei cittadini, che è la principale finalità.  

Pinacoteca di Brera  

Naturalmente, non è automatico il raggiungimento di tali livelli, ma sarà favorito dalla creazione di  un sistema di connessione dei musei che prevede modelli di autovalutazione da inserire in una piattaforma informatica, e alla rispondenza dei requisiti richiesti ha come risultato l’accreditamento. E’ stata istituita al riguardo una commissione ministeriale che dovrà dare un voto da 0  a10 alle richieste di accreditamento, e dovrà essere ispirata al criterio di “burocrazia zero”, tutto mediante comunicazione digitale, videoconferenze e utilizzazione della piattaforma informatica.

La sburocratizzazione si avvarrà anche di un “vademecum” operativo per i direttori dei musei che altrimenti dovrebbero districarsi nella fitta selva di norme, mentre devono pensare ad agire concretamente con efficienza gestionale ed efficacia propositiva. Il coordinamento di tutti gli istituti museali con  quelli principali, i “Poli”, per garantire una migliore verifica e la comparazione analitica dei loro bilanci è un efficace strumento competitivo, al quale si aggiunge il  supporto del “centro” ministeriale verso le sedi “periferiche” per gli aspetti gestionali e amministrativi più complessi. 

Gallerie dell’Accademia di Venezia 

E’ lanciata una sana competizione, i direttori dei musei dovranno tendere ad obiettivi ben precisi rispetto ai quali vi saranno  valutazioni di performance. Sono consapevoli che per l’attribuzione del punteggio ai livelli di qualità una efficace rendicontazione sociale avrà un valore elevato, a Firenze si sperimenta il S-ROI, cioè “Social  Return On Investment” rispetto al mero ritorno economico.  Così trova espressione concreta l’impegno di carattere sociale per la diffusione della cultura attraverso i musei che non deve essere sacrificato per la responsabilizzazione sui bilanci, pur se questa resta importante.  

Ma non finisce qui,  perché per esplicita indicazione del  decreto 113, il Sistema museale nazionale «è composto dai musei e dagli altri luoghi della cultura statali, […] nonché dagli altri musei di appartenenza pubblica, dai musei privati e dagli altri luoghi della cultura pubblici o privati, che, su base volontaria e secondo le modalità stabilite dal presente decreto chiedano di essere accreditati». L’accredito, quindi, riguarda anche musei e istituzioni culturali, le più diverse, di natura privata, conforme  alla decisione dell’Unione Europea  che ha dichiarato il 2018 “Anno europeo del patrimonio” affermando che la sua “gestione sostenibile” costituisce una scelta strategica per il XXI secolo, per il contributo del patrimonio culturale alla creazione di valore, di competenze, di occupazione e di qualità della vita, impostazione coincidente con quella della  riforma museale.   


Palazzo Reale  di Torino 

La connessione del “Sistema unico dei musei” riguarda quindi migliaia di musei e richiede  un’efficace “governance”  articolata su più livelli, basata sulla partecipazione  dei portatori di interesse dei diversi settori, ma senza posizioni gerarchiche: dovranno lavorare insieme lo Stato e le Regioni, i Comuni e gli altri enti locali, le Università e i centri di formazione, basandosi sulle connessioni e non sull’appartenenza.. 

Al riguardo occorre sanare la frattura tra i distretti ad alto livello culturale ed economico e le aree interne,  rurali o periferiche, problema di carattere generale che il sistema museale può contribuire a risolvere favorendo il lento ma necessario processo di ricucitura nel quale i piccoli musei acquisirebbero un nuovo valore per la coesione sociale e territoriale. Questo può avvenire mediante  le interconnessioni del sistema museale la cui dispersione resterebbe un punto di debolezza mentre i collegamenti creando un “museo diffuso”  nell’ambiente possono farla diventare un vero punto di forza.

Mentre i musei  più importanti saranno autonomi, affidati alla responsabilità del Direttore del museo, anche i musei minori avranno un Direttore, funzionario del Ministero con deleghe e una programmazione annuale con rendiconto e valutazione  per una “governance” sostenibile. Spetta comunque ai Poli la responsabilità di un “comunicazione sociale integrata” che favorisca l’inserimento  dei musei minori ed emarginati nel virtuoso circuito di interconnessioni.  

Reggia di Caserta 

Ma non si è detto ancora nulla sull’innovazione negli assetti, nei linguaggi e nei contenuti che dovranno essere coerenti con la carica innovativa della riforma, quindi rispondere alle esigenze dei tempi nuovi che anche sotto questi aspetti segnano una autentica rivoluzione,

Dovranno essere luoghi di incontro e di scambio di esperienze culturali con un assetto coerente a questa funzione, e adottare le tecnologie più avanzate comprese le dematerializzazioni, rendendosi quanto più possibile aperti alle esigenze del pubblico.  Verranno valutati gli impatti sociali e culturali generati sul medio e lungo termine tra le persone e le comunità.. In generale ci si dovrà spostare dalla sola conta dei biglietti alla verifica delle relazioni perché un buon museo assolve il suo ruolo nella società quando diventa centro di significativi rapporti sociali, culturali e scientifici.

In merito alle tecnologie, il “Sistema unico dei musei” diviene sostenibile nella sua gestione, solo se si potrà creare  rapidamente  un comune “cielo digitale”, e se si procederà lungo un comune “fiume digitale”, poiché il fluire dei dati oggi è alimento necessario di qualunque sistema. Naturalmente andranno assicurati i necessari collegamenti ai siti web e alle piattaforme “social” con le loro interconnessioni utilizzando gli strumenti più avanzati di diffusione e di dialogo. 

Galleria Nazionale dell’Umbria 

Nei contenuti, l’offerta dei musei andrà migliorata notevolmente  con una “narrazione museale” che presenti le opere esposte in relazione agli ambienti di provenienza e al tessuto sociale e produttivo in cui furono create, e questo nelle forme più appetibili soprattutto per le giovani generazioni; e,  più in generale, facendo partecipare  alla conoscenza del patrimonio culturale le fasce sociali rimaste escluse. Per ottenere questo risultato, oltre ai linguaggi andranno rivisti anche gli allestimenti perché il museo possa svolgere la sua funzione primaria, che consiste nel “garantire effettive esperienze di conoscenza”.

Le criticità si riscontrano soprattutto nel personale, poco adeguato ai nuovi compiti sia come qualificazione  che come entità, ancora di più nella prospettiva incombente dei pensionamenti anticipati, anche riguardo alle aperture al pubblico.  Al di là delle specifiche sulle diverse fasce professionali, ci limitiamo a riportare che saranno messe in atto adeguate attività di formazione e sono già avvenuti due cicli di assunzioni, a  gennaio e maggio 2018,  particolarmente rilevanti, con l’ingresso di giovani archeologi, storici dell’arte, architetti –  oltre a funzionari amministrativi  – giovani e motivati.   Si presenta dunque un compito titanico essendo 8000 i musei italiani,  ben più dei 5000 dichiarati dall’Istat, ma la determinazione che abbiamo riscontrato nell’esposizione del responsabile del settore Lampis ci fa resistere alla tentazione di definirlo “vaste programme” alla De Gaulle, anche se ci domandiamo come sia possibile realizzarlo, tanto è impegnativo.  

D’altra parte l’Italia non ha il grande museo nazionale come la Francia, l’Inghilterra, la Spagna, ma migliaia di musei che debbono essere messi a sistema altrimenti rimarrebbe una minore forza competitiva nel richiamo turistico e una minore capacità di attirare la popolazione per la sua crescita culturale; a parte la sostenibilità economica che con l’interconnessione viene comunque assicurata ai musei minori dalla quota di risorse devoluta dai musei principali largamente attivi. 

Galleria Nazionale delle Marche

Lampis ha assicurato il massimo impegno nella realizzazione del programma esposto, citando l’auspicio di  Mahler, secondo cui “non saremo custodi delle ceneri, ma terremo acceso il fuoco”.  Si dovrà operare senza sosta perché la fiamma venga sempre alimentata e tutti ne  possano sentire il calore, soprattutto coloro che ancora non sono riscaldati dal fuoco della cultura.

La conclusione del Convegno

Ha concluso gli interventi Lorenzo Casini, Presidente di Icon-s – International Society of Public Law, già consigliere giuridico del Ministro, direttamente impegnato nella revisione della legislazione sui beni culturali, componente della commissione di 5 esperti che ha selezionato gli aspiranti direttori dei 20 poli museali per la scelta finale del Ministro. .

Si è soffermato sull’esigenza di collegare l’art. 9 della Costituzione sulla tutela del passaggio con  l’art 3 sull’uguaglianza, perché la cultura assicura uguaglianza e pari dignità purché siano rimossi i vincoli alla sua diffusione. In questa ottica ha affermato come l’art. 9 viene invocato troppo poco dinanzi alla Corte Costituzionale  per censurare le leggi che mettono a rischio il patrimonio culturale.  

Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Corsini

Ha poi analizzato tre punti importanti: proprietà, frontiera, deposito. Sulla “proprietà” dei beni culturali, lo Stato ha cercato di superare in qualche modo il regime proprietario senza ovviamente annullarlo. Infatti, se viene posto un vincolo di interesse pubblico il proprietario non viene indennizzato, al riguardo in una sentenza della Corte Costituzionale del 1958 si legge che, anzi, dovrebbe esserne gratificato, ma negli USA c’è l’indennizzo; inoltre i contributi per la valorizzazione vengono dati solo ai beni culturali di proprietà pubblica, ritenendoli della comunità, e non a quelli di proprietà privata pur se con vincolo pubblico, e anche questo pone dei problemi da affrontare.

Anche in merito alla “frontiera” cita una decisione giurisdizionale, questa volta della Corte di Giustizia europea la quale non ammette discriminazioni rispetto agli altri prodotti dei beni culturali che possono essere esportati, perchè la relativa autorizzazione non dovrebbe permettere trattamenti differenziati; altra decisione dello stesso tipo sui prodotti musicali; quindi due censure alla posizione italiana. L’eliminazione di frontiere in senso figurato vale anche nei rapporti tra Regioni, province e comuni, resi più confusi dall’eliminazione delle provincie con la conseguenza che una serie di beni culturali provinciali ritenuti di minore interesse vengono trascurati se non ignorati dalle istituzioni; mentre se sono di grande interesse vengono contesi in confuse contrapposizioni con lo Stato come per il Colosseo.

Il terzo tema, il “deposito”, è collegato alla carenza di risorse, per cui parte del patrimonio culturale e artistico giace dimenticato nei magazzini, il problema è annoso, viene citato il lamento di Victor Hugo nel 1848. Oltre alle risorse finanziarie vi è ancora più urgenza di risorse umane, si rischia la fuoruscita per il pensionamento di migliaia unità specializzate con conseguenze negative sui servizi senza apprezzabili vantaggi economici trattandosi del settore pubblico dove il costo non cresce come nel privato con l’anzianità.   

Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma 

Su questi temi occorre intervenire e si sta cercando  di farlo, per la “proprietà” vanno riconosciuti i diritti e si deve proseguire nel passaggio dal bene al servizio considerando i musei come istituzioni; per la “frontiera” devono essere abbattuti gli steccati e gli ostacoli in un’ottica internazionale, per i “depositi” e per garantire le risorse necessarie  va inserito il patrimonio culturale  nel conto economico generale: così la cultura partendo dalla scuola diventa strumento per la crescita economica e sociale.

Caroleo  ha concluso preannunciando dal prossimo gennaio l’iniziativa definita “officina del diritto” e ha dato la parola a Sabino Cassese per il commento finale.  Il prof. Cassese ha affermato che la cultura è un diritto dell’uomo e va vista come cultura nella società, da comprendere tra i servizi sociali perchè contribuisce al progresso materiale e spirituale. Sono concetti che partono da lontano, inseriti nella Costituzione, ma siamo impreparati a concepire intellettualmente i paradigmi di fondo della cultura nella società. Cultura che non deve riguardare solo il Ministero dei beni culturali e della Pubblica Istruzione.

Abbiamo cercato di rendere il senso delle principali considerazioni esposte in una intensa mattinata, con tutte le imprecisioni e le omissioni inevitabili in questi casi.  Lo sguardo dalla terrazza di Civita sul Vittoriano di fronte e, a sinistra, sui Fori con  in fondo il Colosseo, ha reso tangibile, anzi visibile, al termine del Convegno, il valore dei “luoghi della cultura”  rappresentati  nel loro massimo splendore con la luminosità del sole nel cielo terso e il  candore del  monumento con l’Altare della Patria.

Museo di Capodimonte a Napoli

Info

Il Convegno si è svolto nella sede di Civita a Piazza Venezia 11, Roma. Il primo articolo è uscito in questo sito il 20 ottobre u. s. Per convegni precedenti di Civita in materia culturale cfr.i nostri articoli:  in questo sito, sulle “Imprese culturali e creative”  14, 18 febbraio 2018 e 19 settembre 2014, sul “Soft Power”  11 e 15 febbraio 2018, sulla “Via Francigena”  19 luglio 2018, 18 giugno 2017, 29 agosto 2015, 19 luglio 2014, sul salvataggio di “Civita di Bagnoregio” 20 giugno e 9 luglio 2015, sugli “Itinerari consolari” 16 marzo 2013, sui “Tesori della provincia di Roma” 29 luglio 2013; inoltre, in www.archeorivista.it, sull’ “Archeologia e il suo pubblico” 26 febbraio 2010, e in cultura.inabruzzo.it, “Appello contro la recessione culturale” 15 luglio 2010, le “Domus di Palazzo Valemtini”  3 dicembre 2009, “Arte, cultura, territorio” 3 novembre 2009, la “Via Francigena”  5 ottobre 2009, , l’“Hotel della cultura” 17 settembre 2009 (tali siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito). 

Foto

Le immagini – a parte quella di chiusura del Vittoriano ripreso dalla terrazza di Civita –   dopo le 6 “Aree archeologiche” e le 6 “Biblioteche” poste a illustrazione dell’articolo precedente,   riguardano 12 dei 20 “Musei”, anzi “poli museali” i cui direttori sono stati nominati nell’agosto 2015 dopo la selezione seguita al  bando internazionale, quali primari “luoghi della cultura”, tema della relazione del Direttore Generale dei Musei Lampis al centro del Convegno; come per le “Biblioteche” si sono scelti gli interni rispetto agli esterni monumentali, per sottolineare il concetto di base dell’accesso del pubblico.  Sono state tratte dai siti internet che saranno indicati al termine, ringraziamo i titolari dichiarandoci pronti a escludere le immagini il cui inserimento non fosse loro gradito, precisando che sono meramente illustrative e non necessarie, e che manca la benché minima finalità promozionale e tanto meno economico-commerciale. In apertura, la Galleria degli Uffizi di Firenze, seguono, la Galleria Borghese di Roma  e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli; poi la Pinacoteca di Brera  e le Gallerie dell’Accademia di Venezia; quindi, il Palazzo Reale  di Torino  e la Reggia di Caserta; inoltre,  la Galleria Nazionale dell’Umbria e la Galleria Nazionale delle Marche; infine, le Gallerie Nazionali di Arte Antica Palazzo Corsini,  la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea a  Roma  e il Museo di Capodimonte a Napoli; in chiusura, il Vittoriano, con il Museo centrale del Risorgimento, il Sacrario militare delle bandiere e l’Altare della patria, visto dalla terrazza di Civita.I siti da cui sono state tratte le immagini, nella stessa successione in cui sono inserite nel testo, sono: tg.tourism.tv;  mibac.it e  napolitan.it;  milanotoday.it e larepubblicaveneta.it; musei reali.beniculturali.it e talentilucani.it;  lavoce.it e museoguide,it; romadavivere.it,  theartpostblog.com e museocapodimonte.beniculturali.it; l’ultima fornita dall’uff. stampa di Civita.

Il Vittoriano, con il Museo centrale del Risorgimento, il Sacrario militare delle bandiere e l’Altare della patria, dalla terrazza di Civita.

Cultura. 1. Come diritto di cittadinanza, da Civita

di Romano Maria Levante

Nella sede di Civita  il 17 ottobre 2018 si è tenuto un Convegno sul tema Cultura come diritto di cittadinanza: radici costituzionali, politiche e  servizi”, con il Giudice Emerito della Corte Costituzionale Sabino Cassese, due Assessori alla cultura a livello locale, Gian Paolo Manzella per la Regione Lazio e Antonella Agnoli  per la città di Lecce, il Direttore generale dei Musei al Ministero dei Beni e le Attività Culturali Antonio Lampis e due rappresentanti di studi legali, Gianluca Albè  managing partner dello studio legale A & A e Lorenzo Casini presidente Icon-s International Society of Public Law. Dopo l’introduzione del Segretario generale di Civita Nicola Maccanico ha moderato l’avv. Francesco Caroleo managing partner – con Gianluca Albè –  dello studio legale “A & A” – Albè Caroleo Albè Barbotti & Associati” che ha collaborato con Civita nell’organizzare il Convegno.  

Il tavolo dei relatori durante l’intervento di Sabino Cassese, al centro, alla sua dx Lampis e Caroleo, alla sua sin.Manzella e Casini, non inquadrata la Agnoli 

Al centro del tema trattato l’art. 9 della Costituzione, per il quale “La Repubblica promuove lo sviluppo della  cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, di quila partecipazione di giuristi fino al giudice emerito della Corte Costituzionale, chiamata in causa per la sua funzione di “giudice delle leggi”.

L’impostazione data al Convegno

Per inquadrare il Convegno, da Civita sono stati  premesse alcune considerazioni basate sui principali  riferimenti normativi. 

La prima ricorda che l’articolo 9 della Costituzione, che fa parte dei “Principi generali”, utilizza termini generici che consentono di dare un’interpretazione evolutiva in modo da attualizzarne il contenuto in base alle nuove esigenze, lo si è fatto per la tutela dell’ambiente indirettamente incluso nel termine “paesaggio”.  Si tratta della “presbiopia” della nostra  Costituzione invocata in modo provvidenziale da Piero Calamandrei nella seduta del 4 marzo 1947.  

Colosseo, interno 

Un altro riferimento è la riforma del Titolo V con la legge costituzionale del 2001 che ha modificato l’attribuzione delle competenze sui beni culturali e ambientali: l’art. 117 comma terzo ha assegnato allo Stato la competenza esclusiva sulla tutela e alla legislazione  concorrente la valorizzazione dei beni e la promozione delle attività culturali in cui lo Stato ha il compito di dettare i principi fondamentali mentre spetta alle Regioni definire la normativa di dettaglio. I due livelli devono coordinarsi..   

Inoltre la Dichiarazione dei diritti dell’uomo all’art. 27 sancisce il diritto di tutte le persone di prendere parte alla vita culturale; di conseguenza alla prescrizione costituzionale di assicurare la tutela e la valorizzazione si aggiunge l’esigenza di garantirne l’accesso mediante l’utilizzazione dei finanziamenti pubblici verso la platea più ampia possibile e la responsabilizzazione delle  istituzioni culturali nella stessa direzione.

E’ questa una priorità per la Commissione Europea e per gran parte delle amministrazioni pubbliche ed organizzazioni culturali europee che, adottando la strategia di “audience development”, promuovono l’accesso e la vasta partecipazione alla cultura di cui vengono ampliate le tipologie.   

Valle dei Templi  di Agrigento 

Invece in Italia ciò non avviene, anche perché i servizi culturali in genere non rientrano tra i “servizi essenziali” codificati, quindi vengono sacrificati dinanzi ai vincoli alla finanza pubblica; e non rientrano neppure negli interventi per le Aree interne sulle disuguaglianze di accesso ai “servizi essenziali” di cui al programma 20124-20, riservati a istruzione, salute  e mobilità. L’esclusione dai “servizi essenziali” esime dall’obbligo di  determinare i livelli minimi delle relative prestazioni  in tutto il territorio nazionale come per gli altri diritti civili e sociali.

Un positivo mutamento di tendenza si è avuto con il decreto legge del 2015 che ha modificato la legge del 1990 in materia di sciopero nei “servizi pubblici essenziali” – nella quale le limitazioni in questo settore riguardavano soltanto “la vigilanza sui beni culturali” – aggiungendo “l’apertura al pubblico di musei e altri luoghi e istituti di cultura, dei quali, secondo il Codice dei beni culturali, fanno parte, oltre ai musei, “le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali”. Si tratta del cosiddetto “decreto Colosseo” , in una visione limitata ai turisti come beneficiari dei beni culturali lamentata da Civita, che però conclude: “Esso può offrire l’opportunità di pervenire a una definizione condivisa dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i beni culturali” considerati “diritti di cittadinanza”.  

Pompei, un interno

Premessa questa impostazione di massima, la parola passa agli intervenuti al Convegno, introdotti dal Segretario generale di Civita,  Nicola Maccanico, il quale ha ricordato che l’Associazione  dalla sua nascita si è inserita nella positiva “presbiopia” della Costituzione come soggetto privato in collaborazione con ile istituzioni pubbliche per la valorizzazione dei beni culturali, tema che la flessibilità costituzionale ha consentito di aggiungere alla tutela e conservazione.

La linea iniziale  del dialogo tra pubblico e privato è divenuta centrale perché il patrimonio culturale e artistico viene definito “il petrolio” del paese,  per cui occorre che vi siano delle “cinghie di trasmissione tra questo patrimonio e gli strumenti per crearne occupazione e reddito”. Non solo, ma la valorizzazione culturale accresce la  capacità dell’Italia di incidere a livello mondiale, perché ne dipende la sua autorevolezza, ora affidata ad alcuni campioni di eccellenza del mondo delle imprese,  mentre deve riguardare l’intero sistema-paese.

Francesco Caroleo ha ricordato gli interventi del Presidente della Repubblica in difesa della Costituzione, che richiede rispetto  e responsabilità e a proposito dei beni culturali e ambientali contiene indicazioni programmatiche tuttora valide se interpretate con la flessibilità necessaria per adattarle ai tempi nuovi. Ha  poi presentato i partecipanti all’incontro, iniziando da Gianluca Albè, che ha  preannunciato le ulteriori iniziative in programma partendo dall’art. 9 della Costituzione, definito “un faro” su cui puntare l’attenzione per procedere  lungo un  percorso coerente.   

Fori Imperiali 

I cinque punti di Sabino Cassese

Personaggio centrale dell’incontro è stato  Sabino Cassese, che ha risposto alle aspettative con un intervento ricco di indicazioni e di ammonimenti, a partire dalla garbata contestazione del concetto di “cultura come diritto di cittadinanza”,  considerando che l’ottica è ben più ampia, attiene ai “diritti dell’uomo” e non solo del “cittadino”.  Forse, aggiungiamo noi, a questa definizione non è estranea l’attualità del concetto di “cittadinanza” nella settimana in cui il Consiglio dei Ministri ha approvato la manovra con il “Reddito di cittadinanza” e la “Pensione di cittadinanza”, con l’intento di dare al “diritto”  la massima estensione, ma applicato alla cultura il riferimento  alla cittadinanza diviene invece paradossalmente restrittivo.

Il prof. Cassese ha sintetizzato le sue considerazioni in 5 punti in una visione del patrimonio culturale ampliata e unitaria. 

Con il 1° punto sottolinea l’esigenza di passare dall’impianto nazionale a una concezione universale del patrimonio culturale e artistico.  Si tratta di un’ottica innovativa perchè nella tradizione la cultura è stata vista  come appartenente a una storia, precisamente alla storia della nazione, quindi elemento costitutivo dell’identità nazionale.   

Ostia antica 

Oggi l’approccio deve cambiare profondamente, e già alcuni libri hanno lanciato il concetto di “storia mondiale” anche partendo dalla nazione, ha citato in proposito la recente “storia mondiale della Francia”.  Altri libri hanno in comune l’individuazione degli  elementi compresenti nelle diverse culture del mondo prescindendo dalle origini nazionali. E questo mentre, al contrario, sia la cultura “conservata” che quella nuova “prodotta” vengono considerate fatti prettamente nazionali commettendo un grave errore. Gli storici più avveduti e aggiornati si muovono in una dimensione di storia universale, con la riscoperta delle storie nazionali ma in una visione globale su scala planetaria.  

Anche da qui nasce il giudizio che è poco appropriato definire la cultura “diritto di cittadinanza”, quasi fosse circoscritto ai cittadini della singola nazione, mentre si deve parlare di diritto dell’uomo, quindi comprendere anche gli stranieri e gli immigrati, regolari o meno. Deve esserci, cioè, la fruibilità universale della cultura.   

Paestum 

Il 2°  punto riguarda il  passaggio, sempre nella concezione del patrimonio culturale, dalla frammentazione all’ unitarietà. Ciò vuol dire che i beni culturali vanno considerati non a sè stanti,  ma legati al contesto,  l’opera è importante non tanto in se stessa quanto come parte di un insieme. Per questo  il trasferimento a Londra dei fregi del Partenone, anche se furono acquistati e preservati, dalla possibile dispersione, va giudicato in senso negativo come sottrazione perché  sottratti dal loro contesto; analogamente per quanto da Pompei è stato trasferito a Napoli. La nostra percezione di questo problema ora è molto più evoluta, il  bene culturale dovrebbe essere restituito al luogo in cui è nato, ma è molto difficile che ciò avvenga.

Un 3° punto fondamentale è il passaggio dall’uso dei beni culturali alla loro destinazione all’eternità, dimensione di cui non ci si è occupati in passato, qualunque fosse il bene culturale.  Ma l’uso può logorarli, soprattutto i libri antichi, e cita l’episodio della seconda copia di un libro prezioso esibita perché l’originale era troppo deteriorato per le continue consultazioni;  problema che le biblioteche devono affrontare soprattutto per preservare i libri antichi.   

Biblioteca Centrale di Firenze 

Si giunge così al 4° punto, il passaggio dal bene culturale al servizio,  si parte dall’oggetto e si arriva al patrimonio poi all’eredità culturale  nella sequenza  conservazione-cura-tutela-conoscenza- ricerca- valorizzazione-fruizione.

Dall'”antiquarium” di vecchia concezione, volto solo alla conservazione, ai musei moderni con servizi per la migliore fruizione dei beni culturali. Il prof. Cassese ricorda che nel lontano passato da presidente dell’apposita commissione curò la limitazione del diritto di sciopero per alcuni servizi essenziali, tra questi ora rientra anche l’ apertura dei beni culturali al pubblico.  E’ in atto una trasformazione, si riconosce non il valore del bene in sé ma in quanto veicolo di cultura concepita come servizio.  

Il 5° e ultimo punto è un altro passaggio importante, dalla separatezza alla interconnessione, dal bene in sé a un sistema. Vanno visti in questa prospettiva gli accordi di partenariato  per favorire l’interconnessione ai diversi livelli, Unione Europea e Stati, Regioni e città metropolitane, tenendo conto del fatto che i beni culturali sono una parte importante dell’intero sistema anche per lo sviluppo economico. Quindi non ne sono interessati soltanto i ministeri direttamente competenti, Beni Culturali e Istruzione,  ma anche gli altri che fanno parte del sistema complessivo.  

Sono seguiti due interventi di Assessori con ruoli operativi in campo culturale, a livello regionale e comunale, che hanno delineato una serie di problemi e di interessanti iniziative e prospettive sul piano locale anche rispetto al quadro generale. 

Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano

Le esperienze locali, a livello regionale e comunale

Gian Paolo Manzella, Assessore della regione Lazio per lo sviluppo economico, commercio e artigianato, start-up, Lazio creativo e innovazione, si è proposto pragmaticamente di sottoporre a verifica quanto messo in atto nella sua regione per accertare se ciò che si sta facendo è appropriato. Passa, per così dire,  dalla visione macroeconomica alla verifica microeconomica se si lavora nella direzione giusta. Non si deve aver paura di confrontarsi, al riguardo cita l’esempio del Messico, con il personaggio che portava i libri di autori messicani in Svezia. Ha detto che non si deve aver paura di confrontarsi  per capire se si lavora nella direzione giusta, tanto più non lo deve temere il Lazio, la grande regione europea  di antiche tradizioni, dove è stata realizzata la prima macchina per la stampa e quindi la prima produzione di testi stampati.  

Una prima serie di citazioni riguarda la normativa. Inizia con la legge del 1958 in materia di cultura, cui ha lavorato Tullio De Mauro,  nella quale si enunciavano i diritti e di conseguenza si regolava il  decentramento e il sostegno alle organizzazioni culturali, si introducevano i circuiti regionali, si favorivano la ricerca e la sperimentazione, e sul piano associativo le organizzazioni impegnate  nel valorizzare i beni culturali.  

Poi, nel 2004,  la Regione ha definito ulteriormente l’intervento legislativo  per promuovere la cultura e l’istruzione e valorizzare il patrimonio ambientale ponendo anche obiettivi di sviluppo economico e sociale considerate le attività culturali un fattore fondamentale e un elemento identitario.  Nel 2014 ulteriori misure nella stessa direzione di rendere la cultura  e l’ambiente sempre più integrati nel processo di sviluppo regionale.  

Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia  

Dalla normativa  alle iniziative che traducono in azioni concrete queste direttrici generali. In primo luogo l’intervento sulle infrastrutture, in cui rientrano oltre a teatri, biblioteche, ecc. anche gli edifici di pregio.  Poi la diffusione nel territorio regionale, è stata creata la “città della cultura”  della regione Lazio come le capitali europea e italiana della cultura; più comuni possono collegarsi, ha citato l’esempio di Colleferro  con i comuni vicini..

L’accesso alla cultura, altro aspetto fondamentale, viene stimolato con una serie di bandi anche nelle scuole, in particolare per promuovere il valore della lettura, considerando anche gli immigrati.  Sulla promozione dei beni culturali evidenzia il successo delle “domus romane” di  PalazzoValentini, in cui la visita ai reperti si avvale dell’installazione digitale con la narrazione di Piero Angela e Paco Lanciano che ne fa la mostra più apprezzata. Cita anche l’importanza data alle industrie legate alla cultura, le cosiddette “industrie culturali e creative”. 

Cosa si dovrebbe fare in futuro? Sottolinea due problemi da risolvere. Il primo è che manca una vera cultura laziale, a differenza delle altre regioni maggiormente identitarie; per questo occorre creare  un filo conduttore regionale, valorizzando ciò che c’è fuori Roma, oscurato dalla forza attrattiva della città eterna. L’alto problema è che si devono superare i compartimenti stagni, non solo nelle competenze e nell’organizzazione, ma anche nell’impostazione mediante la commistione di saperi, processo avviato nelle università laziali con programmi interdisciplinari.  

Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli

In un’ottica a livello comunale è intervenuta Antonella Agnoli, Assessore alla cultura, creatività e valorizzazione del patrimonio culturale della città di Lecce. Grande esperta di biblioteche, in cui ha operato per un quarantennio, ha trovato delle carenze nella città dove da due anni ha la responsabilità del settore culturale, e si è subito adoperata per colmare queste lacune. 

Ha lamentato non solo la confusione di competenze tra comune  e regione, ma soprattutto la scarsissima autonomia del comune,  dato che la regione decide cosa si deve fare e non fare, deresponsabilizzando gli enti locali. La maggior parte dei servizi vengono esternalizzati in un’ottica di mera gestione e non di valorizzazione; ci sono finanziamenti insufficienti, limitati agli spettacoli dal vivo e a poco altro.  Dovrebbe esserci un approccio diverso, e secondo l’impostazione di De Mauro sulla tendenza all’isolamento dovrebbe prevalere la visione dei beni culturali come esperienza collettiva, dello stare insieme. 

In merito alle biblioteche, in particolare, ha detto che possono diventare delle location, dei contenitori  come centri culturali veri e propri, quasi in posizione competitiva rispetto ai centri commerciali, con servizi di intrattenimento di vario tipo, fino alla piscina e se del caso anche con il museo, altrimenti non c’è futuro. Dovrebbero essere progettate ponendosi nell’ottica di coloro che dovrebbero essere attratti ad usufruirne, non ignorando il punto di vista di chi non le conosce perché ne è il destinatario e deve trovare il luogo a lui congeniale: quindi progettazione con i cittadini. Non si limita a enunciare tale impostazione, proietta una serie di immagini di modernissime biblioteche-centri culturali di intrattenimento tedeschi concepiti con questa logica.

Dalle esperienze locali si torna alla visione nazionale, ma  non rivolta genericamente alla cultura, bensì ai “luoghi della cultura” che tivestono un’importanza fondamentale, i Musei, nei quali è in corso una radicale innovazione. Il Direttore generale del settore al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali ha  esposto le iniziative per il nuovo “Sistema museale nazionale”, ne daremo conto prossimamente insieme alle conclusioni del Convegno. 

Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze 

Info

Il Convegno si è svolto nella sede di Civita a Piazza Venezia 11, Roma. Il secondo e ultimo articolo uscirà in questo sito il 25 ottobre p. v. Per convegni precedenti di Civita in materia culturale cfr.i nostri articoli:  in questo sito, sulle “Imprese culturali e creative”  14, 18 febbraio 2018 e 19 settembre 2014, sul “Soft Power”  11 e 15 febbraio 2018, sulla “Via Francigena”  19 luglio 2018, 18 giugno 2017, 29 agosto 2015, 19 luglio 2014, sul salvataggio di “Civita di Bagnoregio”  20 giugno e 9 luglio 2015, sugli “Itinerari consolari” 16 marzo 2013, sui “Tesori della provincia di Roma” 29 luglio 2013; inoltre, in www.archeorivista.it, sull’ “Archeologia e il suo pubblico” 26 febbraio 2010, e  in cultura.inabruzzo.it, “Appello contro la recessione culturale” 15 luglio 2010,  le “Domus di Palazzo Valemtini”  3 dicembre 2009, “Arte, cultura, territorio” 3 novembre 2009,  la “Via Francigena”  5 ottobre 2009, l'”Hotel della cultura” 17 settembre 2009 (tali siti non sono più raggiungibili, gli articoli saranno trasferiti su altro sito). 

Foto

Le immagini – a parte quella di apertura, ripresa da Romano Maria Levante nella sede di Civita – riguardano alcuni “luoghi della cultura”, tema al centro del Convegno:  sono riportate 6 “Aree archeologiche”, poi gli interni di 6 delle maggiori “Biblioteche”,  mentre nel secondo articolo ci saranno le immagini degli interni di 12 dei 20 “poli museali” con i nuiovi direttori;  per le “Biblioteche” si sono scelti gli interni rispetto agli esterni monumentali per sottolineare il concetto di base dell’accesso del pubblico.  Sono state tratte dai siti internet che saranno indicati al termine,  ringraziamo i titolari dichiarandoci pronti a escludere le immagini il cui inserimento non fosse loro gradito, precisando che sono meramente illustrative e non necessarie, e che manca la benché minima finalità promozionale e tanto meno economico-commerciale.  In apertura,il tavolo dei relatori durante l’intervento di Sabino Cassese, al centro,alla sua destra Lampis e Caroleo, alla sua sinistra Manzella e Casini, non inquadrata la Agnoli; seguono, per le “Aree archeologiche”, particolari del  Colosseo e  della Valle dei Templi di Agrigento; poi, di Pompei e dei Fori Imperiali; quindi, di Ostia antica edi Paestum; inoltre, per le “Biblioteche”,  un interno della Biblioteca Centrale di Firenze  e della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano;  ancora, della  Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia e della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli; infine, della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze  e, in chiusura, della Biblioteca Nazionale di Roma. I siti da cui sono state tratte le immagini, nella stessa successione in cui sono inserite nel testo, sono: per le Aree Archeologiche: ilcolosseo.it e blogsicilia.it;  iviaggidelcavallino.it e italia.it;  beniculturalionline.it e  artbonus.gov.it;  per le “Biblioteche”,  comunità italofona.org, e ambrosiana.eu; marciana.venezia.sbn.it, e vienianapoli.com;  bmlonline.it. e tripadvisor.it.  

Biblioteca Nazionale di Roma 

Ebrei, e leggi razziali, le “vite spezzate” al Museo della Shoah

di Romano Maria Levante

La mostra “1938. Vite spezzate. 80° delle Leggi razziali” espone a Roma, alla Casina dei Vailati della Fondazione Museo della Shoah,  dal 26 aprile al 18 novembre 2018 una vasta raccolta di fotografie e documenti che rievocano le storie di 50 famiglie ebraiche colpite da tali leggi del regime fascista. La mostra, come le precedenti sulla persecuzione antiebraica, è curata da Marcello Pezzetti e Sara Berger.  Catalogo della Gangemi Editore International.  

La sindaca di Roma Virginia Raggi nell’intervento introduttivo

 Nell’80° anniversario delle Leggi razziali in Italia,  la mostra “1938. Vite spezzate”  riporta dinanzi all’attenzione, e soprattutto alla coscienza di tutti,  quell’inconcepibile imbarbarimento della vita civile del nostro paese che deve restare nella memoria collettiva perché non abbia più a ripetersi. 

Si prosegue nel percorso intrapreso con le altre mostre – come ” !938.  La Storia” –  nelle quali sono state evidenziate  le azioni preparatorie, come la propaganda antiebraica capillare  e penetrante e la sistematica mistificazione, la  schedatura e la ghettizzazione,  e  sono stati ricordati gli spaventosi crimini legati alla “soluzione finale” del problema ebraico mediante l’annientamento di un popolo inerme,  con i campi di sterminio e anche con la psichiatria complice del regime nazista. 

All’inaugurazione il curatore Marcello Pezzetti ha affermato che il lavoro svolto, anche se riferito al passato, è in realtà rivolto al presente e al futuro. La mostra precedente è stata visitata da oltre 6.000 studenti, presentata oltre che a Roma  in altre città, da Trieste a Taranto, s Cosenza. E ne ha anticipato i principali contenuti.     

Il curatore della mostra Marcello Pezzetti  nella visita da lui guidata

Virginia Raggi, la sindaca di Roma, ha introdotto la mostra osservando  come “c’è stato un prima e un dopo, dalla normalità si è passati alla tragedia, il titolo ‘vite spezzate’  rende,  con il suo suono onomatopeico, il senso della fine”. Ma proprio il passaggio dalla normalità alla tragedia deve ammonire anche nel presente che le discriminazioni e gli odi possono degenerare. “La memoria non solo è importante in sè, ma deve dare il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, per spegnere le scintille antidemocratiche, non sono concetti superati ma la parte fondante della vita democratica”.

Abbiamo la responsabilità di non far tornare mai un simile orrore, “la storia non si riscrive, si rispetta  e non si deve più ripetere”.  Dopo l’intervento, teso e accorato,  ha seguito l’intero percorso della mostra per tutta la durata della visita guidata da Marcello Pezzetti, che ha illustrato il notevole materiale esposto nei pannelli in cui fotografie e documenti si alternano nelle varie sale dedicate ai settori di attività delle famiglia colpite, tutti i campi della vita nazionale, fono agli internamenti e ai suicidi. 

Le Leggi razziali dal 1938 al 1942

Nel quadro della persecuzione antiebraica di cui alle precedenti mostre, rientrano anche le Leggi razziali italiane che vengono ricordate non solo nei loro aberranti contenuti normativi, ma soprattutto nella loro spietata applicazione che ha sconvolto la vita di famiglie  e persone innocenti, diverse dal resto della comunità nazionale soltanto per professare la religione ebraica; proprio per questo venivano attribuiti loro connotati biologici degradanti assolutamente insensati, ma tali da esporli al pubblico disprezzo e all’emarginazione.  

Agli ebrei appartenenti a tutte le categorie sociali e professionali l’inibizione di praticare le proprie attività: a studenti e professori fu impedito di continuare a frequentare le loro scuole, a scrittori e giornalisti, musicisti e artisti di produrre le loro opere d’ingegno e cultura, agli ingegneri e avvocati, magistrati e medici di esercitare le rispettive professioni. E così per gli impiegati pubblici, statali e parastatali,  e per quelli privati nelle banche di interesse nazionale  e nelle assicurazioni, perfino per i militari e per gli sportivi professionisti. Anche gli ebrei di chiara fede fascista furono colpiti dalle Leggi razziali come tutti gli altri.  Furono vietati i matrimoni “misti”.

Dal giugno 1940, con l’entrata in guerra, gli ebrei stranieri furono internati, previsto l’internamento anche  per gli ebrei italiani ritenuti pericolosi per il regime; dal maggio 1942 per gli ebrei italiani si aggiunse la possibilità di essere precettati per il lavoro obbligatorio..

E’ ben  lontano dalla realtà chi considera blande tali misure, prese per assecondare l’alleato nazista da parte fascista; non sono azioni assassine come la deportazione e successiva eliminazione fisica nelle camere a gas dei lager nazisti, ma distruttive della dignità e dell’esistenza dei perseguitati.

Sconvolgenti gli effetti per la vita delle famiglie e delle persone che ne sono state vittime.  Ci fu chi riparò all’estero, e tra loro anche insigni esponenti della scienza e della cultura, chi passò all’antifascismo e in seguito si unì alla Resistenza, chi si tolse la vita, ma anche chi reagì attivamente opponendosi in vari modi, adattandosi e  riuscendo a sopravvivere. Mentre le istituzioni ebraiche organizzarono scuole alternative per gli espulsi dalle scuole pubbliche e cercarono di assistere i più bisognosi, in questo si segnalò la Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei. 

Il piittore  tedesco Rudolf Levy, deportato ad Auschwitz nel 1944, senza ritorno
(a sin. l’Autoritratto)

IGGli ebrei in Italia all’epoca delle Leggi razziali 

La premessa è che gli ebrei, da duemila anni  in Italia, erano integrati perfettamente nella società italiana,   a partire dal Risorgimento, i rabbini erano soprattutto italiani.

Gli ebrei appartenevano alle principali categorie e classi sociali, erano ricchi e poveri, religiosi e laici, conservatori e progressisti, nazionalisti e internazionalisti, fascisti e antifascisti; con la differenza di una scarsa presenza nell’agricoltura allora prevalente nel paese e di un alto grado di alfabetizzazione che aveva fatto raggiungere loro posizioni elevate nelle professioni e nelle attività economiche, in particolare nel commercio, soprattutto  a Roma. Frequenti i matrimoni “misti”, di un ebreo su tre nel primo dopoguerra, e ancora di più negli anni ’30 prima del 1938.

Veniva classificato di “razza ebraica”  chi aveva entrambi i genitori ebrei, anche se non professava tale religione, e chi aveva soltanto un genitore ebreo ma l’altro era straniero; chi era di madre ebrea e padre ignoto e chi, pur avendo un solo genitore di razza ebraica, professava tale religione. Quindi, il figlio di italiani con un solo genitore di razza ebraica se non professava tale credo non veniva considerato ebreo, a differenza del sistema tedesco che li classificava come “ebrei misti”. 

In base a tale classificazione,  su 58.412 persone con un genitore ebreo in Italia, furono 51.000 quelli sottoposti alle Leggi razziali, di cui quasi 10.000 stranieri. Come primi provvedimenti furono approvati dal Consiglio dei Ministri, nel settembre 1038, i decreti “per la difesa della razza”  che escludevano gli ebrei dal mondo scolastico e accademico ed espellevano gli ebrei stranieri dall’Italia; il 17  novembre il Consiglio varò  il decreto legge n. 1728, promulgato dal Re Vittorio Emanuele III, e convertito in legge dal Parlamento nel mese di dicembre; fino al 1943 fu emanata una serie di ulteriori circolari sull’esclusione degli ebrei dal lavoro e dalla vita pubblica. Per coordinarne l’attuazione fu istituita nel Ministero dell’Interno la “Direzione Generale per la Demografia e la Razza”, mentre a livello locale l’applicazione fu affidata alle Prefetture che furono particolarmente rigorose.

Nella mostra viene ricordato tutto questo, facendo conoscere da vicino 50 famiglie colpite dalle misure, e mostrandone le conseguenze: così si passa dalla denuncia delle gravi violazioni di ogni principio civile e umano, già eloquente di per sé,  alla presa di coscienza diretta dell’effetto sulle persone viste nella loro umanità vilipesa e nella loro dignità sfregiata;  e nulla colpisce di più di quelle figure e di quei visi così vilmente discriminati, tra loro ne riconosciamo alcuni prestigiosi, per tutti citiamo la famiglia dello scrittore Alberto Moravia.  Le vite spezzate sono le loro vite.   

La rassegna delle “Vite spezzate” è organizzata per categorie, scuola e università, giornalisti e scrittori, cultura  e lavoro, esercito e sport; inoltre si evidenziano gli internamenti e i matrimoni misti,  fino alle reazioni  alla persecuzione, come l’emigrazione e la forma estrema, il suicidio; l’azione dei rappresentanti delle istituzioni ebraiche e le forme di assistenza concludono la mostra.

L’esclusione dalla scuola e dalle attività culturali

Nella Scuola e nell’Università iniziò, sin dal mese di settembre del 1938, in anticipo sul decreto di novembre,  l’esclusione  dei docenti e degli allievi, dei libri di testo  e perfino delle carte geografiche murali di autori ebrei.   Sono toccanti i racconti esposti nei pannelli e le  dichiarazioni dei sopravvissuti alla deportazione nei lager nazisti di come hanno vissuto l’espulsione dalle scuole.”La maestra ci voleva bene… piangeva,  piangevamo noi bambini. La vita allora è cambiata dal giorno alla notte”, ha ricordato la romana Silvia di Veroli. E la genovese Dora Venezia: “Non me ne rendevo conto di preciso cosa era questo ebraismo che era diverso, perché per me era una religione. Io ero italiana e basta! Non lo capivo per quale motivo si dovesse essere diversi”. 

Vediamo le fotografie delle classi scolastiche di Alba e Lia Finzi, Elena (Hanna) Kugler e Maddalena Werczler, Luciano Foà e Clelia Paggi, classi da cui sono state espulse e classi ebraiche, e poi immagini singole, tanti  album di famiglia toccanti con documenti personali ingialliti. Si va dalle alunne alle insegnanti delle scuole elementari, fino ai docenti universitari. 

Da sin. Alberto Pincherle, Doro Levi, e Giulio Supino nel 1958 e nel 1040 

ra questi Giulio Supino, docente di costruzioni idrauliche all’Università di Bologna, uno dei  96 professori che dovrà lasciare l’insegnamento; e tre docenti dell’Università di Cagliari,  i triestini Teodoro (Doro) Levi con la cattedra di Archeologia e Storia dell’Arte e  Camillo Viterbo, di Diritto commerciale,  il milanese Alberto Pincherle, di Storia delle Religioni, sebbene fosse stato battezzato  nel 1926; nella sua scheda personale fa osservare, “come studioso”,  che “non si può propriamente parlare, in sede scientifica, , di una razza ebraica, ma si può e si deve parlare bensì di una nazione ebraica, la quale è costituita da tutti coloro che professano il giudaismo…”, citando G. H. Moore  secondo cui “perdono ipso facto l’appartenenza alla nazionalità ebraica coloro che abbandonano la religione”. Ma le citazioni colte nulla possono contro l’accanimento razzista .

Alberto Pincherle è anche il nome di Alberto Moravia, che apre la triste galleria dei Giornalisti e Scrittori colpiti dalle leggi razziali, come pubblicista collaboratore della “Gazzetta del Popolo”,  aveva padre ebraico ed era stato battezzato, ciononostante fu classificato come “ebreo” dal regime; i suoi libri furono tolti dalla circolazione  dal Ministro per la Cultura popolare, il Minculpop.  Troviamo il poeta triestino Umberto Saba, costretto a cedere parte della sua libreria, la sua poesia “Avevo”, del 1944, conclude così: “Vivere si doveva. Ed io per tanto/ scelsi tra i mali il più degno: fu il piccolo/ d’antichi libri raro negozietto/ Tutto mi portò via il fascista inetto/ e il tedesco lurco”.   

Altri nomi celebri, il poeta torinese, pur di fede fascista, interventista e combattente della Grande guerra Artura Foà,  e il fotografo, editore, scrittore Luciano Morpurgo, che cambiò nome alla sua casa  editrice; il giornalista fondatore del “Piccolo” di Trieste Teodoro Mayer, costretto a svendere il giornale e allontanato da ogni incarico pubblico, e l’editore fiorentino Enrico Bemporad, premiato per la Collana per ragazzi, costretto a cambiare nome in “Marzocco” alla sua celebre Casa editrice.  

Nella Cultura troviamo, colpiti dalle Leggi razziali, il commediografo, drammaturgo e critico milanese Sabatino Lopez, che non poté più rappresentare le sue commedie, il pittore espressionista tedesco Rudolf Levy, che come ebreo straniero doveva lasciare l’Italia ma non trovò paesi che lo accogliessero, si nascose a Roma poi a Firenze, alla fine del 1943 fu arrestato poi deportato ad Auschvitz da dove non è più tornato, e il compositore  Leone Sinigaglia, che studiò a Torino, Praga e Vienna dove conobbe Brahms e Mahler: le sue opere, prima del silenzio impostogli dalle Leggi razziali, furono dirette da grandi direttori come Toscanini, morì per sincope nel 1944 mentre stavano per arrestarlo dopo una delazione, nell’ospedale in cui era ricoverato sotto falso nome.  

Lo scrittore Alberto Moravia,  i suoi libri furono vietati  

L’esclusione dall’impiego, dall’esercito e dallo sport 

Sul Lavoro abbiamo contato una cinquantina di provvedimenti che escludevano gli ebrei dai singoli settori tra l’agosto 1938, quindi prima dei decreti sulle Leggi razziali,  al settembre 1942: non riguardano soltanto il lavoro, ma anche i beni immobili, gli ebrei non potevano possedere terreni  e fabbricati urbani superiori a un certo valore, né esercitare attività commerciali. Anche qui i racconti del sopravvissuti di Auschwitz sono coinvolgenti. Ecco il romano Leone Di Veroli: “Quando andavo pe’ stracci  e mi dicevano: ‘Ma che sei, ebreo?’, più di una volta ho dovuto dì de no, per la sopravvivenza. A malincuore, perché è come se m’avessero dato ‘na coltellata. Oggi lo scriverei a caratteri cubitali lunghi un chilometro ogni lettera!”.  

Altre 4 storie, come sempre corredate di immagini e documenti nel pannelli dell’esposizione. Con la conclusione tragica quella di Carlo Morpurgo, licenziato dalla banca Commerciale perché “di interesse nazionale”,  e quella del magistrato bolognese Mario Finzi,  espulso dalla magistratura va a Parigi come concertista, in Italia si impegna nell’assistenza degli ebrei stranieri con la Delasem; entrambi arrestati e deportati ad Auschwitz dove muoiono nel 1944. Invecem sono a lieto fine la storia del fiorentino Sergio Levi, pediatra ospedaliero e assistente universitario, sospeso dopo le leggi razziali,  lavora solo per gli ebrei, come consentito, poi si nasconde e infine si salva in Svizzera; e quella del romano Pacifico Caviglia, che deve chiudere il calzificio nel quartiere Gianicolo, riesce a salvarsi con l’aiuto di amici fidati, e può riprendere l’attività nel dopoguerra.  

L’editore fiorentino Enrico Bemporad costretto a cambiare nume alla casa editrice

E siamo nell’Esercito, dove già a luglio 1938 fu decisa la preclusione delle Accademie militari agli ebrei,  cui il decreto legge di dicembre aggiunse l’esclusione totale dal servizio militare in pace e in guerra. Fu un vero shock per coloro che si erano battuti con coraggio nella Guerra Mondiale e per quelli che si erano arruolati volontari. Tra questi Leone Lattes, arruolatosi volontario in aeronautica, collaboratore di Italo Balbo, aveva partecipato alla guerra civile spagnola con i franchisti,  escluso dalla vita militare si dà a piccoli commerci, riesce a sfuggire ai rastrellamenti e a salvarsi.  Invece Arturo Luciano Navarro, decorato nella prima Guerra mondiale, e nominato cavaliere della Corona d’Italia, funzionario del Ministero dell’Agricoltura, non resse alla notizia del licenziamento degli impiegati pubblici ebrei sancito dalle Leggi razziali e si tolse la vita. 

Infine lo Sport, con tre storie. E’ tragica quella di Raffaele Jaffe,  fondatore e presidente del Casale Football Club – che vinse lo scudetto nel 1914 – preside dell’istituto magistrale di Casale Monferrato  in cui fu “dispensato dal servizio” sebbene fosse sposato con una cattolica, si convertisse al cattolicesimo nel 1937 e avesse fatto  battezzare i due figli alla nascita  Già nel 1940 manifesta con parole struggenti la sua sofferenza;  poi, arrestato nel febbraio 1944, internato a Fossoli, rivolge invano istanze di essere liberato al Ministero dell’interno, viene deportato ad Auschwitz con l’ultimo trasporto dal campo, viene ucciso all’arrivo. E’ andata bene, invece, al giornalista sportivo Massimo Della Pergola, licenziato dal “Piccolo” di Trieste perché ebreo, e rifugiatosi in Svizzera:  nel campo elvetico dove era internato, ebbe l’idea di un gioco a premi legato al calcio per finanziare lo sport, tornato in Italia fondò la Sisal che diede vita ai celebri pronostici, poi con il Coni divenne il Totocalcio. Lieto fine anche  per il pugile romano Settimio Terracina, campione regionale e convocato agli allenamenti pre-olimpiadi, richiamato alle armi nel gennaio 1938 a fine anno viene espulso dall’Esercito e cacciato dalla palestra; il segretario della Federazione Pugilistica , Edoardo Mazzia, è bene citarne il nome a suo merito, lo aiuta ad espatriare negli Stati Uniti dove continua a fare il pugile, avrà la soddisfazione di sbarcare in Sicilia con gli americani e con loro liberare Roma. Vediamo le immagini del pugile, in una c’è anche Primo Carnera e l’articolo nella  prima pagina del Corriere dello Sport:  “Intervista a Settimio Terracina, il ‘mediomassimo’ romano, ora soldato americano”.  

l peeta Arturo Foà,   deportato ad  Auschwitz con Primo Levi, senza ritorno

L’internamento degli ebrei stranieri e italiani “pericolosi”

Come accennato all’inizio,  all’esclusione dalle scuole, dal lavoro e da proprietà consistenti, si aggiunse l’internamento per gli ebrei stranieri e quelli italiani considerati “pericolosi”, erano 400; dal 1942 il lavoro obbligatorio per gli italiani. 

Anche qui la dolente rassegna degli internati in diversi campi: da Notaresco (Teramo) a Lagonegro (Potenza) per la famiglia di Carlo Steinhaus, cecoslovacco con un negozio di chincaglieria a Merano dove tornerà alla fine della guerra, e a Tortoreto (Teramo) per il rumeno  Saul Steinberg,  sono esposti un  suo disegno con un panorama, la mappa  “Autogeography” dei luoghi della detenzione, e un dipinto con una piazza dechirichiana, riesce poi a riparare negli Stati Uniti  dove collabora con il “New Yorker”  e diviene un artista celebre; internata a Notaresco (Teramo), poi a Casacalenda e Petrella Tifernina (Campobasso), la famiglia del boemo Richard Lowy, arrestata a Trento nel 1944, trasferita a Fossoli, fino alla deportazione senza ritorno ad Auschwitz; internato  a Tora e Piccilli (Napoli), e precettato per il lavoro obbligatorio nei campi il commerciante Josua Gabai, viene protetto dai locali, tornato a Napoli dopo un anno trova il negozio distrutto e saccheggiato , ma dopo la guerra riprenderà l’attività. 

Il pugile Settimio Terracina, espatriato poi sbarcato in Sicilia con gli americani, l’attrezzatura sportiva

Internamenti e precettazioni di ebrei italiani: in “internamento libero” a Macerata Feltria (Pesaro) il professore e direttore di “Critica sociale”  Ugo Guido Mondolfo, arrestato  e liberato, ripara in Svizzera e dopo la guerra diviene deputato socialista; nel campo di transito di Fossoli, con destinazione Auschwitz, dopo arresto  e confino per due anni a Favignana,  l’ambulante romano Raimondo Di Neris, sopravvive nel gennaio 1945 alla “marcia della morte” verso Mathausen e viene liberato dagli americani.

Urbisaglia (Macerata) è stata la sede di una serie di internamenti, anch’essi accuratamente documentati nella mostra con fotografie e  certificati, lettere e disegni. Vi vengono internati l’avvocato di Ferrara Nino Contini, poi trasferito alle isole Tremiti, quindi  a Pizzoferrato (Chieti) e nel Molise, liberato nel 1943 si trasferisce a Napoli, il suo amico, pure lui ferrarese, Renzo Bonfiglioli, dell’alta borghesia, riuscirà a rifugiarsi in Svizzera e diventerà del 1951-52 Presidente delle comunità israelitiche italiane; un altro avvocato internato è il fiorentino Carlo Alberto Viterbo, negli anni ’30 e nel 1944 Presidente della Federazione Sionista Italiana, andrà anche in Etiopia. Internati a Urbisaglia anche il pediatra triestino Bruno Pincherle nel 1940, nel 1943 sarà arrestato e poi liberato, parteciperà alla Resistenza a Roma e a Trieste nel periodico clandestino”L’Italia libera”, e il tedesco Ernst Isidor Jakubowski, fuggito da Berlino a Milano, è tra gli ebrei stranieri internati dal 1940 al 1943, moglie e figlio fuggono in Svizzera, lui nel 1944 è rinchiuso a Fossoli e deportato ad Auschwitz- Birkenau, morirà a Mathausen nel 1945; tragedia nella tragedia, il figlio Hans torna a Berlino, la madre Rosa lo raggiunge nel 1961 e non supera il trauma, si suicida nel 1962.  

Il drammaturgo ungherese Eugen Kurschner, suicida con la famiglia a Taormina

 Altre aberrazioni e tragiche conseguenze  del razzismo cieco e ottuso 

La sezione della mostra sui “Misti” e matrimoni misti documenta le ulteriori aberrazioni con una serie di divieti aggiuntivi paradossali, come quello di pubblicare necrologi e di allevare colombi viaggiatori, di soggiornare in località turistiche e possedere la radio, avere domestici ariani, ecc. Sono grottesche le classificazioni  dei “misti”, secondo cui il mantovano Gilberto Provenzani, battezzato,  risulta “ebreo al 75%”, quindi di “razza ebraica”, nella prima valutazione della Direzione della razza, poi la percentuale scende al 50%  dopo aver provato il battesimo dei bisnonni materni;  il padre Aldo, ebreo, si dà alla clandestinità, Gilberto diventerà dirigente industriale. Risibili, se non fossero tragici, i diagrammi dell’apposita Direzione con i bollini rossi per le percentuali di “arianesimo” e blu per quelle di “ebraismo”. 

Sul divieto dei matrimoni “razzialmente misti” la vicenda esemplare di Sarah Herzog:  il Vescovo di Trieste consentiva ai parroci di celebrare le nozze di ebrei con cattolici “in articulo mortis” con registrazione differita a tempi migliori, Sarah fu sposata con il solo rito cattolico all’artigliere Guido Novelli il 16 agosto 1941, dopo essersi battezzata il giorno prima, fu un modo per eludere il divieto, Guido lavora a Rivoli. 

Sono tutte storie esemplari, come quelle degli Ebrei fascisti dei quali sono documentate quattro vicende con dimissioni, espulsioni, perdita di attività , e anche arresto e deportazione. Il banchiere e imprenditore Enrico Paolo Salem dovette  dimettersi da Podestà di Trieste l’11 agosto 1938, dopo la pubblicazione del “Manifesto della razza” e un mese prima della visita a Trieste di Mussolini con il famoso discorso sull’avvio della politica antiebraica, visita che, ironia della sorte, aveva organizzato lui stesso;  l’economista e storico del diritto Gino Arias, uno dei 18 membri della “Commissione dei Soloni” del Consiglio nazionale delle corporazioni e deputato, fu espulso dall’Università di Roma, si trasferì in Argentina ma non superò mai il trauma.  Tragica fine per Ettore Ovazza, entrato nei Fasci di combattimento nel 1920, autodefinitosi “scrittore fascista”, nel 1934 aveva fondato a Torino  “La nostra bandiera”, organo dei “Combattenti e Fascisti italiani di religione israelita”,  dovette cedere la Banca Ovazza e fu  ucciso dalle SS a Intra con la moglie  e i due figli; e per Aldo Castelletti   commerciante di tessuti mantovano, si fa battezzare con le figlie e si salva, ma viene arrestato  nel settembre 1943 e deportato ad Auschwitz dove muore nel 1944.

Sul versante opposto, dei Giovani antifascisti, dei 14 appartenenti al  “Gruppo della biblioteca della scuola ebraica di Torino”, tre ebrei finiscono ad Auschwitz, tra cui Primo Levi che ne ha dato una testimonianza incancellabile,  mentre Emanuele Artom  fu  ucciso dai fascisti; e l’ebrea triestina Rita Rosani-Rosenzweig, espulsa dal liceo magistrale, partecipò alla resistenza come partigiana combattente e fu uccisa dai fascisti nel settembre 1944, aveva 24 anni. 

La fine tragica è particolarmente agghiacciante per la famiglia Eugen Kurscner, drammaturgo e produttore cinematografico di origine ungherese,  produsse due film diretti da Raffaele Matarazzo e Mario Camerini, fuggì dalla Germania con madre, fratello e sorella, lui e i suoi non se la sentirono di venire espulsi dall’Italia,  uscite le Leggi razziali ricorrono al suicidio nel mare di Taormina. Eccole le toccanti parole lasciate scritte da Eugen con il fratello Arthur: “Oggi è arrivato il momento: noi tutti quattro moriremo volontariamente-involontariamente. Il mare profondo ci accoglierà in maniera più gentile  che tutti gli altri governi dei paesi che ci circondano. Riempiremo le nostre tasche con pietre, per non ritornare più a galla. La nostra decisione è stata presa già mezzo anno fa. Ci è stata resa più semplice dalla coscienza di aver fatto sempre una vita onesta e contenti di lavorare, a volte coronata anche da successi e di non aver mai fatto a nessuno del male…” Invece  la famiglia fiorentina di Gualtiero Cividali  può emigrare  a Tel Aviv con i genitori.

Nelle Leggi razziali non è mancata l’esclusione degli ebrei da tutte le forme di sussidio e aiuto  per i poveri, ma proprio per questo l’Unione delle Comunità israelitiche Italiane  organizzò nel 1939 una propria forma di assistenza con la Delegazione di Assistenza agli Emigrati Ebrei (Delasrm), una rete nazionale per aiutare gli ebrei che volevano emigrare e quelli internati, presidente l’avvocato genovese Lelio Vittorio Valobra che dovette rifugiarsi in Svizzera, da dove continuò a dirigere.  Suo collaboratore alla Delasem nell’assistere gli ebrei bisognosi fu il tedesco di origini polacche Berl Grosser, che aveva già lavorato nel Comitato assistenza degli ebrei in Italia, nel 1943 ripara in Svizzera, nel 1945 torna a Milano, continua ad assistere i profughi, nel 1972  raggiunge  Israele.

E con questo  lieto fine dell’approdo nella terra promessa di Berl Grosser,  da pensionato con la famiglia, come era stato per Gualtiero Cividali, con i genitori, ci piace concludere il nostro racconto dell’odissea  sofferta e quasi sempre tragica degli ebrei colpiti dalla Leggi razziali del 1938: un anniversario dolente e ammonitore di eventi tremendi, che le fotografie  e i documenti copiosamente esposti nella mostra fanno rivivere con un’evidenza  impressionante.  

Info 

Museo della Shoah, Casina dei Vailati, Roma, via del Portico d’Ottavia, 29. Da domenica a giovedì ore 10-17, venerdì 10-13, chiuso sabato e nelle festività ebraiche; ingresso gratuito.  Catalogo “Vite spezzate. 90° Leggi razziali”, Gangemi Editore International, aprile 2018, pp.240, formato 17 x 24; dal Catalogo sono tratte le notizie e le citazioni del testo. Cfr. i nostri articoli per le altre mostre sul tema, in questo sito, “Ebrei, la persecuzione degli ebrei italiani con le leggi razziali, al Museo della Shoah” 26 ottobre 2017, ed “Ebrei, l’escalation repressiva dopo le leggi razziali, al Museo della Shoah”, 2 novembre 2017; “Ebrei, la propaganda contro la ‘razza nemica’ e la psichiatria persecutoria” 24 aprile 2017, ed “Ebrei romani, 70 anni dopo l’ infamia tedesca’”  24 novembre 2013, “Roma, la liberazione del 1944 dopo 70 anni” 5 giugno 2014; in www.visualia.it , “Roma. I ghetti nazisti, fotografie shock  al Vittoriano”  27 gennaio 2014, “Roma. Ombre di guerra all’Ara Pacis”  2 febbraio 2012; “Roma. In mostra le fotografie dello sbarco di Anzio”, 22 giugno 2014″  21 gennaio 2012in “cultura.inabruzzo.it”  “Auschwitz-Birkenau, ‘la morte dell’uomo’”  27 gennaio 2010, e “Scatti di guerra alle Scuderie”  8 agosto 2009  (gli ultimi due siti non sono più raggiungibili, gli articoli  saranno trasteriti su altro sito)

Il disegnatore e pittore rumeno Saul Steinberg,
internato in un campo a Tortoreto (Teramo)

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante al Museo della Shoah alla presentazione della mostra, si ringrazia la direzione,  con i titolari dei diritti,  per l’opportunità offerta. In apertura, la sindaca di Roma Virginia Raggi, nell’intervento introduttivo, segue  il curatore della mostra Marcello Pezzetti nella visita da lui guidata;  poi una serie di immagini  dei pannelli illustrativi, tra queste nella 5^ il  piittore  tedesco Rudolf Levy ,deportato ad Auschwitz nel 1944, senza ritorno, (a sin. l’Autoritratto); nella 11’^ lo  scrittore Alberto Moravia, i suoi libri furono vietati, nella 12^ l’editore fiorentino Enrico Bemporad ; costretto a cambiare nume alla casa editrice; nella 13^ il peeta Arturo Foà,   deportato ad  Auschwitz con Primo Levi, senza ritorno, nella 14^ il pugile Settimio Terracina, espatriato poi sbarcato in Sicilia con gli americani, l’attrezzatura sportiva, nella 15^ il drammaturgo ungherese Eugen Kurschner, suicida con la famiglia a Taormina; nella 20^ il disegnatore e pittore rumeno Saul Steinberg, internato in un campo a Tortoreto (Teramo) ; iin chiusura, una delle tante vetrine della mostra con foto e documenti.

Una delle tante vetrine della mostra con foto e documenti


Eco e Narciso, 2. Le altre 6 sale recuperate in mostra, al Palazzo Barberini

di Romano Maria Levante

Si conclude la visita alla mostra a Palazzo Barberinidal 18 maggio al 28 ottobre 2018, “Eco e Narciso. Ritratto e autoritratto nelle collezioni del Maxxi e nelle Gallerie Nazionali Barberini Corsini”  con esposte 17 opere di arte antica e 18 di arte contemporanea, di  25 artisti, a cura della  direttrice delle Gallerie Nazionali Flaminia Gennari Sartori e del  direttore  del Maxxi Arte Bartolomeo Pietromarchi. Le 35 opere sono distribuite tra le 13 sale con riferimento alle figure simboliche di Eco e Narciso, in relazione alla destinazione originaria delle sale nel palazzo delle famiglia Barberini, dopo il restauro seguito alla sospirata restituzione delle 11 sale occupate dal Circolo Ufficiali dal 1949 che viene celebrata con la mostra. Dopo le prime 8 sale, passiamo alle 5 sale restanti.   

Kiki Smith,  “Large Dessert”, 2004-05

Abbiamo premesso che la mostra celebra l’apertura al pubblico delle sale recuperate che prossimamente accresceranno di 750 metri quadri lo spazio espositivo delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica; ampliamento vitale considerando che si stima sia esposto soltanto il 20% della vastissima collezione, con migliaia di opere, anche importanti, nei depositi.

E’ stato un autentico scandalo che si è protratto per quasi 70 anni, dopo l’acquisto del Palazzo Barberini da parte dello Stato italiano avvenuto nel 1949, ma con il peccato originale che molte sale restarono occupate dal Ciurcolo Ufficiali che aveva affittato il palazzo dai Barberini  nel 1934.   

In aggiunta a quanto già indicato in precedenza, precisiamo che il contratto  di affitto  scadeva nel 1953, .allorché fu paradossalmente rinnovato per 12 anni, nonostante le sale occupate fossero necessarie alle Gallerie. Ma neppure nel 1965, e per altri 40 anni, pur senza nuovo contratto, il Circolo continuò ad occupare le sale, per di più affittandole per matrimoni e altro, quindi ricavandone i relativi compensi, e anche quando si spostò nella vicina sede attuale  restarono sale per impegni istituzionali delle Forze armate. Soltanto nel 2015 si è avuta la restituzione, poi è seguito il restauro durato due anni, fino a oggi.

Kiki Smith,  “Large Dessert”, 2004-05, particolare 

Sembra una storia incredibile, perché nello stesso ambito statuale il Ministero della  Difesa ha prevalso sul Ministero della Pubblica Istruzione prima e sul Ministero dei beni culturali poi,  senza una giustificazione valida data la sproporzione abissale tra le due esigenze.  L’interminabile “querelle”,   in cui la burocrazia ha avuto modo di spadroneggiare, dando il peggio di se stessa, ha avuto anche momenti ridicoli, se è vero che  Spadolini, da Ministro per i Beni culturali, scrisse alla Difesa chiedendo la restituzione delle sale e, divenuto Ministro della Difesa alla prima crisi di governo avvenuta poco dopo,  rispose negativamente alla richiesta fatta nella veste  precedente. Un situazione paradossale, che  non trova spiegazioni, sembra quasi fossimo stati una dittatura militare. 

Si sarebbero potute evocare divinità espressive di questa impari lotta tra ministeri, con i Beni culturali vaso di coccio, ma  ci si è  invece limitati a evocare Eco e Narciso sul tema del Ritratto come assertore di identità fino all’autoritratto, con l’accoppiata di opere antiche e contemporanee.

Proseguiamo la visita delle restanti 7 sale, con la guida virtuale dei curatori Gennari Sartori e Pietromarchi.

L’Appartamento d’inverno, le prime 3 sale

Come  per l’Appartamento d‘estate” si inizia con una sala di rappresentanza  dove il Cardinale riceveva per le udienze nei mesi invernali,  seguita da sale di uso privato, più intime e raccolte.  

Benedetto Luti,  “Teste di donna”, 1704-08 

Nella Sala  9, Sala delle Udienze,  vediamo un grande tavolo popolato da una moltitudine di figure, quasi evocando incontri conviviali che si dovevano svolgere in quell’ambiente, privilegiando l’aspetto domestico del simposio rispetto a quello pubblico dell’udienza. E’ l’installazione “Large Dessert”, di Kiki Smith,  2004-05, destinata a un palazzo settecentesco, presenta un tavolo in legno molto ampio con numerose  statue  di porcellana di Sévres, piccole ed eleganti immagini femminili, definito da Pietromarchi “uno spazio sociale dove ci si trova e dove ci si mette in relazione con gli altri”. Il curatore aggiunge: “L’opera è una sorta di immagine ideale di famiglia, ma è anche, più precisamente, un richiamo autoritrattistico ai temi personali dell’infanzia, della maternità”.  

Collegate idealmente a queste immagini i pastelli di Rosalba Carriera con il “Ritratto femminile”, 1725-30, viene ricordato che era un’artista veneziana molto apprezzata anche all’estero, per cui al minuetto femminile delle statuette di porcellana segue l’opera di una donna realizzata, è esposta anche Allegoria dei  quattro elementi (Acqua Fuoco Terra Aria”, 1730-43.. Nell’arte esprime, con toni morbidi ed evanescenti, quelle che la Gennari Sartori definisce “immagini delicate, ma prive di sentimentalismi: ritratti e ‘teste di carattere’, o pseudo ritratti , come le personificazioni qui esposte, che  divennero presto richiestissime, perfetta espressione di un’intera classe sociale, l’aristocrazia veneziana e non solo”.

Vi sono anche i pastelli di Benedetto Luti,  due “Teste di donna” e “Giovane donna allo specchio”, 1704-08, in cui l’artista anch’egli settecentesco,  esprime il nuovo ideale, etereo e sofisticato, considerato non solo nell’apparenza estetica, ma anche nell’introspezione psicologica. 

Pierre Subleyras, “Nudo femminile di schena”, 1740

Il soggetto femminile è al centro anche nelle opere della Sala 10, che non ha una precisa destinazione nell’Appartamento d’inverno, dove colpisce subito il “Nudo femminile di schena”, 1740, di Pierre  Subleyras, un corpo offerto alla vista, o meglio all’ammirazione.. La caratteristica eccezionale sta nel fatto che il nudo femminile riguardava sempre figure mitiche – da Venere alle eroine della mitologia – mentre questo è uno dei primi dipinti in cui la donna viene rappresentata nella massima intimità” come se stessa… è un omaggio al corpo di una donna precisa”, nelle parole della Gennari Sartori. “Provocatorio più di quanto non sembri, commenta la curatrice, … è un dipinto piuttosto rivoluzionario e moderno, che libera la rappresentazione  della donna dal simbolico, dal culturale, dal metaforico e ce la rivela così com’è. E proprio per questo è un’immagine estremamente eroica e conturbante” e se, come sembra, è della sua compagna, anch’essa artista, ciò significa che l’autore “ci coinvolge in un gioco voyeuristico di liceità e illiceità, in cui siamo invitati a ‘spiare’ la sua donna, con il suo consenso, anzi è proprio lui che la dipinge per farcela guardare”.  

A questo, che Pietromarchi definisce “gioco voyeuristico”,  ne  corrisponde uno in termini  ancora più espliciti, sempre sul rapporto tra presentazione pubblica e percezione privata, tra la condivisione nell’ambito sociale e la propria intimità cui si riferisce anche l’opera di Subleyras appena descritta.  E’ quello proposto da Stefano Arienti con  “SBQR”, “Netnude”, “Gauscope”, “Arsiitaliani”, ecc, 2000: nudi maschili, frontali e non “di schiena”, in pose intime, per lo più di coppie gay, derivati da immagini da lui trasformate graficamente, non più tratte  da opere di autori classici e moderni come in sue opere degli anni ’90, ma prese nel 2000 da Internet, quindi di dominio pubblico, definito da Pietromarchi “il luogo dove oggi massimamente si realizza l’autorappresentazione di sé, il luogo primario di un’attitudine voyeuristica al guardare e all’essere guardati, all’esposizione e all’ostentazione”.  

Marco Benefial, “Ritratto della famiglia Quatrantotti (La famiglia del missionario)”, 1756 

Una ostentazione ben diversa nella Sala 11, sempre dell’Appartamento d’inverno,senza voyeurismo ma con l’esibizione da parte di una comunità familiare di un gusto, che la Gennari Sartori chiama “curiosità per l’esotico”. Si tratta del “Ritratto della famiglia Quatrantotti (La famiglia del missionario)”, 1756, di Marco Benefial, questa volta un ritratto collettivo composto di molte ritratti singoli, intorno al giovane ecclesiastico missionario, quindi  l’esotico è connaturato alla sua figura e si manifesta nel paesaggio con palme  e foreste, e negli abiti. Per la Gennari Sartori, “il lontano e il diverso diventano abito, oggetto, arredo, elementi di una quotidianità ch riflette a propria misura  orizzonti ormai assai più ampi”. Non solo orizzonti  missionari, quindi religiosi, ma anche economici e commerciali.  

Il lontano e il diverso diventano vicini e tangibili in “The Invisible man”, 2018, di Yinka Shonibare, un manichino in vetroresina e altri materiali di grandezza naturale realizzato appositamente per la mostra attuale ispirandosi all’opera di Benfial appena citata, L’artista di origine africana che vive in Inghilterra ha evocato l’esotico in modo provocatorio nella figura di  un domestico vestito in modo pittoresco che porta in spalla un sacco con vettovaglie, la testa trasformata in un globo con impressi i nomi di palazzi romani. E’ il convitato di pietra della famiglia Quarantotti, secondo Pietromarchi ” è di fatto fuori del quadro, ma rientra idealmente nella scena ritratta da Benefial, e nella sua ostentata visibilità  sottolinea piuttosto un vuoto, una mancata rappresentazione dell’altro, del diverso”. Quasi una denuncia che si è rimossa la colonizzazione.   

Le  altre  sale, con il “clou” dell’Appartamento d’inverno

Nelle 2 ultime sale private, che corrispondono a quelle dell’Appartamento estivo, con gli antichi ritratti del potere sovrano e militare, e quelli contemporanei di letterati vicini all’artista autore, troviamo ritratti molto suggestivi, tra cui uno celeberrimo, immagine iconica del Palazzo., e una conclusione luminosa, quasi il fuoco pirotecnico finale delle feste paesane. 

Yinka Shonibare,”The Invisible man”, 2018  

La Sala 12, Camera da letto invernale, accoglie il visitatore  con due ritratti che sembrano due facce della stessa medaglia, o meglio due modi di essere e di sentire della stessa persona, una donna che si offre all’osservatore con due messaggi diversi e complementari: “Come due facce d’una stessa medaglia, secondo la Gennari Sartori, entrambe ritratti e non ritratti, ritratti di persone ma anche di idee, e forse persino, in modi diversi, autoritratti dell’artista”. 

In questa ottica consideriamo innanzitutto “Maria Maddalena”, 1490, di Pietro Cosimo :  “E’ un’immagine peculiare a metà strada tra il quadro di devozione privata e il ritratto ideale, afferma la curatrice. E’ una figura quasi intima, preziosa, … e rappresenta la Maddalena, non già come la penitente nel deserto della tradizione iconografica, ma come una donna benestante del XV secolo”. La vediamo, infatti, raffigurata mentre legge, la sua è una “bellezza ideale, per aspetto e per condotta morale, ma molto caratterizzata…”.

Ed ora il “clou” della mostra, l’icona di Palazzo Barberini – la chiamiamo così, anche se la direttrice ha voluto dare alla Galleria un’impostazione a-iconica, non focalizzata sulle sue “star”, come ebbe a dirci all’inizio del suo mandato. Ovviamente è  “La Fornarina”, 1520, una delle ultime opere di Raffaello realizzata nell’anno della morte.  Viene ritratta una  giovane donna raffigurata in un gesto di pudore, rafforzata dai simboli edificanti sullo sfondo, l’alloro e il irto, con nel braccio un segno che la associa strettamente  all’artista che l’ha raffigurata, e che si specchia nella sua figura. “Spetta a Raffaello essere riuscito a creare un’opera che è insieme ritratto e autoritratto, Narciso ed Eco”, si legge nel pannello di sala, e ci sembra una bella conclusione.  

Pietro Cosimo, Maria Maddalena”, 1490 

L’opera contemporanea che dovrebbe fare da specchio o da eco, è “Bent and Fused”, 2018, di Monica Bonvicini, che Pietromarchi introduce dicendo che le due figure femminili, la Maddalena e la  Fornarina, realizzate da uomini, possono “dialogare proficuamente, sia pure a distanza” , con questa artista la cui opera “invece getta luce sul problema di un vero processo di empowerment della figura femminile”.  

E  a questo riguardo il curatore parla di “piena consapevolezza e autodeterminazione di sé”,  della donna, ma subito sottolinea che “in arte, come nella realtà, si scontra con forme di controllo, sorveglianza, manipolazione, potere”. Tutto ciò sarebbe espresso dal  fascio di tubi al non uniti da fili che esprimerebbero il lavorio femminile nella grazia del ricamo, contemperando  la loro luce così accecante da impedire la visione, gli opposti si incontrano: “Il medium stesso della visione, la luce, si trasforma paradossalmente nella sua negazione, la cecità, obnubilamento, abbaglio”, così viene presentata. 

 E’ forse la più ardita delle opere contemporanee  selezionate al MAXXi, che irrompe nel tempio dell’Arte Antica, del resto autrice è un’artista affermata a livello internazionale, quindi “nulla quaestio”; però non possiamo negare che siamo presi anche noi dalla cecità, perché non vediamo come l’opera della Bonvicini possa “dialogare” con la “Fornarina” e con la “Maddalena”; la distanza  sembra siderale, come le galassie lontane dalla terra miliardi di anni luce, quindi… 

Raffaello Sanzio,”La Fornarina”, 1520 

Ma siamo giunti al termine, alla Sala 13, la “Sala dei Marmi” – nel ‘600 detta  “Camerone delle Commedie  ” o “Anticamera del Camino” –  che conclude il percorso, vi si accede direttamente dall’atrio dello scalone del Borromini c dal Salone di Pietro da Cortona posto all’inizio. Questa volta, al contrario della sala precedente,  il dialogo tra opere antiche e contemporanee è immediato, e così la loro interpretazione.  Basta dire che come presenza di arte antica c’è il “Ritratto di Urbano VIII“, 1632-33, il busto marmoreo di Gian Lorenzo Bernini, mentre dal 1679 c’erano i grandi cartoni per gli arazzi della vita di papa Maffeo Barberini, e il  grande cartone con la “Battaglia dell’Ellesponto” dell’imperatore Costantino; come presenza di arte contemporanea vediamo “Pape” e “Mao”, 2005, di  Yan Pei-Ming. In entrambi i casi,  interpretazioni parallele del potere religioso e temporale, attraverso il ritratto ufficiale dei detentori, papi e dittatori carismatici.  

Il papa Urbano VIII, Maffeo Barberini, dominus del palazzo e della sua epoca,  esprime il potere nella forza statuaria eppure vibrante della scultura. “E in effetti – commenta la Gennari Sartori – questo busto è come lo specchio di quell’implicito rapporto fiduciario che si instaura tra il ritratto, l’artista che ritrae e l’osservatore dell’opera”, un rapporto  che supera la distanza dovuta all’altezza della posizione ufficiale di chi è ritratto, per “un più immediato contatto psicologico e umano”.  Mentre i ritratti di papa Woytila e Mao Tse Tung manifestano la loro preminenza nel rispettivo ambito e tempo, con  immagini la cui potenza è visualizzata attraverso le  dimensioni giganti, 3 per 3 metri.   

Monica Bonvicini, “Bent and Fused”, 2018 

Pietromarchi ne parla così: “Anche qui conta il gesto, simbolico, iconico, sennonché nelle tele di Pei-Ming il gesto stesso non può più essere un moto personale e spontaneo,ma diventa esso stesso un’immagine mediata e mediatica, che abbiamo visto e rivisto un’infinità di volte, effetto di una diffusione di massa che investe ogni tipo di immagine”. Non possiamo non ripensare ad Eco e Narciso,  nelle cui figure mitiche si esprime la moltiplicazione dei suoni e il riflesso delle immagini. 

La conclusione, con l’eco della mostra di Palazzo Barberini al Maxxi 

E a proposito di Eco, non possiamo ignorare l’eco della mostra nelle Gallerie Nazionali di Arte Antica a Palazzo Barberini, la cui visita è ora terminata, fino al Museo Arti XXI secolo, il Maxxi, regno della contemporaneità dal quale provengono le opere moderne fin qui commentate, in cui è stata esposta, nella Galleria 1, l’ultima “accoppiata” celebrativa della restituzione delle 11 sale.   

Si tratta della “Velata”.  1743, una scultura  in marmo di Antonio Corradini, ovviamente “prestata” dalle Gallerie Nazionali come il Maxxi  ha “prestato” a Palazzo Barberini le 16 opere di artisti contemporanei affiancate nelle nuove sale alle 17 opere di arte antica. Rappresenta la vestale Tuccia che, accusata ingiustamente di aver violato il voto di castità,  fu riscattata dalla dea dopo che  per dimostrare la sua innocenza fece il prodigio di portare l’acqua del  Tevere con il setaccio, considerato immagine di purezza, come il velo aderente. La Gennari Sartori conclude che “la scultura virtuosistica di Corradini è anche una compiaciuta celebrazione dell’arte, che attraverso l’apaprenza del proprio mezzo, velando il soggetto lo rende – per quanto possa sembrare paradossale – veramente visibile. Ed è proprio ciò che accade pienamente nel ritratto”. 

Yan Pei-Ming, “Pape” e “Mao”, 2005, al centro  Gian Lorenzo Bernini, “UrbanoVIII”, 1632-33 

Anche nell’opera di artista contemporaneo, “VB74”, di Vanessa Beecroft, il ritratto fotografico di una “performance” del 2014, le figure sono coperte da veli, si trattava di “tableaux vivant” realizzati con donne in vesti succinte. In questo caso, commenta Pietromarchi, “la nudità è percepita non come purezza ma come qualcosa di negativo, come un privazione e un’assenza, addirittura come un qualcosa di irrealizzabile  e  impensabile nella nostra cultura cristiana”. A seguito del peccato originale e della cacciata dal Paradiso, la nudità “è dunque indissolubilmente legata all’idea teologica di grazia e peccato, tra incoscienza originaria e coscienza successiva”.  Pertanto, “l’attributo della bellezza non è la nudità”, anzi la “legge essenziale della bellezza” secondo l'”Angelus novus” di benjamin, è “che appare come tale solo in ciò che è velato”.

E’ un  bella conclusione del  viaggio all’insegna di Eco e Narciso, tra le 13 sale di Palazzo Barberini e la 1^ galleria del Maxxi,  nel quale siamo stati accompagnati virtualmente dai curatori Gennari Sartori e Pietromarchi dei quali abbiamo citato i colti commenti ad ogni opera esposta.

Al termine della mostra, le sale recuperate saranno inserite nel normale percorso di visita delle Gallerie Nazionali di Arte Antica dopo l’allestimento museale con opere del ‘600-‘700, tra cui i dipinti della collezione Lemme, Non resta che attendere, ormai  poco tempo, l’interminabile telenovela del Circolo ufficiali fortunatamente è finita per sempre.   

Gian Lorenzo Bernini, “Urbano VIII”, 1632-33. primo piano 

Info

Palazzo Barberini, via delle Quattro Fontane, 13, Da martedì a domenica ore 8,30-19,00, la biglietteria chiude un’ora prima, lunedì chiuso. Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 6; biglietto valido per 10 giorni nelle due sedi delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Palazzo Corsini; gratuito under 18 anni e particolari categorie.  www.barberinicorsini.org; comunicazione@barberinicorsini.org.  MAXXI, via Guido Reni, 4A. Da martedì a domenica ore 11-19, il sabato fino alle 22, la biglietteria chiude un’ora prima, Ingresso, intero euro 12, ridotto euro 9  anni 14-25, gruppi e particolari categorie. www.maxxxi.art.it, tel. 06.83549019. Il primo articolo sulla mostra è uscito in questo sito il 25 settembre 2018.       

Foto

Le immagini sono state  riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra, si ringrazia la direzione , con i titolari dei diritti, per l’opportunità offerta. In apertura, Kiki Smith,  “Large Dessert”, 2004-05; seguono, Kiki Smith,  “Large Dessert”, 2004-05, particolare, e Benedetto Luti, “Teste di donna”, 1704-08; poi,  Pierre Subleyras, Nudo femminile di schena”, 1740,  e Marco Benafial, Ritratto della famiglia Quatrantotti (La famiglia del missionario)”, 1756; quindi, Yinka Shonibare,”The Invisible man”, 2018,  e  Pietro Cosimo, “Maria Maddalena”, 1490; inoltre, Raffaello Sanzio,”La Fornarina”, 1520, e  Monica Bonvicini, “Bent and Fused”, 2018; infine,  Yan Pei-Ming, “Pape” e “Mao”, 2005, al centro Gian Lorenzo Bernini, “Urbano VIII”, 1632-33, e primo piano di Gian Lorenzo Bernini, “Urbano VIII”, 1632-33; in chiusura, Vanessa Beecrof, “VB74”, da performance 2014.

 Vanessa Beecrof, “VB74”, da performance 2014

Ceccotti, la “finestra sul cortile” e il “rebus” nella pittura, al Palazzo Esposizioni

di Romano Maria Levante 

La mostra “Sergio Ceccotti, Il romanzo della pittura 2958-2018” presenta dall’11 settembre al 14 ottobre 2018 al Palazzo Esposizioni un’antologica di mezzo secolo di pittura dell’artista romano accostato all’americano Hopper per il suo sguardo “dall’interno” e “nell’interno” delle abitazioni in una vita quotidiana  declinata in modo molto diverso. Sono oltre 40 dipinti n nei quali si sente l’influsso del cinema e del fumetto, della fotografia e perfino del rebus enigmistico, quindi intriganti sotto il profilo compositivo e inquietanti per come sollecitano l’inconscio con i loro effetti psicologici. Curata, come il catalogo  di Carlo Cambi Editore, da Cesare Biasini Selvaggi. 

“Le 4 età della vita” (polittico), 1969, con l’artista Sergio Ceccott

“Il romanzo della pittura” evoca  l’opera di un artista sulla scena da mezzo secolo con una impressionante continuità di stile e di contenuti. E’ una continuità arricchita da molte innovazioni tradotte nel suo stile personalissimo, perciò possono anche sfuggire, tanto sono metabolizzate. 

Si notano via via i segni delle tanti correnti, anche di avanguardia, che hanno movimentato la seconda metà del ‘900, anche perché la sua formazione artistica è stata rigorosa pur se da autodidatta che ha frequentato corsi prestigiosi: come quello del 1956 e 1957 a Salisburgo diretto da Oskar Kokoscha, e  i successivi a Roma all’Accademia di Francia,  con viaggi ripetuti in Austria e in Germania a contatto con i maestri dell’espressionismo, da Otto Dix a Ludwig Meidner. 

Scena notturna”,  1968 

Ricostruisce il suo percorso il curatore Cesare Biasini Selvaggi  iniziando con le suggestioni cubiste delle prime opere,  l’artista espone già nel 1955 alla I Mostra Nazionale d’Arte Giovanile tenuta al Palazzo delle Esposizioni di Roma,  la prima personale è del 1960 alla galleria romana “L’Albatro”.  Ma non solo influenza dei cubisti, viene vista anche quella degli oggettivisti americani  e italiani.

Fin dall’inizio emerge soprattutto un dato costante della sua visione, “la rappresentazione simultanea e bidimensionale di interni ed esterni, l’uso dei primi piani che rivelano i rapporti – per analogia e per contrasto – tra il circoscritto ambiente della vita individuale e  le forme oggettive della vita sociale”, così  Duilio Morosini citato dal  curatore che riporta anche il giudizio di Lorenza Trucchi: “L’uomo è sempre presente nei suoi quadri attraverso  un selezionato inventario di  oggetti semplici e familiari, a tal punto che le sue nature morte sono spesso dei gustosi autoritratti”. 

Da sin. in basso, “Le 4 stagioni”, autunno ed estate 1975, inverno 1976, primavera 1979

Questo per il contenuto, sugli influssi artistici che hanno alimentato il suo percorso cinquantennale vale il giudizio di Mino Maccari: “E’ facile identificare in questa pittura varie e quasi opposte influenze che senza comprimerlo aiutano il  Ceccotti nella vocazione del racconto”. E in modo più esplicito: “Non sono dunque subite passivamente: temperate da un’attenta facoltà critica, denunziate con lealtà e talvolta non senza ironia”.  Si va dalla Metafisica dechirichiana all’Espressionismo tedesco, dal  Simbolismo al Realismo magico, dall’Oggettivismo alla Pop Art  nella rappresentazione urbana.  

Ma non si è mai allontanato dal figurativo, o dalla figurazione, resistendo alle sirene delle avanguardie, come fece Renato Guttuso, e come lui ha visto  alcuni esponenti della Nuova scuola romana riavvicinarsi dopo tante polemiche nel loro “ritorno alla pittura”.  Il riferimento a Guttuso non deve essere, però, equivocato in quanto nel realismo di Ceccotti non c’è quella connotazione per così dire ideologica, che alimentò le accese polemiche  del tempo, in lui nessuna denuncia e nessun intento “politico”  ma uno sguardo curioso quanto neutrale e indifferente.    

Dall’alto, “Ricordo d’Olanda” 1959, con “Lettere e orologio” 1960 

Nel 1986 c’è stato addirittura un suo “sodalizio elettivo” con artisti di varie tendenze  accomunati dal “ritorno alla pittura”, e negli anni ’90 ebbe, ricorda il curatore, “il tardivo riconoscimento alla sua ricerca, che è additata come antesignana della vague pittorica corrente, sospesa tra contaminazioni linguistiche , in un rinnovato melting pot “, di tipo mediale, “fondato cioè su una trama fittissima  di riferimenti meticciati a tutti i principali campi dell’espressione visiva, immersa in un’atmosfera urbana noir dei nuovo domini, dei nuovi misteri dell’insolito contemporaneo”. 

Il processo creativo,  dagli stimoli all’espressione artistica  

Ma entriamo ancora di più nel suo processo creativo partendo dagli stimoli, premettendo che Maccari ha definito i suoi disegni  “testimonianze dirette e immediate d’intelligenza e di sensibilità”, fino ad invitarlo a esporre i taccuini che, precisa il curatore, sono  40 realizzati negli anni ’60.  Non sono stati esposti, ma il disegno è rimasto alla base  del processo pittorico che inizia con il tratto dei contorni e l’abbozzo a matita sulla tela, prima a matita poi ripassato in china.   

“Elegia”,  1974

Gli influssi metabolizzati da Ceccotti non sono soltanto quelli delle altre correnti pittoriche, come avviene di solito. Nella sua figurazione confluiscono, e sin dall’inizio, altri stimoli: gli strumenti tipici dei mass media, i fumetti e il cinema, inoltre la fotografia e perfino il “rebus”, il ben noto gioco enigmistico, e su questi vogliamo soffermarci in modo particolare.

Il Fumetto aveva già influenzato la Pop Art con  Roy  Lichtenstein , ma in quel caso si è trattato di gigantografie dei volti dei personaggi più in voga, e con le “icone” di Warhol,   Marylin Monroe ed Elizabeth Taylor  in primis, anche per lui volti in primo piano. Il nostro artista, invece, prende del fumetto la sequenza narrativa,  per cui le sue composizioni ne sembrano la trasposizione pittorica: “Nell’inquadratura del fumetto – ha detto lui stesso –  c’è sempre il massimo della concentrazione narrativa nel minimo spazio. Questo è avvenuto sia inconsciamente, sia coscientemente quando ho cominciato a fare dei quadri riferibili al fumetto”. 

Notturno, rio dei Mendicanti” , 1990 

Ma c’è ben altro, non soltanto la sinteticità,  secondo Di Genova l’atmosfera  del quadro  addirittura  “si sintonizza sullo  spirito giallo del fumetto cui si ispira…  nelle strade e negli appartamenti piccolo-borghesi ricrea, con un’ottica da realismo tedesco, un’atmosfera di suspense, intrisa contemporaneamente di romanticismo e di kitsch”.

Dal Cinema ha desunto le peculiari inquadrature, dall’illuminazione delle zone di maggiore interesse ai primi piani, agli sfondi e alle angolature da veri e propri movimenti della macchina per la ripresa cinematografica; nonché la tensione drammatica, il clima di attesa e di suspense  caratteristico dei film polizieschi. Anzi,  un film riflette fedelmente l’ottica peculiare di Ciccotti, cioè lo sguardo dall’esterno verso gli interni delle abitazioni, “La finestra sul cortile” di Alfred Hitchock  in cui addirittura dall’occhiata indiscreta nasce la scoperta di un delitto.  Ebbene, in  “Un delitto” 1967  di Ciccotti, esposto, si vede una piccola finestra illuminata con l’assassino mentre pugnala la vittima”, ricordiamo un’immagine dello stesso tipo in “Psyco” dello stesso regista.  

“Sera al Pigneto”,  2014

Le scene che si presentano nei dipinti dell’artista pongono degli interrogativi, tutto potrebbe essere avvenuto o potrebbe avvenire in quegli ambienti  raffigurati nei dettagli, non si sa quali sono decisivi e quali banali. Anche la  compresenza di momenti, importanti e vacui,  ha radici cinematografiche,

E la Fotografia? La tecnica fotografica entra in molte sue inquadrature pittoriche, tanto che organizzò nella galleria-Libreria Pan di Roma la mostra “24 fotografie di un pittore”,  quasi per documentarne l’importanza nella sua espressione artistica. Il curatore, nel sottolineare questo aspetto, cita la presentazione di Filiberto Menna a tale mostra come illuminante: “Il combattimento per un’immagine, che pittura e fotografia hanno ingaggiato  nell’opera di Ceccotti, si presenta come un serrato gioco dialettico in cui uno dei due termini assume, di volta in volta, il ruolo di fattore di profondità o di superficie”. 

“Solstizio d’estate”, 2017  

Biasini Selvaggi commenta a sua volta: “L’oggettività fotografica e l’oggettività pittorica procedono, pertanto, nell’artista  romano di pari passo. E si tratta di una oggettività immersa in una dimensione metafisica  tutt’altro che laica e caricata di simboli e suggestioni liriche”. In effetti, in molti suoi quadri l’angolo dal quale sono “riprese” le immagini non è quello normale ma assume posizioni inconsuete, o a livello del pavimento oppure dietro a un riparo, come se si trattasse di un “paparazzo” che cerca di carpire, stavamo per dire rubare, non visto,  immagini “private”.

Fagiolo dell’Arco vi trova “la convivenza tra vicino e lontano, guardato e immaginato, veduta e visione. Un accorto equilibrio tra la fotografia che diventa quadro e il quadro che diventa fotografia”.  Se tutto questo può sembrare aulico, un’altra contiguità ci riporta  con i piedi per terra, ed è ancora più inconsueta, quella con il rebus enigmistico. Riguarda le sue composizioni in cui spesso sono accomunati elementi eterogenei, la cui compresenza non ha giustificazioni razionali. 

Canzone notturna”, 2012 

Così l’artista  spiega gli  stimoli ricevuti dai Rebus con i loro disegni enigmistici: “Il mio interesse per questi disegni non nasceva da una grande passione per i rebus, anche se mi diverte risolverli, ma dal fascino che quelle scene emanavano … gli accostamenti di oggetti incongrui, ingrediente principale di ogni rebus, non producono qui un effetto disturbante di tipo surrealista, ma sono tranquillamente assorbiti dalla scena generale, come se in quel mondo fosse naturale che un ragazzo lotti con un serpente tra l’indifferenza  di altri personaggi che contemplano le barche sul fiume, mentre su una pietra in primo piano una teiera e una tazza attendono, accanto a due grossi coltelli”.

E dopo aver assorbito e metabolizzato stimoli così eterogenei, come scatta la scintilla creativa ?  “Io dipingo ciò che devo, non ciò che voglio -. rivela l’artista – Quando mi trovo davanti a una tela bianca l’opera comincia a delinearsi  come per induzione di una forza a me sconosciuta, inconoscibile tuttavia immanente”. Con questo risultato: “L’immagine è, pertanto, la traduzione  che deve confluire su un a superficie piana in un gioco di forme e di colori”. 

“Guardando le stelle”, 2005

Il curatore lo  raffronta a de Chirico, in cui “l’inquietudine metafisica è generata dall’accostamento a-logico di oggetti, talvolta comuni, spesso extra-ordinem ” e a Magritte  che “preferisce le cose normali della quotidianità borghese assurdamente sovrapposte o misteriosamente riprodotte” con spostamenti inspiegabili . “A ciò corrisponde, invece, la disarmante normalità delle immagini di Ceccotti, in cui nulla appare fuori posto, ma in cui di lì a poco tutto potrebbe accadere”.

Nasce, quindi, non un’inquietudine di tipo metafisico – l’alienazione di piccole figure in vasti spazi assolati – ma una “suspense” di tipo emotivo, proprio per la figurazione definita “controcorrente” che si apre dinanzi all’osservatore.  L’inquadratura fotografica di chi carpisce l’intimità si aggiunge alla compresenza di oggetti illogici, in un clima di attesa, così definito da Alberto Abate: “Il tempo rimane sospeso tra il ‘non avvenuto’ e la minaccia inesprimibile di qualcosa che deve ancora avvenire; il passato ha cessato di essere e il futuro ancora non esiste, rimane il presente eternamente immobile”.

“La signora X e l’uomo invisibile”, 1981 

Viene anche paragonato a un “voyeur ” che scruta  – e inquieta per la stessa azione dello spiare – ciò che avviene nelle strade e soprattutto nelle case con in sé qualcosa di maniacale: come lo è la certosina cura dei dettagli quasi si fosse sulla scena di un delitto in cui gli elementi più insignificanti possono assumere un’importanza impensabile. “Anche un insignificante utensile da cucina – osserva il curatore – può cominciare, allora a farci paura, assumendo una valenza che prima non aveva”. Sfugge, infatti, alla nostra illusoria comprensione”. Biasini Selvaggi ne fa discendere considerazioni di ordine psicologico che fanno entrare ancora di più nel clima creato dai dipinti di Ceccotti: “Non è questo, forse, che si chiede all’Arte?  Aiutarci a meditare sul mistero dell’esistenza? Aiutarci a cogliere i rapporti segreti e invisibili intessuti intorno a noi o dentro di noi?”

Come questo avvenga è ancora più intrigante: “Il metodo di Ceccotti rappresenta insomma l’alter ego pittorico delle macchie di Rorshach in psicologia: è un sofisticato strumento d’indagine della personalità, il cui scopo è quello di far affiorare nello spettatore emozioni inconsce, conflitti interiori attraverso la stimolazione visiva degli spazi (interni o esterni) inscenati sulla tela”. Verifichiamo ora nella pratica questo meccanismo psicanalitico  osservando le opere esposte nella mostra..

“Accanto al fuoco”, 2010 

Le opere in mostra, da intriganti a inquietanti

Raggruppiamo i dipinti per i due tipi di inquadrature e di contenuti, quelle in esterno e quelle in interno, a parte le composizioni che in varia misura con i loro elementi eterogenei ricordano i rebus enigmistici,  come “Al bar II” 1962 e “Avventura e mistero” 1966, “Scena notturna” 1968 e “Ricordo d’Olanda”  1959 con “Lettere e orologio” 1960;  fino ai due multipli, il polittico “Le 4 età della vita” (polittico) 1969, e il trittico “Megalopolis” 1972. 

Vediamo una diecina di quadri  in esterno, la maggior parte notturni, nei quali c’è una presenza umana che pone  intriganti interrogativi . Così Stazione di provincia XIII”  1981, non solo il viaggiatore in attesa mentre arriva (o parte?) il treno, ma una cabina telefonica sull’altro marciapiede con una giovane donna al telefono, avverte  che è arrivata, ma se è così il treno sul suo binario è già ripartito, o che altro?  E come mai in “Esterno notte” 1988 c’è una bella donna distesa nel giardino mentre in una finestra si accende una luce?  

“Sonata”, 1998

Le tre minuscole persone  di “Notturno, rio dei Mendicanti” 1990, che conversano nella solitudine più assoluta, cosa faranno tra poco?  Che dire poi delle due figure in primo piano di spalle in “Sera al Pigneto” 2014, dolcemente allacciate, entreranno nel locale di fronte per cenare come le tante persone nei tavolini del giardino o che altro?  E l’automobile che sfreccia a lato del treno davanti al manifesto in “Notturno con Diabolik”  2008, dove andrà nella notte buia mentre un lampione proietta a terra un fascio di luce gialla?  Alla luce diurna notiamo come in “Hiver a Montmartre” 1991  la stagione fredda si manifesta negli alberi spogli senza foglie e ancor più nella desolazione delle strade e nella solitudine della figura col bastone che si dirige verso qualcosa che non si vede, forse la sua abitazione, ma come sarà?

Tre  esterni, diversi tra loro,  suscitano altrettanti interrogativi: “Settembre a Piazza dei Quiriti” 2015 mostra una grande fontana con due edifici, un albero e una strada, ma l’attenzione, e la curiosità sono attirate dalla figura scura  sulla destra che avanza verso l’osservatore con un grosso cane al guinzaglio. In  “Estate a piazzale Flaminio” 2016, è una giovane donna in short a dirigersi verso l’osservatore, mentre ci sembra di sentire picchiare il sole di mezzogiorno, lo si vede dalle ombre corte.  Senso di frescura, invece, in “Solstizio d’estate” 2017, una fontana al centro di uno specchio d’acqua circolare , una donna sulla destra  a mezzo busto che guarda col binocolo verso l’alto l’aereo che sorvola la cortina di alberi di fronte.   

“Combattimento di Tancredi e Clorinda”,1980

Altri due esterni, che non riguardano piazze o giardini pubblici ma le facciate di due case nella notte, ci fanno avvicinare all’intimità degli interni di cui diremo fra poco. Nel primo, “Canzone nottuna” 2012, nel piccolo terrazzo una giovane donna in piedi in abito da sera verde con ampio “decolletè”  canta accompagnata da un chitarrista seduto, grandi pini svettano nel buio dietro l’edificio che ha due finestre illuminate in due piani diversi  Anche il secondo esterno, “Guardando le stelle”  2005, mostra uno scorcio del muro dell’edificio che si innalza su una distesa di acqua percorsa da barche, l’inquadratura è più ravvicinata della precedente, in primo piano una giovane donna nuda fuma una sigaretta, ripresa in piedi tra la persiana e un oblò con luce gialla, chi ci sarà?  

Non è l’unica donna nuda nei dipinti esposti, ce ne sono altre cinque che, ad eccezione del tondo “Estate”, 1975 – sul mare in un campo di nudisti – sono tutte in interni. In “Nudo con apparecchio radio” 1971, la parte superiore di un bel corpo femminile fino alle gambe visto da dietro,   con un rosso tramonto alla finestra;  “La signora X e l’uomo invisibile” 1981, presenta l’inquietante visita di un uomo dalla testa fasciata, lei sorpresa nuda in piedi mentre fuma, lui non si sa come sia entrato, inquietante oltre che intrigante, la più misteriosa. Infatti in “Nu descendant un escalier” 1982, la donna in uno splendido nudo frontale che ne mostra tutta l’avvenenza è giunta alla base di una stretta scala a chiocciola; e in “Plein air” 2001 non è in carne ed ossa ma dipinta nuda su una tela di ambiente marino con un uomo e due bambini. Clima di erotismo o piuttosto “atmosfera di tenero romanticismo”, come la definisce il curatore: “Il suo è, infatti, un erotismo intimo, in qualche modo direi pudico, che vuole cogliere nel rapporto con l’altra, l’armonia e la bellezza”. 

“La robe verte”,  1998 

E quando posa lo sguardo sugli interni delle abitazioni, in qualche caso “sembra quasi in imbarazzo per questa  invasione della privacy altrui”. In “Accanto al fuoco” 2010, la donna “spiata” è seduta sul divano e prende il caffè davanti alla televisione, sola ma con tre cannoli su un vassoio, attende qualcuno?  Anche nel più recente “Un après-midi-parisien” 2017,  è ripresa seduta davanti alla televisione, addirittura mentre aziona il telecomando. Mentre in “Sonata”, che risale al 1998, l’intimità è nel piatto con tazza di caffè e cornetto, oltre al fax, c’è una violinista che suona in piedi davanti al leggio e il pianista che l’accompagna, la scala che porta al piano superiore è l’elemento intrigante. Quasi sempre ci sono finestre quale elemento simbolico dell’apertura all’esterno anche se viste dall’interno in una corrispondenza biunivoca e reversibile.

Senza soggetti, ma quasi sempre con aperture verso l’esterno presentate in vari modi, gli altri interni esposti in mostra, in alcuni si “sente” la presenza che non si vede. In “Combattimento di Tancredi e Clorinda” 1980 sono la tazzina, la bottiglia e la torta sul tavolo dalla tovaglia rosa a far sentire questa presenza, qualcuno deve arrivare o c’è già stato? Sulla sedia lo spartito della musica di Monteverdi che dà il titolo al quadro. Mentre in “Le robe verte” 2008,  il vestito verde sul letto e la porta aperta sul bagno illuminato fanno pensare che c’è qualcuno dentro, la proprietaria del vestito,  sola o in compagnia?  E “Il bagno verde” 1989 è vuoto, ma l’asciugamano, le boccette e il phon sulla sedia indicano che sta per venire, chi? 

“Il tè del pomeriggio”,  1983 

Lo stesso in “Angolo di cucina”  e “Il te del pomeriggio”, entrambi del 1983,  “Musee immaginaire II” 1986 e “Il mare dipinto” 2018, l’ultimo, con il panino smozzicato e la bibita aperta davanti a un quadro sul cavalletto, due quadri a terra, si attende di certo  l’artista che ha smesso momentaneamente di dipingere. E’ come se dovesse arrivare da un momento all’altro per finire lo spuntino.

Con questa immagine di presenza-assenza concludiamo la nostra rassegna della galleria di opere in mostra, non prima di fare un’ultima considerazione che nasce dal fatto che le “incursioni” nel privato delle abitazioni  richiamano quelle di Edward Hopper – come si è accennato in apertura – le cui opere Ceccotti conobbe sin da 1952, a 17 anni. Il curatore vi trova “convergente divergenti” così spiegate: “Quadri, quelli di entrambi, accomunati da un’apparenza realistica, da un naturalismo di ritorno, tuttavia divergenti, inconciliabili nel merito”.  

“Plen air”,  2001  

Ed ecco perché: “Il maestro americano rappresenta sulle sue tele il dramma dell’incomunicabilità, dell’alienazione, della solitudine della società moderna tra assolati diurni urbani pervasi da silenzio. Silenzio che vuol dire assenza di comunicazione”.  Non solamente se la persona è sola,  quindi si collega alla solitudine, anche quando vi sono più persone non si guardano, si ignorano. “Ceccotti, dal canto suo, si limita, invece, a riprodurre pittoricamente ciò che ha visto, senza dare giudizi sul suo tempo”. In tal modo “scarta seccamente la dimensione epica come la dimensione lirica, per attestarsi su una linea impassibile di osservazione voyeristica, soprattutto in orario crepuscolare”. 

Con le “convergenze divergenti” artistiche tra i due pittori  – ossimoro che fa impallidire le “convergenze parallele” di lontana memoria –   termina il nostro racconto della mostra  di un pittore le cui opere  evocano scene viste al cinema o lette nelle storie poliziesche suscitando non solo interesse ma anche pulsioni che da intriganti diventano inquietanti quando sono sedimentate nell’inconscio. E’ questo  il “romanzo della pittura”, la pittura personalissima di Sergio Ceccotti.  

Megalopolis” (trittico), 2012 

Info

Palazzo delle Esposizioni, via Nazionale 194, Roma. Tel. 06.39967500, www.palazzoesposizioni.it. Orari: da domenica a giovedì, tranne il lunedì chiuso, dalle 10,00 alle 20,00, venerdì e sabato dalle 10,00 alle 22,30. Ingresso intero euro 13,50, ridotto euro 10,00. Catalogo “Sergio Ceccotti. Il romanzo della pittura 1958-2008“, a cura di Cesare Biasini Selvaggi, Carlo Cambi Editore, settembre 2018, pp. 96, formato 21,5 x 28; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. Per gli artisti e correnti citati nel testo, cfr. i nostri articoli: su  de Chirico: in questo sito, “arte e filosofia”  17, 21 dicembre 2016, “gioiosa metafisica” 16 marzo 2015, “ritratti” 20,  26 giugno, 1° luglio 2014; in cultura.inabruzzo.it,   “natura” 8, 10,11 luglio 2010, anche nei “Quaderni” della Fondazione, “Metafisica” e “Metaphysical Art” n. 11.13 del 2013,  “disegno”  27 agosto 2009; su  Hopper 12 e 13 giugno 2010. In questo sito, su Guttuso: “rivoluzionario”  14 luglio 2018, “innamorato 16 ottobre 2017, “religioso”  27 settembre, 2 e 4 ottobre 2016, “antologico”  25 e 30 gennaio 2013; su Warhol 15 e 27 settembre 2014; sulla Pop Art ecc. nel  Guggenheim, 23 e 27 novembre, 11 dicembre 2012 (il sito cultura.inabruzzo.it non è più raggiungibile, gli articoli saranno trasferiti su altro sito, comunque sono a disposizione). 

Foto

Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante al Palazzo Esposizioni, si ringrazia la direzione con i titolari dei diritti – in particolare l’artista, anche per aver accettato di essere ripreso davanti a una sua opera – per l’opportunità offerta; sono riportate non in ordine cronologico ma nell’ordine in cui sono citate nel testo (tranne le ultime due). In  apertura, “Le 4 età della vita” (polittico) 1969, con l’artista Sergio Ceccotti; seguono, “Scena notturna” 1968, e “Le 4 stagioni”, autunno ed estate 1975, inverno 1976, primavera 1979; poi, “Ricordo d’Olanda” 1959, con “Lettere e orologio” 1960; quindi, “Elegia” 1974, e “Notturno, rio dei Mendicanti” 1990; inoltre, “Sera al Pigneto” 2014, e “Solstizio d’estate” 2017; inoltre, Canzone notturna” 2012, e “Guardando le stelle”2005; ancora, “La signora X e l’uomo invisibile” 1981, e “Accanto al fuoco” 2010; continua, “Sonata” 1998, e “Combattimento di Tancredi e Clorinda” 1980; prosegue, “la robe verte” 1998, e “Il tè del pomeriggio” 1983; infine, “Plen air” 2001, e “Megalopolis” (trittico) 2012; in chiusura, “Hiver a Montmartre” 1991.

“Hiver a Montmartre”, 1991