di Romano Maria Levante
Al Palazzo Esposizioni, a Roma, dal 27 ottobre 2012 al 10 marzo 2013 la mostra “La Via della Seta. Antichi sentieri tra Oriente ed Occidente” espone oltre 150 documenti e reperti, oggetti e prodotti sui traffici che fiorirono su un itinerario di migliaia di chilometri con meta la Cina sviluppando i commerci ma anche la comunicazione tra tradizioni e tecniche, etnie e civiltà. Genova e Venezia sono le città italiane protagoniste, la mostra ne documenta il ruolo e l’importanza. In collaborazione con la Fondazione Roma Arte Musei, con Codice. Idee per la Cultura, e Civita.
La prima galleria della mostra
Nella vasta rotonda intorno alla quale si aprono le 7 gallerie corrispondenti alle sezioni della mostra si è accolti dalle sagome imponenti di tre cammelli, poi si entra nell’atmosfera della Via della Seta a poco a poco, iniziando con le prove documentali e visive fino ai prodotti dell’artigianato e dell’arte. Il tutto con la conoscenza delle principali località in cui lo sviluppo dei commerci ha accompagnato la crescita economica e gli scambi culturali: sono Xian e Turfan, Samarcando e Bagdhad, fino a Istanbul. I nomi delle località evocano un mondo in cui è affascinante immergersi.
Ma prima la mostra ci fa conoscere la Via della Seta, nome con cui si identifica l’insieme di itinerari che attraversavano l’Asia e in particolare la Cina, verso l’Europa, non era quindi una strada, ma un percorso su cui transitavano viaggiatori e mercanti, e tra i primi i missionari, e con loro non solo merci e prodotti, ma anche conoscenze e credi religiosi.
Questo avveniva in terre spesso tormentate da conflitti mentre dominavano l’Oriente e l’Occidente tra grandi imperi, gli Han in Cina, l’impero Kusana in Afghanistan e l’impero romano; il periodo di massimo fulgore è stato sotto la dinastia cinese dei Tang, tra il 600 e il 900 d.C..
La Via della Seta
Innumerevoli le storie che si intrecciano nel periodo in cui comincia a prendere corpo la Via della Seta, e diversi i motivi che portarono ad andare sempre più avanti, inizialmente più strategici e militari che commerciali e culturali; già prima della dinastia degli Han, tra il 206 a.C. e il 220 d. C., si cominciò a costruire la Muraglia cinese a scopi difensivi, mentre ci si spingeva verso ovest per fare nuove alleanze. Gli emissari mandati in avanscoperta riferivano sui mondi che avevano incontrato suscitando l’interesse a conoscerli direttamente, precursore fu il primo di loro, Zhang Qian considerato il “padre” della Via della Seta, il cui primo ritorno nella capitale cinese, Xi’an, avvenne nel 125 a. C.. Ma già prima di questa epoca remota piccole quantità di merce dall’Oriente raggiunsero le terre occidentali, portate da viaggiatori solitari e coraggiosi. Le terre attraversate erano inquiete e tormentate, non solo per i conflitti, ma anche per l’inaridirsi delle fonti d’acqua che costringevano le popolazioni a spostarsi abbandonando gli insediamenti.
Viene fatto rilevare che anche quando le merci si spostavano dall’Oriente all’Occidente non venivano portate direttamente a destinazione ma passavano di mano in mano, previo pagamento di dazi e provvigioni, spesso affidate alle tribù nomadi che si spostavano facilmente; nelle soste che avvenivano nelle locande e nei “caravanserragli” c’era anche lo scambio di notizie. Erano i missionari a percorrere l’intero itinerario, quindi le loro relazioni sono state una fonte preziosa.
Il nome della via, coniato nel 1877 da un barone esploratore tedesco, si riferisce al prodotto più appariscente che veniva dall’oriente. I romani lo conoscevano dal I secolo a. C., avendolo trovato presso i Parti; ma non erano questi a produrlo bensì popoli molto più a Oriente, che i romani chiamarono “seres”, di qui il nome rimasto fino ad oggi. Erano gli intermediari, oltre ai missionari, a rendere possibile il traffico verso Occidente oltre alla seta, di pellicce e ceramiche , giade e legni laccati; e verso Oriente di oro e avorio, pietre preziose e vetro.
Le difficoltà di spostarsi in zone desertiche o montuose e impervie portavano a irradiarsi in un ampio ventaglio di percorsi, per cui il termine Via della Seta va considerato in senso lato, come una direttrice di marcia su migliaia di chilometri. Anche nelle oasi si potevano trovare temperature da 40 sotto zero d’inverno a 50 gradi all’ombra d’estate, con tanta polvere e pochissima acqua.
Quando i traffici si svilupparono, la Via della Seta fu infestata dai banditi che depredavano le carovane, costrette ad avere scorte armate, pertanto sorsero lungo l’itinerario postazioni difensive. Lungo il tragitto nacquero templi religiosi, soprattutto buddhisti, ma anche il cristianesimo, nella dottrina nestoriana, e il manicheismo furono portati da missionari e viaggiatori; la prima chiesa nestoriana fu costruita nella capitale Xi’an nel 638.
Sotto la dinastia Tang vi fu un periodo di pace in Cina che, dopo secoli di guerre e occupazioni, favorì lo sviluppo: la capitale raggiunse 2 milioni di abitanti nel 740 con molti immigrati persiani e indiani, giapponesi e coreani, nell’integrazione tra culture e tradizioni diverse. Lo stesso avvenne per i popoli dei paesi attraversati dalla Via della Seta che non dovendo più combattere potettero comunicare. Terminata questa dinastia ripresero i conflitti con gli stati confinanti, nell’epoca delle Cinque Dinastie, tra il 900 e il 960, e il traffico sulla via della Seta diminuì, sia per i pericoli di attacchi, sia per lo sviluppo dei collegamenti marittimi più sicuri per le merci, soprattutto quelle fragili e deperibili. Anche gli scontri di matrice religiosa contribuirono a questo decadimento, le Crociate fecero scontrare i Cristiani e i Mussulmani fino alla conquista da parte dei primi di Gerusalemme con la Quinta Crociata nel 1202-04.
I conquistatori mongoli e la “pax mongolica”
A questo punto entrano in scena i mongoli che con Gengis Khan invasero la Via della Seta dalla Cina al’Asia centrale fino al Mediterraneo; l’impero mongolo si estese anche dopo la morte di Khan fino a comprendere interamente la Cina con la dinastia Yuan, protrattasi per un secolo dal 1270 al 1370. Con i mongoli la Via della Seta riprese la sua funzione di collegamento e integrazione di culture e religioni, per la tolleranza verso le diverse fedi, con la convivenza di taoismo e buddhismo, cristianesimo romano e nestoriano, ebraismo e islamismo.
E’ il momento di Marco Polo, vissuto dal 1254 al 1324, che percorse la Via della Seta già con il padre a 17 anni fino alla corte di Kublai Khan, il discendente illuminato di Gengis Khan; tornò in Occidente nel 1295 e scrisse “Il Milione”, con la descrizione pittoresca dei luoghi visitati, degli usi e costumi dei popoli conosciuti.
La Via della Seta non torna agli splendori della dinastia Tang con lo sviluppo del trasporto marittimo rivelatosi più vantaggioso per determinate merci nelle rotte più lunghe. Il traffico addirittura si interrompe con la dinastia Han che ostacolava il commercio con l’Occidente, al punto che scomparvero anche gli abitati sorti lungo il percorso, e rimasero le oasi per i viaggiatori isolati.
Tornò l’interesse alla fine del XIX secolo, nell’ottica coloniale rivolta soprattutto all’India da parte degli inglesi e soprattutto sotto il profilo storico e culturale: ai commercianti si sostituiscono archeologi, geografi e cartografi. Dopo l’esplorazione della Via della Seta da parte del cartografo svedese Sven Hedin, nel 1885, che attraversò la catena del Pamir fino a Kashgar e giunse a Taklimakan, fu una gara di archeologi di ogni paese per recuperare e asportare gli antichi reperti. Finché la Cina nel 1925 per ostilità verso gli stranieri bloccò le uscite di reperti archeologici.
Oggi la Via della Seta è meta di iniziative turistiche “sulle tracce di Marco Polo”, mentre i cinesi hanno ripreso le campagne archeologiche portando alla luce reperti ben conservati. Resta una direttrice di grande valore storico e culturale per l’incontro di civiltà che si è avuto su basi commerciali e religiose e per quanto ha lasciato nelle tradizioni e nell’arte: Lo vediamo nei reperti esposti nella mostra che fanno viaggiare nel tempo e nello spazio sulle tracce delle antiche civiltà.
“Marco Polo, Il Milione”, manoscritto del XIV sec.
Oriente e Occidente uniti dalla Via della Seta
In questo quadro, di grande interesse per noi sono i rapporti tra Oriente ed Occidente, e in particolare il ruolo che hanno avuto gli itinerari della Via della Seta sulla nostra civiltà, attraverso la comunicazione di saperi, tecniche e conoscenze, in un rapporto di arricchimento reciproco.
Viene attribuito un ruolo fondamentale all’azione dei mongoli, inizialmente improntata a guerre di conquista particolarmente feroci che portarono al più grande impero nella storia dell’umanità; ma poi la loro apertura alle religioni e alle scienze, alle tecniche e alle arti, nell’epoca della “pax mongolica”, tra il XIII e il XIV secolo, diede luogo a un’era molto fruttuosa di scambi di conoscenze oltre che di prodotti, tra le varie aree del continente euroasiatico, compresa l’Italia.
I contatti cominciarono con i frati ei predicatori, poi dopo il Concilio di Lione del 1245 furono mandate delegazioni papali agli eserciti mongoli, per scongiurarne le scorrerie sanguinose e per avere maggiori notizie su questo popolo. Nello stesso tempo si ponevano le basi per l’evangelizzazione al punto che Montecorvino, un legato papale a Tabriz, nel 1294 costituì una comunità cristiana nella capitale, l’odierna Pechino, costruendovi anche una chiesa. Seguì l’istituzione di vescovi nella Cina, la cui cura pastorale fu affidata ai frati francescani, mentre ai domenicani quella dei territori occidentali, l’ikhanato e l’orda d’oro.
La penetrazione religiosa proseguì con fasi alterne: nel 1318 un altro francescano, Odorico da Pordenone, partito da Venezia, in 12 anni arrivò a Pechino e nel nord e sud della Cina, in India , Tibet e Asia centrale, ma fece pochi proseliti; mentre dopo la morte di Montecorvino, nel 1328, il popolo degli Alani chiese di avere un nuovo vescovo, però la comunità locale non si sviluppò.
I mercanti italiani, da Genova e Venezia, si aggiunsero ai religiosi, dalla metà del 1200 per tutto il 1300, con Marco Polo il più famoso, alimentando i traffici sulla Via della Seta e sviluppando le vie di commercio marittime, utilizzando la bussola, le carte nautiche e i portolani. La “pax mongolica” favorì gli uomini d’affari genovesi e veneziani, e in parte anche da Pisa, alla ricerca di prodotti esotici e di lusso da Cina, India e Persia per scambiarli con i propri prodotti.
Questa intensa attività commerciale portò anche allo scambio di tecniche e conoscenze, quindi ad una crescita culturale. Ma fu temporanea, perché la Via della Seta era destinata a richiudersi alla fine della dinastia Yuan e con l’instaurarsi della dinastia Ming, nel 1368: con la fine della “pax mongolica” l’ostilità verso gli europei coinvolse mercanti e missionari, e portò all’espulsione dei cristiani presenti in Cina, compromettendo scambi commerciali ed evangelizzazione dell’Asia.
Ma non furono cancellate le acquisizioni derivate dalla lunga epoca di scambi e contatti, e dalle relazioni scritte di missionari e mercanti, rimaste a testimonianza di un mondo di enorme fascino perché ha fatto scoprire usi e tradizioni, costumi e civiltà tanto diverse quanto ricche di elementi di valore che sono stati assorbiti contribuendo all’avanzamento della nostra cultura.
“Pratica di mercatura’ di Francesco Balducci Pegolotti”, XV sec., frontespizio
Veneziani e Genovesi sulla Via della Seta
I nomi dei mercanti veneziani e genovesi sono legati a storie affascinanti, nella mostra sono esposti documenti dell’epoca, pergamene, cartigli e altri scritti che ne fanno rivivere lepoca. Il primo con cui si fa la conoscenza è Pietro Viglioni, in un testamento a Tabriz del 1263, è il primo documento sulla presenza di mercanti italiani sulla Via della Seta, negli anni in cui Marco Polo compie il primo viaggio con il padre alla corte di Khubilai Khan a Pechino. E’ significativo che Venezia e Genova entrarono in contrasto e si ostacolarono nella ricerca del dominio commerciale.
Un altro personaggio che si incontra nelle testimonianze sulla Via della Seta è il nobile veneziano Giovanni Loredan: nel 1338, superando la contrarietà dei familiari e i tanti ostacoli, dopo un viaggio in Cina, parte per l’India con altri cinque nobili della sua città, raggiunge l’Afghanistan tra vicissitudini inenarrabili, e muore per malattia. Così altri viaggiatori, tra cui i fratelli genovesi Ugolino e Vadino Vivaldi, scomparsi in mare e diventati una leggenda per la loro fine misteriosa; seguì il loro esempio un altro membro della famiglia, Benedetto Vivaldi, partito nel 1315 e morto anche lui nel viaggio in Oriente. C’è anche una donna italiana in queste storie, Caterina del fu Domenico de Bonis, la prima di cui si ha notizia in Oriente, muore nel 1342. I genovesi sono maggiormente attivi in Cina, molto più dei veneziani, a parte Marco Polo; tra i veneziani andò in Cina, e ne tornò, Franceschino Loredan, rampollo del personaggio che abbiamo già incontrato.
Nei documenti disponibili su questi viaggi, che la mostra esibisce, sono indicate anche le merci che venivano portate in Oriente, nel testamento di Viglione su pergamena, del 1263, ce n’è un elenco, corredato dal prezzo e dal mittente: notiamo i cristalli di roccia e le pietre dure, le perle e i diaspri, tavole da gioco e cammei, coppe e candelieri; con gli oggetti preziosi in argento anche pelli di castoro e zucchero, telerie lombarde e tedesche, forse di lino, e tessuti di lana, ricercati in Oriente.
Si vendevano i tessuti lungo il tragitto e in Cina l’argento si scambiava con la moneta per fare gli acquisti e non i baratti. Naturalmente l’acquisto obbligato era la seta, grezza o i filati, inoltre c’erano le spezie per uso alimentare, considerando che avevano anche poteri curativi. Ci sono il testamento di Maffeo (Matteo) Polo del 1310, e il testamento di Marco Polo, del 1324, entrambi su pergamena. Di Marco Polo è esposto anche il manoscritto cartaceo di “Il Milione”, oltre a un incunabolo rilegato in pergamena del 1496. Altri documenti la “pratica di mercatura” di Francesco Pegolotti, un manoscritto del XV secolo cartaceo, e delle carte del Codice Cocarelli, stessa epoca.
Sui rapporti tra l’Italia e l’Oriente sono esposte opere d’arte e articoli ecclesiastici dove si trovano spunti orientali: così le Madonne a tempera su fondo oro di Paolo Veneziano, Taddeo Gaddi, Jacopo di Cione, fra il 1335 e il 1365; la Mitria del vescovo Oddone da Colonna, il manto di San Secondo e i calzari in panno tartarico e diaspro di Benedetto XI della fine del secolo XIV; è esposto anche un paliotto d’altare in velluto con il motivo dei “camini” della metà del secolo XV.
Spettacolari alcuni grandi tessuti e teli, insieme ai quali è presentato un vasto assortimento di frammenti di tessuti con motivi ornamentali diversi sempre di foggia e ispirazione orientale.
Dopo questo primo contatto che ci ha fatto ambientare nella Via della Seta, la visita alla mostra continua, in un viaggio attraverso le celebri località di Xi’an, l’antica capitale e la grande oasi di Turfan, la mitica Samarcanda e Baghdad città della sapienza fino a Istanbul, la porta dell’Oriente. Racconteremo prossimamente le scoperte fatte e le emozioni provate in tale affascinante percorso.
Info
Palazzo Esposizioni, Via Nazionale 194, Roma. Martedì e mercoledì, giovedì e domenica ore 10,00-20,00, venerdì e sabato fino alle 22,30, lunedì chiuso; accesso fino a un’ora prima della chiusura. Ingresso intero euro 10,50, ridotto 7,50, scuole 4 euro a studente, gruppi tra 10 e 25, martedì e venerdì; con il biglietto si visitano tutte le mostre del Palazzo Esposizioni. Tel . 06.39967500, mailto:info.pde@palaexpo.it. Catalogo: “Via della Seta. Antichi sentieri tra Oriente e Occidente”, Palazzo Esposizioni e Codice Edizioni, ottobre 2012, pp. 296, formato 20 x 24, euro 26; dal Catalogo sono tratte le citazioni del testo. I due articoli successivi sulla mostrra usciranno, in questo sito, il 21 e 23 febbraio 2013.
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla presentazione della mostra al Palazzo Esposizioni, e in parte dal Catalogo, si ringrazia l’Ufficio stampa del Palaexpo con gli organizzatori e i titolari dei diritti per l’opportunità offerta. In apertura uno scorcio della prima galleria della mostra; seguono ” Marco Polo, Il Milione”, manoscritto del XIV secolo, e il frontespizio della “Pratica di mercatura’ di Francesco Balducci Pegolotti”, XV secolo; in chiusura, l’immagine delle sagome di tre cammelli bardati, a grandezza naturale, che accolgono i visitatori all’ingresso della mostra.
Le sagome di tre cammelli bardati, a grandezza naturale, all’ingresso della mostra