di Romano Maria Levante
“The Last Harvest”, la mostra di pittura di Tagore, tenuta a Roma, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal 29 marzo al 27 maggio 2012, curata da R. Siva Kumar della Visva Bharati University, ha presentato per la prima volta in Italia 100 dipinti provenienti dall’archivio Rabindra Bhavana e dal Kala Bhavan Museum. E’ l'”ultimo raccolto” artistico del grande poeta e scrittore indiano, uomo di teatro e musicista, divenuto pittore dopo i 60 anni con straordinaria creatività. La mostra era in 4 sezioni con immagini suggestive di animali e paesaggi, personaggi e ritratti.
Parlare subito delle opere come si fa per i pittori senza soffermarsi sulla loro vita sarebbe lacunoso perché Rabindranath Tagore cominciò ad esprimersi in forma pittorica solo nel 1924, a 64 anni, mentre nell’arte letteraria era stato precoce, le prime poesie uscirono a soli 14 anni, mezzo secolo prima, a 20 anni la raccolta “Canti del mattino” seguita da un’altra “Canti della sera”. Nel 1913 il Premio Nobel per la letteratura grazie ai suoi poemi religiosi “Gitanjali” che lo resero famoso in Usa e in Europa. Fondò la scuola di “Santiniketan”, trasformandola nel 1921 nell'”Università internazionale Visna Barati”, fu presidente del Congresso filosofico delle Indie e con i suoi scritti anticonvenzionali incise sulla letteratura e la lingua della sua terra, il Bengala, e dell’India. Nato in una famiglia di antica nobiltà, i fratelli scrittori e musicisti, la sorella autrice di romanzi e racconti; lui poeta e romanziere, scrittore di racconti e opere teatrali, saggista e compositore e infine pittore.
Alla presentazione della mostra, nel quadro delle celebrazioni per il 150° anno dalla sua nascita nel 1861 che ha coinciso con il 150° dell’Unità d’Italia, ha fatto gli onori di casa la soprintendente della Galleria Maria Vittoria Marini Clarelli ed è intervenuto, oltre al curatore Siva Kumar in abito tradizionale indiano, l’ambasciatore dell’India in Italia, Shri Debabrata Saha. Ci siamo sentiti di collegare il riconoscimento a Tagore al momento particolare dei rapporti tra i nostri paesi per la vicenda dei marò arrestati, apprezzando la presenza dell’ambasciatore con l’auspicio di una pronta riconciliazione: ha risposto che questo era nello spirito del grande Tagore, del resto sappiamo che ha ricercato sempre la sintesi, anche tra Oriente e d Occidente, per raggiungere verità universali.
Ci limitiamo a questi pochi tratti, il solo accennare ai suoi temi filosofici e alle sue opere di poeta, scrittore e autore di teatro porterebbe molto lontano, ne parla diffusamente il numero speciale del 2010 della rivista “India – Perspectives” a lui dedicato con 24 articoli sui singoli temi illustrati da fotografie e riproduzioni dei suoi dipinti, sintesi efficace di un autore dalla bibliografia sconfinata.
Alcuni tratti sull’opera pittorica
Sulla sua pittura va premesso che, oltre ad iniziare in tarda età, si pose al di fuori degli schemi della produzione artistica indiana per cui non fu apprezzato subito nel suo paese, tutt’altro. Ma nel 1930 ci fu la prima mostra a Parigi, poi itinerante tra l’Europa e l’America, e i suoi dipinti furono esposti a Londra e Berlino, Monaco e New York, nel 1931 a Philadelphia. Una lunga serie di viaggi in questi paesi lo mette a contatto in modo sempre più stretto con l’arte occidentale, l’espressionismo e il fauvismo erano le correnti più avanzate, se ne sentono gli influssi nelle sue composizioni.
Era molto legato alla sua terra da cui traeva l’ispirazione, e lo dichiarava; tuttavia il suo pensiero ha avuto diffusione in tutto il mondo forse per la continua ricerca di un tema unificante, una verità universale attraverso le varie forme d’arte letteraria e musicale, infine visiva da lui praticate.
Un’impostazione la sua che va molto oltre la scelta stilistica e di contenuto nell’opera pittorica, a stare a quanto scriveva nel 1917 in “My Reminiscenses”, sette anni prima delle sue iniziali opere grafiche. C’è la compresenza e insieme il contrasto tra la parte esteriore e quella interiore, anche la Chiesa parla di “foro esterno” e “foro interno”. All’esterno gli eventi, all’interno le immagini che vi si riflettono: “I due aspetti corrispondono ma non sono la stessa cosa. Non abbiamo la possibilità di vedere con chiarezza questo mondo di immagini all’interno di noi. Una piccola porzione, di quando in quando, attrae la nostra attenzione, ma la maggior parte rimane in ombra, fuori dalla nostra vita”. E a proposito di chi dipinge “le immagini sulle tele della memoria” scrive: “Non sta lì con il suo pennello semplicemente a replicare ciò che accade. Prende e toglie a seconda del suo gusto e, ingigantendo e rimpicciolendo a suo piacimento, non ha imbarazzi a mettere nello sfondo ciò che era in primo piano. In altre parole, dipinge immagini, non scrive la storia”.
Due anni dopo, per il “Centre of Indian Culture”, scriveva: “E’ bene ricordare che le grandi epoche della rinascita nella storia furono quelle in cui l’uomo scoprì all’improvviso i semi del pensiero nel granaio del passato. Coloro che, sfortunati, hanno perduto il raccolto del passato, hanno perso il loro presente”. Crediamo che sia nata da queste sue parole l’intitolazione della mostra “The Last Harvest”, cioè l’ultimo raccolto: la sua espressione pittorica ha coperto i 17 anni conclusivi di vita, il periodo appunto del raccolto finale del suo passato come dei precursori nel granaio della storia. Per questo la visita alle opere, guidata dal curatore R. Siva Kumar della “Visva Barati University” creata da Tagore, è stata una retrospettiva della sua ispirazione e un vero compendio spirituale.
Le 4 sezioni: animali e paesaggi, figure e volti
Per chi, come noi, si poneva il problema del rapporto tra scrittura letteraria e rappresentazione pittorica, il curatore ha rivelato che i suoi primi dipinti derivano dagli scarabocchi sui manoscritti per dare un senso estetico alle cancellature in un a sorta di “giocosa inventiva”. Comincia con gli animali, veri o immaginari, poi il paesaggio con la solitudine e quindi, in progressione, l’essere umano come corpo e gestualità, fino a concentrarsi sui visi alternando le maschere ai ritratti.
I suoi dipinti, per lo più a inchiostro colorato e acquarello di piccolo-medio formato, sono senza riferimenti espliciti, né date né titoli: è un narrazione che lascia libero l’interprete, cosa che ne accresce il valore universale, sganciato dalle contingenze locali e temporali. La selezione presentata, del tutto inedita nel nostro paese, è una piccola parte del vasto “corpus” pittorico di 1600 opere nel Rabindra Bhavana e di un centinaio al Kala Bhavan Museum, entrambi prestatori della mostra. I fondi sono per lo più scuri, i colori densi e pastosi, le immagini dai contorni netti e precisi.
Ecco la prima sezione, con 20 pitture ispirate ad animali rappresentati in forme primitive quasi totemiche, alcune richiamano figure reali, altre esseri fantastici. Linee continue e curve o spezzate bruscamente, posizioni erette o forme stilizzate; espressioni fiere o meste, gioiose o imploranti. Colpiscono gli occhi spalancati del pappagallo e l’atteggiamento tenero del piccolo rispetto alla madre accigliata. Un bestiario particolare, dunque, con dei sentimenti che avvicinano il mondo animale all’umanità, nel sincretismo universale di Tagore, uomo di pensiero..
Dagli animali ai paesaggi nella seconda sezione, con 13 dipinti accomunati dalla severità dell’ambiente, non riconoscibile sebbene nel giallo del cielo dietro gli alberi di alcuni quadri siano stati visti fenomeni naturali a Santiniketan. Gli alberi dalla chioma folta hanno un colore molto scuro che ispira protezione mista ad oppressione. In alcuni dipinti alla staticità subentrano altri motivi: il senso del ritmo, come nei due alberi, questa volta dal fogliame rado, piegati dal vento; il senso dell’equilibrio che manca nel tempietto con colonne e scalinata visibilmente sbilanciato.
La terza sezione, dedicata alle figure umane, ha occupato un corridoio con 15 dipinti e la sala successiva con altri 16 dipinti. Anche qui, come negli animali, qualcosa di totemico, di grande fascino nelle tinte scure e intense anche con rossi e blu molto carichi, e nelle forme arcaiche nette e decise. C’è molta attenzione alla gestualità, di tipo quasi teatrale. Le figuresi stagliano per i contrasti coloristici, non si intravedono riferimenti ad opere letterarie e neppure ad eventi riconoscibili; assumono un valore simbolico di ricerca spirituale, dalla riflessione interiore alla meditazione. Si vedono divinità, figure singole e gruppi che sembrano immersi in preghiera.
Nella quarta sezione, come in un “blow up” cinematografico, dopo gli animali, l’ambiente e le figure, l’obiettivo dell’artista si posa sui volti, ne vediamo ben 30, i chiaroscuri e i contrasti cromatici sono ancora più intensi; ritratti molto particolari che diventano in alcuni casi maschere quasi teatrali. Anche qui, tuttavia, nessun riferimento esplicito, come per le figure della sezione precedente: sono studi di personaggi piuttosto che tratti colti sul momento. Le espressioni sempre intense, siano cupe e aggrottate oppure calme e distese, rimandano alla personalità del soggetto ma lasciano un senso di mistero come se la personalità più profonda non fosse raggiungibile.
In fondo, il sentimento che resta dopo l’immersione nel mondo pittorico di Tagore è il senso del mistero; a ciò concorre una certa cupezza espressiva e l’aspetto primitivo e totemico che dà a tante immagini l’aspetto di vere e proprie icone. Ma questa non è l’espressione di una mentalità contemplativa, Tagore aeva un atteggiamento orientato all’azione alimentata dalla sua fede nell’umanesimo universale; e neppure di una visione pessimistica, diceva “ho sviluppato una mia idea personale dell’ottimismo”, nel senso di non accanirsi ma cercare la “porta” giusta o costruirla.
E allora qual è la logica complessiva? Forse la si trova nel suo concetto di “raccolto”, nell’esigenza di attingere sempre al “granaio del passato”, al quale ci riportano le sue forme arcaiche e totemiche: “Qualcosa di straordinario avverrà, indipendentemente da quanto sia oscuro il presente”, ha detto una volta con l’ottimismo della volontà che deve prevalere sul pessimismo della ragione. Riferendo le sue immagini dal cromatismo scuro e dalle espressioni tese e nervose al “granaio del passato” si può conciliare l’espressione pittorica all’ottimismo di base. Che lo ha portato a dire: “Ho dormito e sognato che la vita è gioia. Mi sono risvegliato ed ho visto che la vita è servizio. Ho servito ed ecco, il servizio è gioia”. Una grande insegnamento per tutti, una vera lezione del professor Tagore.
Info
Visite alle mostre permanenti e temporanee della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Viale delle Belle Arti 131: da martedì a domenica ore 8,30-19,30, lunedì chiuso, biglietteria aperta fino alle ore 18,45. Ingresso: intero euro 10,00, ridotto 8,00. Tel. 06.32298221; http://www.gnam.beniculturali.it/
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla Gnam alla presentazione della mostra, si ringrazia la Galleria e l’organizzazione, con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta.
di Romano Maria Levante
“The Last Harvest”, la mostra di pittura di Tagore, tenuta a Roma, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal 29 marzo al 27 maggio 2012, curata da R. Siva Kumar della Visva Bharati University, ha presentato per la prima volta in Italia 100 dipinti provenienti dall’archivio Rabindra Bhavana e dal Kala Bhavan Museum. E’ l'”ultimo raccolto” artistico del grande poeta e scrittore indiano, uomo di teatro e musicista, divenuto pittore dopo i 60 anni con straordinaria creatività. La mostra era in 4 sezioni con immagini suggestive di animali e paesaggi, personaggi e ritratti.
Parlare subito delle opere come si fa per i pittori senza soffermarsi sulla loro vita sarebbe lacunoso perché Rabindranath Tagore cominciò ad esprimersi in forma pittorica solo nel 1924, a 64 anni, mentre nell’arte letteraria era stato precoce, le prime poesie uscirono a soli 14 anni, mezzo secolo prima, a 20 anni la raccolta “Canti del mattino” seguita da un’altra “Canti della sera”. Nel 1913 il Premio Nobel per la letteratura grazie ai suoi poemi religiosi “Gitanjali” che lo resero famoso in Usa e in Europa. Fondò la scuola di “Santiniketan”, trasformandola nel 1921 nell'”Università internazionale Visna Barati”, fu presidente del Congresso filosofico delle Indie e con i suoi scritti anticonvenzionali incise sulla letteratura e la lingua della sua terra, il Bengala, e dell’India. Nato in una famiglia di antica nobiltà, i fratelli scrittori e musicisti, la sorella autrice di romanzi e racconti; lui poeta e romanziere, scrittore di racconti e opere teatrali, saggista e compositore e infine pittore.
Alla presentazione della mostra, nel quadro delle celebrazioni per il 150° anno dalla sua nascita nel 1861 che ha coinciso con il 150° dell’Unità d’Italia, ha fatto gli onori di casa la soprintendente della Galleria Maria Vittoria Marini Clarelli ed è intervenuto, oltre al curatore Siva Kumar in abito tradizionale indiano, l’ambasciatore dell’India in Italia, Shri Debabrata Saha. Ci siamo sentiti di collegare il riconoscimento a Tagore al momento particolare dei rapporti tra i nostri paesi per la vicenda dei marò arrestati, apprezzando la presenza dell’ambasciatore con l’auspicio di una pronta riconciliazione: ha risposto che questo era nello spirito del grande Tagore, del resto sappiamo che ha ricercato sempre la sintesi, anche tra Oriente e d Occidente, per raggiungere verità universali.
Ci limitiamo a questi pochi tratti, il solo accennare ai suoi temi filosofici e alle sue opere di poeta, scrittore e autore di teatro porterebbe molto lontano, ne parla diffusamente il numero speciale del 2010 della rivista “India – Perspectives” a lui dedicato con 24 articoli sui singoli temi illustrati da fotografie e riproduzioni dei suoi dipinti, sintesi efficace di un autore dalla bibliografia sconfinata.
Alcuni tratti sull’opera pittorica
Sulla sua pittura va premesso che, oltre ad iniziare in tarda età, si pose al di fuori degli schemi della produzione artistica indiana per cui non fu apprezzato subito nel suo paese, tutt’altro. Ma nel 1930 ci fu la prima mostra a Parigi, poi itinerante tra l’Europa e l’America, e i suoi dipinti furono esposti a Londra e Berlino, Monaco e New York, nel 1931 a Philadelphia. Una lunga serie di viaggi in questi paesi lo mette a contatto in modo sempre più stretto con l’arte occidentale, l’espressionismo e il fauvismo erano le correnti più avanzate, se ne sentono gli influssi nelle sue composizioni.
Era molto legato alla sua terra da cui traeva l’ispirazione, e lo dichiarava; tuttavia il suo pensiero ha avuto diffusione in tutto il mondo forse per la continua ricerca di un tema unificante, una verità universale attraverso le varie forme d’arte letteraria e musicale, infine visiva da lui praticate.
Un’impostazione la sua che va molto oltre la scelta stilistica e di contenuto nell’opera pittorica, a stare a quanto scriveva nel 1917 in “My Reminiscenses”, sette anni prima delle sue iniziali opere grafiche. C’è la compresenza e insieme il contrasto tra la parte esteriore e quella interiore, anche la Chiesa parla di “foro esterno” e “foro interno”. All’esterno gli eventi, all’interno le immagini che vi si riflettono: “I due aspetti corrispondono ma non sono la stessa cosa. Non abbiamo la possibilità di vedere con chiarezza questo mondo di immagini all’interno di noi. Una piccola porzione, di quando in quando, attrae la nostra attenzione, ma la maggior parte rimane in ombra, fuori dalla nostra vita”. E a proposito di chi dipinge “le immagini sulle tele della memoria” scrive: “Non sta lì con il suo pennello semplicemente a replicare ciò che accade. Prende e toglie a seconda del suo gusto e, ingigantendo e rimpicciolendo a suo piacimento, non ha imbarazzi a mettere nello sfondo ciò che era in primo piano. In altre parole, dipinge immagini, non scrive la storia”.
Due anni dopo, per il “Centre of Indian Culture”, scriveva: “E’ bene ricordare che le grandi epoche della rinascita nella storia furono quelle in cui l’uomo scoprì all’improvviso i semi del pensiero nel granaio del passato. Coloro che, sfortunati, hanno perduto il raccolto del passato, hanno perso il loro presente”. Crediamo che sia nata da queste sue parole l’intitolazione della mostra “The Last Harvest”, cioè l’ultimo raccolto: la sua espressione pittorica ha coperto i 17 anni conclusivi di vita, il periodo appunto del raccolto finale del suo passato come dei precursori nel granaio della storia. Per questo la visita alle opere, guidata dal curatore R. Siva Kumar della “Visva Barati University” creata da Tagore, è stata una retrospettiva della sua ispirazione e un vero compendio spirituale.
Le 4 sezioni: animali e paesaggi, figure e volti
Per chi, come noi, si poneva il problema del rapporto tra scrittura letteraria e rappresentazione pittorica, il curatore ha rivelato che i suoi primi dipinti derivano dagli scarabocchi sui manoscritti per dare un senso estetico alle cancellature in un a sorta di “giocosa inventiva”. Comincia con gli animali, veri o immaginari, poi il paesaggio con la solitudine e quindi, in progressione, l’essere umano come corpo e gestualità, fino a concentrarsi sui visi alternando le maschere ai ritratti.
I suoi dipinti, per lo più a inchiostro colorato e acquarello di piccolo-medio formato, sono senza riferimenti espliciti, né date né titoli: è un narrazione che lascia libero l’interprete, cosa che ne accresce il valore universale, sganciato dalle contingenze locali e temporali. La selezione presentata, del tutto inedita nel nostro paese, è una piccola parte del vasto “corpus” pittorico di 1600 opere nel Rabindra Bhavana e di un centinaio al Kala Bhavan Museum, entrambi prestatori della mostra. I fondi sono per lo più scuri, i colori densi e pastosi, le immagini dai contorni netti e precisi.
Ecco la prima sezione, con 20 pitture ispirate ad animali rappresentati in forme primitive quasi totemiche, alcune richiamano figure reali, altre esseri fantastici. Linee continue e curve o spezzate bruscamente, posizioni erette o forme stilizzate; espressioni fiere o meste, gioiose o imploranti. Colpiscono gli occhi spalancati del pappagallo e l’atteggiamento tenero del piccolo rispetto alla madre accigliata. Un bestiario particolare, dunque, con dei sentimenti che avvicinano il mondo animale all’umanità, nel sincretismo universale di Tagore, uomo di pensiero..
Dagli animali ai paesaggi nella seconda sezione, con 13 dipinti accomunati dalla severità dell’ambiente, non riconoscibile sebbene nel giallo del cielo dietro gli alberi di alcuni quadri siano stati visti fenomeni naturali a Santiniketan. Gli alberi dalla chioma folta hanno un colore molto scuro che ispira protezione mista ad oppressione. In alcuni dipinti alla staticità subentrano altri motivi: il senso del ritmo, come nei due alberi, questa volta dal fogliame rado, piegati dal vento; il senso dell’equilibrio che manca nel tempietto con colonne e scalinata visibilmente sbilanciato.
La terza sezione, dedicata alle figure umane, ha occupato un corridoio con 15 dipinti e la sala successiva con altri 16 dipinti. Anche qui, come negli animali, qualcosa di totemico, di grande fascino nelle tinte scure e intense anche con rossi e blu molto carichi, e nelle forme arcaiche nette e decise. C’è molta attenzione alla gestualità, di tipo quasi teatrale. Le figuresi stagliano per i contrasti coloristici, non si intravedono riferimenti ad opere letterarie e neppure ad eventi riconoscibili; assumono un valore simbolico di ricerca spirituale, dalla riflessione interiore alla meditazione. Si vedono divinità, figure singole e gruppi che sembrano immersi in preghiera.
Nella quarta sezione, come in un “blow up” cinematografico, dopo gli animali, l’ambiente e le figure, l’obiettivo dell’artista si posa sui volti, ne vediamo ben 30, i chiaroscuri e i contrasti cromatici sono ancora più intensi; ritratti molto particolari che diventano in alcuni casi maschere quasi teatrali. Anche qui, tuttavia, nessun riferimento esplicito, come per le figure della sezione precedente: sono studi di personaggi piuttosto che tratti colti sul momento. Le espressioni sempre intense, siano cupe e aggrottate oppure calme e distese, rimandano alla personalità del soggetto ma lasciano un senso di mistero come se la personalità più profonda non fosse raggiungibile.
In fondo, il sentimento che resta dopo l’immersione nel mondo pittorico di Tagore è il senso del mistero; a ciò concorre una certa cupezza espressiva e l’aspetto primitivo e totemico che dà a tante immagini l’aspetto di vere e proprie icone. Ma questa non è l’espressione di una mentalità contemplativa, Tagore aeva un atteggiamento orientato all’azione alimentata dalla sua fede nell’umanesimo universale; e neppure di una visione pessimistica, diceva “ho sviluppato una mia idea personale dell’ottimismo”, nel senso di non accanirsi ma cercare la “porta” giusta o costruirla.
E allora qual è la logica complessiva? Forse la si trova nel suo concetto di “raccolto”, nell’esigenza di attingere sempre al “granaio del passato”, al quale ci riportano le sue forme arcaiche e totemiche: “Qualcosa di straordinario avverrà, indipendentemente da quanto sia oscuro il presente”, ha detto una volta con l’ottimismo della volontà che deve prevalere sul pessimismo della ragione. Riferendo le sue immagini dal cromatismo scuro e dalle espressioni tese e nervose al “granaio del passato” si può conciliare l’espressione pittorica all’ottimismo di base. Che lo ha portato a dire: “Ho dormito e sognato che la vita è gioia. Mi sono risvegliato ed ho visto che la vita è servizio. Ho servito ed ecco, il servizio è gioia”. Una grande insegnamento per tutti, una vera lezione del professor Tagore.
Info
Visite alle mostre permanenti e temporanee della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Viale delle Belle Arti 131: da martedì a domenica ore 8,30-19,30, lunedì chiuso, biglietteria aperta fino alle ore 18,45. Ingresso: intero euro 10,00, ridotto 8,00. Tel. 06.32298221; http://www.gnam.beniculturali.it/
Foto
Le immagini sono state riprese da Romano Maria Levante alla Gnam alla presentazione della mostra, si ringrazia la Galleria e l’organizzazione, con i titolari dei diritti per l’opportunità offerta.